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Keith Haring
La mostra Keith Haring, curata da Luca Beatrice, presso Vecchiato Art Galleries, illustra le principali tappe della meteoritica carriera dell’artista newyorchese attraverso una trentina di opere realizzate tra il 1981 e il 1988.
Comunicato stampa
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I lavori in rassegna rappresentano il coloratissimo, primitivo e simbolico universo visivo di Keith Haring, per il quale non esiste una tecnica o un supporto “classico”; Haring realizza le sue opere utilizzando tutti i tipi di materiali o supporti: dal legno al ferro, dal cartone all’alluminio, sui quali interviene con smalto, acrilico, pennarello, gesso o quant’altro incontri la sua strada.Keith Haring: oltre che artista, è stato anche un attivista sociale e il suo lavoro riflette pienamente lo spirito della generazione Pop e della cultura urbana della New York – New Wave anni ’80.
Nato in Pennsilvanya nel ’58, fin da bambino crea piccoli disegni ispirandosi ai fumetti e ai cartoni animati. Dopo la Ivy School of Art di Pittsburgh, dove realizza le prime serigrafie e magliette, continua gli studi alla New York School of Visual Arts durante il biennio 1978-’79. In questa occasione conosce Keith Sonnier e Joseph Kosuth che lo aiutano a formarsi come artista concettuale dopo le sperimentazioni con la forma e il colore. Il suo lavoro contribuisce ad abbattere le barriere tra arte, musica, moda e pubblicità che si coniugano e si fondono.
L’arte di Keith Haring utilizza un’iconografia mista di elementi sessuali, dischi volanti, persone, cani, animali che danzano, ballano e saltano; nel tempo si aggiungono figure che corrono, bebè a gattoni, ecc.. Dal 1982-‘83 fanno la comparsa elementi architettonici e tecnologici come piramidi, templi, telefoni e tv fino a centrali nucleari. Arriva così a toccare temi scabrosi come il potere o la paura della tecnologia, che riflettono pienamente l’inquietudine morale del momento.
Il supporto pittorico: i materiali utilizzati sono i più vari e spesso facilmente accessibili come ad esempio carta, fibra di vetro, tela, pezzi di acciaio smaltato, magliette, polistirolo, porte, finestre, vetri, vasi. Anche le influenze sono molteplici e variegate: dall’arte eschimese a quella africana, dai Maya agli aborigeni, dalla calligrafia cinese agli all-over di Alechinsky e Mark Tobey a partire dai quali ha creato il caratteristico stile semi-astratto, una specie di New Wave azteca che ricorda anche Pollock e Penck.
Grosse linee nere incorniciano le composizioni dominate dall’horror vacui, la paura del vuoto, e vibrano di un’energia irresistibile.
Il suo stile contiene i caratteri di una generazione Pop, mescolati con la cultura sub-urbana dell’East Village di Manhattan; l’obiettivo dell’artista è sempre quello di creare nel modo più semplice possibile. Luca Beatrice: (Torino 1961) è fra i critici emergenti e più attivi di nuova generazione, nonchè curatore del “Padiglione Italia” alla 53esima Biennale di Venezia. Promotore attento, nella prima metà degli anni Novanta, delle tendenze di punta dell’arte italiana, grazie ai suoi interventi, Beatrice ha raccolto le proprie scelte in libri come Nuova Scena (1995) e Nuova arte italiana (1998), scritti in collaborazione con Cristiana Perrella. La predilezione di Beatrice per gli scambi linguistici interdisciplinari si manifesta anche nella sua elaborazione teorica presente nelle sue numerose pubblicazioni. Ricordiamo: Al cuore, Ramon, al cuore, studio sul cinema western, Stesso sangue – DNA di una generazione, raccolta di interviste a giovani scrittori italiani fra cui gli esponenti della narrativa “cannibale”, e interventi su riviste “di frontiera” come Kult. Egli predilige esperienze di pittura maturate dalla costola della cultura mediatica, come dimostra nel suo libro Facts and Fiction. La nuova pittura internazionale tra immaginario e realtà. Curatore e presentatore di numerose mostre collettive e personali, Luca Beatrice è docente di Storia dell’Arte all’Accademia di Brera.
Luca Beatrice commenta: “la sua arte per tutti, come lui stesso amava precisare, si è andata definendo universalmente in segni che hanno trovato nelle più svariate forme - da un mini supporto in legno o metallo alla parete di una chiesa - lo spazio per una espressività senza eguali. Che si trattasse di cartone, polistirolo o alluminio, o che il suo strumento fosse un enorme pennello, un’incisione, o una pittura acrilica, gli omini stilizzati di Haring vivono nell’immaginario collettivo come ironico e giocoso messaggio di derisione al perbenismo imperante della società occidentale”.
Nato in Pennsilvanya nel ’58, fin da bambino crea piccoli disegni ispirandosi ai fumetti e ai cartoni animati. Dopo la Ivy School of Art di Pittsburgh, dove realizza le prime serigrafie e magliette, continua gli studi alla New York School of Visual Arts durante il biennio 1978-’79. In questa occasione conosce Keith Sonnier e Joseph Kosuth che lo aiutano a formarsi come artista concettuale dopo le sperimentazioni con la forma e il colore. Il suo lavoro contribuisce ad abbattere le barriere tra arte, musica, moda e pubblicità che si coniugano e si fondono.
L’arte di Keith Haring utilizza un’iconografia mista di elementi sessuali, dischi volanti, persone, cani, animali che danzano, ballano e saltano; nel tempo si aggiungono figure che corrono, bebè a gattoni, ecc.. Dal 1982-‘83 fanno la comparsa elementi architettonici e tecnologici come piramidi, templi, telefoni e tv fino a centrali nucleari. Arriva così a toccare temi scabrosi come il potere o la paura della tecnologia, che riflettono pienamente l’inquietudine morale del momento.
Il supporto pittorico: i materiali utilizzati sono i più vari e spesso facilmente accessibili come ad esempio carta, fibra di vetro, tela, pezzi di acciaio smaltato, magliette, polistirolo, porte, finestre, vetri, vasi. Anche le influenze sono molteplici e variegate: dall’arte eschimese a quella africana, dai Maya agli aborigeni, dalla calligrafia cinese agli all-over di Alechinsky e Mark Tobey a partire dai quali ha creato il caratteristico stile semi-astratto, una specie di New Wave azteca che ricorda anche Pollock e Penck.
Grosse linee nere incorniciano le composizioni dominate dall’horror vacui, la paura del vuoto, e vibrano di un’energia irresistibile.
Il suo stile contiene i caratteri di una generazione Pop, mescolati con la cultura sub-urbana dell’East Village di Manhattan; l’obiettivo dell’artista è sempre quello di creare nel modo più semplice possibile. Luca Beatrice: (Torino 1961) è fra i critici emergenti e più attivi di nuova generazione, nonchè curatore del “Padiglione Italia” alla 53esima Biennale di Venezia. Promotore attento, nella prima metà degli anni Novanta, delle tendenze di punta dell’arte italiana, grazie ai suoi interventi, Beatrice ha raccolto le proprie scelte in libri come Nuova Scena (1995) e Nuova arte italiana (1998), scritti in collaborazione con Cristiana Perrella. La predilezione di Beatrice per gli scambi linguistici interdisciplinari si manifesta anche nella sua elaborazione teorica presente nelle sue numerose pubblicazioni. Ricordiamo: Al cuore, Ramon, al cuore, studio sul cinema western, Stesso sangue – DNA di una generazione, raccolta di interviste a giovani scrittori italiani fra cui gli esponenti della narrativa “cannibale”, e interventi su riviste “di frontiera” come Kult. Egli predilige esperienze di pittura maturate dalla costola della cultura mediatica, come dimostra nel suo libro Facts and Fiction. La nuova pittura internazionale tra immaginario e realtà. Curatore e presentatore di numerose mostre collettive e personali, Luca Beatrice è docente di Storia dell’Arte all’Accademia di Brera.
Luca Beatrice commenta: “la sua arte per tutti, come lui stesso amava precisare, si è andata definendo universalmente in segni che hanno trovato nelle più svariate forme - da un mini supporto in legno o metallo alla parete di una chiesa - lo spazio per una espressività senza eguali. Che si trattasse di cartone, polistirolo o alluminio, o che il suo strumento fosse un enorme pennello, un’incisione, o una pittura acrilica, gli omini stilizzati di Haring vivono nell’immaginario collettivo come ironico e giocoso messaggio di derisione al perbenismo imperante della società occidentale”.
20
ottobre 2009
Keith Haring
Dal 20 ottobre al 30 dicembre 2009
arte contemporanea
Location
Orario di apertura
lunedì - sabato 9 –13 / 15.30 – 19.30 Chiuso domenica e festivi
Vernissage
20 Ottobre 2009, ore 18.00
Autore
Curatore