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Redon | Music | Picasso – Apocalissi
In mostra incisioni e litografie che con diverse modalità si accostano al tema dell’Apocalisse.
Comunicato stampa
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Di Odilon Redon sarà presentata l'intera cartella de L’Apocalypse de Saint-Jean, con le dodici litografie che l'artista francese, massima espressione del simbolismo nell'arte figurativa, creò nel 1899. Zoran Music appare invece con un'incisione della serie Noi non siamo gli ultimi e con la serie di litografie Cadastre de cadavres, pubblicata nel 1974 con testo di Renè de Solier. Di Pablo Picasso saranno in mostra le due incisioni della cartella "Sueño y Mentira de Franco" del 1937, realizzate a cavallo del bombardamento di Guernica.
Accompagna la mostra un catalogo edito da Siniscalco Arte con testi di Domenico Montalto e Pasquale Siniscalco.
La capacità suggestiva di Odilon Redon, la sua iconografia personalissima e surreale, la formidabile capacità di generare suggestione e spiazzamento, il senso onirico e visionario che caratterizza la sua opera sembrano naturalmente portare l’artista al confronto con l’Apocalisse di Giovanni. Così la pensa anche l’editore e mercante d’arte Ambroise Vollard, che nel 1899 gli commissiona le dodici tavole dell’Apocalypse de Saint-Jean, in quello che sarà l’ultimo degli album litografici dell’artista francese. All’epoca, Redon aveva già pubblicato serie di litografie ispirate a temi letterari, le quali, più che illustrazioni propriamente dette, costituivano personali interpretations del testo, creando correspondances tra la parola e il mondo interiore dell’artista. Qui dimorano le sue misteriose entità, creature di sogno e di inquietante fattura, probabilmente generatesi fin dalla sua infanzia quasi solitaria, e progressivamente materializzatesi anche grazie alla lettura di Poe e Baudelaire, alla vicinanza al panteismo di Spinoza e alle osservazioni al microscopio in compagnia del botanico Clavaud. Eppure, nell’Apocalypse Redon si tiene legato più strettamente alla lettera giovannea di quanto avesse fatto nelle sue precedenti cartelle, quasi intimidito dalla intrinseca affabulatorietà del testo, limitando al minimo le potenzialità suggestive proprie del suo personalissimo bagaglio espressivo. Tuttavia, le dodici tavole, anche quando descrivono passi violentemente drammatici del testo, trasudano magia e mistero, e quel fascino spiazzante che è il marchio indiscusso dell’opera di Odilon Redon.
Apocalissi del male, e quindi cristianamente Anti-Apocalissi, sono invece le incisioni, i disegni, gli oli che Anton Zoran Music dedicò alle tremende visioni del lager di Dachau dove fu internato nel 1944. Music, artista di lingua slovena nato nella Gorizia ancora austro-ungarica, aveva fino all’inizio degli anni ’70 prodotto opere di delicata fattura legate alle sensazioni e ai ricordi del suo costante vagare. Il suo stile, a volte segnico a volte sfumato, ondeggiante in una terra di mezzo tra figurazione e astrazione, si era collocato al di fuori delle avanguardie e dei movimenti che si erano susseguiti in quegli anni e si era posto al servizio della natura ultima della sua arte, la ricerca della profondità essenziale delle cose. I suoi soggetti più cari erano stati i paesaggi dalmati e istriani dell’infanzia animati da figure arcaiche, quella Venezia che lo aveva accolto, le reminescenze bizantine dei suoi primi autoritratti, i colori morbidi della campagna umbra e toscana. All’improvviso, i ricordi del lager, riposti fino ad allora in un angolo del suo animo, chiedono spazio, riemergono prepotentemente. Gli schizzi che Music aveva realizzato durante la reclusione e tenuti nascosti, rivogliono la luce. Scene che sono oltre l’umano tollerare devono lasciare la memoria singola e personale per essere nuovamente fissate su carta, su lastra, su tela, in un atto di testimonianza perenne ed universale. Terribile è il titolo che Music dà alla quasi totalità di queste opere: “Noi non siamo gli ultimi”, monito della ripetibilità dell’indicibile. Così come è inquietante la percezione estetica di quelle opere: i morti di Music, segno dell’abominio, sono belli. Belli li vedeva l’artista (di una grandiosa e tragica bellezza, secondo i suoi diari), belli li vediamo noi: la bellezza che viene dalla verità, la bellezza apocalisse del vero.
Apocalisse è anche sinonimo di catastrofe senza paragoni, di devastazione indiscriminata. Così dovette vedere Picasso, il 26 Aprile del 1937, la distruzione della città basca di Guernica da parte della legione Condor dell’aviazione tedesca. Picasso era a Parigi, lavorando a due progetti a sostegno della Repubblica di Spagna guidata dal Fronte Popolare. Nasceva il progetto di Sueño y Mentira de Franco: due fogli accompagnati da un testo dello stesso Picasso, strutturati ognuno in nove piccoli riquadri, che dipingevano il caudillo spagnolo come una figura paradossale e grottesca, dedito alle peggiori bassezze ai danni della Spagna. La lastra del primo foglio venne incisa di getto l’8 Gennaio del 1937, mentre il giorno dopo furono realizzati solo alcuni riquadri del secondo foglio, lasciando il resto del lavoro incompiuto. Nello stesso tempo, a Picasso era stata commissionata dal governo repubblicano un’opera murale per il padiglione spagnolo dell’Esposizione Universale che si sarebbe tenuta nella capitale francese in quell’anno. Alla notizia dell’eccidio di Guernica, Picasso ruppe gli indugi sulla natura del lavoro da proporre e in giorni di febbrile lavoro elaborò versioni su versioni della sua opera producendo centinaia di bozzetti preparatori nei primi giorni di Maggio. Alcune delle figure che appaiono nel dipinto e nei bozzetti (la donna con le mani protese, la madre piangente, le vittime straziate) andarono allora a riempire le caselle lasciate ancora libere nella seconda lastra incompiuta di Sueño y Mentira, mutandone drasticamente il tono da grottesco a tragico. Per consentire un’amplissima diffusione dell’opera, le due lastre vennero acciaiate consentendo una tiratura di finale di mille esemplari, che ancora oggi costituiscono una testimonianza storica e artistica che musei e collezionisti contribuiscono a perpetuare.
Accompagna la mostra un catalogo edito da Siniscalco Arte con testi di Domenico Montalto e Pasquale Siniscalco.
La capacità suggestiva di Odilon Redon, la sua iconografia personalissima e surreale, la formidabile capacità di generare suggestione e spiazzamento, il senso onirico e visionario che caratterizza la sua opera sembrano naturalmente portare l’artista al confronto con l’Apocalisse di Giovanni. Così la pensa anche l’editore e mercante d’arte Ambroise Vollard, che nel 1899 gli commissiona le dodici tavole dell’Apocalypse de Saint-Jean, in quello che sarà l’ultimo degli album litografici dell’artista francese. All’epoca, Redon aveva già pubblicato serie di litografie ispirate a temi letterari, le quali, più che illustrazioni propriamente dette, costituivano personali interpretations del testo, creando correspondances tra la parola e il mondo interiore dell’artista. Qui dimorano le sue misteriose entità, creature di sogno e di inquietante fattura, probabilmente generatesi fin dalla sua infanzia quasi solitaria, e progressivamente materializzatesi anche grazie alla lettura di Poe e Baudelaire, alla vicinanza al panteismo di Spinoza e alle osservazioni al microscopio in compagnia del botanico Clavaud. Eppure, nell’Apocalypse Redon si tiene legato più strettamente alla lettera giovannea di quanto avesse fatto nelle sue precedenti cartelle, quasi intimidito dalla intrinseca affabulatorietà del testo, limitando al minimo le potenzialità suggestive proprie del suo personalissimo bagaglio espressivo. Tuttavia, le dodici tavole, anche quando descrivono passi violentemente drammatici del testo, trasudano magia e mistero, e quel fascino spiazzante che è il marchio indiscusso dell’opera di Odilon Redon.
Apocalissi del male, e quindi cristianamente Anti-Apocalissi, sono invece le incisioni, i disegni, gli oli che Anton Zoran Music dedicò alle tremende visioni del lager di Dachau dove fu internato nel 1944. Music, artista di lingua slovena nato nella Gorizia ancora austro-ungarica, aveva fino all’inizio degli anni ’70 prodotto opere di delicata fattura legate alle sensazioni e ai ricordi del suo costante vagare. Il suo stile, a volte segnico a volte sfumato, ondeggiante in una terra di mezzo tra figurazione e astrazione, si era collocato al di fuori delle avanguardie e dei movimenti che si erano susseguiti in quegli anni e si era posto al servizio della natura ultima della sua arte, la ricerca della profondità essenziale delle cose. I suoi soggetti più cari erano stati i paesaggi dalmati e istriani dell’infanzia animati da figure arcaiche, quella Venezia che lo aveva accolto, le reminescenze bizantine dei suoi primi autoritratti, i colori morbidi della campagna umbra e toscana. All’improvviso, i ricordi del lager, riposti fino ad allora in un angolo del suo animo, chiedono spazio, riemergono prepotentemente. Gli schizzi che Music aveva realizzato durante la reclusione e tenuti nascosti, rivogliono la luce. Scene che sono oltre l’umano tollerare devono lasciare la memoria singola e personale per essere nuovamente fissate su carta, su lastra, su tela, in un atto di testimonianza perenne ed universale. Terribile è il titolo che Music dà alla quasi totalità di queste opere: “Noi non siamo gli ultimi”, monito della ripetibilità dell’indicibile. Così come è inquietante la percezione estetica di quelle opere: i morti di Music, segno dell’abominio, sono belli. Belli li vedeva l’artista (di una grandiosa e tragica bellezza, secondo i suoi diari), belli li vediamo noi: la bellezza che viene dalla verità, la bellezza apocalisse del vero.
Apocalisse è anche sinonimo di catastrofe senza paragoni, di devastazione indiscriminata. Così dovette vedere Picasso, il 26 Aprile del 1937, la distruzione della città basca di Guernica da parte della legione Condor dell’aviazione tedesca. Picasso era a Parigi, lavorando a due progetti a sostegno della Repubblica di Spagna guidata dal Fronte Popolare. Nasceva il progetto di Sueño y Mentira de Franco: due fogli accompagnati da un testo dello stesso Picasso, strutturati ognuno in nove piccoli riquadri, che dipingevano il caudillo spagnolo come una figura paradossale e grottesca, dedito alle peggiori bassezze ai danni della Spagna. La lastra del primo foglio venne incisa di getto l’8 Gennaio del 1937, mentre il giorno dopo furono realizzati solo alcuni riquadri del secondo foglio, lasciando il resto del lavoro incompiuto. Nello stesso tempo, a Picasso era stata commissionata dal governo repubblicano un’opera murale per il padiglione spagnolo dell’Esposizione Universale che si sarebbe tenuta nella capitale francese in quell’anno. Alla notizia dell’eccidio di Guernica, Picasso ruppe gli indugi sulla natura del lavoro da proporre e in giorni di febbrile lavoro elaborò versioni su versioni della sua opera producendo centinaia di bozzetti preparatori nei primi giorni di Maggio. Alcune delle figure che appaiono nel dipinto e nei bozzetti (la donna con le mani protese, la madre piangente, le vittime straziate) andarono allora a riempire le caselle lasciate ancora libere nella seconda lastra incompiuta di Sueño y Mentira, mutandone drasticamente il tono da grottesco a tragico. Per consentire un’amplissima diffusione dell’opera, le due lastre vennero acciaiate consentendo una tiratura di finale di mille esemplari, che ancora oggi costituiscono una testimonianza storica e artistica che musei e collezionisti contribuiscono a perpetuare.
17
marzo 2010
Redon | Music | Picasso – Apocalissi
Dal 17 marzo al primo maggio 2010
disegno e grafica
Location
SINISCALCO ARTE
Milano, Via Friuli, 34, (Milano)
Milano, Via Friuli, 34, (Milano)
Orario di apertura
da Martedì a Sabato, ore 10-13 e 15.30-19.30
Vernissage
17 Marzo 2010, ore 18.30
Autore
Curatore