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Sandra Chinelate – J.
La mostra, curata da Lea Mattarella, presenterà 20 opere inedite appartenenti all’ultimo ciclo realizzato dalla pittrice brasiliana Sandra Chinelate. L’esposizioni sarà corredata da un catalogo con testi di Lea Mattarella e Calusca.
Comunicato stampa
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testo in catalogo di Lea Mattarella:
Dipingere il tempo
La vecchiaia (è questo il nome che gli altri le danno)
può essere il tempo della nostra felicità.
L’animale è morto o è quasi morto
Rimangono l’uomo e la sua anima.
(Jorge Luis Borges, Elogio dell’ombra)
Viene subito da chiedersi: ma, insomma, chissà chi è J., protagonista di una vera e propria elegia del tempo? Questa donna anziana che volge lo sguardo verso di noi, e poi in alto, ma anche in un punto lontano, proprio alle nostre spalle, quasi avesse capito che c’è qualcosa altrove. J. intenta a vestirsi con gesti lenti, che rivelano la sua vecchiaia ma sembrano anche un po’ infantili, e ci lasciano immaginare la bambina che era, quando imparava a infilarsi una veste, ad allacciarsi una scarpa. J. che a momenti sembra quasi abbozzare un sorriso sbarazzino e ci offre senza reticenza un corpo e un volto su cui scorrono i segni dell’ombra e della luce lasciati dal tempo. Chi è questa J. ritratta con un’attenzione quasi pervicace ai particolari che ne rivelano gli anni passati sulla terra, come fosse un albero antico di cui stiamo contando gli anelli? La domanda te la fai. Ma poi capisci quasi subito che, in fondo, questo non è importante. Quello che conta è che J. rappresenti un’età, quasi l’eroismo del vivere lo straor-dinario che si nasconde in ogni vita normale, nell’atto stesso di invecchiare.
J. è una donna. Ma è anche tutte le altre. Perché le artiste come Sandra Chinelate narrano il mondo partendo da un particolare in un modo che è diventato tipico del fare femminile: mettere a nudo qualcosa di intimo, frugare tra le proprie carte, affrontare l’elemento autobiografico e infine renderlo parte di un racconto corale, una gigantesca sinfonia di cui ognuno di noi può intonare una parte. Così, guardando queste opere mi è venuta in mente una costellazione di donne. Come non pensare a Rosemarie Trockel, alla sua mostra intitolata Post-menopause in cui l’universo femminile, partendo dall’esperienza individuale, si rivela in tutte le sue possibilità di transizione e di passaggio? Oppure a Mona Hatoum, artista spesso cruda, che tocca le corde della commozione in un video in cui la madre si fa la doccia dietro una tenda, su cui sono impresse le parole di un dialogo tra loro che risuona anche attraverso una voce fuori campo.
Tutte loro potrebbero dire però mi affascinano quelli con molti anni come Elisabetta Rasy a proposito di Mary McCarthy. Ma Sandra utilizza mezzi diversi dalle due artiste citate: si avventura nell’intimità attraverso la pittura. Ed è molto bello guardare queste immagini una accanto all’altra, come fossero fotogrammi di uno stesso film. Sono ritratti, ognuno di loro è un quadro a sé, ma sono anche accordi di un’unica partitura che aumenta di volume, di intensità emotiva quando li ascoltiamo tutti insieme. La società contemporanea rifugge tutto ciò che riguarda La terza età, per citare il titolo di un famoso libro di Simone de Beauvoir, un’altra donna, questa volta scrittrice, che con la stessa compassione e lo stesso coraggio della Chinelate, si è affacciata su quell’universo in più occasioni, una delle quali, Una morte dolcissima, l’ha messa di fronte alla scomparsa della madre. Ma Sandra incalza, mostrando la bellezza di volti su cui, come lei stessa afferma, ha scolpito un paesaggio eroso. Scruta questi corpi antichi con un accanimento che conduce alla scoperta del segreto di una materia rivelatrice di una parte ben più profonda. E abitando questo condominio di carne, come Valerio Magrelli definisce il corpo, si arriva inevitabilmente ad aprire la scatola dell’anima. È come se, trascinata da un indomabile gusto per la verità, Sandra ci mettesse di fronte a quella che Elias Canetti definirebbe la bellezza delle cose dimenticate, prima che si palesino, in un intrecciarsi di splendore e consumo.
Di fronte all’inverno della vita, qui sembra sbocciare una nuova primavera perché l’essere – come scrive la Yourcenar – è un miracolo più sorprendente del non essere. E l’essere cambia, si trasforma, si anima, accade. Il corpo, la pelle, diventano una specie di mappa, di carta geografica della vita vissuta. La Chinelate, a differenza di altri artisti che guardano come lei con caparbia determinazione al disfacimento del corpo non vuole inorridire, ma intende tessere una condivisione. Non le interessa lo choc brutale che attrae un Lucian Freud o una Jenny Saville, anzi. La commovente sequenza della donna che si veste, il suo sguardo finale di bosco annacquato che abbraccia il mondo da un punto in cui tutto può diventare uno sforzo, ci rendono partecipi, non ci allontanano. Alberi, bosco: ho usato parole che rimandano alla natura. E in effetti la prima cosa che mi ha evocato il volto solcato da rughe profonde e il corpo appesantito di J. dipinto da Sandra è stata una grande quercia solitaria. Non c’è ambientazione in queste opere, né alcun dettaglio, se non quelli fisici. E il fondo è spesso il verde come di una foresta, oppure è blu o rosso come può diventare il cielo. Sembra davvero il monologo di un albero al tramonto. Siamo nella mattina che è stata l’alba di borgesiana memoria e che adesso è diventata sera. E se c’è dolore, se c’è fatica, la Chinelate fa sue le parole di Rumi, il poeta medioevale sufi, convinto che la ferita è il punto da cui la luce può penetrare dentro di te. Ecco, la luce: è questa che Sandra ha saputo far risplendere da J. Certa che, com’è scritto nell’Ecclesiaste, La fine di una cosa/ È meglio del suo principio.
Dipingere il tempo
La vecchiaia (è questo il nome che gli altri le danno)
può essere il tempo della nostra felicità.
L’animale è morto o è quasi morto
Rimangono l’uomo e la sua anima.
(Jorge Luis Borges, Elogio dell’ombra)
Viene subito da chiedersi: ma, insomma, chissà chi è J., protagonista di una vera e propria elegia del tempo? Questa donna anziana che volge lo sguardo verso di noi, e poi in alto, ma anche in un punto lontano, proprio alle nostre spalle, quasi avesse capito che c’è qualcosa altrove. J. intenta a vestirsi con gesti lenti, che rivelano la sua vecchiaia ma sembrano anche un po’ infantili, e ci lasciano immaginare la bambina che era, quando imparava a infilarsi una veste, ad allacciarsi una scarpa. J. che a momenti sembra quasi abbozzare un sorriso sbarazzino e ci offre senza reticenza un corpo e un volto su cui scorrono i segni dell’ombra e della luce lasciati dal tempo. Chi è questa J. ritratta con un’attenzione quasi pervicace ai particolari che ne rivelano gli anni passati sulla terra, come fosse un albero antico di cui stiamo contando gli anelli? La domanda te la fai. Ma poi capisci quasi subito che, in fondo, questo non è importante. Quello che conta è che J. rappresenti un’età, quasi l’eroismo del vivere lo straor-dinario che si nasconde in ogni vita normale, nell’atto stesso di invecchiare.
J. è una donna. Ma è anche tutte le altre. Perché le artiste come Sandra Chinelate narrano il mondo partendo da un particolare in un modo che è diventato tipico del fare femminile: mettere a nudo qualcosa di intimo, frugare tra le proprie carte, affrontare l’elemento autobiografico e infine renderlo parte di un racconto corale, una gigantesca sinfonia di cui ognuno di noi può intonare una parte. Così, guardando queste opere mi è venuta in mente una costellazione di donne. Come non pensare a Rosemarie Trockel, alla sua mostra intitolata Post-menopause in cui l’universo femminile, partendo dall’esperienza individuale, si rivela in tutte le sue possibilità di transizione e di passaggio? Oppure a Mona Hatoum, artista spesso cruda, che tocca le corde della commozione in un video in cui la madre si fa la doccia dietro una tenda, su cui sono impresse le parole di un dialogo tra loro che risuona anche attraverso una voce fuori campo.
Tutte loro potrebbero dire però mi affascinano quelli con molti anni come Elisabetta Rasy a proposito di Mary McCarthy. Ma Sandra utilizza mezzi diversi dalle due artiste citate: si avventura nell’intimità attraverso la pittura. Ed è molto bello guardare queste immagini una accanto all’altra, come fossero fotogrammi di uno stesso film. Sono ritratti, ognuno di loro è un quadro a sé, ma sono anche accordi di un’unica partitura che aumenta di volume, di intensità emotiva quando li ascoltiamo tutti insieme. La società contemporanea rifugge tutto ciò che riguarda La terza età, per citare il titolo di un famoso libro di Simone de Beauvoir, un’altra donna, questa volta scrittrice, che con la stessa compassione e lo stesso coraggio della Chinelate, si è affacciata su quell’universo in più occasioni, una delle quali, Una morte dolcissima, l’ha messa di fronte alla scomparsa della madre. Ma Sandra incalza, mostrando la bellezza di volti su cui, come lei stessa afferma, ha scolpito un paesaggio eroso. Scruta questi corpi antichi con un accanimento che conduce alla scoperta del segreto di una materia rivelatrice di una parte ben più profonda. E abitando questo condominio di carne, come Valerio Magrelli definisce il corpo, si arriva inevitabilmente ad aprire la scatola dell’anima. È come se, trascinata da un indomabile gusto per la verità, Sandra ci mettesse di fronte a quella che Elias Canetti definirebbe la bellezza delle cose dimenticate, prima che si palesino, in un intrecciarsi di splendore e consumo.
Di fronte all’inverno della vita, qui sembra sbocciare una nuova primavera perché l’essere – come scrive la Yourcenar – è un miracolo più sorprendente del non essere. E l’essere cambia, si trasforma, si anima, accade. Il corpo, la pelle, diventano una specie di mappa, di carta geografica della vita vissuta. La Chinelate, a differenza di altri artisti che guardano come lei con caparbia determinazione al disfacimento del corpo non vuole inorridire, ma intende tessere una condivisione. Non le interessa lo choc brutale che attrae un Lucian Freud o una Jenny Saville, anzi. La commovente sequenza della donna che si veste, il suo sguardo finale di bosco annacquato che abbraccia il mondo da un punto in cui tutto può diventare uno sforzo, ci rendono partecipi, non ci allontanano. Alberi, bosco: ho usato parole che rimandano alla natura. E in effetti la prima cosa che mi ha evocato il volto solcato da rughe profonde e il corpo appesantito di J. dipinto da Sandra è stata una grande quercia solitaria. Non c’è ambientazione in queste opere, né alcun dettaglio, se non quelli fisici. E il fondo è spesso il verde come di una foresta, oppure è blu o rosso come può diventare il cielo. Sembra davvero il monologo di un albero al tramonto. Siamo nella mattina che è stata l’alba di borgesiana memoria e che adesso è diventata sera. E se c’è dolore, se c’è fatica, la Chinelate fa sue le parole di Rumi, il poeta medioevale sufi, convinto che la ferita è il punto da cui la luce può penetrare dentro di te. Ecco, la luce: è questa che Sandra ha saputo far risplendere da J. Certa che, com’è scritto nell’Ecclesiaste, La fine di una cosa/ È meglio del suo principio.
23
maggio 2010
Sandra Chinelate – J.
Dal 23 maggio al 05 giugno 2010
arte contemporanea
Location
GALLERIA ART’E’
Acireale, Piazza Porta Cusmana, 10, (Catania)
Acireale, Piazza Porta Cusmana, 10, (Catania)
Orario di apertura
da lunedì a sabato ore 10 - 13 e 16.30 - 20.30
Vernissage
23 Maggio 2010, ore 19.30
Autore
Curatore