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Carola Faller-Barris – Dimore
L’Artista nata a Friburgo, lavora con una tecnica disegnativa abbagliante, tanto analitica e pungente da rendere visionarie e surreali le sue opere. Nella prima mostra personale in Italia, presenta un grande disegno a matita su legno di cm. 300×618 e una serie di disegni su carta di cm. 150×120.
Comunicato stampa
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Silvia Pegoraro
CAROLA FALLER-BARRIS DIMORE
Il linguaggio è la casa dell'essere. Nella sua dimora abita l'uomo. I pensatori ed i poeti sono i custodi di questa dimora.
Martin Heidegger (Lettera sull’Umanismo)
Fino all’inizio del XX secolo, la tradizione artistica subordinava la carta alla tela, attribuendole una funzione esclusivamente preparatoria: servire per gli studi e gli abbozzi delle opere, che sarebbero successivamente state dipinte su tela, o scolpite. All’inizio del Novecento, la tecnica che i francesi definiscono “marouflage”, consistente nell’incollare la carta sulla tela, e l’invenzione del collage da parte dei cubisti, contribuirono al crollo della gerarchia che subordinava la carta alla tela.
Nel Novecento, secolo che sconvolge le tradizionali categorie concettuali e scioglie le aggregazioni sedimentate nei secoli, elette e accettate, si dipana, allo stesso tempo, proprio come un labirinto, un intero universo di modi di rappresentazione, simultaneamente a disposizione dell’artista, universo nel quale la carta e il disegno assumono sicuramente un ruolo da protagonisti. Il disegno si rapporta alla scrittura, per rispondere all’urgenza dello scandaglio espressivo, ma insieme al bisogno di immediatezza, evitando i filtri del linguaggio pittorico. Il fascino del disegno riposa dunque anche sulla sua prossimità alla traccia della scrittura. Nel disegno cerchiamo l’impronta di un ductus. Nel disegno percepiamo la presenza fisicamente diretta e concreta della mano, come in nessun’altra disciplina artistica visiva : il gesto corporeo, la vibrante circolazione di un‘autografia.
Scriveva, splendidamente, Italo Calvino :
... è la sostanza del segno grafico che si rivela come la vera sostanza del mondo, (…) filo di scrittura fitta fitta febbrile nevrotica che si sostituisce a ogni altro mondo possibile. Il mondo è trasformato in linea , un’unica linea spezzata, contorta, discontinua. L’uomo anche. E quest’uomo, trasformato in linea, è finalmente il padrone del mondo , pur non sfuggendo alla sua condizione di prigioniero, perché la linea tende dopo molte volute e ghirigori a richiudersi su se stessa prendendolo in trappola.
Moltissimi artisti, pittori, scultori, creatori di installazioni, ma anche performers e videoartisti, utilizzano ampiamente il medium cartaceo per realizzare studi e progetti, lavori di preparazione e supporto alle opere considerate “maggiori”. Altri artisti, invece, concepiscono le opere su carta come assolutamente autonome e in sé compiute, e il disegno come mezzo espressivo fondamentale e assoluto: Carola Faller-Barris appartiene a questa categoria. L’artista di Friburgo lavora con una tecnica disegnativa abbagliante, tanto analitica e pungente da rendere assolutamente visionarie e surreali le sue opere, sulla traccia del più grande “realismo visionario” del ‘500 tedesco, da Dürer a Cranach ad Altdorfer . Ecco allora i suoi grandi disegni carichi di valori percettivi e simbolici: carte come morfologie di paesaggi cerebrali o emotivi, potentemente concrete e “sensibili”, colme del fascino di una gestualità libera e guidata da una potente immaginazione, ma insieme esatta e rigorosissima. Carte tattili; carte illusorie e fertili; schermi bianchi solcati dalle ombre della mente; forme di plastica evidenza; immagini che alternano interrogativi e trionfi dello sguardo, naufragi nel mare delle emozioni e lucidi percorsi intellettuali. Testimoni, comunque, del fatto che, come dice Pessoa, la vita non basta: occorre uscire dalla vita ed entrare nel labirinto delle sue immagini. Queste carte sono insieme il labirinto e gli strumenti per orientarsi in esso. Il labirinto: l’intrico di rami, di spine che ossessiona l’artista, e lungo un inesauribile percorso metamorfico assume forme esatte, si dipana secondo limpide geometrie, prende le sembianze di oggetti familiari, come la casa, la dimora, appunto, o il nido. L’idea di dono si associa di continuo all’idea del sacrificio, di matrice cristologica (l’allusione visiva alla corona di spine ) o ebraica (come nell’opera Shoah).
Lo spazio della superficie disegnata si rivela uno spazio imploso, concitato, virtuale, carico di potenzialità e prospettive. Uno spazio ricchissimo di elementi stilistici e immaginativi: il divenire-reale, in nuce, di un’idea. L’esplorazione storico-museale del post-moderno viene sostituita da uno slancio utopico che rimanda nuovamente al moderno, sebbene calato, quest’ultimo, in una dimensione più intima e introspettiva, dubbiosa e carica di mistero, rispetto a quella delle avanguardie del Novecento.
Henri Focillon sosteneva che “Il passato serve solo a conoscere l’attualità”, ma poi si chiedeva: “Che cos’è l’attualità ?”. George Kubler risponde definendo l’attualità come “un momento di oscurità tra un lampeggìo e l’altro del faro, l’istante di silenzio nel ticchettare di un orologio : è uno spazio vuoto che scivola tra le maglie del tempo, il punto di rottura tra passato e futuro” . Più che il punto di rottura, si sarebbe tentati di osservare, forse il punto critico, cioè il punto di krisis, di passaggio, di trasformazione, tra passato e futuro. In tal senso, i grandi lavori su carta di Carola Faller-Barris sono profondamente attuali, critici, metamorfici: aiutano ad abbandonare l’ottica del lavoro artistico come sistema compiuto, per entrare in quella del progetto come prospettiva, cammino, tensione verso un’immagine compiuta, o verso un’immagine della compiutezza . In questo modo la rappresentazione, che abita la superficie dell’opera e la fa vivere, viene rapportata a un insieme di spazi non fisici, ma mentali, che sono parte del sistema dell’opera. La rappresentazione, più che rappresentare qualcosa, allude a un’idea, a un oggetto pensato e sognato, attivando una serie di dispositivi “drammatici” e quasi “narrativi”.
Queste opere, forse, forniscono anche un’indicazione per superare la dicotomia tra orizzonte delle esperienze e orizzonte delle attese, individuata da Reinhart Koselleck, secondo il quale in età moderna le aspettative si sono sempre più allontanate dalle esperienze, venendo a creare un divario diventato ormai incolmabile . La teoria dello storico tedesco sembra confermata dalle vicende dell’arte d’avanguardia, che si è posta in una condizione di critica, se non di condanna, verso l’esperienza del passato, ossia verso la storia e la tradizione, mentre ha privilegiato la dimensione del futuro. E’ possibile equilibrare l’esperienza del passato con quella dell’avvenire? Trovare, allora, un punto di equilibrio tra un’idea di forma definitivamente strutturata, cioè un’immobilità, e un divenire formale e concettuale? Questi lavori della Faller-Barris sembrano affidare il punto d’equilibrio in questione all’esperienza artistica intesa come azione nel presente, dove l’azione si radica in un saldo territorio memoriale, ma passa attraverso un profondo desiderio di creazione e di conoscenza. Memoria, dunque, e insieme prospettiva sul futuro. Ci si può allora forse affidare anche al pensiero di Heidegger, che risalendo al detto di Eraclito , secondo cui "il carattere (ethos) proprio dell'uomo è il suo demone", lo analizza interpretando etimologicamente la parola ethos come soggiorno, ovvero dimora. Il linguaggio viene ad essere considerato da Heidegger appunto come il luogo, la dimora, dove è possibile che l'essere si manifesti nella sua verità. L'essere non è un oggetto: con un'immagine ripresa dalla teologia neoplatonica, ed espressa nel corso della conferenza Essenza della Verità del 1930, Heidegger suggerisce di pensarlo come la "luce" entro cui è possibile vedere gli oggetti. In un celebre passaggio della Lettera sull'umanismo, Heidegger afferma che ci si deve comportare, nei confronti di ciò che è, come nei confronti dell'ospite atteso: custodire e preparare la dimora, rammemorando un incontro passato, e predisponendosi consapevolmente alla possibilità di un incontro futuro. Questo sembra fare Carola Faller-Barris, creando le sue opere fatte anche di interstizi fluttuanti tra le forme elaborate dall'arte e quelle preesistenti della vita.
In tal modo l'opera diventa quel luogo heideggeriano, campo di riserva di un linguaggio capace di creare una dimora effettiva in cui lo spettatore possa fluttuare e respirare. Tutto ciò significa anche la capacità di non essere monolitici, ma irregolari fino al punto di muoversi lungo coordinate impalpabili e relative, tra punti di riferimento dislocati in maniera asimmetrica tra loro, con una felice afasia spaziale e temporale. La capacità di addentrarsi in quella materia che Giordano Bruno addita nel De Umbris Idearum : una materia fatta di luce pura, senza colore, e anche di ombra assoluta, di densità fisica e di virtualità allusiva, vivida e opaca, spettrale e magmatica. Compresenza, ancora una volta, di diversità, di contrari. Come il bianco e il nero sui quali si gioca la partita espressiva di Carola Faller-Barris: il bianco e il nero in tutta la loro capacità di generare tensioni, contrasti, ma anche di richiamarsi come per reciproca necessità: il nondum del colore, il bianco e il suo implodere in se stesso, e il consummatum est del colore, il nero; il puro avvenire e il puro passato del colore. Un misurarsi, quasi, con l’eccesso di luce e con l’assenza di luce, entrambi i quali producono accecamento. In un bellissimo, durissimo libro (uno dei suoi ultimi), Memorie di cieco, Jacques Derrida tratta del disegno proprio come di ciò che viene dall’accecamento, e va verso l’accecamento. “Visione”, si sa, non ha nulla a che fare con l’ottica. “Visione” è tensione infinita verso una sintesi tra il visibile e l’invisibile, che è la dimensione del vedere nella memoria e nel sogno. Quell’invisibile in cui il disegno della Faller-Barris tiene sempre un piede, come si vede anche dalla sua estraneità al colore. Del resto, ricordiamoci quanto scriveva Paul Valéry, nel 1933:
Noi comunichiamo col bianco e col nero, da cui la natura non sa ricavare nulla.(…) Lei ha bisogno di un materiale letteralmente infinito. Noi invece di pochissime cose e, se possibile, di molto spirito…
I. Calvino, La penna in prima persona (Per i disegni di Saul Steinberg), in Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Einaudi, Torino 1980, p.295.
G. Kubler, La forma del tempo, Einaudi, Torino 1976, p.25.
Cfr. R. Koselleck, La storia sociale moderna e i tempi storici, in La teoria della storiografia oggi, a cura di P.Rossi, Il Saggiatore, Milano 1988.
CAROLA FALLER-BARRIS DIMORE
Il linguaggio è la casa dell'essere. Nella sua dimora abita l'uomo. I pensatori ed i poeti sono i custodi di questa dimora.
Martin Heidegger (Lettera sull’Umanismo)
Fino all’inizio del XX secolo, la tradizione artistica subordinava la carta alla tela, attribuendole una funzione esclusivamente preparatoria: servire per gli studi e gli abbozzi delle opere, che sarebbero successivamente state dipinte su tela, o scolpite. All’inizio del Novecento, la tecnica che i francesi definiscono “marouflage”, consistente nell’incollare la carta sulla tela, e l’invenzione del collage da parte dei cubisti, contribuirono al crollo della gerarchia che subordinava la carta alla tela.
Nel Novecento, secolo che sconvolge le tradizionali categorie concettuali e scioglie le aggregazioni sedimentate nei secoli, elette e accettate, si dipana, allo stesso tempo, proprio come un labirinto, un intero universo di modi di rappresentazione, simultaneamente a disposizione dell’artista, universo nel quale la carta e il disegno assumono sicuramente un ruolo da protagonisti. Il disegno si rapporta alla scrittura, per rispondere all’urgenza dello scandaglio espressivo, ma insieme al bisogno di immediatezza, evitando i filtri del linguaggio pittorico. Il fascino del disegno riposa dunque anche sulla sua prossimità alla traccia della scrittura. Nel disegno cerchiamo l’impronta di un ductus. Nel disegno percepiamo la presenza fisicamente diretta e concreta della mano, come in nessun’altra disciplina artistica visiva : il gesto corporeo, la vibrante circolazione di un‘autografia.
Scriveva, splendidamente, Italo Calvino :
... è la sostanza del segno grafico che si rivela come la vera sostanza del mondo, (…) filo di scrittura fitta fitta febbrile nevrotica che si sostituisce a ogni altro mondo possibile. Il mondo è trasformato in linea , un’unica linea spezzata, contorta, discontinua. L’uomo anche. E quest’uomo, trasformato in linea, è finalmente il padrone del mondo , pur non sfuggendo alla sua condizione di prigioniero, perché la linea tende dopo molte volute e ghirigori a richiudersi su se stessa prendendolo in trappola.
Moltissimi artisti, pittori, scultori, creatori di installazioni, ma anche performers e videoartisti, utilizzano ampiamente il medium cartaceo per realizzare studi e progetti, lavori di preparazione e supporto alle opere considerate “maggiori”. Altri artisti, invece, concepiscono le opere su carta come assolutamente autonome e in sé compiute, e il disegno come mezzo espressivo fondamentale e assoluto: Carola Faller-Barris appartiene a questa categoria. L’artista di Friburgo lavora con una tecnica disegnativa abbagliante, tanto analitica e pungente da rendere assolutamente visionarie e surreali le sue opere, sulla traccia del più grande “realismo visionario” del ‘500 tedesco, da Dürer a Cranach ad Altdorfer . Ecco allora i suoi grandi disegni carichi di valori percettivi e simbolici: carte come morfologie di paesaggi cerebrali o emotivi, potentemente concrete e “sensibili”, colme del fascino di una gestualità libera e guidata da una potente immaginazione, ma insieme esatta e rigorosissima. Carte tattili; carte illusorie e fertili; schermi bianchi solcati dalle ombre della mente; forme di plastica evidenza; immagini che alternano interrogativi e trionfi dello sguardo, naufragi nel mare delle emozioni e lucidi percorsi intellettuali. Testimoni, comunque, del fatto che, come dice Pessoa, la vita non basta: occorre uscire dalla vita ed entrare nel labirinto delle sue immagini. Queste carte sono insieme il labirinto e gli strumenti per orientarsi in esso. Il labirinto: l’intrico di rami, di spine che ossessiona l’artista, e lungo un inesauribile percorso metamorfico assume forme esatte, si dipana secondo limpide geometrie, prende le sembianze di oggetti familiari, come la casa, la dimora, appunto, o il nido. L’idea di dono si associa di continuo all’idea del sacrificio, di matrice cristologica (l’allusione visiva alla corona di spine ) o ebraica (come nell’opera Shoah).
Lo spazio della superficie disegnata si rivela uno spazio imploso, concitato, virtuale, carico di potenzialità e prospettive. Uno spazio ricchissimo di elementi stilistici e immaginativi: il divenire-reale, in nuce, di un’idea. L’esplorazione storico-museale del post-moderno viene sostituita da uno slancio utopico che rimanda nuovamente al moderno, sebbene calato, quest’ultimo, in una dimensione più intima e introspettiva, dubbiosa e carica di mistero, rispetto a quella delle avanguardie del Novecento.
Henri Focillon sosteneva che “Il passato serve solo a conoscere l’attualità”, ma poi si chiedeva: “Che cos’è l’attualità ?”. George Kubler risponde definendo l’attualità come “un momento di oscurità tra un lampeggìo e l’altro del faro, l’istante di silenzio nel ticchettare di un orologio : è uno spazio vuoto che scivola tra le maglie del tempo, il punto di rottura tra passato e futuro” . Più che il punto di rottura, si sarebbe tentati di osservare, forse il punto critico, cioè il punto di krisis, di passaggio, di trasformazione, tra passato e futuro. In tal senso, i grandi lavori su carta di Carola Faller-Barris sono profondamente attuali, critici, metamorfici: aiutano ad abbandonare l’ottica del lavoro artistico come sistema compiuto, per entrare in quella del progetto come prospettiva, cammino, tensione verso un’immagine compiuta, o verso un’immagine della compiutezza . In questo modo la rappresentazione, che abita la superficie dell’opera e la fa vivere, viene rapportata a un insieme di spazi non fisici, ma mentali, che sono parte del sistema dell’opera. La rappresentazione, più che rappresentare qualcosa, allude a un’idea, a un oggetto pensato e sognato, attivando una serie di dispositivi “drammatici” e quasi “narrativi”.
Queste opere, forse, forniscono anche un’indicazione per superare la dicotomia tra orizzonte delle esperienze e orizzonte delle attese, individuata da Reinhart Koselleck, secondo il quale in età moderna le aspettative si sono sempre più allontanate dalle esperienze, venendo a creare un divario diventato ormai incolmabile . La teoria dello storico tedesco sembra confermata dalle vicende dell’arte d’avanguardia, che si è posta in una condizione di critica, se non di condanna, verso l’esperienza del passato, ossia verso la storia e la tradizione, mentre ha privilegiato la dimensione del futuro. E’ possibile equilibrare l’esperienza del passato con quella dell’avvenire? Trovare, allora, un punto di equilibrio tra un’idea di forma definitivamente strutturata, cioè un’immobilità, e un divenire formale e concettuale? Questi lavori della Faller-Barris sembrano affidare il punto d’equilibrio in questione all’esperienza artistica intesa come azione nel presente, dove l’azione si radica in un saldo territorio memoriale, ma passa attraverso un profondo desiderio di creazione e di conoscenza. Memoria, dunque, e insieme prospettiva sul futuro. Ci si può allora forse affidare anche al pensiero di Heidegger, che risalendo al detto di Eraclito , secondo cui "il carattere (ethos) proprio dell'uomo è il suo demone", lo analizza interpretando etimologicamente la parola ethos come soggiorno, ovvero dimora. Il linguaggio viene ad essere considerato da Heidegger appunto come il luogo, la dimora, dove è possibile che l'essere si manifesti nella sua verità. L'essere non è un oggetto: con un'immagine ripresa dalla teologia neoplatonica, ed espressa nel corso della conferenza Essenza della Verità del 1930, Heidegger suggerisce di pensarlo come la "luce" entro cui è possibile vedere gli oggetti. In un celebre passaggio della Lettera sull'umanismo, Heidegger afferma che ci si deve comportare, nei confronti di ciò che è, come nei confronti dell'ospite atteso: custodire e preparare la dimora, rammemorando un incontro passato, e predisponendosi consapevolmente alla possibilità di un incontro futuro. Questo sembra fare Carola Faller-Barris, creando le sue opere fatte anche di interstizi fluttuanti tra le forme elaborate dall'arte e quelle preesistenti della vita.
In tal modo l'opera diventa quel luogo heideggeriano, campo di riserva di un linguaggio capace di creare una dimora effettiva in cui lo spettatore possa fluttuare e respirare. Tutto ciò significa anche la capacità di non essere monolitici, ma irregolari fino al punto di muoversi lungo coordinate impalpabili e relative, tra punti di riferimento dislocati in maniera asimmetrica tra loro, con una felice afasia spaziale e temporale. La capacità di addentrarsi in quella materia che Giordano Bruno addita nel De Umbris Idearum : una materia fatta di luce pura, senza colore, e anche di ombra assoluta, di densità fisica e di virtualità allusiva, vivida e opaca, spettrale e magmatica. Compresenza, ancora una volta, di diversità, di contrari. Come il bianco e il nero sui quali si gioca la partita espressiva di Carola Faller-Barris: il bianco e il nero in tutta la loro capacità di generare tensioni, contrasti, ma anche di richiamarsi come per reciproca necessità: il nondum del colore, il bianco e il suo implodere in se stesso, e il consummatum est del colore, il nero; il puro avvenire e il puro passato del colore. Un misurarsi, quasi, con l’eccesso di luce e con l’assenza di luce, entrambi i quali producono accecamento. In un bellissimo, durissimo libro (uno dei suoi ultimi), Memorie di cieco, Jacques Derrida tratta del disegno proprio come di ciò che viene dall’accecamento, e va verso l’accecamento. “Visione”, si sa, non ha nulla a che fare con l’ottica. “Visione” è tensione infinita verso una sintesi tra il visibile e l’invisibile, che è la dimensione del vedere nella memoria e nel sogno. Quell’invisibile in cui il disegno della Faller-Barris tiene sempre un piede, come si vede anche dalla sua estraneità al colore. Del resto, ricordiamoci quanto scriveva Paul Valéry, nel 1933:
Noi comunichiamo col bianco e col nero, da cui la natura non sa ricavare nulla.(…) Lei ha bisogno di un materiale letteralmente infinito. Noi invece di pochissime cose e, se possibile, di molto spirito…
I. Calvino, La penna in prima persona (Per i disegni di Saul Steinberg), in Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Einaudi, Torino 1980, p.295.
G. Kubler, La forma del tempo, Einaudi, Torino 1976, p.25.
Cfr. R. Koselleck, La storia sociale moderna e i tempi storici, in La teoria della storiografia oggi, a cura di P.Rossi, Il Saggiatore, Milano 1988.
24
ottobre 2009
Carola Faller-Barris – Dimore
Dal 24 ottobre al 28 novembre 2009
arte contemporanea
Location
FIORETTO ARTE CONTEMPORANEA – GALLERIA AL MONTIRONE
Abano Terme, Via Pietro D'abano, 20, (Padova)
Abano Terme, Via Pietro D'abano, 20, (Padova)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 15,30 - 19,30
domenica e lunedì su appuntamento
Vernissage
24 Ottobre 2009, ore 18,00
Autore
Curatore