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The Horizon line is here. Tornare per partire
L’idea del viaggiare più che essere un tema è una chiave di lettura con cui pensare al percorso dei singoli artisti ed un’attitudine differente con cui ripensare al mondo. Una riflessione in progress sull’identità culturale del singolo soggetto rispetto a quella collettiva e viceversa.
Comunicato stampa
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“The Horizon line is here – tornare per partire” è una mostra collettiva, a cura di Lorenzo Bruni, sull’idea di viaggio con Elena Bajo, Ulla von Brandenburg, Runo Lagomarsino, Pedro Neves Marques e André Romão, ed è costituita da video-installazioni, performances, sculture, fotografie e disegni realizzati per lo più appositamente per l’occasione e per lo spazio fisico della Galleria Umberto Di Marino.
La pratica del viaggio nella “modernità liquida” è sempre più paragonabile ad una pausa grigia all’interno della nostra quotidianità. Viaggiamo tra appuntamenti o evasioni da essi e non più spostandoci per coordinate temporali e spaziali. Però i treni veloci, i voli low cost e i last minute sono solo i sintomi di un nuovo atteggiamento mentale prodotto dal nuovo uso dei mezzi di comunicazione. Internet, Google Earth, iPhone hanno infatti estirpato nella nostra percezione l’idea che possa esistere un tempo tra il fantasticare e l’affrontare un viaggio in “un luogo altro”, oltre a eliminare lo spazio del racconto dello stesso. Infatti, oggi più che mai, viaggiare non è sinonimo di esperienza a tutto tondo e di conseguenza non sono contemplate variabili o incidenti di percorso. La recente nuvola di fumo del vulcano islandese Eyjafjallajokull ha reso evidente che non possiamo avere il controllo su tutto e che solo digitare il nome di un luogo o fare una prenotazione non vuol dire raggiungerlo, capirlo o conoscerlo. Adesso tutte le mete sono possibili, il rischio quindi è che se possiamo essere in tutti i luoghi alla fine non ne abitiamo neanche uno. Visto che non siamo più una società nè stanziale e nè nomade, ma in una via di mezzo tra le due, adesso è importante dare nuova concretezza al punto di vista, seppur parziale, sul mondo e quindi al modo con cui ci confrontiamo e interpretiamo i segni del reale.
Oggi non esistono territori sconosciuti in senso di non mappati e non è necessario viaggiare per avere contatti con altre civiltà e scoprire altri modi di “essere nel mondo”. Il vero territorio ignoto è la nuova consapevolezza del punto di vista fisico in cui ci troviamo in quel dato momento e con cui aprire un confronto con l’altro. Le opere presenti in mostra ci parlano di viaggi in quanto esperienze squisitamente parziali da parte dell’artista in prima persona che sperimenta il tentativo di scoperta e dialogo con il reale per condividerlo successivamente con gli “altri diversi da sè”. Le immagini sono contenitori di un’esperienza precedente, ma solo per farsi detonatori per creare un dialogo nuovo nel momento della fruizione. Infatti, ciò che accomuna il lavoro degli artisti interpellati è l’utilizzo di riferimenti a luoghi differenti nella geografia mondiale per effettuare una riflessione in progress sull’identità culturale del singolo soggetto rispetto a quella collettiva e viceversa.
Le opere presenti narrano di un particolare incontro con il mondo e allo stesso tempo sono la rappresentazione dei codici culturali con cui lo osserviamo e lo interpretiamo. La questione strutturalista di “vediamo solo ciò che conosciamo già o vediamo per conoscere cose nuove” ottiene, in questo caso, una terza via di soluzione. L’utopia modernista viene analizzata da Runo Lagomarsino nel lavoro "Contratiempos", nel quale ci troviamo di fronte ad uno slide show di immagini di figure che rimandano al continente sudamericano. Queste forme non sono altro che le crepe rilevate dall’artista stesso all’interno del complesso monumentale costruito da Oscar Niemeyer a San Paolo, città simbolo del modello occidentale applicato “ad altri mondi” e realizzato “con l’innovativo/moderno/eterno cemento armato”. Per questo nell’altro lavoro i visitatori, potendosi portare via le cartoline da lui offerte, ribaltano completamente il concetto, trasformando in un gesto intimo quello che resta di un’impresa colonizzatrice. L’idea di vita pensata come una sequenza teatrale e il tentare di visualizzare il passaggio delle persone da un certo luogo è presente nell’opera video “Singspiel” di Ulla von Brandenburg. L’azione narrata, un confronto fisico e psicologico di telecamera e attori con lo spazio della Villa Savoye disegnata da Le Corbusier nel 1929, ci permette di riflettere sul rapporto tra storia e memoria, tra esperienza personale e oggettività dei luoghi. Gli sgabelli di varia misura e forma presenti nella stanza dove è proiettato il video tramutano il luogo in un grande punto di sosta, come una sorta di piazza, dove la riflessione sulla memoria collettiva non è subita solo passivamente dagli spettatori. La necessità nel nostro presente di avere un controllo su dove siamo attraverso le mappe elettroniche indipendentemente dal paesaggio che vediamo, è messo in evidenza, contraddicendolo, dal lavoro di “spaesamento” di Elena Bajo. L’artista introducendo la presenza di una sorta di meteorite nello spazio della galleria lo trasforma in un non luogo che potrebbe appartenere a qualsiasi situazione e tempo, ma con una nuova caratteristica di epifania. Lo stesso movente l’ha portata a realizzare un video del suo attraversamento del deserto salato in America centrale. Il desiderio d’ignoto, affrontato per avere una nuova percezione del noto, riguarda la ricerca di Pedro Neves Marques e André Romão, che entrambi evocano con lo stesso soggetto di un viaggio in barca, anche se sviluppato in maniera diversa. Il primo consiste in un video “Nothing lasts forever” il cui soggetto in primo piano, un rematore in barca, in bianco e nero continua ad essere in movimento senza che meta o partenza siano visibili. Il secondo lavoro, “Costa Atlântica Portuguesa (de Caminha-Viana do Castelo ao Cabo de Sagres)”, consiste in fotografie tutte uguali e tutte diverse che l’artista ha ripreso da un viaggio in mare in parallelo alla costa portoghese, rendendola da punto di partenza per lunghi viaggi e per terre lontane a riflessione sull’identità territoriale/culturale. Per l’occasione i due artisti realizzano un’opera a quattro mani confrontandosi con la mitologia greca e del Mediterraneo in generale. Nel loro caso la presa di coscienza dello spazio avviene attraverso la messa in scena del dialogo tra due performers divisi da una grande parete di plexiglass che rimanda all’esigenza nell’antica Grecia di interpellare l’oracolo prima di intraprendere qualsiasi tipo di viaggio.
Tutte le opere ci parlano del corpo del soggetto in movimento e delle dinamiche che esso stabilisce con “l’attorno”, fisico e mentale, che di volta in volta attraversa. Con questa mostra appare evidente che per ipotizzare un viaggio non è tanto importante sapere il punto esatto in cui si vuole arrivare, ma piuttosto conoscere il punto esatto in cui ci troviamo in quel dato istante. In questo caso la Galleria Umberto Di Marino si prefigura come “punto di vista momentaneo” da cui ripensare e re-immaginare collettivamente il mondo. Le opere agiscono come dei dispositivi che chiamano in causa la presenza dello spettatore e che dialogano tra di loro anche se sono di autori differenti, costruendo così un orizzonte comune, ma inedito, e ribaltando la divisione in piccole personali che suggerisce solitamente lo spazio della galleria che si percorre stanza dopo stanza. Così, l’idea del viaggio più che un tema diventa un’atmosfera e un’attitudine da condividere, oltre ad essere una chiave di lettura con cui leggere sotto un’altra luce i percorsi individuali dei cinque artisti invitati; i quali puntano sempre ad una riflessione sul ruolo del soggetto (artista/spettatore) rispetto all’attuale società e viceversa. In questo mondo, nel quale le differenze culturali e il futuro comune devono essere ripensati dalla base, le domande “perché partire?” e “dove tornare”? acquistano una nuova valenza. Per questo le immagini degli artisti “di luoghi altri” proposti come mezzo di dialogo non sono importanti per la loro dimensione esotica o esemplare o eroica, ma per il loro farsi mezzi per riflettere collettivamente su “dove siamo, chi siamo, dove andiamo, cosa facciamo”.
Il progetto “The Horizon line is here – tornare per partire”, a cura di Lorenzo Bruni, si completa ed ha un’ulteriore possibilità di sviluppo con la pubblicazione realizzata per l’occasione e che sarà presentata per il finissage della mostra nel mese di settembre. Questo libro è costituito da una parte dedicata agli artisti invitati ed alle opere in mostra e da una riflessione ulteriore sull’idea del viaggio. Inoltre il tema del viaggiare diventa in questa occasione non solo una chiave per interpretare il lavoro degli artisti invitati ma anche per indagare il lavoro degli artisti che hanno realizzato la mostra personale nella stagione 2009/2010 da Umberto Di Marino. Gli artisti sono Luca Francesconi (Mantova 1979; vive e lavora a Milano), Sergio Vega (Buenos Aires 1959; vive e lavora in America), Marinella Senatore (Cava dei Tirreni 1977; vive e lavora a Roma e Madrid), Eugenio Tibaldi (Alba 1977; vive e lavora a Napoli), Jota Castro (Perù 1965; vive e lavora a Bruxelles), Francesco Jodice (Napoli 1967; vive e lavora a Milano). Questa riflessione si completa con una conversazione con Umberto Di Marino, attraverso cui sarà possibile rileggere il percorso da lui compiuto in questi anni. (Lorenzo Bruni)
Elena Bajo - Madrid 1974; vive e lavora tra New York e Berlino
Ulla von Brandenburg - Karlsruhe Germania, 1974; vive e lavora ad Amburgo e Parigi
Runo Lagomarsino - Malmo, 1977; vive e lavora a Malmo, Svezia
André Romão - Lisbona, 1984; vive e lavora a Berlino
Pedro Neves Marques - Lisbona, 1984; vive e lavora a Lisbona
Lorenzo Bruni critico e curatore indipendente, vive e lavora a Firenze.
La pratica del viaggio nella “modernità liquida” è sempre più paragonabile ad una pausa grigia all’interno della nostra quotidianità. Viaggiamo tra appuntamenti o evasioni da essi e non più spostandoci per coordinate temporali e spaziali. Però i treni veloci, i voli low cost e i last minute sono solo i sintomi di un nuovo atteggiamento mentale prodotto dal nuovo uso dei mezzi di comunicazione. Internet, Google Earth, iPhone hanno infatti estirpato nella nostra percezione l’idea che possa esistere un tempo tra il fantasticare e l’affrontare un viaggio in “un luogo altro”, oltre a eliminare lo spazio del racconto dello stesso. Infatti, oggi più che mai, viaggiare non è sinonimo di esperienza a tutto tondo e di conseguenza non sono contemplate variabili o incidenti di percorso. La recente nuvola di fumo del vulcano islandese Eyjafjallajokull ha reso evidente che non possiamo avere il controllo su tutto e che solo digitare il nome di un luogo o fare una prenotazione non vuol dire raggiungerlo, capirlo o conoscerlo. Adesso tutte le mete sono possibili, il rischio quindi è che se possiamo essere in tutti i luoghi alla fine non ne abitiamo neanche uno. Visto che non siamo più una società nè stanziale e nè nomade, ma in una via di mezzo tra le due, adesso è importante dare nuova concretezza al punto di vista, seppur parziale, sul mondo e quindi al modo con cui ci confrontiamo e interpretiamo i segni del reale.
Oggi non esistono territori sconosciuti in senso di non mappati e non è necessario viaggiare per avere contatti con altre civiltà e scoprire altri modi di “essere nel mondo”. Il vero territorio ignoto è la nuova consapevolezza del punto di vista fisico in cui ci troviamo in quel dato momento e con cui aprire un confronto con l’altro. Le opere presenti in mostra ci parlano di viaggi in quanto esperienze squisitamente parziali da parte dell’artista in prima persona che sperimenta il tentativo di scoperta e dialogo con il reale per condividerlo successivamente con gli “altri diversi da sè”. Le immagini sono contenitori di un’esperienza precedente, ma solo per farsi detonatori per creare un dialogo nuovo nel momento della fruizione. Infatti, ciò che accomuna il lavoro degli artisti interpellati è l’utilizzo di riferimenti a luoghi differenti nella geografia mondiale per effettuare una riflessione in progress sull’identità culturale del singolo soggetto rispetto a quella collettiva e viceversa.
Le opere presenti narrano di un particolare incontro con il mondo e allo stesso tempo sono la rappresentazione dei codici culturali con cui lo osserviamo e lo interpretiamo. La questione strutturalista di “vediamo solo ciò che conosciamo già o vediamo per conoscere cose nuove” ottiene, in questo caso, una terza via di soluzione. L’utopia modernista viene analizzata da Runo Lagomarsino nel lavoro "Contratiempos", nel quale ci troviamo di fronte ad uno slide show di immagini di figure che rimandano al continente sudamericano. Queste forme non sono altro che le crepe rilevate dall’artista stesso all’interno del complesso monumentale costruito da Oscar Niemeyer a San Paolo, città simbolo del modello occidentale applicato “ad altri mondi” e realizzato “con l’innovativo/moderno/eterno cemento armato”. Per questo nell’altro lavoro i visitatori, potendosi portare via le cartoline da lui offerte, ribaltano completamente il concetto, trasformando in un gesto intimo quello che resta di un’impresa colonizzatrice. L’idea di vita pensata come una sequenza teatrale e il tentare di visualizzare il passaggio delle persone da un certo luogo è presente nell’opera video “Singspiel” di Ulla von Brandenburg. L’azione narrata, un confronto fisico e psicologico di telecamera e attori con lo spazio della Villa Savoye disegnata da Le Corbusier nel 1929, ci permette di riflettere sul rapporto tra storia e memoria, tra esperienza personale e oggettività dei luoghi. Gli sgabelli di varia misura e forma presenti nella stanza dove è proiettato il video tramutano il luogo in un grande punto di sosta, come una sorta di piazza, dove la riflessione sulla memoria collettiva non è subita solo passivamente dagli spettatori. La necessità nel nostro presente di avere un controllo su dove siamo attraverso le mappe elettroniche indipendentemente dal paesaggio che vediamo, è messo in evidenza, contraddicendolo, dal lavoro di “spaesamento” di Elena Bajo. L’artista introducendo la presenza di una sorta di meteorite nello spazio della galleria lo trasforma in un non luogo che potrebbe appartenere a qualsiasi situazione e tempo, ma con una nuova caratteristica di epifania. Lo stesso movente l’ha portata a realizzare un video del suo attraversamento del deserto salato in America centrale. Il desiderio d’ignoto, affrontato per avere una nuova percezione del noto, riguarda la ricerca di Pedro Neves Marques e André Romão, che entrambi evocano con lo stesso soggetto di un viaggio in barca, anche se sviluppato in maniera diversa. Il primo consiste in un video “Nothing lasts forever” il cui soggetto in primo piano, un rematore in barca, in bianco e nero continua ad essere in movimento senza che meta o partenza siano visibili. Il secondo lavoro, “Costa Atlântica Portuguesa (de Caminha-Viana do Castelo ao Cabo de Sagres)”, consiste in fotografie tutte uguali e tutte diverse che l’artista ha ripreso da un viaggio in mare in parallelo alla costa portoghese, rendendola da punto di partenza per lunghi viaggi e per terre lontane a riflessione sull’identità territoriale/culturale. Per l’occasione i due artisti realizzano un’opera a quattro mani confrontandosi con la mitologia greca e del Mediterraneo in generale. Nel loro caso la presa di coscienza dello spazio avviene attraverso la messa in scena del dialogo tra due performers divisi da una grande parete di plexiglass che rimanda all’esigenza nell’antica Grecia di interpellare l’oracolo prima di intraprendere qualsiasi tipo di viaggio.
Tutte le opere ci parlano del corpo del soggetto in movimento e delle dinamiche che esso stabilisce con “l’attorno”, fisico e mentale, che di volta in volta attraversa. Con questa mostra appare evidente che per ipotizzare un viaggio non è tanto importante sapere il punto esatto in cui si vuole arrivare, ma piuttosto conoscere il punto esatto in cui ci troviamo in quel dato istante. In questo caso la Galleria Umberto Di Marino si prefigura come “punto di vista momentaneo” da cui ripensare e re-immaginare collettivamente il mondo. Le opere agiscono come dei dispositivi che chiamano in causa la presenza dello spettatore e che dialogano tra di loro anche se sono di autori differenti, costruendo così un orizzonte comune, ma inedito, e ribaltando la divisione in piccole personali che suggerisce solitamente lo spazio della galleria che si percorre stanza dopo stanza. Così, l’idea del viaggio più che un tema diventa un’atmosfera e un’attitudine da condividere, oltre ad essere una chiave di lettura con cui leggere sotto un’altra luce i percorsi individuali dei cinque artisti invitati; i quali puntano sempre ad una riflessione sul ruolo del soggetto (artista/spettatore) rispetto all’attuale società e viceversa. In questo mondo, nel quale le differenze culturali e il futuro comune devono essere ripensati dalla base, le domande “perché partire?” e “dove tornare”? acquistano una nuova valenza. Per questo le immagini degli artisti “di luoghi altri” proposti come mezzo di dialogo non sono importanti per la loro dimensione esotica o esemplare o eroica, ma per il loro farsi mezzi per riflettere collettivamente su “dove siamo, chi siamo, dove andiamo, cosa facciamo”.
Il progetto “The Horizon line is here – tornare per partire”, a cura di Lorenzo Bruni, si completa ed ha un’ulteriore possibilità di sviluppo con la pubblicazione realizzata per l’occasione e che sarà presentata per il finissage della mostra nel mese di settembre. Questo libro è costituito da una parte dedicata agli artisti invitati ed alle opere in mostra e da una riflessione ulteriore sull’idea del viaggio. Inoltre il tema del viaggiare diventa in questa occasione non solo una chiave per interpretare il lavoro degli artisti invitati ma anche per indagare il lavoro degli artisti che hanno realizzato la mostra personale nella stagione 2009/2010 da Umberto Di Marino. Gli artisti sono Luca Francesconi (Mantova 1979; vive e lavora a Milano), Sergio Vega (Buenos Aires 1959; vive e lavora in America), Marinella Senatore (Cava dei Tirreni 1977; vive e lavora a Roma e Madrid), Eugenio Tibaldi (Alba 1977; vive e lavora a Napoli), Jota Castro (Perù 1965; vive e lavora a Bruxelles), Francesco Jodice (Napoli 1967; vive e lavora a Milano). Questa riflessione si completa con una conversazione con Umberto Di Marino, attraverso cui sarà possibile rileggere il percorso da lui compiuto in questi anni. (Lorenzo Bruni)
Elena Bajo - Madrid 1974; vive e lavora tra New York e Berlino
Ulla von Brandenburg - Karlsruhe Germania, 1974; vive e lavora ad Amburgo e Parigi
Runo Lagomarsino - Malmo, 1977; vive e lavora a Malmo, Svezia
André Romão - Lisbona, 1984; vive e lavora a Berlino
Pedro Neves Marques - Lisbona, 1984; vive e lavora a Lisbona
Lorenzo Bruni critico e curatore indipendente, vive e lavora a Firenze.
20
maggio 2010
The Horizon line is here. Tornare per partire
Dal 20 maggio al 10 settembre 2010
arte contemporanea
Location
UMBERTO DI MARINO ARTE CONTEMPORANEA
Napoli, Via Alabardieri, 1, (Napoli)
Napoli, Via Alabardieri, 1, (Napoli)
Orario di apertura
da lunedì a sabato 15-20 mattina su appuntamento
Vernissage
20 Maggio 2010, ore 20.00 - 22.00
Autore
Curatore