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fino al 25.II.2011 Marco Barina Milano, Cardazzo Factory
milano
Un viaggio tra forme che sanno d’Oriente. Mistero e sogno attraverso fisionomie di un mondo primitivo e simbolico. Assemblaggi che costruiscono armonia e proporzione nel caos di passati sottratti al macero...
che vanno dall’art nègre cubista al ready made per approdare a risultati
interessanti. Circa venti opere in mostra per la prima personale di scultura di
Marco Barina (Roma, 1956) che,
attraverso gli oggetti più disparati – vanghe, coltelli, aratri, rastrelli,
scaldini, lamiere, cucchiai, assi di legno, chiodi ma anche conchiglie, coralli
e di tutto di più -, immagina e costruisce forme sull’orlo dello straniamento.
Persegue profili antropomorfi e per fare ciò utilizza materiali di scarto
recuperati ovunque e vecchi arnesi acquistati in molteplici mercatini di città
italiane.
Così che, nelle
opere di Barina, ognuno potrà riconoscere qualcosa di “familiare” e al tempo
stesso rinnovato all’inverosimile. Per farlo, sceglie la metrica della sintesi
segnica, in alcuni casi attuando vere e proprie costruzioni totemiche (ad
esempio Piccolo idolo in trono, o
ancora Portale Misterioso) che
comunque mettono sempre al centro la figura umana (si veda l’Offerta, il Soldato, Maternità, il Discepolo). Non mancano mai gli “occhi”, dettaglio che viene
segnalato con una bellissima citazione di Paul Valéry dal testo critico di
Valerio Magrelli: “Quando ero bambino e
disegnavo dei pupazzi nei miei quaderni, c’era sempre un momento solenne. Era
quando mettevo, ai miei pupazzi, gli occhi. Che occhi! Sentivo che gli davo la
vita, e sentivo la vita che gli davo. Avevo la sensazione di colui che soffia
sul fango”.
Dicevamo, gli
occhi come organo che diventa un simbolo immediato per dare forma alla materia.
Occhi che diventano finestra privilegiata tra il gesto creativo e l’universo
interiore dell’artista. Come un ponte tra il simbolo e la contingenza. Come il
sogno che approda alle fauci del tangibile. Come l’invisibile che si scopre
all’improvviso polvere d’aneliti fantastici. L’affresco scultoreo di Barina
dipinge una geografia silente e immota, a volte decisamente inquietante (emblematica
in tal senso è l’opera la Gabbia, in
cui un volto è sospeso tra sbarre soffocanti).
Sicché, in
Cardazzo ci si trova a percorrere un cammino tra le opere con la sensazione
dell’essere silenziosamente osservati. Come se ogni improbabile personaggio
fosse pronto a rivelarci il suo segreto (per dirla con Carlo Magris).
Il potere
delle “cose” in mostra, precisa Matteo Ferraris nel testo critico, “è che sembrano ricordarsi di noi, anzi,
sembrano prestarci attenzione. Gli oggetti sono diventati opere, cioè delle
cose che fingono di essere delle persone, delle cose che, in modo del tutto stupefacente,
manifestano dei sentimenti nei nostri confronti. Kant sosteneva che ci sono dei
giorni un cui sembra che il mondo ci mandi un sorriso. Quello che è riuscito a
Barina è di farci mandare un sorriso (o uno sguardo minaccioso, o
un’espressione stupefatta) da scaldini, cucchiai e caffettiere”.
caterina misuraca
mostra visitata
il 20 gennaio 2011
dal 20 gennaio al 25 febbraio 2011
Marco Barina
Cardazzo
Factory
Via Manzoni, 45 (zona Porta Venezia) – 20121 Milano
Orario: da martedi a venerdi ore 11-12.45 e 16-19; sabato su appuntamento
Ingresso
libero
Catalogo disponibile
Info: tel.
+39 0262690952; cardazzofactory@yahoo.it; www.cardazzofactory.it
[exibart]