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Marco Biondi – Transfotografia
“Marco Biondi riesce a documentare la nostalgia di una diversa condizione e il disagio esistenziale di un presente irrisolto” Achille Benito Oliva
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Marco Biondi riesce a documentare la nostalgia di una diversa condizione e il disagio
esistenziale di un presente irrisolto
Achi Achille Bonito Oliva
Roma, 12 Marzo / 30 Marzo 2010
b>gallery, Piazza Santa Cecilia 16
Si svolgerà presso la b>gallery di Piazza Santa Cecilia a Roma, dal 12 al 30 marzo
2010, la mostra fotografica Transfotografia di Marco Biondi.
Il Vernissage dell’esposizione è previsto in data 12 marzo alle ore 19.00.
Orari: lun/ven h. 11.00/13.00 - 16.00/20.30; sab h. 16.00/20.30; dom chiuso
Per informazioni: +390658334365, info@b-gallery.it
Ufficio Stampa +39 3391108703
“...A Marco Biondi interessa, attraverso l'affermazione del gioco e dell'assurdo, lo
scardinamento della nozione di lavoro artistico, quale produzione particolare e
privilegiata dell'immaginazione. Con la serie dei trans di Biondi l'arte è veramente al
servizio dell'io, e non è mai al servizio del noi, inteso come corpo sociale che pratica
a livello comunitario la propria liberazione attraverso l'esperienza artistica. Qui il livello
politico consiste nell'affermazione totale dell'io, sottratto alla quotidiana normalità e
parzialità e consegnato a una globalità che continua tra maschile e femminile
comunque a riguardarlo individualmente. Lo scarto qui avviene nella diversità del
progetto fotografico, nell'affermazione di un arte come pratica liberatoria del'io e del
noi. La pratica si svolge attraverso il recupero e il privilegio della nozione di lavoro
artistico , nel senso di un funzionamento dell'io al di fuori del proprio cerchio egotico
o attraverso il proprio cerchio egotico, fino a raggiungere la socialità e la storia...”
Achille Bonito Oliva
“...Benvenuti nell’inferno di mezzo, che non è vita e non è morte, non è giorno e non
è notte, non è palese ma esiste, non è donna e non è uomo. Potrebbe essere una
creatura quasi fiabesca, e invece è considerata una mostruosità, il gradino più basso
di un’umanità nascosta, quel gradino che mai si vorrebbe venisse portato in
superficie, alla luce. Semplicemente, un transessuale...”
Chiara Oggioni Tiepolo
Note Biografiche
Marco Biondi nasce a Roma nel 1965. Inizia a fotografare negli anni ’80 e comincia a
lavorare all'inizio degli anni ’90. Lavora con tutte le più importanti agenzie d’Italia per
campagne nazionali ed internazionali e le sue foto vincono diversi premi tra i quali il
14° ed il16° ADCI Awards (Annual 1999 e 2001) .
E' rappresentato dal 1996 da Allucinazione.
Transfotografia – fotografie di Marco Biondi
A cura di Chiara Oggioni Tiepolo
Due occhi brillano fugaci nel lampo dei fari nella notte. La luce pian piano aumenta, o gli occhi si abituano, e attorno a quello sguardo si palesano i contorni di una donna. Poco vestita, volgare certo, sguaiata addirittura, perversa sicuramente. Una che non ci metti molto a capire che lavoro fa. Ma la notte nasconde, molto più che illuminare, e quella donna non è poi tanto tale. Vorrebbe esserlo, ma in una trasformazione interrotta si è ritrovata ad essere uno scherzo della natura, un’aberrazione, una creatura quasi mitologica di cui tutti parlano ma che nessuno vuole vedere, non alla luce del giorno, almeno. Quelle esistenze ai margini per le quali si preferisce girare la testa dall’altra parte, affondando il naso nella prima bancarella che capita, o studiando un qualunque citofono a tiro, o cercando nella borsa un cellulare che non suona. Sono umanità storte e distorte, brutte, tristi, foriere di degrado e di cadute. Forse facendo finta che non esistano prima o poi spariranno, rientrando nel ruolo che può al massimo competere loro, quello della tradizione orale, il nano con tre braccia, il leone con due teste, la donna che aveva gli attributi di un uomo.
In effetti, non sono storie a lieto fine queste, il più delle volte, ma vicende in cui l’emarginazione diventa giocoforza una scelta di vita, per quanto il desiderio spinga verso un’esistenza identica a quella che qualsiasi persona vorrebbe costruire. Ecco dunque che anche fra le pareti domestiche, in quei luoghi deputati alla sicurezza, alla protezione, al calore, lo scenario non cambia di molto. Semplicemente, la luce aumenta, evidenziando inevitabilmente distorsioni e brutture: occhi di bambino e sguardi maliziosi, movenze da femmina in un corpo che ha qualcosa di troppo, e qualcosa di meno. Mani che si muovono, mimano le mosse di una danza seducente, le dita tozze, la laccatura quasi inopportuna. Le violenze che superano quelle dalle quali si è tentato di sfuggire.
Poco importano la dolcezza in uno sguardo e l’infinita tristezza che si espande da un’espressione, fino quasi a diventare tangibile. Prendono forma creature grottesche e al tempo stesso tragiche, ermafroditi del terzo millennio. Una posizione che non ha una collocazione, un ruolo, un diritto all’esistenza. Si abusa del termine, in questi giorni, come si fa solitamente con quelle parole che ricorrono nelle notizie ma delle quali sfugge l’essenza. Essere una creatura imprigionata in un corpo che non le appartiene e al quale è stata preclusa la trasformazione definitiva. In ragione dei soldi, della perversione, del mercato, per quanto non sia conveniente parlarne. Benvenuti nell’inferno di mezzo, che non è vita e non è morte, non è giorno e non è notte, non è palese ma esiste, non è donna e non è uomo. Potrebbe essere una creatura quasi fiabesca, e invece è considerata una mostruosità, il gradino più basso di un’umanità nascosta, quel gradino che mai si vorrebbe venisse portato in superficie, alla luce. Semplicemente, un transessuale.
La Transfotografia di Marco Biondi
" Tanto credito prestiamo alla vita, a ciò che essa ha di più precario - la vita reale naturalmente - che quel credito finisce per perdersi ". Così nel 1924 Andrè Breton apriva il Primo manifesto del Surrealismo, nel quale l'arte teorizzava una strategia di avvicinamento alla vita proprio per risolverne la realtà " mancata ", quella quotidiana e puramente cronologica, attraverso l'affermazione di una surrealtà costruita dall'immaginazione, dal sogno, dalla follia che il quotidiano riesce solo a sospettare (una finestra sull'interno, cioè sull'inconscio). Perché il quotidiano si svolge sotto il segno della parzialità e dell'inadempimento, in cui le azioni e la produzione di gesti non sono assolutamente quello che Kris definisce " al servizio dell'io ma, attraverso la loro stereotipia, tendono a portare l'uomo verso il movimento apparente, verso la paralisi. Già il Dadaismo, in particolare il Cabaret Voltaire, aveva posto l'accento sulla capacità attivamente liberatoria dell'immaginazione, quale deterrente pratico per rifondare l'arte a un livello antropologico. Solo con la fotografia questo avviene con felice e deciso cinismo, nella consapevolezza che partire dalla tabula rasa significa anche tornarci (in un mondo dove tutto significa e niente significa), senza feticizzare la specificità del momento creativo, dell'opera creata. Anzi a Marco Biondi interessa, attraverso l'affermazione del gioco e dell'assurdo, lo scardinamento della nozione di lavoro artistico, quale produzione particolare e privilegiata dell'immaginazione. Con la serie dei trans di Biondi l'arte è veramente al servizio dell'io, e non è mai al servizio del noi, inteso come corpo sociale che pratica a livello comunitario la propria liberazione attraverso l'esperienza artistica. Qui il livello politico consiste nell'affermazione totale dell'io, sottratto alla quotidiana normalità e parzialità e consegnato a una globalità che continua tra maschile e femminile comunque a riguardarlo individualmente. Lo scarto qui avviene nella diversità del progetto fotografico, nell'affermazione di un arte come pratica liberatoria del'io e del noi. La pratica si svolge attraverso il recupero e il privilegio della nozione di lavoro artistico , nel senso di un funzionamento dell'io al di fuori del proprio cerchio egotico o attraverso il proprio cerchio egotico, fino a raggiungere la socialità e la storia.
La creazione fotografica di Marco Biondi diventa allora il tentativo di riparare alla subnormalità del reale e ricreare, secondo il concetto di Melanie Klein, l'origine della creatività, lo sviluppo dei simboli e del senso di realtà. " Ogni creazione è in realtà la ricreazione di un oggetto che un tempo era amato ed integro, ma poi si è trovato ad essere perduto e rovinato, di un mondo interno e di un sé frantumato; se l'opera d'arte è per l'artista il modo più soddisfacente e completo con cui poter alleviare il rimorso e la disperazione nascenti dalla posizione depressiva e ricostruire i suoi oggetti distrutti, essa non è d'altronde se non uno dei molti modi umani per conseguire questo scopo." ( H. Segal, Introduzione all'opera di Melanie Klein, 1968). Ma la fotografia non tende a considerare intercambiabile l'operare artistico con le altre attività umane, bensì a privilegiare in maniera specifica le tecniche dello sguardo aperto sul mondo.
L'opera diventa la testimonianza, il lapsus del desiderio di riportare, dal livello del segno evidente, l'io alla propria unità. L'unità si pone come trasgressione della parzialità strutturale entro cui vive gettato in un mondo diviso tra maschile e femminile che tende sempre a dare questa unità come impossibilità. Così si ricostruisce l'eccentrico e l'esemplare , esperienza particolare che non è data a tutti e che l'artista cerca in qualche modo di mascherare, rendendo clandestino il proprio spazio operativo, riportato a tecniche usuali e didattiche.
Ma riparare l'oggetto significa anche ridare funzionamento all'oggetto sociale, al corpo della comunità, che invece vive separato nella distanza stupefatta della contemplazione.
La socialità diventa dunque lo specchio opaco dentro il quale l'artista misura la propria diversità, accrescitiva per se stesso, ma parametro paralizzante per la società.
" Il successo dell'artista deriva dall'essere egli pienamente capace di riconoscere ed esprimere le sue fantasie ed ansie depressive. Nell'esprimerle, egli compie un lavoro simile a quello del lutto, in quanto ricrea internamente un mondo armonioso che viene proiettato nella sua opera d'arte". ( H. Segal, Introduzione all'opera di Melanie Klein, 1968). La coscienza della diversità dell'opera rispetto agli altri oggetti del mondo, della diversità dell'io artistico rispetto all'orizzontale anonimato del noi e la diversità dei trans fotografati da Marco Biondi che riesce a documentare la nostalgia di una diversa condizione ed il disagio esistenziale (attraverso il bianco e nero) di un presente irrisolto.
Achille Bonito Oliva
esistenziale di un presente irrisolto
Achi Achille Bonito Oliva
Roma, 12 Marzo / 30 Marzo 2010
b>gallery, Piazza Santa Cecilia 16
Si svolgerà presso la b>gallery di Piazza Santa Cecilia a Roma, dal 12 al 30 marzo
2010, la mostra fotografica Transfotografia di Marco Biondi.
Il Vernissage dell’esposizione è previsto in data 12 marzo alle ore 19.00.
Orari: lun/ven h. 11.00/13.00 - 16.00/20.30; sab h. 16.00/20.30; dom chiuso
Per informazioni: +390658334365, info@b-gallery.it
Ufficio Stampa +39 3391108703
“...A Marco Biondi interessa, attraverso l'affermazione del gioco e dell'assurdo, lo
scardinamento della nozione di lavoro artistico, quale produzione particolare e
privilegiata dell'immaginazione. Con la serie dei trans di Biondi l'arte è veramente al
servizio dell'io, e non è mai al servizio del noi, inteso come corpo sociale che pratica
a livello comunitario la propria liberazione attraverso l'esperienza artistica. Qui il livello
politico consiste nell'affermazione totale dell'io, sottratto alla quotidiana normalità e
parzialità e consegnato a una globalità che continua tra maschile e femminile
comunque a riguardarlo individualmente. Lo scarto qui avviene nella diversità del
progetto fotografico, nell'affermazione di un arte come pratica liberatoria del'io e del
noi. La pratica si svolge attraverso il recupero e il privilegio della nozione di lavoro
artistico , nel senso di un funzionamento dell'io al di fuori del proprio cerchio egotico
o attraverso il proprio cerchio egotico, fino a raggiungere la socialità e la storia...”
Achille Bonito Oliva
“...Benvenuti nell’inferno di mezzo, che non è vita e non è morte, non è giorno e non
è notte, non è palese ma esiste, non è donna e non è uomo. Potrebbe essere una
creatura quasi fiabesca, e invece è considerata una mostruosità, il gradino più basso
di un’umanità nascosta, quel gradino che mai si vorrebbe venisse portato in
superficie, alla luce. Semplicemente, un transessuale...”
Chiara Oggioni Tiepolo
Note Biografiche
Marco Biondi nasce a Roma nel 1965. Inizia a fotografare negli anni ’80 e comincia a
lavorare all'inizio degli anni ’90. Lavora con tutte le più importanti agenzie d’Italia per
campagne nazionali ed internazionali e le sue foto vincono diversi premi tra i quali il
14° ed il16° ADCI Awards (Annual 1999 e 2001) .
E' rappresentato dal 1996 da Allucinazione.
Transfotografia – fotografie di Marco Biondi
A cura di Chiara Oggioni Tiepolo
Due occhi brillano fugaci nel lampo dei fari nella notte. La luce pian piano aumenta, o gli occhi si abituano, e attorno a quello sguardo si palesano i contorni di una donna. Poco vestita, volgare certo, sguaiata addirittura, perversa sicuramente. Una che non ci metti molto a capire che lavoro fa. Ma la notte nasconde, molto più che illuminare, e quella donna non è poi tanto tale. Vorrebbe esserlo, ma in una trasformazione interrotta si è ritrovata ad essere uno scherzo della natura, un’aberrazione, una creatura quasi mitologica di cui tutti parlano ma che nessuno vuole vedere, non alla luce del giorno, almeno. Quelle esistenze ai margini per le quali si preferisce girare la testa dall’altra parte, affondando il naso nella prima bancarella che capita, o studiando un qualunque citofono a tiro, o cercando nella borsa un cellulare che non suona. Sono umanità storte e distorte, brutte, tristi, foriere di degrado e di cadute. Forse facendo finta che non esistano prima o poi spariranno, rientrando nel ruolo che può al massimo competere loro, quello della tradizione orale, il nano con tre braccia, il leone con due teste, la donna che aveva gli attributi di un uomo.
In effetti, non sono storie a lieto fine queste, il più delle volte, ma vicende in cui l’emarginazione diventa giocoforza una scelta di vita, per quanto il desiderio spinga verso un’esistenza identica a quella che qualsiasi persona vorrebbe costruire. Ecco dunque che anche fra le pareti domestiche, in quei luoghi deputati alla sicurezza, alla protezione, al calore, lo scenario non cambia di molto. Semplicemente, la luce aumenta, evidenziando inevitabilmente distorsioni e brutture: occhi di bambino e sguardi maliziosi, movenze da femmina in un corpo che ha qualcosa di troppo, e qualcosa di meno. Mani che si muovono, mimano le mosse di una danza seducente, le dita tozze, la laccatura quasi inopportuna. Le violenze che superano quelle dalle quali si è tentato di sfuggire.
Poco importano la dolcezza in uno sguardo e l’infinita tristezza che si espande da un’espressione, fino quasi a diventare tangibile. Prendono forma creature grottesche e al tempo stesso tragiche, ermafroditi del terzo millennio. Una posizione che non ha una collocazione, un ruolo, un diritto all’esistenza. Si abusa del termine, in questi giorni, come si fa solitamente con quelle parole che ricorrono nelle notizie ma delle quali sfugge l’essenza. Essere una creatura imprigionata in un corpo che non le appartiene e al quale è stata preclusa la trasformazione definitiva. In ragione dei soldi, della perversione, del mercato, per quanto non sia conveniente parlarne. Benvenuti nell’inferno di mezzo, che non è vita e non è morte, non è giorno e non è notte, non è palese ma esiste, non è donna e non è uomo. Potrebbe essere una creatura quasi fiabesca, e invece è considerata una mostruosità, il gradino più basso di un’umanità nascosta, quel gradino che mai si vorrebbe venisse portato in superficie, alla luce. Semplicemente, un transessuale.
La Transfotografia di Marco Biondi
" Tanto credito prestiamo alla vita, a ciò che essa ha di più precario - la vita reale naturalmente - che quel credito finisce per perdersi ". Così nel 1924 Andrè Breton apriva il Primo manifesto del Surrealismo, nel quale l'arte teorizzava una strategia di avvicinamento alla vita proprio per risolverne la realtà " mancata ", quella quotidiana e puramente cronologica, attraverso l'affermazione di una surrealtà costruita dall'immaginazione, dal sogno, dalla follia che il quotidiano riesce solo a sospettare (una finestra sull'interno, cioè sull'inconscio). Perché il quotidiano si svolge sotto il segno della parzialità e dell'inadempimento, in cui le azioni e la produzione di gesti non sono assolutamente quello che Kris definisce " al servizio dell'io ma, attraverso la loro stereotipia, tendono a portare l'uomo verso il movimento apparente, verso la paralisi. Già il Dadaismo, in particolare il Cabaret Voltaire, aveva posto l'accento sulla capacità attivamente liberatoria dell'immaginazione, quale deterrente pratico per rifondare l'arte a un livello antropologico. Solo con la fotografia questo avviene con felice e deciso cinismo, nella consapevolezza che partire dalla tabula rasa significa anche tornarci (in un mondo dove tutto significa e niente significa), senza feticizzare la specificità del momento creativo, dell'opera creata. Anzi a Marco Biondi interessa, attraverso l'affermazione del gioco e dell'assurdo, lo scardinamento della nozione di lavoro artistico, quale produzione particolare e privilegiata dell'immaginazione. Con la serie dei trans di Biondi l'arte è veramente al servizio dell'io, e non è mai al servizio del noi, inteso come corpo sociale che pratica a livello comunitario la propria liberazione attraverso l'esperienza artistica. Qui il livello politico consiste nell'affermazione totale dell'io, sottratto alla quotidiana normalità e parzialità e consegnato a una globalità che continua tra maschile e femminile comunque a riguardarlo individualmente. Lo scarto qui avviene nella diversità del progetto fotografico, nell'affermazione di un arte come pratica liberatoria del'io e del noi. La pratica si svolge attraverso il recupero e il privilegio della nozione di lavoro artistico , nel senso di un funzionamento dell'io al di fuori del proprio cerchio egotico o attraverso il proprio cerchio egotico, fino a raggiungere la socialità e la storia.
La creazione fotografica di Marco Biondi diventa allora il tentativo di riparare alla subnormalità del reale e ricreare, secondo il concetto di Melanie Klein, l'origine della creatività, lo sviluppo dei simboli e del senso di realtà. " Ogni creazione è in realtà la ricreazione di un oggetto che un tempo era amato ed integro, ma poi si è trovato ad essere perduto e rovinato, di un mondo interno e di un sé frantumato; se l'opera d'arte è per l'artista il modo più soddisfacente e completo con cui poter alleviare il rimorso e la disperazione nascenti dalla posizione depressiva e ricostruire i suoi oggetti distrutti, essa non è d'altronde se non uno dei molti modi umani per conseguire questo scopo." ( H. Segal, Introduzione all'opera di Melanie Klein, 1968). Ma la fotografia non tende a considerare intercambiabile l'operare artistico con le altre attività umane, bensì a privilegiare in maniera specifica le tecniche dello sguardo aperto sul mondo.
L'opera diventa la testimonianza, il lapsus del desiderio di riportare, dal livello del segno evidente, l'io alla propria unità. L'unità si pone come trasgressione della parzialità strutturale entro cui vive gettato in un mondo diviso tra maschile e femminile che tende sempre a dare questa unità come impossibilità. Così si ricostruisce l'eccentrico e l'esemplare , esperienza particolare che non è data a tutti e che l'artista cerca in qualche modo di mascherare, rendendo clandestino il proprio spazio operativo, riportato a tecniche usuali e didattiche.
Ma riparare l'oggetto significa anche ridare funzionamento all'oggetto sociale, al corpo della comunità, che invece vive separato nella distanza stupefatta della contemplazione.
La socialità diventa dunque lo specchio opaco dentro il quale l'artista misura la propria diversità, accrescitiva per se stesso, ma parametro paralizzante per la società.
" Il successo dell'artista deriva dall'essere egli pienamente capace di riconoscere ed esprimere le sue fantasie ed ansie depressive. Nell'esprimerle, egli compie un lavoro simile a quello del lutto, in quanto ricrea internamente un mondo armonioso che viene proiettato nella sua opera d'arte". ( H. Segal, Introduzione all'opera di Melanie Klein, 1968). La coscienza della diversità dell'opera rispetto agli altri oggetti del mondo, della diversità dell'io artistico rispetto all'orizzontale anonimato del noi e la diversità dei trans fotografati da Marco Biondi che riesce a documentare la nostalgia di una diversa condizione ed il disagio esistenziale (attraverso il bianco e nero) di un presente irrisolto.
Achille Bonito Oliva
12
marzo 2010
Marco Biondi – Transfotografia
Dal 12 al 30 marzo 2010
fotografia
Location
B>GALLERY
Roma, Piazza Di Santa Cecilia, 16, (Roma)
Roma, Piazza Di Santa Cecilia, 16, (Roma)
Orario di apertura
lun/ven h. 11.00/13.00 - 16.00/20.30; sab h.
16.00/20.30; dom chiuso
Vernissage
12 Marzo 2010, ore 19
Autore
Curatore