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Elogio della ghigliottina
negli spazi espositivi del Laboratorio dell’Imperfetto di Gambettola si inaugura la mostra Elogio della ghigliottina alla presenza di “tredici teste spiccate dal collo”.
Comunicato stampa
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Domenica 15 agosto, alle ore 21:00, negli spazi espositivi del Laboratorio dell’Imperfetto di Gambettola si inaugura la mostra Elogio della ghigliottina alla presenza di “tredici teste spiccate dal collo”.
Ne Le dernier jour d’un condamné di Victor Hugo, il protagonista (anonimo come la propria colpa) si affligge per la – ingiusta? – condanna che lo costringerà a perdere la vita nella place de Grève. Più che lo strazio del corpo, a tormentarlo è il pensiero della morte. Un pensiero che si forma in testa, quella stessa che subirà l’incuranza della ghigliottina. L’asportazione chirurgica inflitta dalla lama della “trinciateste” interromperà il flusso delle sue idee, ne farà capitolare l’intelletto. Il condannato non potrà, né vorrà darsi pace di ciò; impossibile per lui rassegnarsi all’ignominioso epilogo, al fatto che i suoi carnefici possano ignorare l’atrocità di un gesto così empio (non tanto nel porre fine alla vita di un essere umano quanto nell’annichilirne la mente).
Il celebre motto di Cartesio, cogito ergo sum, diventa congeniale preambolo alla decollazione, un tema tutt’altro che infrequente nella storia dell’arte. La prima forma di decollazione ravvisata nell’arte è di probatoria accidentalità; a farne le spese, infatti, è stata la statuaria antica, giuntaci acefala oltre che evirata e focomelica. Da allora esistono forme e significazioni diverse che il caso attribuisce a un soggetto che è andato perdendo la propria connotazione a ridosso dei secoli. Benché le teste mozze si succedano ancora numerose nel copioso inventario dell’arte contemporanea, assai di rado viene adotto un motivo. Proprio come Victor Hugo, anche gli artisti preferiscono omettere il capo d’imputazione; non per negligenza verso il tema, né verso l’oggetto della loro angheria, quanto semmai per accentrare l’attenzione su quella testa/monade/sineddoche in cui si riassume un individuo, un corpo e quindi un’intera anatomia.
«Se mi tagliassi una gamba ci sarei io e la mia gamba; se mi tagliassi un braccio ci sarei io e il mio braccio; ma se mi tagliassi la testa? Ci sarei io e il mio corpo o io e la mia testa?», è quanto va interrogandosi l’impiegato Trelkovsky (alias Roman Polansky) nel film L’inquilino del terzo piano. Corpo o testa? Il dubbio non può dissiparsi tanto facilmente; l’annosa questione rimane sospesa come una spada di Damocle, sempre pronta a fare le veci della ghigliottina. Nel dubbio cresce l’angoscia, perché niente più della perdita dell’identità atterrisce l’animo umano... Il tema della “decollazione” non è altro che un prolungamento di quella poetica sul corpo – e quindi sull’identità – che annovera anche il genere del ritratto, in cui la forza magnetica del volto ci rende dimentichi del resto del corpo. Spesso e volentieri, consapevolmente o inconsciamente, siamo di fronte a un “aspetto soma-tico”, vale a dire che il volto è, né più né meno, che una desinenza del corpo. Per queste e altre ragioni il Laboratorio dell’Imperfetto di Gambettola è diventato un nuovo, diverso Laboratorio (anatomico) dell’Imperfetto (ossia “in difetto” del resto del corpo umano: braccia, gambe, torso). I tredici tagli che seguono la giugulare qui esposti ci hanno restituito il brulicare di teste mozze che – alla maniera del Battista maltese di Caravaggio – recano la firma di Bocchini, Caccioni, Carboni, Fabbri, Giovagnoli, Guastavino, Manai, Nero, Pulini, Pusole, Salvatori, Erich e Verter Turroni. Ma poiché la testa ghigliottinata, appena dopo essere stata separata dal corpo, è ancora in grado di esalare un ultimo afflato verbale, forse basterà accostare l’orecchio alla sua bocca per riuscire a ca[r]pire le ragioni di questa mostra, così come del curatore e dei rispettivi autori…
Ne Le dernier jour d’un condamné di Victor Hugo, il protagonista (anonimo come la propria colpa) si affligge per la – ingiusta? – condanna che lo costringerà a perdere la vita nella place de Grève. Più che lo strazio del corpo, a tormentarlo è il pensiero della morte. Un pensiero che si forma in testa, quella stessa che subirà l’incuranza della ghigliottina. L’asportazione chirurgica inflitta dalla lama della “trinciateste” interromperà il flusso delle sue idee, ne farà capitolare l’intelletto. Il condannato non potrà, né vorrà darsi pace di ciò; impossibile per lui rassegnarsi all’ignominioso epilogo, al fatto che i suoi carnefici possano ignorare l’atrocità di un gesto così empio (non tanto nel porre fine alla vita di un essere umano quanto nell’annichilirne la mente).
Il celebre motto di Cartesio, cogito ergo sum, diventa congeniale preambolo alla decollazione, un tema tutt’altro che infrequente nella storia dell’arte. La prima forma di decollazione ravvisata nell’arte è di probatoria accidentalità; a farne le spese, infatti, è stata la statuaria antica, giuntaci acefala oltre che evirata e focomelica. Da allora esistono forme e significazioni diverse che il caso attribuisce a un soggetto che è andato perdendo la propria connotazione a ridosso dei secoli. Benché le teste mozze si succedano ancora numerose nel copioso inventario dell’arte contemporanea, assai di rado viene adotto un motivo. Proprio come Victor Hugo, anche gli artisti preferiscono omettere il capo d’imputazione; non per negligenza verso il tema, né verso l’oggetto della loro angheria, quanto semmai per accentrare l’attenzione su quella testa/monade/sineddoche in cui si riassume un individuo, un corpo e quindi un’intera anatomia.
«Se mi tagliassi una gamba ci sarei io e la mia gamba; se mi tagliassi un braccio ci sarei io e il mio braccio; ma se mi tagliassi la testa? Ci sarei io e il mio corpo o io e la mia testa?», è quanto va interrogandosi l’impiegato Trelkovsky (alias Roman Polansky) nel film L’inquilino del terzo piano. Corpo o testa? Il dubbio non può dissiparsi tanto facilmente; l’annosa questione rimane sospesa come una spada di Damocle, sempre pronta a fare le veci della ghigliottina. Nel dubbio cresce l’angoscia, perché niente più della perdita dell’identità atterrisce l’animo umano... Il tema della “decollazione” non è altro che un prolungamento di quella poetica sul corpo – e quindi sull’identità – che annovera anche il genere del ritratto, in cui la forza magnetica del volto ci rende dimentichi del resto del corpo. Spesso e volentieri, consapevolmente o inconsciamente, siamo di fronte a un “aspetto soma-tico”, vale a dire che il volto è, né più né meno, che una desinenza del corpo. Per queste e altre ragioni il Laboratorio dell’Imperfetto di Gambettola è diventato un nuovo, diverso Laboratorio (anatomico) dell’Imperfetto (ossia “in difetto” del resto del corpo umano: braccia, gambe, torso). I tredici tagli che seguono la giugulare qui esposti ci hanno restituito il brulicare di teste mozze che – alla maniera del Battista maltese di Caravaggio – recano la firma di Bocchini, Caccioni, Carboni, Fabbri, Giovagnoli, Guastavino, Manai, Nero, Pulini, Pusole, Salvatori, Erich e Verter Turroni. Ma poiché la testa ghigliottinata, appena dopo essere stata separata dal corpo, è ancora in grado di esalare un ultimo afflato verbale, forse basterà accostare l’orecchio alla sua bocca per riuscire a ca[r]pire le ragioni di questa mostra, così come del curatore e dei rispettivi autori…
15
agosto 2010
Elogio della ghigliottina
Dal 15 al 22 agosto 2010
arte contemporanea
Location
IL LABORATORIO DELL’IMPERFETTO
Gambettola, Via Viole, 128, (Forlì-cesena)
Gambettola, Via Viole, 128, (Forlì-cesena)
Orario di apertura
dal lunedì al venerdi ore 14,30 – 18,30
fuori orario su appuntamento
Vernissage
15 Agosto 2010, ore 21,00
Autore
Curatore