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City Lights – Raul Gabriel
“A Spoleto la pista ciclabile rimovibile rappresenta un vero interrogativo. Quindi invito a fare il “salto” e tentare di vedere come esista un’inevitabile osmosi tra i fenomeni della forma e del significato, se sono autentici e dotati di un’intrinseca organicità, indipendentemente da epoche, retorica e materiali.” Raul Gabriel
Comunicato stampa
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ARIA / IL FLUSSO CREATIVO DENTRO E OLTRE LA CITTA’ / SATELLITE COLLICOLA
CITY LIGHTS /
RAUL GABRIEL / “GUD BIKE”
Appunti sul pensiero della “pista ciclabile rimovibile”
PIAZZA COLLICOLA + CORTILE PALAZZO COLLICOLA
Testi di Raul Gabriel
La pista ciclabile rimovibile, tappeto della forma-pensiero, esempio di “urbage” (urban garbage), diventa
una possibilità di potente cortocircuito tra la classicità ed il postmoderno, direi postognicosa, ma non con
l’epidermicità di un intervento “a pelle”, estetizzante e riducibile a forma di facile consumo, bensì con
l’ambizione di leggere nel portato del postcontemporaneo, direi per paradosso, la monumentalità, la
forza di linguaggio possibile ed una via della visione che vuole parlare sullo stesso piano di ciò che nel
consueto è inteso come storico. Ovvero, è la ricerca di un linguaggio organico e strutturato a partire dal
marginale, che però riveli quanta organicità e prolificità esiste in ciò che è in fondo “derivato” e quasi
“scarto“ della vita metropolitana. Non “trash” o semplicemente oggetto “urban” ma la struttura di una
scrittura che appartiene al contesto che abbiamo generato nell’ultimo mezzo secolo e che ad una lettura
a-pregiudiziale, e visionaria, può rivelare i caratteri di un linguaggio potente e strutturato come quello
“classico”. La pista ciclabile è, insieme ai “semafori” e ai “meccanismi geneticamente modificati“, un
rivelare quale assonanza possa esistere tra l’arcaico fino all’ideogramma e la scomposizione come dicevo
quasi futuristica-reverse di una delle forme più consuete che conosciamo, quella della bicicletta stilizzata.
La scrittura che vi è nascosta, l’estetica possibile, le architetture ancestrali che si contaminano con la
“spazzatura “ semiotica urbana. Che ovviamente così “spazzatura” non è.
A Spoleto la pista ciclabile rimovibile rappresenta un vero interrogativo. Quindi invito a fare il “salto” e
tentare di vedere come esista un’inevitabile osmosi tra i fenomeni della forma e del significato, se sono
autentici e dotati di un’intrinseca organicità, indipendentemente da epoche, retorica e materiali.
In fondo le lettere di questo alfabeto che si compongono e scompongono mentre si cammina sulla pista
ciclabile rimovibile sono omologhe all’aria, come la poesia che in fondo di lettere è composta, quindi di
suoni, di vibrazioni dell’aria. Potrebbe essere una bicicletta dell’aria, scrittura che va verso il punto in
cui arcaico e futuro si incontrano all’infinito. A posteriori un accostamento al Futurismo viene fuori per
dinamicità e movimento, ma con una direzione opposta. Ovvero, se la “macchina“ era eccentrica rispetto
all’uomo in quel caso, una proiezione infinita delle sue possibilità, quasi una protesi, in questo caso sono
i “residui” di quella macchina che tornano verso l’uomo attraverso la visione che possono veicolare.
La bicicletta ha molto a che fare con il concetto di urban nomads sia per dove l’ho trovata, sia in senso
stretto perche nelle metropoli è uno degli strumenti privilegiati per i nomadi urbani. Scomponendo la
forma nasce la mia pista ciclabile rimovibile, dove anziché essere rappresentata la forma ripetuta della
bicicletta, viene decostruita la sua forma mentre si procede in avanti. La pista ciclabile rimovibile altro
non è che un tappeto (red carpet) con la rappresentazione della destrutturazione della forma bicicletta,
simbolo paraurbano, spesso stridente con il contesto. Contesto come quello urbano per cui ritengo che
una “ecologia dell’urbano” vada profondamente incorporata ad una “ecologia dell’estetica”, intesa non
come una decorazione più o meno interessante e troppo spesso “anestetica” ma come vero e proprio
“percorso“ nella forma, nel suo sviluppo e decostruzione, nel suo cammino dinamico, che al concetto di
statico sostituisca quello di divenire come stato permanente dell’essere e del percepire la bellezza. La
metafora di un percorso temporale e formale su cui camminare, compiendo un viaggio estetico oltre che
spaziale, relazionandosi con una chiave di lettura comune (la forma bicicletta) che attraverso il “congegno
formale” diviene altro, diviene “altra” e costantemente “nuova” nel passaggio da forma a calligrafia
e ritorno. La pista ciclabile rimovibile è temporanea e decontestuale, ecologia del segno con alcune stonature
inquietanti.
La bicicletta fa parte della mio ritrovamento nell’urbano anche banale, periferico, obsoleto, come la
segnaletica, i semafori, i meccanismi industriali, di una visionarietà che questi nascondono. Attraverso la
loro scomposizione nei vari elementi che li compongono e la ricomposizione in forma differente, ma
sempre a partire da quegli elementi, è possibile comunicare parti di questa visionarietà. Ha a che fare con
una messa in scena dell’oggetto “banale” non come ready made ma come chiave per un’estetica di
rimando, che dalle componenti dell’oggetto possa ripartire.
Un’estetica del suburbano.
Il processo di smontaggio/rimontaggio della struttura mostra elementi ambigui che modificano il carattere
apparentemente “rassicurante” della forma stessa e del concetto che sottende. Il primo elemento che
mi spinge in questa direzione è la bellezza di tali scoperte dentro “l’immondizia tecnologico-metropolitana”.
Quando ho visto questa bicicletta sono rimasto folgorato come con i semafori.
Ho immaginato una pista ciclabile dove anziché la forma ripetuta della bicicletta ci fosse un suo processo
di scomposizione, viaggio nella forma oltre che nello spazio.
Il rassicurante concetto di ecologico come “inoffensivo“ e politically correct viene messo in discussione
attraverso un processo estetico, dove dalla bicicletta escono punte, forme che mettono in discussione
l’idea falsata di una “sicurezza” raggiunta.
CITY LIGHTS /
RAUL GABRIEL / “GUD BIKE”
Appunti sul pensiero della “pista ciclabile rimovibile”
PIAZZA COLLICOLA + CORTILE PALAZZO COLLICOLA
Testi di Raul Gabriel
La pista ciclabile rimovibile, tappeto della forma-pensiero, esempio di “urbage” (urban garbage), diventa
una possibilità di potente cortocircuito tra la classicità ed il postmoderno, direi postognicosa, ma non con
l’epidermicità di un intervento “a pelle”, estetizzante e riducibile a forma di facile consumo, bensì con
l’ambizione di leggere nel portato del postcontemporaneo, direi per paradosso, la monumentalità, la
forza di linguaggio possibile ed una via della visione che vuole parlare sullo stesso piano di ciò che nel
consueto è inteso come storico. Ovvero, è la ricerca di un linguaggio organico e strutturato a partire dal
marginale, che però riveli quanta organicità e prolificità esiste in ciò che è in fondo “derivato” e quasi
“scarto“ della vita metropolitana. Non “trash” o semplicemente oggetto “urban” ma la struttura di una
scrittura che appartiene al contesto che abbiamo generato nell’ultimo mezzo secolo e che ad una lettura
a-pregiudiziale, e visionaria, può rivelare i caratteri di un linguaggio potente e strutturato come quello
“classico”. La pista ciclabile è, insieme ai “semafori” e ai “meccanismi geneticamente modificati“, un
rivelare quale assonanza possa esistere tra l’arcaico fino all’ideogramma e la scomposizione come dicevo
quasi futuristica-reverse di una delle forme più consuete che conosciamo, quella della bicicletta stilizzata.
La scrittura che vi è nascosta, l’estetica possibile, le architetture ancestrali che si contaminano con la
“spazzatura “ semiotica urbana. Che ovviamente così “spazzatura” non è.
A Spoleto la pista ciclabile rimovibile rappresenta un vero interrogativo. Quindi invito a fare il “salto” e
tentare di vedere come esista un’inevitabile osmosi tra i fenomeni della forma e del significato, se sono
autentici e dotati di un’intrinseca organicità, indipendentemente da epoche, retorica e materiali.
In fondo le lettere di questo alfabeto che si compongono e scompongono mentre si cammina sulla pista
ciclabile rimovibile sono omologhe all’aria, come la poesia che in fondo di lettere è composta, quindi di
suoni, di vibrazioni dell’aria. Potrebbe essere una bicicletta dell’aria, scrittura che va verso il punto in
cui arcaico e futuro si incontrano all’infinito. A posteriori un accostamento al Futurismo viene fuori per
dinamicità e movimento, ma con una direzione opposta. Ovvero, se la “macchina“ era eccentrica rispetto
all’uomo in quel caso, una proiezione infinita delle sue possibilità, quasi una protesi, in questo caso sono
i “residui” di quella macchina che tornano verso l’uomo attraverso la visione che possono veicolare.
La bicicletta ha molto a che fare con il concetto di urban nomads sia per dove l’ho trovata, sia in senso
stretto perche nelle metropoli è uno degli strumenti privilegiati per i nomadi urbani. Scomponendo la
forma nasce la mia pista ciclabile rimovibile, dove anziché essere rappresentata la forma ripetuta della
bicicletta, viene decostruita la sua forma mentre si procede in avanti. La pista ciclabile rimovibile altro
non è che un tappeto (red carpet) con la rappresentazione della destrutturazione della forma bicicletta,
simbolo paraurbano, spesso stridente con il contesto. Contesto come quello urbano per cui ritengo che
una “ecologia dell’urbano” vada profondamente incorporata ad una “ecologia dell’estetica”, intesa non
come una decorazione più o meno interessante e troppo spesso “anestetica” ma come vero e proprio
“percorso“ nella forma, nel suo sviluppo e decostruzione, nel suo cammino dinamico, che al concetto di
statico sostituisca quello di divenire come stato permanente dell’essere e del percepire la bellezza. La
metafora di un percorso temporale e formale su cui camminare, compiendo un viaggio estetico oltre che
spaziale, relazionandosi con una chiave di lettura comune (la forma bicicletta) che attraverso il “congegno
formale” diviene altro, diviene “altra” e costantemente “nuova” nel passaggio da forma a calligrafia
e ritorno. La pista ciclabile rimovibile è temporanea e decontestuale, ecologia del segno con alcune stonature
inquietanti.
La bicicletta fa parte della mio ritrovamento nell’urbano anche banale, periferico, obsoleto, come la
segnaletica, i semafori, i meccanismi industriali, di una visionarietà che questi nascondono. Attraverso la
loro scomposizione nei vari elementi che li compongono e la ricomposizione in forma differente, ma
sempre a partire da quegli elementi, è possibile comunicare parti di questa visionarietà. Ha a che fare con
una messa in scena dell’oggetto “banale” non come ready made ma come chiave per un’estetica di
rimando, che dalle componenti dell’oggetto possa ripartire.
Un’estetica del suburbano.
Il processo di smontaggio/rimontaggio della struttura mostra elementi ambigui che modificano il carattere
apparentemente “rassicurante” della forma stessa e del concetto che sottende. Il primo elemento che
mi spinge in questa direzione è la bellezza di tali scoperte dentro “l’immondizia tecnologico-metropolitana”.
Quando ho visto questa bicicletta sono rimasto folgorato come con i semafori.
Ho immaginato una pista ciclabile dove anziché la forma ripetuta della bicicletta ci fosse un suo processo
di scomposizione, viaggio nella forma oltre che nello spazio.
Il rassicurante concetto di ecologico come “inoffensivo“ e politically correct viene messo in discussione
attraverso un processo estetico, dove dalla bicicletta escono punte, forme che mettono in discussione
l’idea falsata di una “sicurezza” raggiunta.
26
giugno 2010
City Lights – Raul Gabriel
Dal 26 giugno 2010 al 07 gennaio 2011
arte contemporanea
Location
PALAZZO COLLICOLA ARTI VISIVE – MUSEO CARANDENTE
Spoleto, Via Loreto Vittori, 11, (Perugia)
Spoleto, Via Loreto Vittori, 11, (Perugia)
Orario di apertura
venerdì, sabato e domenica dalle 10.30 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 19.00.
Vernissage
26 Giugno 2010, ore 16
Autore