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Città universale. Le collezioni orientali a Roma #2
Ciclo di incontri durante il quale curatori ed esperti di museologia illustreranno alcune tra le numerose collezioni orientali presenti nella Città Eterna.
Comunicato stampa
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Riccardo Rosati, museologo attivo anche nel campo degli studi orientali. Ha varie esperienze nel settore dei Beni Culturali. In questo ambito ha pubblicato Nel quartiere (2004) e La visione nel Museo (2005), entrambi editi da Starrylink. Ha inoltre pubblicato articoli su riviste specializzate, tra queste Nuovamuseologia (organo ufficiale dell’Associazione Italiana di Studi Museologici). Tiene una rubrica sui musei per la rivista di didattica e cultura italiana Dall’ITALIA. Negli ultimi anni, il suo interesse si è indirizzato verso una maggiore comprensione di quello che l’effettivo patrimonio museale italiano per quanto concerne l’Oriente. Da qui, l’idea di curare questo ciclo di conferenze sulle collezioni asiatiche presenti a Roma.
INTRODUZIONE
Per prima cosa intendo ringraziare il dott. Polichetti per aver aderito con entusiasmo a questa iniziativa, che ci auguriamo possa non solo farvi conoscere e approfondire aspetti di Roma che forse non conoscete ancora, ma anche porre in essere una riflessione su come quella che viene chiamata la Città Eterna, sia da secoli crocevia di popoli, nonché luogo in cui approda e si genera la cultura, possiamo affermare, in tutte le sue forme. Ringraziamo inoltre il soprintendente del Museo Nazionale d’Arte Orientale, la dott.ssa Maria Rosaria Barbera, per la disponibilità e sensibilità che ha mostrato verso questo evento. Difatti, il museo che lei dirige è l’unico del genere in Italia che possa vantare la dicitura “nazionale”. Numerose sono le collezioni orientali nel nostro paese, ma trattasi però di musei civici o privati. Dunque, con l’incontro di oggi intendiamo sensibilizzare il pubblico romano verso la scoperta, o magari riscoperta, di un luogo che è dei romani tutti, proprio perché è un museo dello Stato, dunque Patrimonio del Paese. Purtroppo, spesso persino le istituzioni tendono a considerare tutto quello che non è archeologia classica o arte del Rinascimento e del Barocco, come un qualcosa di secondario, figuriamoci poi quando si ha a che fare con culture lontane e complesse come quelle orientali; sembra quasi che ci venga insegnato a pensare: “quella non è roba nostra”. Da qui nasce il, non credo di esagerare, dramma culturale italiano e di Roma: un ben consolidato (so che una parola poco elegante) “provincialismo”. Eppure, se dovessimo buttare giù su carta soltanto i nomi di tutti quegli italiani che nei secoli hanno svolto un ruolo fondamentale nello studio e nella comprensione dei popoli orientali, converremmo che forse nessuna altra nazione può vantare una tradizione tanto ricca e variegata. Certo, si tratterebbe solo di un banale elenco di nomi e date, tutte da contestualizzare e analizzare con un severo metodo scientifico. Tuttavia, questa lista servirebbe comunque da memento su quello che siamo stati e quello che potremmo ancora essere, ma ancor di più su cosa rischiamo ogni giorno di perdere a causa della nostra trascuratezza e, ammettiamolo pure, malcelata esterofilia. Ad esempio, perché sovente l’italiano medio quando passa soli tre giorni a Londra o a Parigi sente la necessità di visitare il British Museum o il Louvre e quando invece soggiorna per qualche mese a Roma, non mette piede nei Musei Vaticani, adducendo magari la scusa che la fila è troppo lunga? Non si fanno forse file durante la Notte Bianca e manifestazioni analoghe? Spero perdonerete queste mie domande, mi rendo conto, in parte provocatorie; ma con quale criterio siamo talvolta spinti a ritenere che Francia, Gran Bretagna, Stai Uniti e via dicendo posseggano, nel caso specifico del tema dei nostri incontri, collezioni orientali più importanti e degne di nota di quelle presenti sul territorio italiano? Il criterio forse è quello del “non sapere”. Un princìpio cardine dei Beni Culturali vede la valorizzazione dell’opera d’arte come un qualcosa di inscindibile dal concetto stesso di tutela. Ma cos’è dunque la valorizzazione? Ecco, essa è conoscenza. Un Bene, se rinchiuso nei magazzini, o peggio nella teca di un museo che nessuno visita, perde la sua fruibilità, tradendo la sua stessa storia. Non è possibile amare qualcosa che non si conosce, dunque come affermare che conosciamo Roma se non andiamo mai ai Fori o ai Vaticani, dicendo che “tanto stanno e staranno sempre là” (in fondo stanno già là da secoli), e che prima poi arriverà il momento in cui non avremo proprio nulla da fare e che dunque decideremo infine di visitare questi luoghi. Peccato davvero, perché questa è l’unica città al mondo in cui la Storia, quella con la “s” maiuscola, è venuta e non è stata solo “trasportata”. Nei musei romani non troviamo, come avviene invece in altri casi, pezzi interi di templi greci staccati per essere ricontestualizzati in modo coatto a migliaia di chilometri di distanza. André Malraux nel suo bellissimo testo Le Musée Imaginaire afferma che quando un’opera d’arte viene scissa dal proprio contesto, perde la sua aura.
Vi ringrazio dunque per la vostra partecipazione. Vorrei concludere dicendo che abbiamo scelto di parlare di Roma come città “universale”, in quanto luogo dalle tante storie e molteplici sfaccettature; valgano da esempi il piccolo antiquarium di un’insula romana sotto il Celio, dove è possibile trovare una serie di piatti in vetro di fattura islamica di grande interesse o anche il semplice fatto che l’Antico Egitto ce l’abbiamo persino sotto i nostri piedi, nella nostra terra, come nel caso dell’Iseo Campense. Ragion per cui, stasera abbiamo non solo l’opportunità di conoscere meglio le culture dell’India, Tibet e Nepal, ma anche di ricordarci che a circa cento metri dalla fermata della metropolitana vi è un museo che forse andrebbe aiutato di più dal cittadino e dallo studioso, e il primo e più importante modo per aiutare un museo è quello di visitarlo, non lasciarlo solo. L’essere umano ha bisogno di ricordare
INTRODUZIONE
Per prima cosa intendo ringraziare il dott. Polichetti per aver aderito con entusiasmo a questa iniziativa, che ci auguriamo possa non solo farvi conoscere e approfondire aspetti di Roma che forse non conoscete ancora, ma anche porre in essere una riflessione su come quella che viene chiamata la Città Eterna, sia da secoli crocevia di popoli, nonché luogo in cui approda e si genera la cultura, possiamo affermare, in tutte le sue forme. Ringraziamo inoltre il soprintendente del Museo Nazionale d’Arte Orientale, la dott.ssa Maria Rosaria Barbera, per la disponibilità e sensibilità che ha mostrato verso questo evento. Difatti, il museo che lei dirige è l’unico del genere in Italia che possa vantare la dicitura “nazionale”. Numerose sono le collezioni orientali nel nostro paese, ma trattasi però di musei civici o privati. Dunque, con l’incontro di oggi intendiamo sensibilizzare il pubblico romano verso la scoperta, o magari riscoperta, di un luogo che è dei romani tutti, proprio perché è un museo dello Stato, dunque Patrimonio del Paese. Purtroppo, spesso persino le istituzioni tendono a considerare tutto quello che non è archeologia classica o arte del Rinascimento e del Barocco, come un qualcosa di secondario, figuriamoci poi quando si ha a che fare con culture lontane e complesse come quelle orientali; sembra quasi che ci venga insegnato a pensare: “quella non è roba nostra”. Da qui nasce il, non credo di esagerare, dramma culturale italiano e di Roma: un ben consolidato (so che una parola poco elegante) “provincialismo”. Eppure, se dovessimo buttare giù su carta soltanto i nomi di tutti quegli italiani che nei secoli hanno svolto un ruolo fondamentale nello studio e nella comprensione dei popoli orientali, converremmo che forse nessuna altra nazione può vantare una tradizione tanto ricca e variegata. Certo, si tratterebbe solo di un banale elenco di nomi e date, tutte da contestualizzare e analizzare con un severo metodo scientifico. Tuttavia, questa lista servirebbe comunque da memento su quello che siamo stati e quello che potremmo ancora essere, ma ancor di più su cosa rischiamo ogni giorno di perdere a causa della nostra trascuratezza e, ammettiamolo pure, malcelata esterofilia. Ad esempio, perché sovente l’italiano medio quando passa soli tre giorni a Londra o a Parigi sente la necessità di visitare il British Museum o il Louvre e quando invece soggiorna per qualche mese a Roma, non mette piede nei Musei Vaticani, adducendo magari la scusa che la fila è troppo lunga? Non si fanno forse file durante la Notte Bianca e manifestazioni analoghe? Spero perdonerete queste mie domande, mi rendo conto, in parte provocatorie; ma con quale criterio siamo talvolta spinti a ritenere che Francia, Gran Bretagna, Stai Uniti e via dicendo posseggano, nel caso specifico del tema dei nostri incontri, collezioni orientali più importanti e degne di nota di quelle presenti sul territorio italiano? Il criterio forse è quello del “non sapere”. Un princìpio cardine dei Beni Culturali vede la valorizzazione dell’opera d’arte come un qualcosa di inscindibile dal concetto stesso di tutela. Ma cos’è dunque la valorizzazione? Ecco, essa è conoscenza. Un Bene, se rinchiuso nei magazzini, o peggio nella teca di un museo che nessuno visita, perde la sua fruibilità, tradendo la sua stessa storia. Non è possibile amare qualcosa che non si conosce, dunque come affermare che conosciamo Roma se non andiamo mai ai Fori o ai Vaticani, dicendo che “tanto stanno e staranno sempre là” (in fondo stanno già là da secoli), e che prima poi arriverà il momento in cui non avremo proprio nulla da fare e che dunque decideremo infine di visitare questi luoghi. Peccato davvero, perché questa è l’unica città al mondo in cui la Storia, quella con la “s” maiuscola, è venuta e non è stata solo “trasportata”. Nei musei romani non troviamo, come avviene invece in altri casi, pezzi interi di templi greci staccati per essere ricontestualizzati in modo coatto a migliaia di chilometri di distanza. André Malraux nel suo bellissimo testo Le Musée Imaginaire afferma che quando un’opera d’arte viene scissa dal proprio contesto, perde la sua aura.
Vi ringrazio dunque per la vostra partecipazione. Vorrei concludere dicendo che abbiamo scelto di parlare di Roma come città “universale”, in quanto luogo dalle tante storie e molteplici sfaccettature; valgano da esempi il piccolo antiquarium di un’insula romana sotto il Celio, dove è possibile trovare una serie di piatti in vetro di fattura islamica di grande interesse o anche il semplice fatto che l’Antico Egitto ce l’abbiamo persino sotto i nostri piedi, nella nostra terra, come nel caso dell’Iseo Campense. Ragion per cui, stasera abbiamo non solo l’opportunità di conoscere meglio le culture dell’India, Tibet e Nepal, ma anche di ricordarci che a circa cento metri dalla fermata della metropolitana vi è un museo che forse andrebbe aiutato di più dal cittadino e dallo studioso, e il primo e più importante modo per aiutare un museo è quello di visitarlo, non lasciarlo solo. L’essere umano ha bisogno di ricordare
05
marzo 2010
Città universale. Le collezioni orientali a Roma #2
05 marzo 2010
incontro - conferenza
Location
VERSORIENTE
Roma, Vicolo Cellini, 17, (ROMA)
Roma, Vicolo Cellini, 17, (ROMA)
Vernissage
5 Marzo 2010, ore 18.30
Curatore