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Gianfranco Imperatori – L’economia dal volto umano
presentazione del volume di Gianfranco Imperatori.
Comunicato stampa
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L’economia della cultura negli scritti di Gianfranco Imperatori
Pietro Antonio Valentino
Gli scritti raccolti in questo volume danno un’idea del rapporto complesso e non ortodosso tra economia e cultura che Gianfranco Imperatori, economista e banchiere, ha intessuto negli ultimi vent’anni. Relazione nella quale la riflessione astratta non è mai separata da proposte di intervento per modificare la realtà. Anzi “visione” e “progetto” si autoalimentano in una spirale nella quale la causa prima non sempre è di facile individuazione. In questo processo di riflessione/sperimentazione sono stato direttamente coinvolto attraverso un dialogo continuo, quasi quotidiano, fatto di incontri a Civita o nei suoi luoghi di lavoro, di telefonate dirette o indirette (quelle dirette arrivavano di prima mattina dopo la lettura dei giornali), di buste piene di ritagli di stampa e appunti (trascritti perché la sua grafia era di difficile lettura) e di mail.
Questo scambio di idee si è protratto ininterrottamente per vent’anni - ha avuto inizio nei primi mesi del 1989 poco tempo dopo la costituzione dell’Associazione Progetto Civita - e mi ha dato l’opportunità di partecipare a una esperienza unica dove la speculazione astratta si trasformava sempre in una “idea forza” a sostegno di strategie e politiche settoriali e territoriali o di progetti puntuali di intervento. Nel tempo il rapporto si è arricchito e il presidente e professore Gianfranco Imperatori si è trasformato in Gianfranco, un amico.
Gli scritti raccolti in questo volume mi raccontano e mi ricordano varie storie: quella intellettuale dell’autore, quella dell’Associazione Civita e della sua crescita strategica e dimensionale ma anche una parte importante della mia storia individuale. Per questo, alcuni ricordi, anche aneddotici, mi aiuteranno a ricostruire una storia dove tutti questi piani si intrecciano.
Il primo incontro con Imperatori ha avuto luogo a via Barberini, nella iniziale sede dell’Associazione Civita dove ero stato invitato da Franco Lattanzi, mio indimenticabile amico e suo collaboratore, a partecipare ad una riunione dove dovevano essere discusse le attività future dell’Associazione sia con specifico riferimento al recupero di Civita di Bagnoregio che di natura più generale. Gianfranco Imperatori, come è ben noto a chi ha lavorato con lui, ci “inondò” di proposte su temi da affrontare e attività da realizzare. In quella riunione, anche per “arginare” quel fiume in piena, proposi l’idea dei Rapporti Civita come rapporti di approfondimento su aspetti specifici, anche se strategici, dei processi di tutela e valorizzazione delle risorse culturali. Nei giorni successivi, discutemmo nel suo ufficio al Mediocredito del Lazio una proposta più “formalizzata” dei temi da affrontare ed iniziò così la mia collaborazione con lui e con Civita. Gran parte dei temi che abbiamo selezionato nel 1989 sono stati alla base dei rapporti successivamente pubblicati dall’Associazione. Non ho più quel documento iniziale perché, conservato in uno di quei dischetti di vinile che rappresentavano allora una sorta di hard disc esterno e che sono diventati, per effetto dello sviluppo tecnologico, “illeggibili”.
Il primo Rapporto esce nel 1993 e riguarda i musei (L'immagine e la memoria. Indagine sulla struttura del Museo in Italia e nel mondo), ma il primo tema che affrontai con Gianfranco Imperatori investiva il ruolo della cultura per la “rigenerazione” delle città e dei centri storici.
Sempre all’inizio del 1989 fui invitato ad una tre giorni a Civita di Bagnoregio (saremmo stati in sei o sette) per individuare i contenuti di un processo di rivitalizzazione della “città che muore” fondato sulla cultura immateriale e quella materiale dei luoghi. Con il “senno del poi” riscopro che già in quel primo incontro sono presenti alcune delle tematiche di “economia della cultura” che saranno al centro negli anni successivi della riflessione di Gianfranco Imperatori, dei nostri colloqui e della politica di intervento dell’Associazione Civita.
Usciamo da quella “tre giorni” con la percezione che la cultura può e deve contribuire ad un processo di rigenerazione urbana facendo leva su una molteplicità di impatti e non solo sul turismo culturale. Infatti la strategia condivisa che viene prospettata per ridare funzione a Civita di Bagnoregio si basa sull’idea forza della sua trasformazione nel centro di conservazione e valorizzazione delle “culture che muoiono” nel mondo. Le nuove tecnologie informatiche avevano un ruolo rilevante nella strategia che veniva proposta. A Civita di Bagnoregio doveva essere collocato un mainframe, allora erano costituiti da macchinari costosi e ingombranti, dove raccogliere e conservare tutti i documenti che, indipendentemente dal supporto utilizzato, potevano raccontare e tramandare alla posterità i vari aspetti delle culture scomparse o in via di sparizione. Intorno ai documenti raccolti e conservati, avrebbe ruotato un insieme di attività: dalla ricerca alla formazione, dalla comunicazione ai convegni. Gli interventi sull’edificato - il recupero e la trasformazione del Palazzo Vescovile in un centro di studio internazionale e la conversione degli altri edifici in disuso in foresterie e centri di servizio - erano coerenti con l’idea forza. I più creativi tra di noi si spinsero ancora più lontano immaginando l’insediamento nella città di atelier per la realizzazione di prodotti multimediali. Ricordo ancora che uno dei partecipanti all’incontro, Piero Lo Sardo, propose - sull’esempio di un videogioco di simulazione ancora oggi in voga (si tratta di SimCity in cui si deve creare una nuova città a partire da alcune condizioni date) - di creare dei giochi interattivi legati alla storia di quei luoghi e, per esemplificare, lanciò l’idea di realizzare un programma di edutainment dal titolo “Come diventare Lucumone”.
In quegli anni Gianfranco Imperatori si impegnò molto per trovare le risorse finanziarie per un recupero fisico e funzionale del borgo di Civita in coerenza anche con la visione elaborata in quel brain storming. Sostenne e riuscì a far approvare una legge regionale di finanziamento ma, per miopia e campanilismo ed anche per il fatto che la proposta era troppo in anticipo sui tempi, i fondi andarono in perenzione.
Ma il tema dell’utilizzo della cultura materiale e immateriale, del patrimonio fisico e simbolico dei luoghi, come risorsa per lo sviluppo anche dei centri più piccoli non fu mai abbandonato, il secondo Rapporto Civita del 1994 (Progettare il passato. Centri storici minori e valori ambientali diffusi) lo trattò in modo specifico ma il tema è sempre rimasto al centro dell’attenzione sia di Civita (il numero 4 del Giornale di Civita del 2008 è di nuovo dedicato ai piccoli comuni) che di Imperatori che, nella prefazione al Rapporto del 1994, scrive che “il recupero dei centri storici minori e delle città d’arte è per l’economia della cultura uno dei terreni più fertili e innovativi” perché “a differenza di quando si opera su un singolo monumento, su un museo o su un’opera d’arte … all’economia della cultura si richiede qualcosa di più: gli si richiede di progettare un futuro economico per luoghi che proprio l’economia, nel suo sviluppo, ha progressivamente emarginato”.
Gli aspetti sistemici/territoriali e quelli puntuali (progettuali o gestionali) non furono mai disgiunti nella riflessione e nell’azione di Gianfranco Imperatori. Nei suoi scritti e interventi se ne trova traccia evidente.
Nel primo Rapporto Civita - L'immagine e la memoria. Indagine sulla struttura del Museo in Italia e nel mondo del 1993 – che è dedicato ai musei, un oggetto molto ben specificato e circoscritto, Gianfranco Imperatori sottolinea la necessità, anche dal punto di vista economico, di non separare il museo dal territorio. A partire da una riflessione sull’impossibilità strutturale di queste istituzioni di creare reddito, fa discendere la necessità dei musei di connettersi sempre più al loro esterno per acquisire i “proventi indiretti” che creano ma non percepiscono. Proventi che considera rilevanti per aumentare i livelli di redditività e attrarre capitale privato nella produzione di servizi museali.
L’impatto sulle politiche settoriali di questo primo Rapporto mostra quello che dicevo all’inizio; ovvero che, per Imperatori, i risultati della ricerca e della riflessione dovevano essere utilizzati per individuare le “idee forza” a sostegno di nuove politiche settoriali.
Nell’introduzione al libro L’immagine e la memoria, Antonio Maccanico ricorda che il Ministro dei Beni Culturali e Ambientali di allora, Alberto Ronchey, che in quel periodo stava scrivendo il decreto legge “Misure urgenti per il funzionamento dei musei statali”, abbia dedicato la sua “attenzione” ai risultati dell’analisi che avevamo condotto.
Anche qui ho un ricordo personale che può aiutare a comprendere l’impatto che, in molti casi, i Rapporti Civita hanno avuto sulla formulazione delle politiche. Una mattina sul presto ricevo una telefonata dal Ministro Ronchey, i miei interlocutori erano tutti mattinieri, che aveva saputo che era in via di pubblicazione il Rapporto Civita sui musei e mi chiedeva una sintesi del volume e la possibilità di avere in visione la bozza del mio saggio sui bilanci dei musei. Il primo articolato del decreto, avendo preso come modello di riferimento il Metropolitan Museum di New York, attribuiva una eccessiva importanza al ruolo che i “servizi aggiuntivi” potevano svolgere per l’autofinanziamento dei musei. Il risultato della ricerca che avevo condotto, prendendo in considerazione 64 bilanci di musei di tutto il mondo, era che la biglietteria e la vendita dei servizi poteva mediamente coprire intorno al 12% dei costi. Credo che la lettura del Rapporto Civita abbia contribuito a far cambiare il testo della legge nel senso che i “servizi aggiuntivi” non sono stati più considerati come una soluzione ai problemi di finanziamento quanto una via per accrescere, a costo zero per il bilancio statale, la qualità dei servizi museali. E questo risultato è stato pienamente conseguito dall’applicazione in tutti questi anni della “legge Ronchey”.
L'economia della conoscenza e dell'immateriale è uno dei temi che più l’affascina negli anni più recenti, ma non è separato dall’altro tema che da sempre è al centro dei suoi interessi: quello della città e dei territori. Dagli scritti di Gianfranco Imperatori risulta evidente che una strategia di sviluppo fondata sulle “produzioni immateriali” può avere successo se viene perseguita in stretta relazione con il settore culturale, che rappresenta il liquido amniotico per la loro germinazione, e, soprattutto, con i territori e con le risorse fisiche, umane e sociali che li caratterizzano.
La sua visione, ma anche il suo operare, è sempre stato di tipo olistico dove le connessioni erano sia verticali (far cooperare il centro con la periferia, ovvero, le politiche di tipo top down con quelle bottom up) che orizzontali (valorizzare l’insieme delle risorse materiali e immateriali dei territori al servizio di una visione condivisa del futuro). Utilizzando il suo linguaggio, per interpretare la “fine di un mondo” e immaginare e costruirne uno nuovo, per elaborare una politica di lungo periodo, e non miope come sempre più spesso accade, è necessario integrare, e non separare, i poteri, le risorse, gli uomini, le conoscenze e i processi produttivi.
Ed è sul territorio che tutti questi fattori, fondanti per il modello di sviluppo che Imperatori propone, si realizzano e si relazionano.
Più in generale, dai differenti interventi di Imperatori e dai Rapporti Civita si desume che il tempo (come storia) e il territorio (come spazio fisico e relazionale) non possono essere esclusi, come fa la teoria economica dominante, sia dai paradigmi usati per interpretare il reale sia, e a maggior ragione, dai modelli e strategie di sviluppo che devono prefigurare un futuro possibile e desiderabile. In questa visione, la tecnologia informatica rappresenta un modo per far sempre più comunicare tempo e spazio, in quanto, da un lato, permette di trasportare più facilmente il passato nel futuro e manipolarlo nei processi di produzione dell’immateriale senza consumarlo e, dall’altro, consente di trasportare nello spazio, in modo veloce e non invasivo, i nuovi prodotti.
La produzione immateriale è, quindi, sia una necessità per rispondere al nuovo contesto della competitività mondiale sia un modo per valorizzare i territori senza distruggerne identità e risorse.
E’ con l’approccio sistemico del “distretto culturale”, definito nel Rapporto Civita del 1999 (La storia al futuro. Beni culturali, specializzazione del territorio e nuova occupazione), che le differenti tematiche, singolarmente analizzate nei primi dieci anni di vita di Civita da Gianfranco Imperatori e da tutti noi, trovano una sintesi e una connessione forte sia dal punto di vista teorico che operativo. Per la realizzazione del volume rilevante fu l’apporto di Aldo Musacchio e Francesco Perego.
L’insieme dei fattori necessari per realizzare i prodotti immateriali - processi produttivi, conoscenze, capitali e risorse territoriali (umane, sociali e culturali) - trovano nella strategia del “distretto culturale” una maglia che permette di mettere in relazione tutela e valorizzazione, passato e futuro, scienza e saggezza, tecniche di produzione manuali e informatizzate, profili professionali nuovi e tradizionali e così via.
Con nomi diversi (bacini culturali, sistemi culturali territoriali ed altri ancora) l’approccio sistemico proposto da Civita assume un ruolo importante nel dibattito e nella letteratura nazionale e internazionale.
A livello internazionale, viene ripreso e citato nel volume dell’OCSE dal titolo Culture and local development del 2005 o nei lavori di Xavier Greffe per il Mistero della cultura francese (La valorisation économique du patrimoine) del 2003.
Ma è la stessa esperienza dell’Associazione Civita, la sua unicità nel panorama internazionale, ad interessare le grandi organizzazioni internazionali. Gianfranco Imperatori presenta obiettivi, storia e realizzazioni di Civita alla conferenza organizzata dalla Banca Mondiale e dall’Unesco a Firenze nel 1999 (Culture Counts. Financing Resources and the Economics of Culture in Sustainable Development) ed alla conferenza internazionale organizzata dall’Unesco a Venezia nel 2002 in occasione del trentennale della Convenzione per la protezione del patrimonio mondiale.
La trasformazione del “distretto culturale” da visione a progetto diventa negli anni post 1999 uno degli impegni prioritari di Gianfranco Imperatori. E come sempre quando un tema gli sembrava interessante, quando una idea forza gli sembrava fondata, spingeva per accorciare i tempi, per aprirsi all’esterno, per creare occasioni di dibattito e di disseminazione delle idee. Avvertiva un sorta di travolgente bisogno di trasformare la visione in azione, di concretizzarla. Si trasformava in “imprenditore della comunicazione” e tutti eravamo sottoposti ai suoi tempi e ritmi draconiani. Per comunicare l’approccio del “distretto culturale” ai decisori e agli operatori, si impegnò e mi impegnò alla scrittura di una sorta di guida alla costruzione del “distretto culturale”; la pubblicazione de Le trame del territorio. Politiche di sviluppo dei sistemi territoriali e distretti culturali nel 2003 ha questa funzione. Poiché i tempi di pubblicazione gli sembravano troppo lunghi rispetto a quelli della fertilizzazione delle idee decise di organizzare subito un convegno sui distretti e di usare, in forma mimeografata, una prima stesura del libro Le trame del territorio che venne così “bruciata”.
La sua curiosità e il suo desiderio di conoscere e intervenire sui cambiamenti in atto, lo rendeva un uomo aperto ed una mente fortemente reattiva. Questa sua voglia di essere nel mondo e di voler partecipare a cambiarlo in meglio era visivamente evidente. Quando ho iniziato a frequentarlo più assiduamente, a Civita o al Mediocredito Centrale, questa sua “domanda di futuro” si esprimeva nel suo gruppo di lavoro: Gianfranco Imperatori era circondato da molti trentenni ai quali aveva delegato molte funzioni importanti. In una “gerontocrazia” come quella italiana era un segno forte della sua aspirazione a voler guardare avanti e non solo all’indietro.
Questa curiosità non lo ha abbandonato nemmeno quando la malattia lo aveva vigliaccamente aggredito. La crisi economica in atto lo aveva ancora più convinto che per uscirne era necessario avere il coraggio di prefigurarsi un futuro possibile e, dal punto di vista economico, riteneva che il vantaggio competitivo per l’Italia doveva fondarsi sulla specializzazione nella produzione dell’immateriale e di merci ad alto contenuto di “materia grigia” (brainware). Le produzioni immateriali e l’economia della conoscenza rappresentavano ancora i percorsi strategici da visitare ed esplorare con maggior decisione.
Ma ora dovevano essere le città, medie e grandi, i “primi attori” di questa innovazione. Nel suo ultimo intervento sul Giornale di Civita, poche settimane prima della sua scomparsa, scrive: “Un mondo muore ed un altro sta nascendo e come sempre nella storia, sono le città la culla delle ‘grandi trasformazioni’”. Ma lucidamente nota “i preoccupanti ritardi che affliggono l’intero processo di governo delle città” italiane. Ed aggiunge: “le ‘città globali’ sono quelle che non subiscono passivamente le trasformazioni della società né vi reagiscono attraverso l’azione prevalente di interessi particolaristici, ma disegnano consapevolmente il proprio futuro e, in alcuni casi, progettano un riposizionamento sullo scacchiere internazionale a partire dalla capacità di attrarre – sovente dall’estero – capitale umano, finanziario e imprese. Si tratta di realtà tutte accomunate da visioni di lungo periodo, pur con caratteristiche proprie”.
Analizzare sulla base di quali variabili queste visioni di lungo periodo si sono determinate; individuare i processi attraverso i quali si sono condivise e concretizzate; analizzare il ruolo che la cultura, nelle sue differenti accezioni, ha avuto in questo processo; individuare in che modo è cambiato il posizionamento internazionale delle città “attive”, era stato l’oggetto del nostro ultimo incontro. Era l’11 marzo del 2009. Gianfranco Imperatori ci aveva convinto ad analizzare tutte le più importanti esperienze internazionali secondo le differenti angolazioni appena accennate, ad individuare le buone pratiche che potevano essere di riferimento per gli amministratori e per i principali attori che operano nel tessuto urbano italiano e, dopo la ricerca, a disseminare le conoscenze per contribuire a cambiare idee e comportamenti. In questa ricerca che doveva aiutare le città italiane a recuperare i ritardi e ad attrezzarsi per essere le culle della nuova “grande trasformazione”, lui voleva ancora esserci. Ero consapevole che sarebbe stato molto difficile fare anche questa nuova avventura insieme, ma con Albino Ruberti, Giovanna Castelli, Maria Rita Delli Quadri, Massimo Misiti e Alfredo Valeri proveremo a dare risposta alle domande che si poneva e ci sottoponeva.
Il prossimo Rapporto Civita sarà sulle città ed avrà forte ed evidente l’impronta di Gianfranco. Farà di sicuro tesoro di uno dei suoi insegnamenti: usare la ricerca e le conoscenze acquisite per aiutare i decisori e le collettività a immaginare e disegnare “nuovi mondi” in cui vivere meglio.
Prefazione
Questa raccolta di scritti e interviste di Gianfranco Imperatori si distingue nettamente dalle sue precedenti pubblicazioni per una sua caratteristica particolare: mette insieme saggi e contributi centrati su una sola tematica dominante, quella della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, della redditività della gestione dei beni storici, dell’economia della cultura, dell’economia della conoscenza.
Gianfranco Imperatori nella sua vita è stato di una versatilità straordinaria, ha operato in campi assai diversi: è stato studioso e teorico dell’economia, banchiere di primo piano, organizzatore culturale, operatore di successo nel cosiddetto terzo settore, il settore no-profit, in quello della solidarietà sociale.
Ma nell’ultima fase della sua esistenza ha avuto un interesse intellettuale e una passione assolutamente dominante: quella di un nuovo modello di sviluppo promosso dalla cultura e dalla conoscenza.
Aveva cioè maturato una visione del futuro molto netta: nel mondo “globalizzato” la crescita economica, sociale, civile sarà guidata dalla conoscenza e dalla cultura, fenomeni non di elite, ma di massa. Da questo interesse e da questa visione nacque venti anni fa, per sua iniziativa Civita, che fu per lui la realizzazione di un sogno.
E’ stato perciò ritenuto molto utile raccogliere in questo volume i suoi scritti più importanti e significativi su questi temi, perché essi documentano le tappe di un itinerario intellettuale, di un “crescendo” di riflessioni, che parte dalla prima esperienza del recupero di un borgo medievale che stava per scomparire, Civita di Bagnoregio, e approda alla complessa e coerente missione che un notevole numero di grandi e piccole imprese hanno affidato a Civita, come centro propulsivo di un nuovo paradigma operativo di creatività e di sviluppo.
La prima tappa di questo itinerario fu l’acquisita consapevolezza del divario tra la ricchezza, la varietà, la molteplicità e di diffusione territoriale del patrimonio storico e artistico, ambientale del nostro Paese e la scarsità delle risorse pubbliche destinate alla loro tutela e valorizzazione. Di qui la necessità di una intensa collaborazione pubblico-privato, di un impegno del sistema delle imprese, perché si realizzi quella sinergia indispensabile a conferire efficienza e redditività immediata e riflessa alla gestione della nostra massima risorsa nazionale.
La prima attenzione fu alle gestioni museali, che fu l’oggetto del primo rapporto annuale Civita, quasi contemporaneo alla legge Ronchey, che apriva ai privati alcuni servizi museali.
Civita ha sempre difeso la competenza esclusiva dello Stato nella tutela dei beni culturali, campo nel quale l’Italia ha sicuramente un primato che risale al Rinascimento, ma ha ritenuto che la tutela deve essere funzionale ad una più moderna, più efficiente, più larga valorizzazione nell’interesse dei cittadini e dello sviluppo del territorio.
Nacque così l’idea “dei distretti culturali”, metodo di valorizzazioni integrate in collaborazione anche con Regioni e amministrazioni locali, alle quali la riforma costituzionale ha dato competenza in tema di valorizzazione.
Una gestione del patrimonio culturale mirata anche alla più alta redditività non poteva inoltre ignorare l’apporto che le nuove tecnologie dell’informazione, l’ICT, potevano dare sia all’opera di conservazione e tutela, sia a quella di più ampia valorizzazione.
E questo fu un altro campo che Imperatori indicò allo studio di Civita, campo esplorato in profondità nei suoi rapporti.
Un altro tema che è stato trattato è quello del turismo e della necessità di una politica nazionale di promozione e di sostegno della quale la cultura e il patrimonio storico e artistico sono un capitolo fondamentale.
E’ abbastanza diffusa la convinzione che in base alla riforma del titolo V della Costituzione il turismo sia materia di competenza esclusiva delle Regioni. La riflessione di Imperatori è illuminante su questo punto: il turismo non è “una materia”, come la sanità o l’istruzione, ben limitata nei suoi confini. E’ soprattutto un complesso fenomeno sociale che è favorito o ostacolato da varie politiche pubbliche: politiche fiscali, di gestione del territorio, di infrastrutture logistiche e di sicurezza, di attrezzature ricettive, e soprattutto di valorizzazione del patrimonio storico artistico: tutte di competenze statali unitarie.
Un coordinamento nazionale della politica turistica perciò è non solo possibile, ma indispensabile.
E’ nata così, ad esempio, l’idea degli “hotel della cultura” sul modello dei “Paradores” spagnoli.
Credo che questo florilegio di scritti e interventi, per la coerenza che li ha ispirati, per la visione nitida che esprimono, per la varietà di stimoli e di riflessioni che contengono, siano una preziosa eredità che ci lascia Gianfranco Imperatori: a noi di Civita innanzitutto, ma anche a chi è chiamato a costruire il futuro del nostro Paese.
Pietro Antonio Valentino
Gli scritti raccolti in questo volume danno un’idea del rapporto complesso e non ortodosso tra economia e cultura che Gianfranco Imperatori, economista e banchiere, ha intessuto negli ultimi vent’anni. Relazione nella quale la riflessione astratta non è mai separata da proposte di intervento per modificare la realtà. Anzi “visione” e “progetto” si autoalimentano in una spirale nella quale la causa prima non sempre è di facile individuazione. In questo processo di riflessione/sperimentazione sono stato direttamente coinvolto attraverso un dialogo continuo, quasi quotidiano, fatto di incontri a Civita o nei suoi luoghi di lavoro, di telefonate dirette o indirette (quelle dirette arrivavano di prima mattina dopo la lettura dei giornali), di buste piene di ritagli di stampa e appunti (trascritti perché la sua grafia era di difficile lettura) e di mail.
Questo scambio di idee si è protratto ininterrottamente per vent’anni - ha avuto inizio nei primi mesi del 1989 poco tempo dopo la costituzione dell’Associazione Progetto Civita - e mi ha dato l’opportunità di partecipare a una esperienza unica dove la speculazione astratta si trasformava sempre in una “idea forza” a sostegno di strategie e politiche settoriali e territoriali o di progetti puntuali di intervento. Nel tempo il rapporto si è arricchito e il presidente e professore Gianfranco Imperatori si è trasformato in Gianfranco, un amico.
Gli scritti raccolti in questo volume mi raccontano e mi ricordano varie storie: quella intellettuale dell’autore, quella dell’Associazione Civita e della sua crescita strategica e dimensionale ma anche una parte importante della mia storia individuale. Per questo, alcuni ricordi, anche aneddotici, mi aiuteranno a ricostruire una storia dove tutti questi piani si intrecciano.
Il primo incontro con Imperatori ha avuto luogo a via Barberini, nella iniziale sede dell’Associazione Civita dove ero stato invitato da Franco Lattanzi, mio indimenticabile amico e suo collaboratore, a partecipare ad una riunione dove dovevano essere discusse le attività future dell’Associazione sia con specifico riferimento al recupero di Civita di Bagnoregio che di natura più generale. Gianfranco Imperatori, come è ben noto a chi ha lavorato con lui, ci “inondò” di proposte su temi da affrontare e attività da realizzare. In quella riunione, anche per “arginare” quel fiume in piena, proposi l’idea dei Rapporti Civita come rapporti di approfondimento su aspetti specifici, anche se strategici, dei processi di tutela e valorizzazione delle risorse culturali. Nei giorni successivi, discutemmo nel suo ufficio al Mediocredito del Lazio una proposta più “formalizzata” dei temi da affrontare ed iniziò così la mia collaborazione con lui e con Civita. Gran parte dei temi che abbiamo selezionato nel 1989 sono stati alla base dei rapporti successivamente pubblicati dall’Associazione. Non ho più quel documento iniziale perché, conservato in uno di quei dischetti di vinile che rappresentavano allora una sorta di hard disc esterno e che sono diventati, per effetto dello sviluppo tecnologico, “illeggibili”.
Il primo Rapporto esce nel 1993 e riguarda i musei (L'immagine e la memoria. Indagine sulla struttura del Museo in Italia e nel mondo), ma il primo tema che affrontai con Gianfranco Imperatori investiva il ruolo della cultura per la “rigenerazione” delle città e dei centri storici.
Sempre all’inizio del 1989 fui invitato ad una tre giorni a Civita di Bagnoregio (saremmo stati in sei o sette) per individuare i contenuti di un processo di rivitalizzazione della “città che muore” fondato sulla cultura immateriale e quella materiale dei luoghi. Con il “senno del poi” riscopro che già in quel primo incontro sono presenti alcune delle tematiche di “economia della cultura” che saranno al centro negli anni successivi della riflessione di Gianfranco Imperatori, dei nostri colloqui e della politica di intervento dell’Associazione Civita.
Usciamo da quella “tre giorni” con la percezione che la cultura può e deve contribuire ad un processo di rigenerazione urbana facendo leva su una molteplicità di impatti e non solo sul turismo culturale. Infatti la strategia condivisa che viene prospettata per ridare funzione a Civita di Bagnoregio si basa sull’idea forza della sua trasformazione nel centro di conservazione e valorizzazione delle “culture che muoiono” nel mondo. Le nuove tecnologie informatiche avevano un ruolo rilevante nella strategia che veniva proposta. A Civita di Bagnoregio doveva essere collocato un mainframe, allora erano costituiti da macchinari costosi e ingombranti, dove raccogliere e conservare tutti i documenti che, indipendentemente dal supporto utilizzato, potevano raccontare e tramandare alla posterità i vari aspetti delle culture scomparse o in via di sparizione. Intorno ai documenti raccolti e conservati, avrebbe ruotato un insieme di attività: dalla ricerca alla formazione, dalla comunicazione ai convegni. Gli interventi sull’edificato - il recupero e la trasformazione del Palazzo Vescovile in un centro di studio internazionale e la conversione degli altri edifici in disuso in foresterie e centri di servizio - erano coerenti con l’idea forza. I più creativi tra di noi si spinsero ancora più lontano immaginando l’insediamento nella città di atelier per la realizzazione di prodotti multimediali. Ricordo ancora che uno dei partecipanti all’incontro, Piero Lo Sardo, propose - sull’esempio di un videogioco di simulazione ancora oggi in voga (si tratta di SimCity in cui si deve creare una nuova città a partire da alcune condizioni date) - di creare dei giochi interattivi legati alla storia di quei luoghi e, per esemplificare, lanciò l’idea di realizzare un programma di edutainment dal titolo “Come diventare Lucumone”.
In quegli anni Gianfranco Imperatori si impegnò molto per trovare le risorse finanziarie per un recupero fisico e funzionale del borgo di Civita in coerenza anche con la visione elaborata in quel brain storming. Sostenne e riuscì a far approvare una legge regionale di finanziamento ma, per miopia e campanilismo ed anche per il fatto che la proposta era troppo in anticipo sui tempi, i fondi andarono in perenzione.
Ma il tema dell’utilizzo della cultura materiale e immateriale, del patrimonio fisico e simbolico dei luoghi, come risorsa per lo sviluppo anche dei centri più piccoli non fu mai abbandonato, il secondo Rapporto Civita del 1994 (Progettare il passato. Centri storici minori e valori ambientali diffusi) lo trattò in modo specifico ma il tema è sempre rimasto al centro dell’attenzione sia di Civita (il numero 4 del Giornale di Civita del 2008 è di nuovo dedicato ai piccoli comuni) che di Imperatori che, nella prefazione al Rapporto del 1994, scrive che “il recupero dei centri storici minori e delle città d’arte è per l’economia della cultura uno dei terreni più fertili e innovativi” perché “a differenza di quando si opera su un singolo monumento, su un museo o su un’opera d’arte … all’economia della cultura si richiede qualcosa di più: gli si richiede di progettare un futuro economico per luoghi che proprio l’economia, nel suo sviluppo, ha progressivamente emarginato”.
Gli aspetti sistemici/territoriali e quelli puntuali (progettuali o gestionali) non furono mai disgiunti nella riflessione e nell’azione di Gianfranco Imperatori. Nei suoi scritti e interventi se ne trova traccia evidente.
Nel primo Rapporto Civita - L'immagine e la memoria. Indagine sulla struttura del Museo in Italia e nel mondo del 1993 – che è dedicato ai musei, un oggetto molto ben specificato e circoscritto, Gianfranco Imperatori sottolinea la necessità, anche dal punto di vista economico, di non separare il museo dal territorio. A partire da una riflessione sull’impossibilità strutturale di queste istituzioni di creare reddito, fa discendere la necessità dei musei di connettersi sempre più al loro esterno per acquisire i “proventi indiretti” che creano ma non percepiscono. Proventi che considera rilevanti per aumentare i livelli di redditività e attrarre capitale privato nella produzione di servizi museali.
L’impatto sulle politiche settoriali di questo primo Rapporto mostra quello che dicevo all’inizio; ovvero che, per Imperatori, i risultati della ricerca e della riflessione dovevano essere utilizzati per individuare le “idee forza” a sostegno di nuove politiche settoriali.
Nell’introduzione al libro L’immagine e la memoria, Antonio Maccanico ricorda che il Ministro dei Beni Culturali e Ambientali di allora, Alberto Ronchey, che in quel periodo stava scrivendo il decreto legge “Misure urgenti per il funzionamento dei musei statali”, abbia dedicato la sua “attenzione” ai risultati dell’analisi che avevamo condotto.
Anche qui ho un ricordo personale che può aiutare a comprendere l’impatto che, in molti casi, i Rapporti Civita hanno avuto sulla formulazione delle politiche. Una mattina sul presto ricevo una telefonata dal Ministro Ronchey, i miei interlocutori erano tutti mattinieri, che aveva saputo che era in via di pubblicazione il Rapporto Civita sui musei e mi chiedeva una sintesi del volume e la possibilità di avere in visione la bozza del mio saggio sui bilanci dei musei. Il primo articolato del decreto, avendo preso come modello di riferimento il Metropolitan Museum di New York, attribuiva una eccessiva importanza al ruolo che i “servizi aggiuntivi” potevano svolgere per l’autofinanziamento dei musei. Il risultato della ricerca che avevo condotto, prendendo in considerazione 64 bilanci di musei di tutto il mondo, era che la biglietteria e la vendita dei servizi poteva mediamente coprire intorno al 12% dei costi. Credo che la lettura del Rapporto Civita abbia contribuito a far cambiare il testo della legge nel senso che i “servizi aggiuntivi” non sono stati più considerati come una soluzione ai problemi di finanziamento quanto una via per accrescere, a costo zero per il bilancio statale, la qualità dei servizi museali. E questo risultato è stato pienamente conseguito dall’applicazione in tutti questi anni della “legge Ronchey”.
L'economia della conoscenza e dell'immateriale è uno dei temi che più l’affascina negli anni più recenti, ma non è separato dall’altro tema che da sempre è al centro dei suoi interessi: quello della città e dei territori. Dagli scritti di Gianfranco Imperatori risulta evidente che una strategia di sviluppo fondata sulle “produzioni immateriali” può avere successo se viene perseguita in stretta relazione con il settore culturale, che rappresenta il liquido amniotico per la loro germinazione, e, soprattutto, con i territori e con le risorse fisiche, umane e sociali che li caratterizzano.
La sua visione, ma anche il suo operare, è sempre stato di tipo olistico dove le connessioni erano sia verticali (far cooperare il centro con la periferia, ovvero, le politiche di tipo top down con quelle bottom up) che orizzontali (valorizzare l’insieme delle risorse materiali e immateriali dei territori al servizio di una visione condivisa del futuro). Utilizzando il suo linguaggio, per interpretare la “fine di un mondo” e immaginare e costruirne uno nuovo, per elaborare una politica di lungo periodo, e non miope come sempre più spesso accade, è necessario integrare, e non separare, i poteri, le risorse, gli uomini, le conoscenze e i processi produttivi.
Ed è sul territorio che tutti questi fattori, fondanti per il modello di sviluppo che Imperatori propone, si realizzano e si relazionano.
Più in generale, dai differenti interventi di Imperatori e dai Rapporti Civita si desume che il tempo (come storia) e il territorio (come spazio fisico e relazionale) non possono essere esclusi, come fa la teoria economica dominante, sia dai paradigmi usati per interpretare il reale sia, e a maggior ragione, dai modelli e strategie di sviluppo che devono prefigurare un futuro possibile e desiderabile. In questa visione, la tecnologia informatica rappresenta un modo per far sempre più comunicare tempo e spazio, in quanto, da un lato, permette di trasportare più facilmente il passato nel futuro e manipolarlo nei processi di produzione dell’immateriale senza consumarlo e, dall’altro, consente di trasportare nello spazio, in modo veloce e non invasivo, i nuovi prodotti.
La produzione immateriale è, quindi, sia una necessità per rispondere al nuovo contesto della competitività mondiale sia un modo per valorizzare i territori senza distruggerne identità e risorse.
E’ con l’approccio sistemico del “distretto culturale”, definito nel Rapporto Civita del 1999 (La storia al futuro. Beni culturali, specializzazione del territorio e nuova occupazione), che le differenti tematiche, singolarmente analizzate nei primi dieci anni di vita di Civita da Gianfranco Imperatori e da tutti noi, trovano una sintesi e una connessione forte sia dal punto di vista teorico che operativo. Per la realizzazione del volume rilevante fu l’apporto di Aldo Musacchio e Francesco Perego.
L’insieme dei fattori necessari per realizzare i prodotti immateriali - processi produttivi, conoscenze, capitali e risorse territoriali (umane, sociali e culturali) - trovano nella strategia del “distretto culturale” una maglia che permette di mettere in relazione tutela e valorizzazione, passato e futuro, scienza e saggezza, tecniche di produzione manuali e informatizzate, profili professionali nuovi e tradizionali e così via.
Con nomi diversi (bacini culturali, sistemi culturali territoriali ed altri ancora) l’approccio sistemico proposto da Civita assume un ruolo importante nel dibattito e nella letteratura nazionale e internazionale.
A livello internazionale, viene ripreso e citato nel volume dell’OCSE dal titolo Culture and local development del 2005 o nei lavori di Xavier Greffe per il Mistero della cultura francese (La valorisation économique du patrimoine) del 2003.
Ma è la stessa esperienza dell’Associazione Civita, la sua unicità nel panorama internazionale, ad interessare le grandi organizzazioni internazionali. Gianfranco Imperatori presenta obiettivi, storia e realizzazioni di Civita alla conferenza organizzata dalla Banca Mondiale e dall’Unesco a Firenze nel 1999 (Culture Counts. Financing Resources and the Economics of Culture in Sustainable Development) ed alla conferenza internazionale organizzata dall’Unesco a Venezia nel 2002 in occasione del trentennale della Convenzione per la protezione del patrimonio mondiale.
La trasformazione del “distretto culturale” da visione a progetto diventa negli anni post 1999 uno degli impegni prioritari di Gianfranco Imperatori. E come sempre quando un tema gli sembrava interessante, quando una idea forza gli sembrava fondata, spingeva per accorciare i tempi, per aprirsi all’esterno, per creare occasioni di dibattito e di disseminazione delle idee. Avvertiva un sorta di travolgente bisogno di trasformare la visione in azione, di concretizzarla. Si trasformava in “imprenditore della comunicazione” e tutti eravamo sottoposti ai suoi tempi e ritmi draconiani. Per comunicare l’approccio del “distretto culturale” ai decisori e agli operatori, si impegnò e mi impegnò alla scrittura di una sorta di guida alla costruzione del “distretto culturale”; la pubblicazione de Le trame del territorio. Politiche di sviluppo dei sistemi territoriali e distretti culturali nel 2003 ha questa funzione. Poiché i tempi di pubblicazione gli sembravano troppo lunghi rispetto a quelli della fertilizzazione delle idee decise di organizzare subito un convegno sui distretti e di usare, in forma mimeografata, una prima stesura del libro Le trame del territorio che venne così “bruciata”.
La sua curiosità e il suo desiderio di conoscere e intervenire sui cambiamenti in atto, lo rendeva un uomo aperto ed una mente fortemente reattiva. Questa sua voglia di essere nel mondo e di voler partecipare a cambiarlo in meglio era visivamente evidente. Quando ho iniziato a frequentarlo più assiduamente, a Civita o al Mediocredito Centrale, questa sua “domanda di futuro” si esprimeva nel suo gruppo di lavoro: Gianfranco Imperatori era circondato da molti trentenni ai quali aveva delegato molte funzioni importanti. In una “gerontocrazia” come quella italiana era un segno forte della sua aspirazione a voler guardare avanti e non solo all’indietro.
Questa curiosità non lo ha abbandonato nemmeno quando la malattia lo aveva vigliaccamente aggredito. La crisi economica in atto lo aveva ancora più convinto che per uscirne era necessario avere il coraggio di prefigurarsi un futuro possibile e, dal punto di vista economico, riteneva che il vantaggio competitivo per l’Italia doveva fondarsi sulla specializzazione nella produzione dell’immateriale e di merci ad alto contenuto di “materia grigia” (brainware). Le produzioni immateriali e l’economia della conoscenza rappresentavano ancora i percorsi strategici da visitare ed esplorare con maggior decisione.
Ma ora dovevano essere le città, medie e grandi, i “primi attori” di questa innovazione. Nel suo ultimo intervento sul Giornale di Civita, poche settimane prima della sua scomparsa, scrive: “Un mondo muore ed un altro sta nascendo e come sempre nella storia, sono le città la culla delle ‘grandi trasformazioni’”. Ma lucidamente nota “i preoccupanti ritardi che affliggono l’intero processo di governo delle città” italiane. Ed aggiunge: “le ‘città globali’ sono quelle che non subiscono passivamente le trasformazioni della società né vi reagiscono attraverso l’azione prevalente di interessi particolaristici, ma disegnano consapevolmente il proprio futuro e, in alcuni casi, progettano un riposizionamento sullo scacchiere internazionale a partire dalla capacità di attrarre – sovente dall’estero – capitale umano, finanziario e imprese. Si tratta di realtà tutte accomunate da visioni di lungo periodo, pur con caratteristiche proprie”.
Analizzare sulla base di quali variabili queste visioni di lungo periodo si sono determinate; individuare i processi attraverso i quali si sono condivise e concretizzate; analizzare il ruolo che la cultura, nelle sue differenti accezioni, ha avuto in questo processo; individuare in che modo è cambiato il posizionamento internazionale delle città “attive”, era stato l’oggetto del nostro ultimo incontro. Era l’11 marzo del 2009. Gianfranco Imperatori ci aveva convinto ad analizzare tutte le più importanti esperienze internazionali secondo le differenti angolazioni appena accennate, ad individuare le buone pratiche che potevano essere di riferimento per gli amministratori e per i principali attori che operano nel tessuto urbano italiano e, dopo la ricerca, a disseminare le conoscenze per contribuire a cambiare idee e comportamenti. In questa ricerca che doveva aiutare le città italiane a recuperare i ritardi e ad attrezzarsi per essere le culle della nuova “grande trasformazione”, lui voleva ancora esserci. Ero consapevole che sarebbe stato molto difficile fare anche questa nuova avventura insieme, ma con Albino Ruberti, Giovanna Castelli, Maria Rita Delli Quadri, Massimo Misiti e Alfredo Valeri proveremo a dare risposta alle domande che si poneva e ci sottoponeva.
Il prossimo Rapporto Civita sarà sulle città ed avrà forte ed evidente l’impronta di Gianfranco. Farà di sicuro tesoro di uno dei suoi insegnamenti: usare la ricerca e le conoscenze acquisite per aiutare i decisori e le collettività a immaginare e disegnare “nuovi mondi” in cui vivere meglio.
Prefazione
Questa raccolta di scritti e interviste di Gianfranco Imperatori si distingue nettamente dalle sue precedenti pubblicazioni per una sua caratteristica particolare: mette insieme saggi e contributi centrati su una sola tematica dominante, quella della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, della redditività della gestione dei beni storici, dell’economia della cultura, dell’economia della conoscenza.
Gianfranco Imperatori nella sua vita è stato di una versatilità straordinaria, ha operato in campi assai diversi: è stato studioso e teorico dell’economia, banchiere di primo piano, organizzatore culturale, operatore di successo nel cosiddetto terzo settore, il settore no-profit, in quello della solidarietà sociale.
Ma nell’ultima fase della sua esistenza ha avuto un interesse intellettuale e una passione assolutamente dominante: quella di un nuovo modello di sviluppo promosso dalla cultura e dalla conoscenza.
Aveva cioè maturato una visione del futuro molto netta: nel mondo “globalizzato” la crescita economica, sociale, civile sarà guidata dalla conoscenza e dalla cultura, fenomeni non di elite, ma di massa. Da questo interesse e da questa visione nacque venti anni fa, per sua iniziativa Civita, che fu per lui la realizzazione di un sogno.
E’ stato perciò ritenuto molto utile raccogliere in questo volume i suoi scritti più importanti e significativi su questi temi, perché essi documentano le tappe di un itinerario intellettuale, di un “crescendo” di riflessioni, che parte dalla prima esperienza del recupero di un borgo medievale che stava per scomparire, Civita di Bagnoregio, e approda alla complessa e coerente missione che un notevole numero di grandi e piccole imprese hanno affidato a Civita, come centro propulsivo di un nuovo paradigma operativo di creatività e di sviluppo.
La prima tappa di questo itinerario fu l’acquisita consapevolezza del divario tra la ricchezza, la varietà, la molteplicità e di diffusione territoriale del patrimonio storico e artistico, ambientale del nostro Paese e la scarsità delle risorse pubbliche destinate alla loro tutela e valorizzazione. Di qui la necessità di una intensa collaborazione pubblico-privato, di un impegno del sistema delle imprese, perché si realizzi quella sinergia indispensabile a conferire efficienza e redditività immediata e riflessa alla gestione della nostra massima risorsa nazionale.
La prima attenzione fu alle gestioni museali, che fu l’oggetto del primo rapporto annuale Civita, quasi contemporaneo alla legge Ronchey, che apriva ai privati alcuni servizi museali.
Civita ha sempre difeso la competenza esclusiva dello Stato nella tutela dei beni culturali, campo nel quale l’Italia ha sicuramente un primato che risale al Rinascimento, ma ha ritenuto che la tutela deve essere funzionale ad una più moderna, più efficiente, più larga valorizzazione nell’interesse dei cittadini e dello sviluppo del territorio.
Nacque così l’idea “dei distretti culturali”, metodo di valorizzazioni integrate in collaborazione anche con Regioni e amministrazioni locali, alle quali la riforma costituzionale ha dato competenza in tema di valorizzazione.
Una gestione del patrimonio culturale mirata anche alla più alta redditività non poteva inoltre ignorare l’apporto che le nuove tecnologie dell’informazione, l’ICT, potevano dare sia all’opera di conservazione e tutela, sia a quella di più ampia valorizzazione.
E questo fu un altro campo che Imperatori indicò allo studio di Civita, campo esplorato in profondità nei suoi rapporti.
Un altro tema che è stato trattato è quello del turismo e della necessità di una politica nazionale di promozione e di sostegno della quale la cultura e il patrimonio storico e artistico sono un capitolo fondamentale.
E’ abbastanza diffusa la convinzione che in base alla riforma del titolo V della Costituzione il turismo sia materia di competenza esclusiva delle Regioni. La riflessione di Imperatori è illuminante su questo punto: il turismo non è “una materia”, come la sanità o l’istruzione, ben limitata nei suoi confini. E’ soprattutto un complesso fenomeno sociale che è favorito o ostacolato da varie politiche pubbliche: politiche fiscali, di gestione del territorio, di infrastrutture logistiche e di sicurezza, di attrezzature ricettive, e soprattutto di valorizzazione del patrimonio storico artistico: tutte di competenze statali unitarie.
Un coordinamento nazionale della politica turistica perciò è non solo possibile, ma indispensabile.
E’ nata così, ad esempio, l’idea degli “hotel della cultura” sul modello dei “Paradores” spagnoli.
Credo che questo florilegio di scritti e interventi, per la coerenza che li ha ispirati, per la visione nitida che esprimono, per la varietà di stimoli e di riflessioni che contengono, siano una preziosa eredità che ci lascia Gianfranco Imperatori: a noi di Civita innanzitutto, ma anche a chi è chiamato a costruire il futuro del nostro Paese.
23
aprile 2010
Gianfranco Imperatori – L’economia dal volto umano
23 aprile 2010
presentazione
incontro - conferenza
incontro - conferenza
Location
ASSOCIAZIONE CIVITA
Roma, Piazza Venezia, 11, (Roma)
Roma, Piazza Venezia, 11, (Roma)
Vernissage
23 Aprile 2010, ore 18
Ufficio stampa
CIVITA GROUP
Autore