13 marzo 2011

L’arte commestibile

 
Si rievoca a Padova la prima mostra di forme commestibili del Gruppo N. In terra veneta si discute la funzione di sussistenza del pane legata al fare artistico...

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A Padova il 18 marzo nel nuovo Centro Culturale S.Gaetano si rievocherà quella che è passata alla storia dell’arte contemporanea come La mostra del pane, allestita dall’immaginario panettiere Giovanni Zorzon, realizzata dal Gruppo N nella sede di via S.Pietro il 18 marzo 1961.

L’evento che durerà una sola giornata come allora, consiste in un effimero allestimento di gigantografie della mostra originaria, nella distribuzione gratuita del pane (come allora, ma su ampia scala cittadina da parte dei panificatori padovani e della loro scuola di panificazione frequentata dai giovani down o con problemi di adattamento, ospiti dalla comunità Ca’ Edimar) e in una serata-happening di dibattito con i testimoni di allora e giovani critici e artisti di ora.

Rievocare quella mostra nel giorno del suo cinquantesimo anniversario diviene pretesto per riflettere sul tema della provocazione, sulla produzione artistica contemporanea e sul suo sistema diventato ancor più autoritario ed enfatico di allora.

Di fatto, nonostante il campo dell’arte sia oggi più che mai sede privilegiata di ogni forma di sperimentazione, peraltro recentemente fiancheggiata da innumerevoli tentativi di democratizzazione come fiere, biennali, musei e fondazioni, quanto gravita intorno alla produzione artistica contemporanea resta operazione pressoché elitaria, estranea al pubblico più ampio.

La mostra del pane del 1961 apparve come un evento ironico e ludico, riconducibile ad una serie di episodi deliberatamente pungenti con i quali il collettivo padovano si distinse rapidamente all’interno della scena artistica nazionale.

Il gruppo, la cui prima conformazione, risalente al settembre del 1959, venne denominata EnneA – il termine in greco significa nove, e nove sono infatti i membri della compagine così come appariva originariamente – assunse a dicembre dello stesso anno la dicitura enne, per poi modificarsi, alla fine del 1960, in quella definitiva di Gruppo N. Dei membri appartenenti al collettivo iniziale, tra i quali vengono ricordati Tino Bertoldo, Alberto Biasi, Tolo Custoza, Sara Ivanoff, Bruno Limena, Manfredo Massironi, Milla Muffato, Gianfilippo Pecchini e Gaetano Pesce, proseguono il percorso i soli Biasi e Massironi e ad essi si aggiungono, in momenti di poco successivi, Edoardo Landi, Tonino Costa ed Ennio Chiggio.

Sorretto da un’accesa polemica anti–provincialistica e da un’avversione nei confronti delle ormai sterili espressioni di stampo individualista – si pensi all’automatismo soggettivo di derivazione informale, il cui gesto aveva da tempo esaurito la propria carica espressiva – il Gruppo N esordisce con azioni dal carattere volutamente polemico ed istigatore, eventi che potremmo definire neodada, affini alle provocatorie performances di Piero Manzoni, frequentato a Milano da Biasi e Massironi a partire dal 1959.

Oltre a ciò, e parallelamente a quanto avviene al di fuori dell’ambito territoriale – basti ricordare, una per tutte, l’esperienza milanese di Azimuth, sorta alla fine del 1959 ad opera di Enrico Castellani, Piero Manzoni e Agostino Bonalumi – il Gruppo N manifesta atteggiamenti di negazione nei confronti del circuito artistico internazionale, governato da un sistema di mercato sempre più bulimico e sorretto da una concezione dell’opera d’arte intesa come capolavoro unico ed irripetibile. Partecipa dunque di un clima artistico rinnovato, che prende le mosse da un graduale annientamento del mezzo pittorico tradizionale a favore di orizzonti estetici nuovi, più interessanti e coinvolgenti da un punto di vista divulgativo.

Precede infatti la Mostra del Pane la rassegna A porte chiuse del 1960, evento altrettanto provocatorio a cui nessuno è invitato a partecipare.

Una sorta di mostra al contrario, nella quale la negazione dell’opera d’arte è da intendersi, essa stessa, come momento del fare artistico: un’azione qualificabile come pre-concettuale, la cui carica simbolica assume pari forza estetica dell’opera in quanto tale.

Apparentemente più scanzonata, la successiva Mostra del Pane, preannunciata nei giornali locali come esposizione di forme commestibili, non firmate, e visitabile un giorno soltanto per imprescindibili esigenze di conservazione, polemizza, di fondo, contro una concezione romantica dell’opera d’arte, erroneamente intesa come prodotto esclusivo del genio creatore.

Il titolo originario della mostra è infatti Giovanni Zorzon (Panettiere). Contro il culto della personalità e contro il mito della creazione artistica. Analogamente l’invito, precisata una serie di informazioni relative al panettiere di origine ferrarese, riporta quanto segue: “L’individuo comune accetta queste opere e le assimila senza porsi nessun problema al di fuori di quello del suo istinto. Talvolta ne critica la sostanza, mai la forma. Eppure la loro forma e la loro sostanza nascono dalla funzionalità intrinseca che ne limita e l’una e l’altra. Queste opere possono essere considerate artistiche: la loro concretizzazione non è determinata dall’idea estetizzante del bello, nasce dall’intrinseca necessità di un perfezionamento qualitativo; ne è determinata dall’idea del buono perché queste opere sono di una essenzialità che le rende universali, non esprimono nessun personalistico mondo interiore, assolvono una funzione sociale”.

All’interno dello spazio espositivo le opere sfidano dunque le aspettative convenzionali del pubblico: bilanciate al soffitto alla maniera dei mobiles di Calder – quasi una sorta di anticipazione di quelli che saranno i successivi esperimenti in ambito cinetico – e ordinate sopra un bancone al fine di essere vendute, le forme di pane assolvono quello che dovrebbe essere l’impegno primario dell’operazione artistica, ovvero la sua già citata finalità sociale. Il che, negli intenti del gruppo, voleva essere anche un’occasione di avvicinamento alle sperimentazioni internazionali più aggiornate, impegnate nell’impiego di materiali eterogenei ed extra artistici. E questo perchè, nel pensiero del Gruppo N, di eco vagamente duchampiano, il piacere estetico non esiste, nella sua essenza, come atteggiamento prescindibile da quanto solitamente adoperato nell’esistenza quotidiana. Non solo, qualificato il pane come oggetto d’arte, se ne esibisce il carattere precario ed effimero – fu lo stesso Duchamp a dichiarare la natura momentanea dell’oggetto artistico – e si evidenzia il fatto che i prodotti realizzati non sono appannaggio dell’abilità di un singolo individuo, quanto piuttosto replicabili nel più assoluto anonimato.

Saranno di un momento appena successivo le indagini compiute in ambito cinetico, da intendersi come esperimenti in bilico tra la sfera artistica e quella scientifica relativa allo studio della psicologia della forma e realizzati a partire dalle ricerche estetiche di grandi maestri come Max Bill, Victor Vasarely e Bruno Munari. Quest’ultimo veniva frequentato dal gruppo, insieme ad Enzo Mari, presso le gallerie milanesi Azimuth e Pater, dove già esponevano anche gli artisti del Gruppo T, impegnati in analoghe ricerche in ambito spaziale.

elisabetta vanzelli

curatrice e critico d’arte

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