09 febbraio 2011

NON CHIAMATELO SOUND ARTIST

 
di carlo fossati

Triste primato, quello di Rolf Julius, primo artista a morire in questo 2011. Una carriera lunghissima, e ancora poco nota. Anche se la sua attività è stata instancabile. Ce lo ricorda con passione e trasporto Carlo Fossati, che ne rappresenta il lavoro in Italia con la sua galleria torinese e/static...

di

Nel 1979 Rolf Julius (1939-2011) arriva finalmente a compiere un passo che
sarà decisivo nel suo percorso artistico, e non soltanto nel suo. Lavora
partendo da una serie di fotografie in bianco e nero scattate nel nord della
Germania, in un’area costellata di dune sabbiose vicina al Mar Baltico (e non
lontano dalla sua città natale, Wilhelmshafen), raffigurazioni minimali (e di
piccolo formato) di quel paesaggio, soltanto la terra, al di sotto, e il cielo
al di sopra, due diversi toni di grigio, che modifica in fase di stampa,
eliminando la parte superiore dell’immagine, corrispondente al cielo.

Julius aveva già utilizzato
l’elemento suono, esattamente nel 1976, in occasione del lavoro Rucken, a metà strada tra fotografia e
performance, ma in quel caso si trattava soltanto di una presenza esterna
all’opera, compresente ma in forma di mera colonna sonora di un’azione
(accadeva a Brema, all’aperto: l’artista invitava i passanti a entrare in una
cabina e a porre la schiena nuda contro una finestrella che avrebbe fornito
l’inquadratura per uno scatto fotografico). In quel caso utilizzava le
registrazioni dei musicisti americani della Sonic Arts Union, David Behrman, Pauline Oliveros, Robert Ashley, Alvin Lucier, allora praticamente sconosciuti pionieri della ricerca
musicale elettronica. Nell’opera in questione, Deichlinie, per la prima volta in assoluto, il suono, qualcosa di
estremamente semplice, come tintinnii di un minuscolo campanello, intervallati
da attimi di silenzio, provenienti una volta dall’altoparlante posto a destra e
una da quello a sinistra, è opera di Julius stesso, e diventa inoltre una
componente essenziale dell’opera stessa, prendendo una posizione di primo piano,
equivalente all’immagine. Qui infatti, per la prima volta immagine e suono sono
compresenti, e lavorano in osmosi per creare un fenomeno sinestetico nel
fruitore. René Block sceglierà Deichlinie
per includerla nella grande mostra Für
Augen und Hohren
, da lui curata, che sarebbe stata realizzata a Berlino
negli spazi dell’Akademie der Künste, nel 1980, e che fu, in netto anticipo sui
tempi, la prima che provasse a fare il punto sulla presenza del suono
(piuttosto che della musica, riprendendo le note istanze cagiane) all’interno
dell’arte visiva.

Rolf Julius - Musik im einer Stein - 1982 - blocchetto in granito per selciato, speaker, audio, feltro, cavi audio - courtesy l’artista & e/static, Torino
Quello fu il punto di svolta di
una carriera, iniziata alla metà degli anni ’70 e durata poi fino all’inizio di
quest’anno. Sarebbero venute poi le epocali Berlin
Concert Series
, “azioni musicali” realizzate all’aperto, nell’arco di
dodici mesi fra 1981 e 1982, che avevano luogo, senza un preavviso ufficiale –
al massimo un passaparola all’interno di un gruppo abbastanza ristretto di
amici e conoscenti – in vari luoghi della città, come un giardino, un lago ghiacciato,
le rovine di una casa bombardata. In ognuna di esse Julius allestiva sistemi,
ancora rudimentali, dati i tempi (utilizzando altoparlanti “chiusi”, di serie,
registratori a cassette, che ovviamente funzionavano a batterie) di diffusione
delle sue small musics all’aperto,
interagendo quindi con i suoni della natura in senso ampio, comprendendo anche
i rumori delle auto di passaggio o di qualche aereo sorvolante, oltre ai suoni
di animali e piante e alle voci delle persone presenti.

Nel 1982, con Musik im einer stein, un altro evento
determinante per l’evoluzione della sua ricerca, con la prima pietra accostata
al suono, a inaugurare una lunga serie. L’opera viene creata per caso, in un
evento esemplare di serendipity,
peraltro tipico, per la sua ricorrenza, dell’approccio assolutamente non
razionale, e decisamente non-concettuale, di questo artista. Julius stava
pensando da tempo a come risolvere il problema di far entrare il suono
all’interno di una pietra, ovvero di animare l’inorganico, dandogli in qualche
modo una vitalità, un’anima appunto. Si trovava un giorno nel suo studio, con
un piccolo speaker aperto in una mano, e una pietra di selciato in un’altra, e
così, come soprappensiero, muovendo un braccio verso l’altro, appoggiò lo
speaker contro un lato della pietra, in modo che il suono venisse emesso
direttamente contro la pietra stessa.
Uno spostamento minimo, ma decisivo, che gli aprì finalmente una strada di cui
andava in cerca da molto tempo, e su cui procedette poi per sempre.

Rolf Julius - ash - 2005 - tazze in plastica made in Corea, speaker, cenere, audio, cavi audio - coll. privata, Torino
Nel 1983, ebbe per lui enorme
importanza la residenza di un anno al PS1 di New York, che gli permetterà,
all’interno del grande studio datogli in uso, di andare ancora più avanti nella
sua personalissima ricerca, con sempre maggiore libertà creativa, mettendo
insieme, per formare installazioni minimali, di ampiezza variabile ma spesso al
limite dell’inapparenza, scarti di materiali ferrosi o resti di intonaco caduti
dai vecchi muri della costruzione con piccoli speaker “aperti” (una modalità,
questa, che fu sperimentata per primo da Takehisha
Kosugi, grande performer che Julius
ha sempre considerato uno suo maestro), oppure barattoli di vetro di uso
comunissimo pieni a metà d’acqua sulla quale galleggiava un piccolo speaker
aperto. Lì inoltre Julius avrà anche modo di entrare finalmente in rapporto
diretto con tutti gli esponenti più importanti della ricerca sonora americana,
allora (ma in parte anche adesso) ancora relativamente oscuri, come Pauline
Oliveros, Jerry Hunt, David Behrman, David
Tudor, la grande vocalist Joan La Barbara, la cui voce campionata
era già prima d’allora una presenza frequente nelle parti sonore delle sue
opere, e lo stesso John Cage.

Poi la partecipazione a documenta 8, nel 1987, e poi ancora nel
tempo un numero praticamente incalcolabile di mostre, personali e collettive,
in musei e spazi privati di tutto il mondo: per citarne solo alcune fra le più
importanti, quelle in Germania (Hamburger Bahnhof di Berlino nel 1998,
Kunsthalle Fridericianum di Kassel nel 2001, Museum Bochum nel 2006), in Francia
(Biennale di Parigi del 1985, FRAC Bourgogne nel 1998 e nel 2001, FRAC Limousin
nel 2003, FRAC Languedoc-Roussillon nel 2004, Centre Pompidou nel 2004) negli
Usa (dopo il PS1 nel 1983, alcune mostre alla Mattress Factory di Pittsburgh,
fra 1996 e nel 2001, all’Asian Art Museum di San Francisco nel 2001) in
Giappone (360° Gallery di Tokyo nel 2002 e ancora lo scorso anno, al Museo
Nazionale di Kyoto nel 2007, la Echino-Tsumari Art Triennial nel 2009).

Lo sguardo di Rolf Julius, per
citare il titolo di una sua mostra recente, è sempre (realmente o
metaforicamente) “rivolto verso il basso”, e sa riconoscere l’esistenza e
l’importanza di cose che vengono abitualmente lasciate al di fuori della nostra
attenzione, non considerate, letteralmente non viste anche se ci stanno davanti.
Rolf Julius - 2008 - courtesy e/static, TorinoÈ lo sguardo, estremamente sensibile e, letteralmente, “compassionevole” di un
autore profondamente umano, che a un certo punto intuì la presenza di una sorta
di presenza divina (Julius era laico e assolutamente non religioso, ma in questo
approccio lo si può accostare al religiosissimo Friedrich, che riusciva a vedere Dio in ogni dettaglio del
paesaggio al suo cospetto) anche nelle cose più umili: le pietre usate per
costruire i selciati delle strade, dei pezzi di ferro arrugginito, la sporcizia
radunata contro l’angolo fra pavimento e muro, la cenere prodotta dal fuoco
acceso nella stufa della sua casa in Finlandia. E poi il canto delle cavallette
e degli uccelli, il rumore prodotto da un pezzetto di ferro sfregato sulla
superficie di una lastra di pietra, quello del vento, la vibrazione di un vetro
per effetto del suono di uno speaker appoggiatovi contro, e tutti quelli che
creava a partire da un semplice rumore meccanico, trasformati, dopo infinite
registrazioni a catena con la tecnica del reel
to reel,
in sonorità inaudite, stranamente affascinanti, che combinava,
nelle sue personalissime installazioni, con ciottoli, tazze di plastica,
pigmenti in polvere, lastre di vetro, terriccio.

Ma a contare è anche il fatto
che Julius invita noi stessi a porgere quel certo sguardo umile verso ciò che normalmente ignoriamo, anche se ci sta accanto
nella vita di tutti i giorni, e utilizza i suoi piccoli strani suoni per
attirarci là, invitandoci, con la stessa gentilezza che lo distingueva come persona,
a chinarci verso un mucchietto di terriccio lasciato sul pavimento, o qualche
ciottolo raccolto ai margini di una strada. Ovvero, Rolf Julius ci invita a
condividere la sua esperienza, ad apprezzarne il valore, un valore altissimo,
in grado di modificare il nostro atteggiamento nei confronti di tutta la
realtà, che d’improvviso ci appare completamente diversa da come pensavamo
fosse, perché crollano improvvisamente le gerarchie di pensiero che si erano,
oltre la nostra stessa consapevolezza e volontà, insediate nella nostra mente.
In questo senso, l’arte di Julius acquista un’altissima valenza filosofica, e
ci riesce così, semplicemente, con apparente noncuranza, ma con grande effetto,
proprio perché il suo non è un discorso affermativo, ideologico, ma
propositivo, come offrendoci un piccolo dono, ma inestimabile.

La sua è un’arte misurata e
sobria, non ci sono mai immagini “forti”, mai eccessive stranezze, men che meno
mostruosità, è insomma un’arte classica,
perché Rolf Julius, come Giorgio Morandi, Samuel Beckett, Giacinto Scelsi, Kazimir Malevich o Robert Walser, trascende
il tempo in cui ha vissuto, le mode e le tendenze; la sua è un’arte senza
tempo, che è possibile per il fruitore esperire direttamente, saltando le
sovrastrutture culturali, senza le quali la maggior parte delle opere di quella
che per convenienza chiamiamo “arte contemporanea” (l’arte degli ultimi 50 anni
circa) non riuscirebbero a esistere, impossibilitate a essere se non malintese,
o incomprese, data la loro natura rappresentativa.

Rolf Julius - white field (landscape) - 2007 - blocchetti in marmo bianco per selciato, speaker, audio, cavi audio - courtesy l’artista & e/static, Torino
A proposito della sobrietà e
dell’oggettiva, affascinante bellezza delle sue opere, mi sovviene un racconto
di Julius, che all’inizio degli anni ’70 ebbe modo di visitare, in un museo di
Colonia, una mostra collettiva che comprendeva anche una o più opere di Giovanni Anselmo (non ricordo più quale o quali) da cui fu molto colpito,
ricevendone un’impressione fortissima. A colpirlo fu il fatto che quell’opera
fosse al tempo stesso “strong and elegant”,
due qualità che di norma si ritengono antitetiche, ma che apparendo insieme
avevano suscitato in lui una sensazione che innerverà poi, riecheggiando, un
po’ tutta la sua produzione di artista maturo e finalmente consapevole, a
partire appunto dalla seconda metà degli anni ’70.

Rolf Julius è un artista importante,
seppure meno noto di altri della sua generazione; la sua è un’opera di ricerca
nel senso più puro e più alto del termine, una ricerca rigorosa e del tutto
aliena dai compromessi del successo “a ogni costo”, che ancora si stava
evolvendo negli ultimissimi tempi, quando il male che ne ha infine decretato la
fine terrena già lo aveva assalito. In Italia, dopo un’episodica apparizione a
Milano verso la fine degli anni ’80, ritornò nel 2001 per una personale a
Torino da e/static (che da allora lo rappresenta), a cui seguirono quella del
2005, Penombra, e two spaces (walking) nel 2007. La
quarta, Grey music #1, in
preparazione da tempo ma che risulterà purtroppo postuma, si inaugurerà il 14
aprile di quest’anno. Ma ci sono state anche alcune importanti collettive a cui
Rolf Julius ha preso parte, come Light
sculpture / scultura leggera
a Vicenza nel 2005, Collectors 2, che presentava opere della collezione Alpegiani al
Filatoio di Caraglio nel 2008, e la collettiva It rests by changing (con Walther,
Signer e Kowanda) da Raffaella Cortese a Milano nel 2009, prima dell’ultima
in ordine di tempo, Linguaggi e
sperimentazioni. Opere della collezione AGI di Veron
”, allestita al Mart di
Rovereto nel 2010.

Rolf Julius - 2 x black - 2001 - lastre di vetro, altoparlanti, pigmento nero, filo elettrico, audio / Volcanoes, hanging - 2001 - altoparlanti, filo elettrico, grafite in polvere, audio - courtesy e/static, Torino & l'artista
La sua opera omnia, realizzata
nell’arco di 35 anni, è ricchissima, per il gran numero di opere di arte visiva
(sono moltissimi anche i suoi disegni, e spesso di grande bellezza e intensità)
e di composizioni musicali, soltanto in parte pubblicate su vinili e cd (ma una
collana di 9 cd, small music, è in corso di pubblicazione da parte
dell’etichetta americana Western Vinyl). Molti e molto belli anche i suoi
video, girati sempre con la camera fissa, quasi sempre “outdoor” in Finlandia
(qualcuno anche in Giappone), una modalità che Julius iniziò a praticare
intorno alla metà degli Anni Zero, quando già da tempo aveva superato la
sessantina. È un’opera che ha diversi aspetti ancora poco noti, da scoprire (o
da riscoprire) e gli anni che verranno dovrebbero farci assistere alla sua
definitiva consacrazione, collocando Rolf Julius nel posto che gli spetta, fra
i pochi veri grandi maestri degli ultimi 30-35 anni.

Il prossimo 15 marzo avrebbe
dovuto esibirsi, come performer (con le sue “piccole musiche”) nella celebre,
prestigiosa Rothko Chapel, al cospetto delle grandi tele del maestro americano,
la cui opera Julius certamente ammirava. Non gli è stato possibile, il destino
aveva già deciso, ormai, di porre fine al suo tempo prima di quella data. Rolf
Julius ha chiuso per sempre gli occhi, serenamente, poche ore prima dell’alba
dello scorso 21 gennaio, nella sua casa di Berlino.

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