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Black Atlantic
La mostra tematizza la dimensione spaziale dell’Oceano Atlantico come luogo di incrocio di culture e di popolazioni nel corso degli ultimi tre secoli.
Comunicato stampa
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La mostra tematizza la dimensione spaziale dell’Oceano Atlantico come luogo di incrocio di culture e di popolazioni nel corso degli ultimi tre secoli. Muovendo dalla formulazione di Black Atlantic, così come articolata dal teorico inglese Paul Gilroy, il progetto racconta l’intreccio tra l’identità europea, americana e africana, presentando una selezione di quattro artisti dai tre continenti, il cui lavoro ripercorre eventi storici e memorie legate alla storia del colonialismo e alla sua eredità nelle politiche razziali contemporanee. L’ideologia connessa alla nascita degli Stati nazione europei, l’eredità dello schiavismo negli Stati Uniti e la complessa vicenda postcoloniale nell’Africa contemporanea sono i temi principali affrontati dagli artisti. Voci, ricordi, geografie personali e collettive disegnano il labirintico percorso della mostra, che solleva una riflessione sulla natura della libertà individuale e dell’emancipazione politica nel mondo contemporaneo.
Sullo sfondo rimane l’immagine dell’Oceano Atlantico, un spazio simbolico e reale di circolarità di culture, di oppressione e libertà, che ha indelebilmente segnato la storia moderna dei continenti che su di esso si affacciano.
Kiluanji Kia Henda (*1979 Luanda, Angola dove vive e lavora)
L’artista concentra la sua ricerca artistica sul proprio Paese, l’Angola, attraversato a partire dal 1975, anno della conseguita indipendenza dal Portogallo, da una feroce guerra civile che vide contrapposti i due principali movimenti politici del Paese, pilotati rispettivamente dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica, che si contendevano in tal modo il controllo geopolitico del Paese e delle sue risorse petrolifere. Governato sino al 1979 da Agostinho Neto, intellettuale marxista, rivoluzionario e poeta, l’Angola si trovò ad essere dagli anni Settanta in poi un paese completamente inerme schiacciato dalle due superpotenze della Guerra Fredda, pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane e devastazione del territorio a questa nuova versione della violenza coloniale. Karl Marx, Luanda (2006) è un trittico fotografico che riprende l’immagine del relitto di una nave militare oggi abbandonata sulle spiagge di Luanda sull’Atlantico, regesto del materiale bellico fornito all’Angola dall’Unione Sovietica e della collaborazione politica tra i due Paesi. Violenza ideologica, colonialismo atlantico, Guerra Fredda, marxismo e indipendenza si concentrano emblematicamente in queste immagini di Kiluanji Kia Henda, tese tra passato e presente, vettori di un futuro negato che appare oggi ancora impossibile per l’Angola.
Maryam Jafri (*1972, Karachi, Pakistan; vive e lavora a Copenhagen e New York, US)
Independence Day 1936-1967 è un lavoro composto da una serie di fotografie tratte dalle celebrazioni del primo giorno di indipendenza in una molteplicità di Paesi asiatici e africani, tra cui Indonesia, Ghana, Senegal, Pakistan, Siria, Libano, Kenya, Tanzania, Mozambico e Algeria. Il giorno di indipendenza appare da queste immagini un rituale celebrativo formale, una codificazione di rituali e discorsi diplomatici in sedi pubbliche e spazi privati. Tutto il protocollo ufficiale, dal giuramento del nuovo governo alla firma dei documenti sino alla pompa delle parate e dei saluti, è orchestrato e diretto dal paese coloniale in ritiro. Così i materiali fotografici raccolti dall’artista negli archivi di tutto il mondo, sino a coprire un trentennio di storia del Novecento, sono sorprendentemente simili nonostante le diversità geografiche e storiche, e mostrano il protrarsi del modello coloniale europeo anche nel momento della sua fine ufficiale. Il lavoro è così una testimonianza obliqua e indiretta sulla difficoltà di uscire dalla storia coloniale e al tempo stesso, in sguardo retrospettivo, un sinistro preludio alle tragedie politiche e sociali che hanno devastato la maggior parte di questi Paesi negli anni successivi alla loro indipendenza.
Hank Willis Thomas (*1976, Plainfield, NJ; vive e lavora a New York, US)
La storia dello schiavismo attraverso la spazio dell’Atlantico, la memoria del lavoro nero nelle piantagioni americane e la pervasiva eredità della cultura coloniale e razziale nella società contemporanea sono i nodi tematici che l’artista affronta nel suo lavoro. The Curious in Ecstasy The Day (2006) riprende la storia di Saartje Bartman, una giovane donna sudafricana che venne portata come schiava a inizio ottocento in Inghilterra e in Francia per essere esposta come oggetto di curiosità esotica agli occhi del pubblico borghese europeo. Soprannominata la “Venere degli Ottentotti”, il suo aspetto fisico venne ritenuto simbolo di una bellezza primitiva più prossima al mondo animale che a quello umano e incomprensibile allo sguardo europeo. Hank Willis Thomas ha riprodotto una stampa francese dell’epoca, rimuovendo l’immagine di Saartje Bartman osservata da un gruppo di curiosi e sostituendola con quella della Venere di Botticelli, l’ideale canonico europeo di bellezza femminile. In tal modo l’artista sovverte la logica dello sguardo bianco europeo svelando la costruzione razziale di tale ideale. The Day I Discovered I Was Colored (2006) riproduce un’illustrazione americana degli anni Sessanta, dando voce al disagio della scoperta di una identità che viene imposta come diversità e inferiorità razziale. Afro-American Express (2008) riproduce la grafica di tre note carte di credito, sostituendo ai loghi ufficiali le immagini delle navi negriere che portavano gli schiavi dalle coste occidentali dell’Africa alle piantagioni americane. La circolarità immateriale dei beni finanziari controllata dalle banche internazionali viene cosi accostata, con amara ironia, alla circolarità del mercato degli schiavi sulle rotte dell’Oceano Atlantico nei secoli passati.
Nanna Debois Buhl (*1975, Aarhus, Denmark; vive e lavora a New York, US)
Il lavoro dell’artista danese è una complessa indagine sull’eredità coloniale della storia danese. Looking for Donkeys (2008-2009) racconta una settimana spesa dall’artista alla ricerca degli asini sull’isola di St. John nelle Virgin Islands nell’Oceano Atlantico, proprietà del governo danese dal 1718 al 1917, anno di loro cessione al governo degli Stati Uniti. Assieme agli schiavi neri prelevati sulle coste occidentali dell’Africa e trasportati sulle galere nelle Virgin Islands, i danesi all’inizio del ‘700 portarono attraverso l’Atlantico a St. John molti esemplari di asini, da adoperare come animali da fatica per il lavoro nelle piantagioni di zucchero. Finita la stagione coloniale a inizio Novecento, gli asini sono rimasti a St. John, che ne ospita oggi circa quattrocento, proliferati in condizioni completamente libere e selvatiche. Nel video, l’artista racconta il suo incontro con gli asini di St. John, fantasmi del passato coloniale danese, presenze misteriose e sfuggenti, enigmi culturali di una memoria collettiva rimossa e ancora da investigare. Incredible Creature (2009) è un’ulteriore indagine dell’artista sul passato coloniale della Danimarca, su storie di mercanti e missionari danesi che si misero in viaggio sull’Atlantico alla ricerca di terre da colonizzare e ricchezze da sfruttare. L’eco del contributo danese alla storia dello schiavismo atlantico rimane oggi ancora presente nell’architettura del Paese, come nei settecenteschi magazzini portuali di Copenaghen, dove i motivi floreali della tappezzeria dell’epoca sono dati da fiori tipici della flora caraibica.
The exhibition travels from the spatial dimensions of the Atlantic Ocean as a crossing point of cultures and populations over the last centuries. Moving on from the formulation “Black Atlantic”, as articulated by the English theoretician Paul Gilroy, the project narrates the cultural entanglement between European, American and African identities. It presents a selection of four artists from these three continents whose work re-traces historical events and memories bound to the history of colonialism and its heritage of contemporary racial politics. The ideologies connected to the birth of the European nation states, the heritage of slavery in the United States and the complex post-colonial situation in contemporary Africa make up the principal themes of the artists’ approaches. Voices and memories as well as personal and collective geographies form the labyrinthine itinerary of the show, designed to provoke reflection on the nature of individual freedom and the political emancipation of the contemporary world.
In the background the image of the Atlantic Ocean remains a symbolic and real reminder of the circularity of cultures, of oppression and freedom. These conditions have indelibly marked the modern history of the continents that border this ocean.
Kiluanji Kia Henda (*1979 Luanda, Angola where he lives and works)
The artist concentrates his artistic approach on his own country, Angola, which witnessed a ferocious civil war from 1975, the year of its independence from Portugal. In the civil war that followed the two principal political movements of the country fought the Cold War by proxy, conducted behind the scenes by the United States and the Soviet Union. Both superpowers competed for geopolitical control of the country and its oil resources. Until 1979 Angola was ruled by President Agostinho Neto, a Marxist intellectual and poet, and after his demise the completely defenceless country was crushed between the two superpowers of the Cold War, paying an incredibly high price in terms of human life and territorial devastation due to this latest version of colonial violence. Karl Marx, Luanda (2006) is a photographic triptych that depicts the image of the ruined remains of a military ship, today abandoned on the Atlantic coast of Luanda, a remnant of the military materials supplied to Angola by the Soviet Union. It is at the same time a reminder of the political collaboration between the two countries. Ideological violence and Atlantic colonialism as well as Cold War strategies, Marxism and the national liberation movement collide in concentrated fashion within the images of Kiluanji Kia Henda, strained between past and present, vectors of a denied future that even today appears impossible for the country of Angola.
Maryam Jafri (*1972, Karachi, Pakistan; lives and works in Copenhagen and New York, US)
Independence Day 1936-1967 is a work composed of a series of photographs from the respective days of independence in a wide range of Asian and African countries, among them Indonesia, Ghana, Senegal, Pakistan, Syria, Lebanon, Kenya, Tanzania, Mozambique and Algeria. From these images, the celebrations of independence ceremonies appear as formalized festivities, a codification of rituals and diplomatic speeches held in both public and private places. The entirety of this official protocol, from the swearing-in ceremony of the new government to the signing of documents and the pomp of parades and military salutes, has been orchestrated and directed by the colonial country entering retirement. Thus, the photographic materials collected by the artist from archives around the world – covering three decades of 20th century history – are surprisingly similar to each other, notwithstanding their geographical and historical diversity. They demonstrate the perpetuation of the European colonial model at the very moment of its official closure. In this way, the work is an oblique and indirect testimony on the difficulty of leaving behind colonial history, but at the same time it is – by virtue of its retrospective view – a sinister prelude to the political and social tragedies that have devastated the vast majority of these countries in the years following their independence.
Hank Willis Thomas(*1976, Plainfield, NJ; lives and works in New York, US)
The thematic approach of the artist is based in the examination of the history of slavery throughout the Atlantic space, the memory of black labour in the American plantation economy, and the pervasive heritage of colonial and racial discourse within contemporary society. The Curious in Ecstasy The Day (2006) picks up the story of Saartjie Baartman, a young South African woman who was taken to England and France as a slave at the beginning of 19th century, where she was exhibited as an exotic object of curiosity before the eyes of the European bourgeois audience. Dubbed “the Hottentot Venus”, her physical aspect was considered a symbol of primitive beauty, closer to the animal kingdom then the human world, and thus incomprehensible to the European gaze. Hank Willis Thomas reproduces articles from French press of the time, removing the image of Saartjie Baartman being observed by a group of curious spectators and substituting instead the image of Botticelli’s Venus as a canonical European ideal of female beauty. In this way, the artist overturns the logic of the white European view by unveiling the racial construction behind this ideal. The Day I Discovered I Was Colored (2006) reproduces an American illustration from the Sixties, giving voice to discontent regarding the discovery of an identity imposed as a form of diversity and racial inferiority. Afro-American Express (2008) reproduces the graphic trademarks of three well-known credit cards by substituting these official logos with images of the slave trading ships that carried slaves from the west coast of Africa to American plantations. Thus, the immaterial circularity of financial goods controlled by international banking institutions is equated with bitter irony to the circularity of the slave trade conducted along the routes of the Atlantic Ocean in centuries past.
Nanna Debois Buhl (*1975, Aarhus, Denmark; lives and works in New York, US)
The work of the Danish artist is a complex enquiry into the colonial heritage within Danish history. Looking for Donkeys (2008-2009) narrates a week in the life of the artist, spent on the island of St. John looking for donkeys. The island is part of the Virgin Islands, in the Atlantic Ocean, and was the property of the Danish government between 1718 and 1917, the year in which control of the islands were ceded to the government of the United States. Together with the black slaves collected on the shores of Western Africa and carried on slave ships to the Virgin Islands, the Danish also shipped large numbers of donkeys across the Atlantic to St. John at the beginning of the 18th century. These donkeys were then used as working animals on sugar plantations. When the colonial period ended at the beginning of the 20th century, the donkeys remained on the island, which nowadays is home to approximately 400 of them, as they have become quite prolific in feral conditions. Within this video work, the artist speaks about her encounter with the donkeys of St. John as phantasms of the Danish colonial past. They are mysterious, elusive creatures, cultural enigmas of a collective memory that has been removed and remains to be investigated. Incredible Creature (2009) is a further enquiry on the part of the artist into the colonial past of Denmark, revealing stories of Danish merchants and missionaries who travelled across the Atlantic looking for places to colonize and resources to exploit. The Danish participation in the history of the transatlantic slave trade still finds echoes today in the country’s architecture, such as the 18th century harbour warehouses of Copenhagen, where the floral motives of the tapestries dating to that time depict typical flowers of the Caribbean region.
Sullo sfondo rimane l’immagine dell’Oceano Atlantico, un spazio simbolico e reale di circolarità di culture, di oppressione e libertà, che ha indelebilmente segnato la storia moderna dei continenti che su di esso si affacciano.
Kiluanji Kia Henda (*1979 Luanda, Angola dove vive e lavora)
L’artista concentra la sua ricerca artistica sul proprio Paese, l’Angola, attraversato a partire dal 1975, anno della conseguita indipendenza dal Portogallo, da una feroce guerra civile che vide contrapposti i due principali movimenti politici del Paese, pilotati rispettivamente dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica, che si contendevano in tal modo il controllo geopolitico del Paese e delle sue risorse petrolifere. Governato sino al 1979 da Agostinho Neto, intellettuale marxista, rivoluzionario e poeta, l’Angola si trovò ad essere dagli anni Settanta in poi un paese completamente inerme schiacciato dalle due superpotenze della Guerra Fredda, pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane e devastazione del territorio a questa nuova versione della violenza coloniale. Karl Marx, Luanda (2006) è un trittico fotografico che riprende l’immagine del relitto di una nave militare oggi abbandonata sulle spiagge di Luanda sull’Atlantico, regesto del materiale bellico fornito all’Angola dall’Unione Sovietica e della collaborazione politica tra i due Paesi. Violenza ideologica, colonialismo atlantico, Guerra Fredda, marxismo e indipendenza si concentrano emblematicamente in queste immagini di Kiluanji Kia Henda, tese tra passato e presente, vettori di un futuro negato che appare oggi ancora impossibile per l’Angola.
Maryam Jafri (*1972, Karachi, Pakistan; vive e lavora a Copenhagen e New York, US)
Independence Day 1936-1967 è un lavoro composto da una serie di fotografie tratte dalle celebrazioni del primo giorno di indipendenza in una molteplicità di Paesi asiatici e africani, tra cui Indonesia, Ghana, Senegal, Pakistan, Siria, Libano, Kenya, Tanzania, Mozambico e Algeria. Il giorno di indipendenza appare da queste immagini un rituale celebrativo formale, una codificazione di rituali e discorsi diplomatici in sedi pubbliche e spazi privati. Tutto il protocollo ufficiale, dal giuramento del nuovo governo alla firma dei documenti sino alla pompa delle parate e dei saluti, è orchestrato e diretto dal paese coloniale in ritiro. Così i materiali fotografici raccolti dall’artista negli archivi di tutto il mondo, sino a coprire un trentennio di storia del Novecento, sono sorprendentemente simili nonostante le diversità geografiche e storiche, e mostrano il protrarsi del modello coloniale europeo anche nel momento della sua fine ufficiale. Il lavoro è così una testimonianza obliqua e indiretta sulla difficoltà di uscire dalla storia coloniale e al tempo stesso, in sguardo retrospettivo, un sinistro preludio alle tragedie politiche e sociali che hanno devastato la maggior parte di questi Paesi negli anni successivi alla loro indipendenza.
Hank Willis Thomas (*1976, Plainfield, NJ; vive e lavora a New York, US)
La storia dello schiavismo attraverso la spazio dell’Atlantico, la memoria del lavoro nero nelle piantagioni americane e la pervasiva eredità della cultura coloniale e razziale nella società contemporanea sono i nodi tematici che l’artista affronta nel suo lavoro. The Curious in Ecstasy The Day (2006) riprende la storia di Saartje Bartman, una giovane donna sudafricana che venne portata come schiava a inizio ottocento in Inghilterra e in Francia per essere esposta come oggetto di curiosità esotica agli occhi del pubblico borghese europeo. Soprannominata la “Venere degli Ottentotti”, il suo aspetto fisico venne ritenuto simbolo di una bellezza primitiva più prossima al mondo animale che a quello umano e incomprensibile allo sguardo europeo. Hank Willis Thomas ha riprodotto una stampa francese dell’epoca, rimuovendo l’immagine di Saartje Bartman osservata da un gruppo di curiosi e sostituendola con quella della Venere di Botticelli, l’ideale canonico europeo di bellezza femminile. In tal modo l’artista sovverte la logica dello sguardo bianco europeo svelando la costruzione razziale di tale ideale. The Day I Discovered I Was Colored (2006) riproduce un’illustrazione americana degli anni Sessanta, dando voce al disagio della scoperta di una identità che viene imposta come diversità e inferiorità razziale. Afro-American Express (2008) riproduce la grafica di tre note carte di credito, sostituendo ai loghi ufficiali le immagini delle navi negriere che portavano gli schiavi dalle coste occidentali dell’Africa alle piantagioni americane. La circolarità immateriale dei beni finanziari controllata dalle banche internazionali viene cosi accostata, con amara ironia, alla circolarità del mercato degli schiavi sulle rotte dell’Oceano Atlantico nei secoli passati.
Nanna Debois Buhl (*1975, Aarhus, Denmark; vive e lavora a New York, US)
Il lavoro dell’artista danese è una complessa indagine sull’eredità coloniale della storia danese. Looking for Donkeys (2008-2009) racconta una settimana spesa dall’artista alla ricerca degli asini sull’isola di St. John nelle Virgin Islands nell’Oceano Atlantico, proprietà del governo danese dal 1718 al 1917, anno di loro cessione al governo degli Stati Uniti. Assieme agli schiavi neri prelevati sulle coste occidentali dell’Africa e trasportati sulle galere nelle Virgin Islands, i danesi all’inizio del ‘700 portarono attraverso l’Atlantico a St. John molti esemplari di asini, da adoperare come animali da fatica per il lavoro nelle piantagioni di zucchero. Finita la stagione coloniale a inizio Novecento, gli asini sono rimasti a St. John, che ne ospita oggi circa quattrocento, proliferati in condizioni completamente libere e selvatiche. Nel video, l’artista racconta il suo incontro con gli asini di St. John, fantasmi del passato coloniale danese, presenze misteriose e sfuggenti, enigmi culturali di una memoria collettiva rimossa e ancora da investigare. Incredible Creature (2009) è un’ulteriore indagine dell’artista sul passato coloniale della Danimarca, su storie di mercanti e missionari danesi che si misero in viaggio sull’Atlantico alla ricerca di terre da colonizzare e ricchezze da sfruttare. L’eco del contributo danese alla storia dello schiavismo atlantico rimane oggi ancora presente nell’architettura del Paese, come nei settecenteschi magazzini portuali di Copenaghen, dove i motivi floreali della tappezzeria dell’epoca sono dati da fiori tipici della flora caraibica.
The exhibition travels from the spatial dimensions of the Atlantic Ocean as a crossing point of cultures and populations over the last centuries. Moving on from the formulation “Black Atlantic”, as articulated by the English theoretician Paul Gilroy, the project narrates the cultural entanglement between European, American and African identities. It presents a selection of four artists from these three continents whose work re-traces historical events and memories bound to the history of colonialism and its heritage of contemporary racial politics. The ideologies connected to the birth of the European nation states, the heritage of slavery in the United States and the complex post-colonial situation in contemporary Africa make up the principal themes of the artists’ approaches. Voices and memories as well as personal and collective geographies form the labyrinthine itinerary of the show, designed to provoke reflection on the nature of individual freedom and the political emancipation of the contemporary world.
In the background the image of the Atlantic Ocean remains a symbolic and real reminder of the circularity of cultures, of oppression and freedom. These conditions have indelibly marked the modern history of the continents that border this ocean.
Kiluanji Kia Henda (*1979 Luanda, Angola where he lives and works)
The artist concentrates his artistic approach on his own country, Angola, which witnessed a ferocious civil war from 1975, the year of its independence from Portugal. In the civil war that followed the two principal political movements of the country fought the Cold War by proxy, conducted behind the scenes by the United States and the Soviet Union. Both superpowers competed for geopolitical control of the country and its oil resources. Until 1979 Angola was ruled by President Agostinho Neto, a Marxist intellectual and poet, and after his demise the completely defenceless country was crushed between the two superpowers of the Cold War, paying an incredibly high price in terms of human life and territorial devastation due to this latest version of colonial violence. Karl Marx, Luanda (2006) is a photographic triptych that depicts the image of the ruined remains of a military ship, today abandoned on the Atlantic coast of Luanda, a remnant of the military materials supplied to Angola by the Soviet Union. It is at the same time a reminder of the political collaboration between the two countries. Ideological violence and Atlantic colonialism as well as Cold War strategies, Marxism and the national liberation movement collide in concentrated fashion within the images of Kiluanji Kia Henda, strained between past and present, vectors of a denied future that even today appears impossible for the country of Angola.
Maryam Jafri (*1972, Karachi, Pakistan; lives and works in Copenhagen and New York, US)
Independence Day 1936-1967 is a work composed of a series of photographs from the respective days of independence in a wide range of Asian and African countries, among them Indonesia, Ghana, Senegal, Pakistan, Syria, Lebanon, Kenya, Tanzania, Mozambique and Algeria. From these images, the celebrations of independence ceremonies appear as formalized festivities, a codification of rituals and diplomatic speeches held in both public and private places. The entirety of this official protocol, from the swearing-in ceremony of the new government to the signing of documents and the pomp of parades and military salutes, has been orchestrated and directed by the colonial country entering retirement. Thus, the photographic materials collected by the artist from archives around the world – covering three decades of 20th century history – are surprisingly similar to each other, notwithstanding their geographical and historical diversity. They demonstrate the perpetuation of the European colonial model at the very moment of its official closure. In this way, the work is an oblique and indirect testimony on the difficulty of leaving behind colonial history, but at the same time it is – by virtue of its retrospective view – a sinister prelude to the political and social tragedies that have devastated the vast majority of these countries in the years following their independence.
Hank Willis Thomas(*1976, Plainfield, NJ; lives and works in New York, US)
The thematic approach of the artist is based in the examination of the history of slavery throughout the Atlantic space, the memory of black labour in the American plantation economy, and the pervasive heritage of colonial and racial discourse within contemporary society. The Curious in Ecstasy The Day (2006) picks up the story of Saartjie Baartman, a young South African woman who was taken to England and France as a slave at the beginning of 19th century, where she was exhibited as an exotic object of curiosity before the eyes of the European bourgeois audience. Dubbed “the Hottentot Venus”, her physical aspect was considered a symbol of primitive beauty, closer to the animal kingdom then the human world, and thus incomprehensible to the European gaze. Hank Willis Thomas reproduces articles from French press of the time, removing the image of Saartjie Baartman being observed by a group of curious spectators and substituting instead the image of Botticelli’s Venus as a canonical European ideal of female beauty. In this way, the artist overturns the logic of the white European view by unveiling the racial construction behind this ideal. The Day I Discovered I Was Colored (2006) reproduces an American illustration from the Sixties, giving voice to discontent regarding the discovery of an identity imposed as a form of diversity and racial inferiority. Afro-American Express (2008) reproduces the graphic trademarks of three well-known credit cards by substituting these official logos with images of the slave trading ships that carried slaves from the west coast of Africa to American plantations. Thus, the immaterial circularity of financial goods controlled by international banking institutions is equated with bitter irony to the circularity of the slave trade conducted along the routes of the Atlantic Ocean in centuries past.
Nanna Debois Buhl (*1975, Aarhus, Denmark; lives and works in New York, US)
The work of the Danish artist is a complex enquiry into the colonial heritage within Danish history. Looking for Donkeys (2008-2009) narrates a week in the life of the artist, spent on the island of St. John looking for donkeys. The island is part of the Virgin Islands, in the Atlantic Ocean, and was the property of the Danish government between 1718 and 1917, the year in which control of the islands were ceded to the government of the United States. Together with the black slaves collected on the shores of Western Africa and carried on slave ships to the Virgin Islands, the Danish also shipped large numbers of donkeys across the Atlantic to St. John at the beginning of the 18th century. These donkeys were then used as working animals on sugar plantations. When the colonial period ended at the beginning of the 20th century, the donkeys remained on the island, which nowadays is home to approximately 400 of them, as they have become quite prolific in feral conditions. Within this video work, the artist speaks about her encounter with the donkeys of St. John as phantasms of the Danish colonial past. They are mysterious, elusive creatures, cultural enigmas of a collective memory that has been removed and remains to be investigated. Incredible Creature (2009) is a further enquiry on the part of the artist into the colonial past of Denmark, revealing stories of Danish merchants and missionaries who travelled across the Atlantic looking for places to colonize and resources to exploit. The Danish participation in the history of the transatlantic slave trade still finds echoes today in the country’s architecture, such as the 18th century harbour warehouses of Copenhagen, where the floral motives of the tapestries dating to that time depict typical flowers of the Caribbean region.
27
novembre 2009
Black Atlantic
Dal 27 novembre 2009 al 30 gennaio 2010
arte contemporanea
Location
AR/GE KUNST GALLERIA MUSEO
Bolzano, Via Museo, 29, (Bolzano)
Bolzano, Via Museo, 29, (Bolzano)
Orario di apertura
Ma – Ve dalle ore 10-13 e 15-19
Sa dalle ore 10-13
Do e Lu chiuso
Vernissage
27 Novembre 2009, ore 19
Autore
Curatore