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Tracce e materia
Come già ho avuto modo di scrivere, in una precedente mostra che aveva il medesimo titolo della presente, dalla notte dei tempi l’uomo lascia segni del suo passaggio, tracce della sua esistenza sulla materia inerte
Comunicato stampa
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Dalla pietra su cui gli uomini preistorici incidevano figure e simboli, alla carta vergata d’inchiostro. E da sempre quel gesto, quell’azione ha un valore magico, rituale. E le tracce, i segni che ne derivano hanno un’aura di sacralità che non solo si riverbera sulla materia che li riceve, ma che dalla materia stessa ricava linfa, consistenza, valore aggiunto, slittamenti di senso.
Plasmare lo stesso simbolo nell’argilla o vergarlo sulla tela con un pennello è frutto di un gesto diverso e produce un segno diverso, un “senso” diverso, anche in virtù della diversità della materia che tale gesto-segno accoglie.
Questa mostra indaga proprio questo: il rapporto che intercorre tra gesto, traccia e materia, coniugando non solo idealmente i graffiti dell’uomo preistorico con l’action painting di Pollock e l’informale materico di Alberto Burri.
E proprio da un ideale recupero e da una ricontestualizzazione di antiche tecniche plastiche (ceramica raku e dintorni) che muove la ricerca della marchigiana-lodigiana Ersilietta Gabrielli, che tuttavia realizza una modellazione delle masse e delle forme in chiave sinteticamente contemporanea, sia nei suoi piatti, che ci appaiono come scudi di antichi guerrieri post-moderni, che nelle sue opere a tutto tondo in cui le figure umane sono ridotte a silhouettes arcane violentemente stilizzate.
Anche per il giovane ferrarese Samuel Moretti è fondamentale la scelta del materiale con cui fare pittura: nel suo caso la terra, il fango. Letteralmente solo la terra, impastata con acqua e colore e lasciata seccare in superfici che si crepano, si spaccano in cretti di burriana memoria e che poi vengono piegate, spezzate, ritorte, mettendo in crisi e in discussione l’oggetto ‘quadro’, tresformandolo in scultura (come i tondi della Gabrielli).
Il più maturo milanese Giovanni Mattio invece impasta tipi differenti di sabbie raccolte nei suoi viaggi (o regalategli dagli amici) e che egli usa come pigmenti, con una tercnica che egli definisce ‘ilocromia’, ovvero ‘materia-colore’. Nel suo studio, sparsi a terra o riposti in grandi bidoni di latta, una miriade di sacchetti di sabbie di mille colori e svariate provenienze. Dalla combinazione di quelle sabbie nascono opere di grande suggestione e forza evocativa, talvolta con vaghe e struggenti epifanie figurative.
Impasti vagamente cementizi e pezzi di legno utilizza invece il lombardo Guido Oggioni, mischiati ai pigmenti e stesi in ampie campiture in cui la materia e le forme, circoscritte da linee nette e decise, disegnano paesaggi astratti di grande equilibrio formale e sottile raffinatezza esecutiva .
La napoletana Stefania Presta, il marchigiano-veneto Bruno Cesca, l’imperiese Patrizia Barnato e la sarda Crissi Piras muovono invece da un ripensamento critico dell’action painting di Pollock e Sam Francis, con sfumature e ‘tradimenti’ differenti.
Più ortodosso e vicino a Sam Francis è l’approccio di Bruno Cesca che usa dripping e colature in partiture più o meno rarefatte che giocano sul contrasto cromatico e sul rapporto tra segno e spazio vuoto. Più inquiete e sperimentali Crissi Piras e la giovane Patrizia Barnato. La prima presenta, accanto a sgocciolature e colature, anche alcune opere che si ispirano vagamente alle campiture cromatiche di Rothko. La seconda ha un approccio al limite del concettuale, approccio in cui l’utilizzo del colore e dei materiali e la qualità del gesto è direttamente derivato dall’idea da cui scaturisce l’opera. Stefania Presta infine gioca con il gesto del gettare colore sulla tela contaminandolo con l’uso di sabbie e altre materie in rilievo, insomma strizzando l’occhio al tempo stesso all’Informale e all’Action Painting, con un afflato che potremmo definire inquieto, quasi ‘tragico’.
Virgilio Patarini
Plasmare lo stesso simbolo nell’argilla o vergarlo sulla tela con un pennello è frutto di un gesto diverso e produce un segno diverso, un “senso” diverso, anche in virtù della diversità della materia che tale gesto-segno accoglie.
Questa mostra indaga proprio questo: il rapporto che intercorre tra gesto, traccia e materia, coniugando non solo idealmente i graffiti dell’uomo preistorico con l’action painting di Pollock e l’informale materico di Alberto Burri.
E proprio da un ideale recupero e da una ricontestualizzazione di antiche tecniche plastiche (ceramica raku e dintorni) che muove la ricerca della marchigiana-lodigiana Ersilietta Gabrielli, che tuttavia realizza una modellazione delle masse e delle forme in chiave sinteticamente contemporanea, sia nei suoi piatti, che ci appaiono come scudi di antichi guerrieri post-moderni, che nelle sue opere a tutto tondo in cui le figure umane sono ridotte a silhouettes arcane violentemente stilizzate.
Anche per il giovane ferrarese Samuel Moretti è fondamentale la scelta del materiale con cui fare pittura: nel suo caso la terra, il fango. Letteralmente solo la terra, impastata con acqua e colore e lasciata seccare in superfici che si crepano, si spaccano in cretti di burriana memoria e che poi vengono piegate, spezzate, ritorte, mettendo in crisi e in discussione l’oggetto ‘quadro’, tresformandolo in scultura (come i tondi della Gabrielli).
Il più maturo milanese Giovanni Mattio invece impasta tipi differenti di sabbie raccolte nei suoi viaggi (o regalategli dagli amici) e che egli usa come pigmenti, con una tercnica che egli definisce ‘ilocromia’, ovvero ‘materia-colore’. Nel suo studio, sparsi a terra o riposti in grandi bidoni di latta, una miriade di sacchetti di sabbie di mille colori e svariate provenienze. Dalla combinazione di quelle sabbie nascono opere di grande suggestione e forza evocativa, talvolta con vaghe e struggenti epifanie figurative.
Impasti vagamente cementizi e pezzi di legno utilizza invece il lombardo Guido Oggioni, mischiati ai pigmenti e stesi in ampie campiture in cui la materia e le forme, circoscritte da linee nette e decise, disegnano paesaggi astratti di grande equilibrio formale e sottile raffinatezza esecutiva .
La napoletana Stefania Presta, il marchigiano-veneto Bruno Cesca, l’imperiese Patrizia Barnato e la sarda Crissi Piras muovono invece da un ripensamento critico dell’action painting di Pollock e Sam Francis, con sfumature e ‘tradimenti’ differenti.
Più ortodosso e vicino a Sam Francis è l’approccio di Bruno Cesca che usa dripping e colature in partiture più o meno rarefatte che giocano sul contrasto cromatico e sul rapporto tra segno e spazio vuoto. Più inquiete e sperimentali Crissi Piras e la giovane Patrizia Barnato. La prima presenta, accanto a sgocciolature e colature, anche alcune opere che si ispirano vagamente alle campiture cromatiche di Rothko. La seconda ha un approccio al limite del concettuale, approccio in cui l’utilizzo del colore e dei materiali e la qualità del gesto è direttamente derivato dall’idea da cui scaturisce l’opera. Stefania Presta infine gioca con il gesto del gettare colore sulla tela contaminandolo con l’uso di sabbie e altre materie in rilievo, insomma strizzando l’occhio al tempo stesso all’Informale e all’Action Painting, con un afflato che potremmo definire inquieto, quasi ‘tragico’.
Virgilio Patarini
07
aprile 2010
Tracce e materia
Dal 07 aprile al 02 maggio 2010
arte contemporanea
Location
ATELIER CHAGALL
Milano, Alzaia Naviglio Grande, 4, (Milano)
Milano, Alzaia Naviglio Grande, 4, (Milano)
Orario di apertura
da mercoledì alla domenica ore 15-19
Vernissage
7 Aprile 2010, ore 18.30
Autore
Curatore