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Ernesto Treccani – La mia città
Milano, fotografie e dipinti
Comunicato stampa
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Ernesto Treccani
La mia città
Milano, fotografie e dipinti
a cura di Toni Nicolini
Si può fare un paesaggio deserto di uomini ma in cui circola la vita.
Perciò mi interessano tanto i caseggiati popolari a ballatoi, tipicamente milanesi.
[…]
Io dipingerò fin che vivrò la mia città, la città che muore e la città che nasce, i ballatoi deserti e le fabbriche senza fumo e, quando ne sarò capace, direttamente gli uomini nel paesaggio e le ciminiere che gettano fumo. Ma ciò non dipende soltanto da me. La mia ambizione è di raccogliere un giorno in una mostra o in una pubblicazione tutti i miei quadri e disegni su Milano.
Ernesto Treccani
Se alzi gli occhi un poco meno in alto del cielo vero
troverai un altro cielo terreno.
E' il sogno di un pittore per la sua città.
Ernesto Treccani, La casa delle rondini, Milano, 1980-1986
Nei primi anni Sessanta il fotografo Toni Nicolini ha raccolto, su incarico di Ernesto Treccani, i negativi delle fotografie scattate dall’artista negli anni precedenti a Melissa e nel Sud Italia, a Milano e a Parigi. Si è così costituito un fondo di circa 2000 fotografie, formato 6x6, che è poi confluito nella serie Attività artistica dell'Archivio personale di Ernesto Treccani, in seguito all'ampio e attento lavoro di riordino e inventariazione del complesso archivistico della Fondazione Corrente condotto da Giuliana Citton e Maria Rosaria Moccia, grazie al generoso contributo della Fondazione Cariplo.
Il fondo fotografico, riordinato e digitalizzato, è attualmente in corso di catalogazione, con il contributo della Regione Lombardia, secondo i criteri della Scheda F predisposta dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD), con l’ausilio del software SIRBEC.
Tra le fotografie conservate presso la Fondazione Corrente, sono centinaia gli scatti dedicati negli anni Cinquanta a Milano. Nelle immagini che ritraggono le macerie dei palazzi di Porta Volta, le ciminiere delle fabbriche in periferia, le acque dei Navigli o la quiete dei Giardini Pubblici, si trova l’amore di Ernesto Treccani per la propria città. Lo sguardo attento e critico del pittore fotografa la Milano del dopoguerra, “la città che muore e la città che nasce”, muovendo dai luoghi dilaniati dai bombardamenti aerei del ’45 ai luoghi del lavoro e della ripresa economica, ai luoghi dell'anima e della natura fiorente.
Questo volume raccoglie alcune delle immagini più significative di quel fondo, in un percorso ideale attraverso Milano, che ricompone, negli accostamenti individuati dai curatori con un preciso lavoro di ricerca, la varietà delle immagini e la ricchezza degli interventi – fotografici, pittorici e grafici – dedicati da Treccani alla sua città.
Fiorella Mattio
Ernesto Treccani. La mia città
di Silvia Campese
La definisce “La mia città”1, in senso affettivo prima ancora che d’appartenenza anagrafica, e aggiunge: “Io dipingerò fin che vivrò la mia città, la città che muore e la città che nasce, i ballatoi deserti e le fabbriche senza fumo e, quando ne sarò capace, direttamente gli uomini nel paesaggio e le ciminiere che gettano fumo”2. Con queste parole Ernesto Treccani parla di Milano nelle pagine di Arte per amore dando espressione a un vincolo di sangue e di spirito che lo lega profondamente alla propria città.
Un amore che non può non passare attraverso l’arte, lo strumento considerato da lui prima di tutto metodo conoscitivo, per giungere a un’unione ancora più autentica con il paesaggio e i soggetti in esso rappresentati. Ma il suo approccio di pittore, rispetto all’ambientazione urbana milanese, è travagliato e passa attraverso varie fasi che esprimono e sintetizzano la continua e tormentata ricerca: la periferia silenziosa, il paesaggio industriale spoglio e scarno, i ballatoi dei caseggiati popolari deserti, sino alle prime tracce dell’uomo: la città popolata dal traffico, ma anche i viali dove si muovono coppie d’innamorati, madri con figli, figure solitarie. Una difficoltà rappresentativa che lui stesso palesa esprimendo la complessità dell’unione tra il paesaggio oggettivo, con la propria luce e i propri colori, e il paesaggio del cuore e dell’appartenenza, irradiato da quella che definisce “luce perenne” generata dall’adesione, fisica e spirituale, a un luogo: “Quando dipingo il paesaggio milanese, la luce del luogo e la luce perenne si sovrappongono e si fondono, e – può sembrare strano – forse consiste in ciò la difficoltà che ho trovato nel rendere il paesaggio urbano della mia città”3. Un paesaggio dell’anima come nessun altro luogo del mondo può essere, pur nel caso in cui i soggetti raffigurati – periferie e zone industriali, caseggiati e fabbriche – siano simili anche se appartenenti ad altre aree geografiche: l’autenticità e l’adesione al vero nella sua arte sono legati a un’unione sentimentale con il luogo e con chi lo vive4. Un’esperienza, quindi, molto profonda che nasce da un atto creativo, ma anche da un’attenta osservazione. Treccani stesso racconta di tornare fuori a esplorare i soggetti individuati “dieci, quindici, sino a venti volte”5, spesso accompagnato da uno strumento con cui ha molta dimestichezza: la macchina fotografica, la sua Rolleicord, una delle migliori e più usate fotocamere degli anni cinquanta.
Il rapporto tra l’artista e la fotografia, utilizzata quale strumento funzionale all’arte, si era sviluppato con forza già durante l’esperienza dei viaggi a Melissa, come ben documenta la mostra Sulla terra. Fotografie di Ernesto Treccani a Melissa, 1950-60, a cura di Giovanna Chiti e Toni Nicolini, allestita presso la Fondazione Corrente nel 2004. La mostra metteva in stretta relazione una ventina di stampe, scelte fra un migliaio di negativi, realizzate nel paese calabrese tra gli anni ’50 e ’60, con alcune opere dell’artista ispirate direttamente alla riproduzione fotografica. La correlazione opera-fotografia, già in quell’occasione, dimostrava come lo strumento fotografico non costituisse per Treccani un semplice “taccuino” per la memoria una volta tornato nel proprio studio milanese, ma venisse a creare una raccolta d’immagini in sé compiuta, “una privata memoria di oggetti, persone, paesaggi, situazioni ed eventi”6.
Anche le fotografie legate al mondo milanese, qui selezionate tra un migliaio di negativi e accostate a opere pittoriche e grafiche dedicate alla sua città, non si limitano a costituire tracce per la memoria, ma delineano una narrazione autonoma e compiuta. Realizzati nello stesso periodo della produzione di Melissa, tra il 1950 e il 1960, gli scatti dedicati a Milano mettono in evidenza, come ha sottolineato Antonio Arcari, “una totale comprensione del lavoro fotografico, e […] una fiducia, un rispetto, un apprezzamento del tutto particolari del fotografo e della fotografia in sé”7. Treccani comprende in pieno l’autonomia e la completezza, documentaristica ma anche emozionale, del mezzo meccanico offrendo una testimonianza che si inserisce indirettamente nel dibattito italiano sull’affrancamento della fotografia dal pittorialismo.
La raccolta fotografica dedicata a Milano “dice” di più. Se in alcuni casi, infatti, è evidente l’utilizzo del particolare fotografato quale elemento di studio nella fase della stesura sulla tela, l’insieme delle opere raggiunge una sua compiutezza, parallela e insieme complementare alla pittura. L’evoluzione linguistico-espressiva che attraversa le opere legate ai soggetti della città, emerge, infatti, con forza anche nel corpus fotografico: dalle fredde strutture industriali agli scorci dei palazzi popolari, al frenetico caos cittadino, con un’attenta riflessione sul dinamismo e sul movimento, per giungere all’aria rarefatta e foschiosa dei Navigli e all’irrompere violento e vitale della natura nei parchi milanesi. Un percorso ideale che si snoda partendo dai paesaggi industriali raffigurati in Periferia del 1947 (Fig. 1) e in Silos (Fig. 34), accompagnati da rispettive immagini fotografiche che richiamano in modo puntuale le rappresentazioni artistiche. Entrambi i linguaggi traducono una realtà oggettiva, fredda, solitaria, dove si percepisce un transfert negativo da parte dell’artista. Treccani stesso, nell’introduzione a Settentrione, un volume che raccoglie, accanto alle liriche di Raffaele Carrieri, suoi disegni, litografie, incisioni realizzati tra il 1946 e il 1949 tra Milano e Parigi, si esprime in questo senso: “I miei occhi si aprono a poco a poco alla realtà: mi rendo conto che i disegni di fabbrica e tutti gli altri che sono nel medesimo ordine esprimono una mia visione drammatica delle cose che imparo a conoscere disegnando, ma sono ancora lontani dall’esprimere l’insieme di sentimenti e di speranze, la nuova coscienza degli uomini, delle donne e dei ragazzi – che vivono in quelle fabbriche, entro quei muri”8. Un’oggettività distaccata, quella che caratterizza le opere di questa fase, ancora presente in Casa di ringhiera (Fig. 32) del 1953, ma che, timidamente, l’artista supera nella corrispettiva immagine fotografica dove i ballatoi del grigio edificio sono popolati da donne indaffarate a stendere o a sbrigare faccende domestiche: “Si può fare un paesaggio deserto di uomini ma in cui circola la vita. Perciò mi interessano tanto i caseggiati popolari a ballatoi, tipicamente milanesi”9, scriverà Treccani.
La vita irrompe con forza nelle opere dedicate alla città che si sveglia e che si popola del traffico dei lavoratori: coppie in Vespa, uomini in bicicletta fermi ai semafori, motociclette che dribblano il traffico, code di auto negli svincoli cruciali. È questa la Milano che ora interessa a Treccani: una città frenetica dove oggetto di studio, sia nell’opera artistica che fotografica, diviene la resa del dinamismo. Opere su cui Treccani riflette a lungo come dimostrano i numerosi appunti registrati sui suoi taccuini dove in più pagine si trovano tracce di promemoria. Il Ponte della Ghisolfa con il traffico di auto e moto, sintetizzato in un quadro del 1959 (Fig. 5), è più volte citato. In una pagina del Diario 1954 - 1958 una nota, che Treccani evidenzia con un forte segno grafico, così riporta: “Milano industriale: Ponte della Ghisolfa: quadro analitico”10, mettendo in evidenza un certo interesse per il soggetto e una riflessione sulla possibile resa pittorica. Un interesse che si protrae nel tempo, come si evince da un altro appunto, datato 29 agosto 1958, dove scrive: “Ore 8 circa di mattina. Crocicchio del Ponte della Ghisolfa. La fiumana di moto, motorette auto, biciclette, pedoni, flusso instancabile. La ‘cavalcata’ moderna, della città. È sempre il tema della gente che si reca al lavoro, (e torna dal lavoro). Percorrendo via Mac Mahon, il ponte della Ghisolfa, la ripida discesa che porta giù tra ferrovie e strade…”11. Le fotografie scattate dall’artista al cavalcavia traducono in immagini le pagine del diario: il traffico in coda, immobile, ma brulicante del nervosismo e della fretta mattutina appare come un lungo serpente fatto di auto e camioncini che, nella ripresa fotografica, divengono “scatole” disordinate in successione. L’inquadratura ha un taglio particolare, dal basso, ponendo in primo piano la strada vuota sottostante il Ponte della Ghisolfa12, visuale rispettata anche nell’opera pittorica.
Il traffico che attraversa e invade Milano nelle sue strade, dal centro alla periferia, suscita grande interesse in Treccani. Si legge ancora nei Diari: “Milano. 28 agosto 1958. Tra le 7 ½ e le 8 di mattina. Sesto S. Giovanni. Davanti la Magneti Marelli: le moto, le bici, la gente che vengono avanti, ti investono scendendo dal cavalcavia”13. Come in un climax ascendente, le parole si fanno ossessive per descrivere il traffico intenso che attraversa Milano e che le immagini fotografiche traducono con la freschezza e l’immediatezza dell’attimo. Anche in questo caso, forte è la corrispondenza tra opera artistica e riproduzione fotografica. La Vespa, olio su tela del 1958 (Fig. 30), dove la silhouette di un uomo di profilo sulla propria motoretta avanza rapidamente tanto da “uscire” con la parte anteriore del mezzo dal campo visivo del quadro, richiama in modo evidente alcuni scatti dove interessante è la valenza sperimentale: Treccani alterna riproduzioni fotografiche che ritraggono uomini in moto, perfettamente messi a fuoco, ad altre dove la messa a fuoco è incentrata sul paesaggio, mentre il soggetto a bordo del mezzo meccanico diviene una pura macchia in movimento. Una freschezza e un’immediatezza nella resa fotografica che l’artista riesce a trasporre anche a livello pittorico toccando i più alti vertici di una corrispondenza pregnante tra i due linguaggi utilizzati, pittura e fotografia, al punto da indurre Antonio Arcari a scrivere: “C’è in questo la necessità di cogliere la realtà nell’attimo irripetibile dell’emozione improvvisa e questa caratteristica, che oserei dire fotografica o che lo avvicina almeno al lavoro dei fotografi, mi pare che spieghi anche assai bene la freschezza e la qualità degli schizzi, dei disegni, degli acquarelli, rapidi ed essenziali, con cui rientra da ogni suo viaggio, vicino o lontano”14.
Sono le pagine dei Diari a rivelare un nuovo passaggio contenutistico. I volti anonimi, i corpi che si muovono di corsa per le strade destano curiosità in Treccani, quasi un desiderio di conoscere la vita e di interpretare i pensieri che attraversano quei visi: “Uomini, giovani uomini, quasi ragazzi, ragazzi quasi bambini. L’adolescente che morde correndo il pane, l’uomo giovane, o quasi vecchio, che spegne correndo la cicca; la donna che si avvolge in fretta, con aria angosciata, la sciarpa. Tardi, hanno fatto tardi, hanno voluto dormire un momento di più, e ora corrono per non perdere il loro tram. Si buttavano per la scalinata, e sembrava rotolassero, sembravano acqua buia che va giù, chissà dove, così sparivano”15. Il bisogno di cercare un rapporto, una storia, una relazione con le esistenze di quelle persone che per un attimo hanno sfiorato la sua vita, inducono Treccani a una riflessione più profonda sulla relazione uomo – paesaggio urbano. Un velo di malinconia cala sulla sua opera. Ne Le notti bianche, 1958 (Fig. 22), la periferia milanese fa da sfondo a una figura d’uomo solitaria, allungata, con la valigetta del lavoro in mano. Sola, nonostante si muova avvolta in uno stretto abbraccio, appare anche la coppia, appena abbozzata, che viene avanti lasciandosi alle spalle alti caseggiati spogli nell’opera Fratello e sorella (Fig. 18). La riflessione esistenziale, la condizione di isolamento e solitudine degli uomini e delle donne nella grande città, sono sintetizzati in una composizione riportata nelle pagine dei Diari dove una forte angoscia è espressa nei versi di Treccani: “Città (1942 – 1957). Forse è un taxi che viene?/ Uomo della mia città/ ti prego/ portami/ lontano (da qui)/ che domani non veda/ il triste risveglio”16.
La ricerca introspettiva entra in modo dirompente nell’opera creando un duplice piano: da una parte ancora la periferia spoglia, sempre presente anche nell’ambito della ricerca fotografica, dall’altro le condizioni esistenziali dei suoi abitanti. Una dicotomia che trova una prima sintesi e, insieme, un superamento in un’opera che, come ha sottolineato Antonello Negri17, costituisce una svolta importante nel lavoro dell’artista: Arlecchinata a Porta Volta. Come risulta evidente anche dall’accostamento con alcune fotografie raffiguranti ruderi e caseggiati fatiscenti popolari, lo sfondo del quadro è costituito ancora da un ambiente di periferia, ma il soggetto è completamente differente: un gruppo di bambini, in costume da circo, gioca circondato da una città devastata dalla guerra e dal dolore, mentre altri due bambini, Maddalena e Giulio, i figli dell’artista, guardano la scena. Secondo Antonello Negri, “[l’Arlecchinata] intreccia linee tematiche che fino allora procedevano sostanzialmente parallele (la periferia e la città povera da un lato; la favola o la reinvenzione in termini visionari di spunti reali dall’altro)” 18. Una dimensione onirica domina l’opera che ha un impianto teatrale, dove le quinte sono ruderi di una Milano antica e presente. La funzione della fotografia, modello per lo sfondo dell’opera, acquista una valenza evocativa con un forte transfert emotivo da parte dell’artista che proietta nei ruderi di caseggiati periferici il dolore di una città martoriata dalla guerra. Simile a quello dell’Arlecchinata è anche l’impianto di un’altra celebre opera, Le cinque giornate, dove il tema narrativo, il moto risorgimentale milanese, è inserito sullo sfondo del Naviglio a San Marco, come indica Treccani stesso nelle pagine dei Diari19.
Il tema dei Navigli introduce verso una nuova lettura del paesaggio milanese. Le rarefatte e malinconiche atmosfere dei canali milanesi aprono il varco all’ingresso della natura che fa capolino dai parchi cittadini. Nel 1960 Treccani dipinge il Paradiso terrestre (Fig. 16), un’opera che racchiude diversi nuclei narrativi: in alto, a destra, una donna scende lungo un sentiero con un bambino, in basso due figure nude fanno capriole sul prato, mentre su una panchina, accanto a una voliera, siedono una donna nuda e un uomo in giacca e cravatta. “Come in un sogno la scena condensa in sé frammenti di realtà, di memoria, di desiderio, immagini diverse che non esprimono la banale nostalgia del ritorno a uno stato primitivo ma approfondimento guadagnato nell’ambiguità – di fronte al reale – del mito e della fiaba […]. Il paradiso è un angolo di parco, per giocare, per essere liberi nell’amore”20. I tre nuclei narrativi dell’opera trovano nella produzione fotografica la puntuale correlazione attraverso quattro differenti scatti riuniti nell’opera pittorica: la madre per mano con un bambino accanto a un albero rigoglioso, la voliera dei Giardini Pubblici, una panchina, vicino a una siepe, su cui siedono un uomo e una donna, e due statuine che piroettano, modello per le figure nude nella parte bassa del quadro. Un desiderio di libertà e di felicità possibili irrompono nella fotografia e nella produzione pittorica di Treccani degli anni Sessanta, per trovare la più profonda espressione nei temi delle siepi, dei paesaggi, della natura.
La mia città
Milano, fotografie e dipinti
a cura di Toni Nicolini
Si può fare un paesaggio deserto di uomini ma in cui circola la vita.
Perciò mi interessano tanto i caseggiati popolari a ballatoi, tipicamente milanesi.
[…]
Io dipingerò fin che vivrò la mia città, la città che muore e la città che nasce, i ballatoi deserti e le fabbriche senza fumo e, quando ne sarò capace, direttamente gli uomini nel paesaggio e le ciminiere che gettano fumo. Ma ciò non dipende soltanto da me. La mia ambizione è di raccogliere un giorno in una mostra o in una pubblicazione tutti i miei quadri e disegni su Milano.
Ernesto Treccani
Se alzi gli occhi un poco meno in alto del cielo vero
troverai un altro cielo terreno.
E' il sogno di un pittore per la sua città.
Ernesto Treccani, La casa delle rondini, Milano, 1980-1986
Nei primi anni Sessanta il fotografo Toni Nicolini ha raccolto, su incarico di Ernesto Treccani, i negativi delle fotografie scattate dall’artista negli anni precedenti a Melissa e nel Sud Italia, a Milano e a Parigi. Si è così costituito un fondo di circa 2000 fotografie, formato 6x6, che è poi confluito nella serie Attività artistica dell'Archivio personale di Ernesto Treccani, in seguito all'ampio e attento lavoro di riordino e inventariazione del complesso archivistico della Fondazione Corrente condotto da Giuliana Citton e Maria Rosaria Moccia, grazie al generoso contributo della Fondazione Cariplo.
Il fondo fotografico, riordinato e digitalizzato, è attualmente in corso di catalogazione, con il contributo della Regione Lombardia, secondo i criteri della Scheda F predisposta dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD), con l’ausilio del software SIRBEC.
Tra le fotografie conservate presso la Fondazione Corrente, sono centinaia gli scatti dedicati negli anni Cinquanta a Milano. Nelle immagini che ritraggono le macerie dei palazzi di Porta Volta, le ciminiere delle fabbriche in periferia, le acque dei Navigli o la quiete dei Giardini Pubblici, si trova l’amore di Ernesto Treccani per la propria città. Lo sguardo attento e critico del pittore fotografa la Milano del dopoguerra, “la città che muore e la città che nasce”, muovendo dai luoghi dilaniati dai bombardamenti aerei del ’45 ai luoghi del lavoro e della ripresa economica, ai luoghi dell'anima e della natura fiorente.
Questo volume raccoglie alcune delle immagini più significative di quel fondo, in un percorso ideale attraverso Milano, che ricompone, negli accostamenti individuati dai curatori con un preciso lavoro di ricerca, la varietà delle immagini e la ricchezza degli interventi – fotografici, pittorici e grafici – dedicati da Treccani alla sua città.
Fiorella Mattio
Ernesto Treccani. La mia città
di Silvia Campese
La definisce “La mia città”1, in senso affettivo prima ancora che d’appartenenza anagrafica, e aggiunge: “Io dipingerò fin che vivrò la mia città, la città che muore e la città che nasce, i ballatoi deserti e le fabbriche senza fumo e, quando ne sarò capace, direttamente gli uomini nel paesaggio e le ciminiere che gettano fumo”2. Con queste parole Ernesto Treccani parla di Milano nelle pagine di Arte per amore dando espressione a un vincolo di sangue e di spirito che lo lega profondamente alla propria città.
Un amore che non può non passare attraverso l’arte, lo strumento considerato da lui prima di tutto metodo conoscitivo, per giungere a un’unione ancora più autentica con il paesaggio e i soggetti in esso rappresentati. Ma il suo approccio di pittore, rispetto all’ambientazione urbana milanese, è travagliato e passa attraverso varie fasi che esprimono e sintetizzano la continua e tormentata ricerca: la periferia silenziosa, il paesaggio industriale spoglio e scarno, i ballatoi dei caseggiati popolari deserti, sino alle prime tracce dell’uomo: la città popolata dal traffico, ma anche i viali dove si muovono coppie d’innamorati, madri con figli, figure solitarie. Una difficoltà rappresentativa che lui stesso palesa esprimendo la complessità dell’unione tra il paesaggio oggettivo, con la propria luce e i propri colori, e il paesaggio del cuore e dell’appartenenza, irradiato da quella che definisce “luce perenne” generata dall’adesione, fisica e spirituale, a un luogo: “Quando dipingo il paesaggio milanese, la luce del luogo e la luce perenne si sovrappongono e si fondono, e – può sembrare strano – forse consiste in ciò la difficoltà che ho trovato nel rendere il paesaggio urbano della mia città”3. Un paesaggio dell’anima come nessun altro luogo del mondo può essere, pur nel caso in cui i soggetti raffigurati – periferie e zone industriali, caseggiati e fabbriche – siano simili anche se appartenenti ad altre aree geografiche: l’autenticità e l’adesione al vero nella sua arte sono legati a un’unione sentimentale con il luogo e con chi lo vive4. Un’esperienza, quindi, molto profonda che nasce da un atto creativo, ma anche da un’attenta osservazione. Treccani stesso racconta di tornare fuori a esplorare i soggetti individuati “dieci, quindici, sino a venti volte”5, spesso accompagnato da uno strumento con cui ha molta dimestichezza: la macchina fotografica, la sua Rolleicord, una delle migliori e più usate fotocamere degli anni cinquanta.
Il rapporto tra l’artista e la fotografia, utilizzata quale strumento funzionale all’arte, si era sviluppato con forza già durante l’esperienza dei viaggi a Melissa, come ben documenta la mostra Sulla terra. Fotografie di Ernesto Treccani a Melissa, 1950-60, a cura di Giovanna Chiti e Toni Nicolini, allestita presso la Fondazione Corrente nel 2004. La mostra metteva in stretta relazione una ventina di stampe, scelte fra un migliaio di negativi, realizzate nel paese calabrese tra gli anni ’50 e ’60, con alcune opere dell’artista ispirate direttamente alla riproduzione fotografica. La correlazione opera-fotografia, già in quell’occasione, dimostrava come lo strumento fotografico non costituisse per Treccani un semplice “taccuino” per la memoria una volta tornato nel proprio studio milanese, ma venisse a creare una raccolta d’immagini in sé compiuta, “una privata memoria di oggetti, persone, paesaggi, situazioni ed eventi”6.
Anche le fotografie legate al mondo milanese, qui selezionate tra un migliaio di negativi e accostate a opere pittoriche e grafiche dedicate alla sua città, non si limitano a costituire tracce per la memoria, ma delineano una narrazione autonoma e compiuta. Realizzati nello stesso periodo della produzione di Melissa, tra il 1950 e il 1960, gli scatti dedicati a Milano mettono in evidenza, come ha sottolineato Antonio Arcari, “una totale comprensione del lavoro fotografico, e […] una fiducia, un rispetto, un apprezzamento del tutto particolari del fotografo e della fotografia in sé”7. Treccani comprende in pieno l’autonomia e la completezza, documentaristica ma anche emozionale, del mezzo meccanico offrendo una testimonianza che si inserisce indirettamente nel dibattito italiano sull’affrancamento della fotografia dal pittorialismo.
La raccolta fotografica dedicata a Milano “dice” di più. Se in alcuni casi, infatti, è evidente l’utilizzo del particolare fotografato quale elemento di studio nella fase della stesura sulla tela, l’insieme delle opere raggiunge una sua compiutezza, parallela e insieme complementare alla pittura. L’evoluzione linguistico-espressiva che attraversa le opere legate ai soggetti della città, emerge, infatti, con forza anche nel corpus fotografico: dalle fredde strutture industriali agli scorci dei palazzi popolari, al frenetico caos cittadino, con un’attenta riflessione sul dinamismo e sul movimento, per giungere all’aria rarefatta e foschiosa dei Navigli e all’irrompere violento e vitale della natura nei parchi milanesi. Un percorso ideale che si snoda partendo dai paesaggi industriali raffigurati in Periferia del 1947 (Fig. 1) e in Silos (Fig. 34), accompagnati da rispettive immagini fotografiche che richiamano in modo puntuale le rappresentazioni artistiche. Entrambi i linguaggi traducono una realtà oggettiva, fredda, solitaria, dove si percepisce un transfert negativo da parte dell’artista. Treccani stesso, nell’introduzione a Settentrione, un volume che raccoglie, accanto alle liriche di Raffaele Carrieri, suoi disegni, litografie, incisioni realizzati tra il 1946 e il 1949 tra Milano e Parigi, si esprime in questo senso: “I miei occhi si aprono a poco a poco alla realtà: mi rendo conto che i disegni di fabbrica e tutti gli altri che sono nel medesimo ordine esprimono una mia visione drammatica delle cose che imparo a conoscere disegnando, ma sono ancora lontani dall’esprimere l’insieme di sentimenti e di speranze, la nuova coscienza degli uomini, delle donne e dei ragazzi – che vivono in quelle fabbriche, entro quei muri”8. Un’oggettività distaccata, quella che caratterizza le opere di questa fase, ancora presente in Casa di ringhiera (Fig. 32) del 1953, ma che, timidamente, l’artista supera nella corrispettiva immagine fotografica dove i ballatoi del grigio edificio sono popolati da donne indaffarate a stendere o a sbrigare faccende domestiche: “Si può fare un paesaggio deserto di uomini ma in cui circola la vita. Perciò mi interessano tanto i caseggiati popolari a ballatoi, tipicamente milanesi”9, scriverà Treccani.
La vita irrompe con forza nelle opere dedicate alla città che si sveglia e che si popola del traffico dei lavoratori: coppie in Vespa, uomini in bicicletta fermi ai semafori, motociclette che dribblano il traffico, code di auto negli svincoli cruciali. È questa la Milano che ora interessa a Treccani: una città frenetica dove oggetto di studio, sia nell’opera artistica che fotografica, diviene la resa del dinamismo. Opere su cui Treccani riflette a lungo come dimostrano i numerosi appunti registrati sui suoi taccuini dove in più pagine si trovano tracce di promemoria. Il Ponte della Ghisolfa con il traffico di auto e moto, sintetizzato in un quadro del 1959 (Fig. 5), è più volte citato. In una pagina del Diario 1954 - 1958 una nota, che Treccani evidenzia con un forte segno grafico, così riporta: “Milano industriale: Ponte della Ghisolfa: quadro analitico”10, mettendo in evidenza un certo interesse per il soggetto e una riflessione sulla possibile resa pittorica. Un interesse che si protrae nel tempo, come si evince da un altro appunto, datato 29 agosto 1958, dove scrive: “Ore 8 circa di mattina. Crocicchio del Ponte della Ghisolfa. La fiumana di moto, motorette auto, biciclette, pedoni, flusso instancabile. La ‘cavalcata’ moderna, della città. È sempre il tema della gente che si reca al lavoro, (e torna dal lavoro). Percorrendo via Mac Mahon, il ponte della Ghisolfa, la ripida discesa che porta giù tra ferrovie e strade…”11. Le fotografie scattate dall’artista al cavalcavia traducono in immagini le pagine del diario: il traffico in coda, immobile, ma brulicante del nervosismo e della fretta mattutina appare come un lungo serpente fatto di auto e camioncini che, nella ripresa fotografica, divengono “scatole” disordinate in successione. L’inquadratura ha un taglio particolare, dal basso, ponendo in primo piano la strada vuota sottostante il Ponte della Ghisolfa12, visuale rispettata anche nell’opera pittorica.
Il traffico che attraversa e invade Milano nelle sue strade, dal centro alla periferia, suscita grande interesse in Treccani. Si legge ancora nei Diari: “Milano. 28 agosto 1958. Tra le 7 ½ e le 8 di mattina. Sesto S. Giovanni. Davanti la Magneti Marelli: le moto, le bici, la gente che vengono avanti, ti investono scendendo dal cavalcavia”13. Come in un climax ascendente, le parole si fanno ossessive per descrivere il traffico intenso che attraversa Milano e che le immagini fotografiche traducono con la freschezza e l’immediatezza dell’attimo. Anche in questo caso, forte è la corrispondenza tra opera artistica e riproduzione fotografica. La Vespa, olio su tela del 1958 (Fig. 30), dove la silhouette di un uomo di profilo sulla propria motoretta avanza rapidamente tanto da “uscire” con la parte anteriore del mezzo dal campo visivo del quadro, richiama in modo evidente alcuni scatti dove interessante è la valenza sperimentale: Treccani alterna riproduzioni fotografiche che ritraggono uomini in moto, perfettamente messi a fuoco, ad altre dove la messa a fuoco è incentrata sul paesaggio, mentre il soggetto a bordo del mezzo meccanico diviene una pura macchia in movimento. Una freschezza e un’immediatezza nella resa fotografica che l’artista riesce a trasporre anche a livello pittorico toccando i più alti vertici di una corrispondenza pregnante tra i due linguaggi utilizzati, pittura e fotografia, al punto da indurre Antonio Arcari a scrivere: “C’è in questo la necessità di cogliere la realtà nell’attimo irripetibile dell’emozione improvvisa e questa caratteristica, che oserei dire fotografica o che lo avvicina almeno al lavoro dei fotografi, mi pare che spieghi anche assai bene la freschezza e la qualità degli schizzi, dei disegni, degli acquarelli, rapidi ed essenziali, con cui rientra da ogni suo viaggio, vicino o lontano”14.
Sono le pagine dei Diari a rivelare un nuovo passaggio contenutistico. I volti anonimi, i corpi che si muovono di corsa per le strade destano curiosità in Treccani, quasi un desiderio di conoscere la vita e di interpretare i pensieri che attraversano quei visi: “Uomini, giovani uomini, quasi ragazzi, ragazzi quasi bambini. L’adolescente che morde correndo il pane, l’uomo giovane, o quasi vecchio, che spegne correndo la cicca; la donna che si avvolge in fretta, con aria angosciata, la sciarpa. Tardi, hanno fatto tardi, hanno voluto dormire un momento di più, e ora corrono per non perdere il loro tram. Si buttavano per la scalinata, e sembrava rotolassero, sembravano acqua buia che va giù, chissà dove, così sparivano”15. Il bisogno di cercare un rapporto, una storia, una relazione con le esistenze di quelle persone che per un attimo hanno sfiorato la sua vita, inducono Treccani a una riflessione più profonda sulla relazione uomo – paesaggio urbano. Un velo di malinconia cala sulla sua opera. Ne Le notti bianche, 1958 (Fig. 22), la periferia milanese fa da sfondo a una figura d’uomo solitaria, allungata, con la valigetta del lavoro in mano. Sola, nonostante si muova avvolta in uno stretto abbraccio, appare anche la coppia, appena abbozzata, che viene avanti lasciandosi alle spalle alti caseggiati spogli nell’opera Fratello e sorella (Fig. 18). La riflessione esistenziale, la condizione di isolamento e solitudine degli uomini e delle donne nella grande città, sono sintetizzati in una composizione riportata nelle pagine dei Diari dove una forte angoscia è espressa nei versi di Treccani: “Città (1942 – 1957). Forse è un taxi che viene?/ Uomo della mia città/ ti prego/ portami/ lontano (da qui)/ che domani non veda/ il triste risveglio”16.
La ricerca introspettiva entra in modo dirompente nell’opera creando un duplice piano: da una parte ancora la periferia spoglia, sempre presente anche nell’ambito della ricerca fotografica, dall’altro le condizioni esistenziali dei suoi abitanti. Una dicotomia che trova una prima sintesi e, insieme, un superamento in un’opera che, come ha sottolineato Antonello Negri17, costituisce una svolta importante nel lavoro dell’artista: Arlecchinata a Porta Volta. Come risulta evidente anche dall’accostamento con alcune fotografie raffiguranti ruderi e caseggiati fatiscenti popolari, lo sfondo del quadro è costituito ancora da un ambiente di periferia, ma il soggetto è completamente differente: un gruppo di bambini, in costume da circo, gioca circondato da una città devastata dalla guerra e dal dolore, mentre altri due bambini, Maddalena e Giulio, i figli dell’artista, guardano la scena. Secondo Antonello Negri, “[l’Arlecchinata] intreccia linee tematiche che fino allora procedevano sostanzialmente parallele (la periferia e la città povera da un lato; la favola o la reinvenzione in termini visionari di spunti reali dall’altro)” 18. Una dimensione onirica domina l’opera che ha un impianto teatrale, dove le quinte sono ruderi di una Milano antica e presente. La funzione della fotografia, modello per lo sfondo dell’opera, acquista una valenza evocativa con un forte transfert emotivo da parte dell’artista che proietta nei ruderi di caseggiati periferici il dolore di una città martoriata dalla guerra. Simile a quello dell’Arlecchinata è anche l’impianto di un’altra celebre opera, Le cinque giornate, dove il tema narrativo, il moto risorgimentale milanese, è inserito sullo sfondo del Naviglio a San Marco, come indica Treccani stesso nelle pagine dei Diari19.
Il tema dei Navigli introduce verso una nuova lettura del paesaggio milanese. Le rarefatte e malinconiche atmosfere dei canali milanesi aprono il varco all’ingresso della natura che fa capolino dai parchi cittadini. Nel 1960 Treccani dipinge il Paradiso terrestre (Fig. 16), un’opera che racchiude diversi nuclei narrativi: in alto, a destra, una donna scende lungo un sentiero con un bambino, in basso due figure nude fanno capriole sul prato, mentre su una panchina, accanto a una voliera, siedono una donna nuda e un uomo in giacca e cravatta. “Come in un sogno la scena condensa in sé frammenti di realtà, di memoria, di desiderio, immagini diverse che non esprimono la banale nostalgia del ritorno a uno stato primitivo ma approfondimento guadagnato nell’ambiguità – di fronte al reale – del mito e della fiaba […]. Il paradiso è un angolo di parco, per giocare, per essere liberi nell’amore”20. I tre nuclei narrativi dell’opera trovano nella produzione fotografica la puntuale correlazione attraverso quattro differenti scatti riuniti nell’opera pittorica: la madre per mano con un bambino accanto a un albero rigoglioso, la voliera dei Giardini Pubblici, una panchina, vicino a una siepe, su cui siedono un uomo e una donna, e due statuine che piroettano, modello per le figure nude nella parte bassa del quadro. Un desiderio di libertà e di felicità possibili irrompono nella fotografia e nella produzione pittorica di Treccani degli anni Sessanta, per trovare la più profonda espressione nei temi delle siepi, dei paesaggi, della natura.
18
maggio 2010
Ernesto Treccani – La mia città
Dal 18 maggio al 15 ottobre 2010
fotografia
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
FONDAZIONE CORRENTE
Milano, Via Carlo Porta, 5, (Milano)
Milano, Via Carlo Porta, 5, (Milano)
Orario di apertura
martedì, mercoledì, giovedì 9-12.30 e 15-18.30, venerdì 15-18.30
Vernissage
18 Maggio 2010, ore 18
Autore
Curatore