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Okra – Quando il mistero incontra la materia
I suggestivi spazi dell’Ambasciata Araba d’Egitto ospitano la nuova personale di Antonio Torzolini, in arte ÖKRA, artista che dialogando con la materia in modo intenso e personale raggiunge risultati espressivi ricchi di pathos e liricità.
Comunicato stampa
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I suggestivi spazi dell'Ambasciata Araba d'Egitto ospitano la nuova personale di Antonio Torzolini, in arte ÖKRA, artista che dialogando con la materia in modo intenso e personale raggiunge risultati espressivi ricchi di pathos e liricità.
“E' estremamente difficile spiegare l'atto creativo”, dice egli stesso, “lo si può percepire nei momenti di operatività inconscia: tutto scompare e tutto riappare quando la mia mente è nel buio del mio essere, tutto riappare quando io ne esco dalla dimensione del già fatto irrazionale.
Tutto si è compiuto in quel momento, io dico che è successo l'attimo del creato che ha operato per me e in me rimane solo amore e gioia ma tutto il resto mi sfugge e mi sfuggirà sempre perché questo è il mistero, questa è la grandezza del creato, l'attimo in cui si entra in comunione e poi se ne esce esterrefatto.”
Antonio Torzolini nasce a Morro d'Oro (Teramo) e compie gli studi all'Accademia di Belle Arti di Roma, interessandosi alla scenografia teatrale, al design e all'architettura. Dal 1970 sceglie di dedicarsi esclusivamente con rigore e coerenza alla ricerca pittorica, dalla dinamica del colore alla microstrutturazione. Negli anni Ottanta conosce Filiberto Menna che cura la sua prima personale, nel 1983, presso la galleria Artivisive, dove espone anche in un'altra personale nel 1997. Seguono viaggi di studio all'estero con esposizioni internazionali nel nord Europa, a Stoccolma e a Basilea.
ÖKRA
QUANDO IL MISTERO INCONTRA LA MATERIA
LODE A KHALIL GIBRAN
a cura di
Rosa Cipollone e Cinzia Folcarelli
testo critico di Marco Di Capua
Quanto più l'opera si zittisce tanto più essa si incarna e appare. Ecco insomma la forma che rilutta a svolgersi, che si ritrae davanti alla sconcia, appiccicosa invadenza dei contenuti dappertutto, a questo eccesso di significazione che rende l'aria irrespirabile. Forma impescrutabile non perché idealisticamente, simbolisticamente carica di mistero – urna coperta, piena di essenze rare, preziose – ma perché assolutamente priva di significati che non siano nel suo puro mostrarsi.
Sganciata, per poco che sia, la catena dei nomi, ecco un linguaggio confinato nel proprio cerchio, sotto il proprio raggio, senz'altra realtà che quella dei suoi stessi sortilegi. E non sta davvero in questo il mistico del '900? Mineralogista infiammato, resosi contemporaneo di ciò che mai ebbe tempo, Torzolini non è compromesso da nessun lirismo, nel senso che l'emozione “centrale” di queste opere c'è ma non è detta, né tantomeno espressa. D'altronde perché “esprimersi”? E non nascondersi, invece? Dissimulando l'Io, questo nonnulla ipertrofico di cui siamo diventati tutti espertissimi, dietro l'opera? Ecco una soggettività paradossalmente più forte perché disarcionata, interrogante altro da sé.
E' qui che appare una specie di demone, o angelo, della lucidità. Ed è la disciplina minuziosamente applicata alle piccole cose, ai gesti, ai pensieri, nella perfetta congiunzione di ciò che è invisibile e di ciò che appare ed è concreto. Nessun abbandono, nessun tratto “molle”, privo di volontà, qualsiasi essa sia. Poiché nel loro broncio di forme e nuclei di materia in cui, come aria o una musica (letteralmente, sono questi gli scalpelli, ci dice talvolta la tecnica di Torzolini) è penetrato lo spirito, durante queste azioni – meditazioni che escludono distanza e contemplazione e vaghezza abitando unicamente un attimo sconfinato, ciò che, propriamente, è illuminazione, le immagini possiedono una perentorietà, una determinazione nel definire se stesse dinnanzi al nulla che ha del metodico. Nessun “caso”, dunque, piuttosto la sistemazione, la messa a punto irregolare, frastagliata, di un destino.
“Alla sabbia che imprevedibile scivola e fugge sopra il piano, Torzolini ha proposto dapprima la nettezza del gesto, poi solo “vibrazioni”, dunque parcellizzazione e moltiplicazione di quel gesto. Sollecitata, la sabbia evoca “ad un certo punto” forme che mai potresti imporle, e che non ti appartengono. Elementi grafici molto lineari, striature, galassie rarefatte, poi volumi compatti come sassi, pianeti sconosciuti, vere strutture plastiche, perfette come uova e che parrebbero di granito, di pietra lavica immemoriale, emananti luce propria. Zenit dell'arte: distinguere, mettere in evidenza una parte, un dettaglio e farne un assoluto.”
(...) Le immagini alla fine sono di una bellezza sorprendente. Conpongono profili e figure con una precisione che fosse affidata al calcolo, all'intenzione, sarebbe risultata impossibile. Chi agisce qui, dal di fuori e con me? Si chiede meravigliato Torzolini, ogni volta, terminata l'opera, quando il “dio ha ritirato la saetta”.
A loro favore queste opere hanno richiesto un clima non eloquente, di laconicità, l'ebbrezza della concisione che orlasse zone di silenzio. Ma avessero alla fine voce, queste danze di particelle, questi inclassificabili stormi di granelli irrigiditi in volo, sarebbe _ se adesso ci ripensi – un crepitìo, un brusio sterminato, una specie di bisbiglio siderale.
Marco Di Capua
“E' estremamente difficile spiegare l'atto creativo”, dice egli stesso, “lo si può percepire nei momenti di operatività inconscia: tutto scompare e tutto riappare quando la mia mente è nel buio del mio essere, tutto riappare quando io ne esco dalla dimensione del già fatto irrazionale.
Tutto si è compiuto in quel momento, io dico che è successo l'attimo del creato che ha operato per me e in me rimane solo amore e gioia ma tutto il resto mi sfugge e mi sfuggirà sempre perché questo è il mistero, questa è la grandezza del creato, l'attimo in cui si entra in comunione e poi se ne esce esterrefatto.”
Antonio Torzolini nasce a Morro d'Oro (Teramo) e compie gli studi all'Accademia di Belle Arti di Roma, interessandosi alla scenografia teatrale, al design e all'architettura. Dal 1970 sceglie di dedicarsi esclusivamente con rigore e coerenza alla ricerca pittorica, dalla dinamica del colore alla microstrutturazione. Negli anni Ottanta conosce Filiberto Menna che cura la sua prima personale, nel 1983, presso la galleria Artivisive, dove espone anche in un'altra personale nel 1997. Seguono viaggi di studio all'estero con esposizioni internazionali nel nord Europa, a Stoccolma e a Basilea.
ÖKRA
QUANDO IL MISTERO INCONTRA LA MATERIA
LODE A KHALIL GIBRAN
a cura di
Rosa Cipollone e Cinzia Folcarelli
testo critico di Marco Di Capua
Quanto più l'opera si zittisce tanto più essa si incarna e appare. Ecco insomma la forma che rilutta a svolgersi, che si ritrae davanti alla sconcia, appiccicosa invadenza dei contenuti dappertutto, a questo eccesso di significazione che rende l'aria irrespirabile. Forma impescrutabile non perché idealisticamente, simbolisticamente carica di mistero – urna coperta, piena di essenze rare, preziose – ma perché assolutamente priva di significati che non siano nel suo puro mostrarsi.
Sganciata, per poco che sia, la catena dei nomi, ecco un linguaggio confinato nel proprio cerchio, sotto il proprio raggio, senz'altra realtà che quella dei suoi stessi sortilegi. E non sta davvero in questo il mistico del '900? Mineralogista infiammato, resosi contemporaneo di ciò che mai ebbe tempo, Torzolini non è compromesso da nessun lirismo, nel senso che l'emozione “centrale” di queste opere c'è ma non è detta, né tantomeno espressa. D'altronde perché “esprimersi”? E non nascondersi, invece? Dissimulando l'Io, questo nonnulla ipertrofico di cui siamo diventati tutti espertissimi, dietro l'opera? Ecco una soggettività paradossalmente più forte perché disarcionata, interrogante altro da sé.
E' qui che appare una specie di demone, o angelo, della lucidità. Ed è la disciplina minuziosamente applicata alle piccole cose, ai gesti, ai pensieri, nella perfetta congiunzione di ciò che è invisibile e di ciò che appare ed è concreto. Nessun abbandono, nessun tratto “molle”, privo di volontà, qualsiasi essa sia. Poiché nel loro broncio di forme e nuclei di materia in cui, come aria o una musica (letteralmente, sono questi gli scalpelli, ci dice talvolta la tecnica di Torzolini) è penetrato lo spirito, durante queste azioni – meditazioni che escludono distanza e contemplazione e vaghezza abitando unicamente un attimo sconfinato, ciò che, propriamente, è illuminazione, le immagini possiedono una perentorietà, una determinazione nel definire se stesse dinnanzi al nulla che ha del metodico. Nessun “caso”, dunque, piuttosto la sistemazione, la messa a punto irregolare, frastagliata, di un destino.
“Alla sabbia che imprevedibile scivola e fugge sopra il piano, Torzolini ha proposto dapprima la nettezza del gesto, poi solo “vibrazioni”, dunque parcellizzazione e moltiplicazione di quel gesto. Sollecitata, la sabbia evoca “ad un certo punto” forme che mai potresti imporle, e che non ti appartengono. Elementi grafici molto lineari, striature, galassie rarefatte, poi volumi compatti come sassi, pianeti sconosciuti, vere strutture plastiche, perfette come uova e che parrebbero di granito, di pietra lavica immemoriale, emananti luce propria. Zenit dell'arte: distinguere, mettere in evidenza una parte, un dettaglio e farne un assoluto.”
(...) Le immagini alla fine sono di una bellezza sorprendente. Conpongono profili e figure con una precisione che fosse affidata al calcolo, all'intenzione, sarebbe risultata impossibile. Chi agisce qui, dal di fuori e con me? Si chiede meravigliato Torzolini, ogni volta, terminata l'opera, quando il “dio ha ritirato la saetta”.
A loro favore queste opere hanno richiesto un clima non eloquente, di laconicità, l'ebbrezza della concisione che orlasse zone di silenzio. Ma avessero alla fine voce, queste danze di particelle, questi inclassificabili stormi di granelli irrigiditi in volo, sarebbe _ se adesso ci ripensi – un crepitìo, un brusio sterminato, una specie di bisbiglio siderale.
Marco Di Capua
11
novembre 2009
Okra – Quando il mistero incontra la materia
Dall'undici al 24 novembre 2009
arte contemporanea
Location
AMBASCIATA DELL’EGITTO
Roma, Via Delle Terme Di Traiano, 13, (Roma)
Roma, Via Delle Terme Di Traiano, 13, (Roma)
Orario di apertura
lunedì – venerdì 10 - 17 o per appuntamento
Vernissage
11 Novembre 2009, ore 17
Autore
Curatore