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Simona Lombardi – Oçi di Tuzla
Simona Lombardi, in occasione di: Nit Maiki- Il filo delle madri. Un incontro sul futuro della Bosnia, ha creato una incisione dal titolo Oçi, che in una stampa d’autore in numero di 50 copie numerate e certificate (dimensioni 15X20), verrà offerta al prezzo sociale e civile di 30 e, proprio in solidarietà al Progetto.
Comunicato stampa
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APPUNTI PER SIMONA LOMBARDI
“ Ho visto un alba blu.
Ho dato al mio dolore/ la forma di abusate parole/ che mi prometto di non pronunciare mai più”.
Si passa attraverso sentimenti di seta e stoffe, quando ciò che unisce il pensiero e la matrilinearità del femminile, è sancito ai confini di trame di Memoria.
Questo sentimento di contrasto all'oblio, è determinato dal porsi in estremo, contro l'ombra della dimenticanza.
Le donne di Tuzla ritrovano questa fede di appartenenza, legandosi a federe vuote degli umori dei loro sposi, figli, parenti persi nei genocidi che la pulizia etnica ha perpetrato con la violenza brutale sui loro corpi e nel loro futuro, ed andando a sfilare per le strade del proprio Paese allo scoccare di un tempo infinito, nell' undici di ogni mese, al grido di un ritorno delle ossa con cui poter colmare di lacrime i sacrari sepolcri, è l'essere vivi di chi non c'è più.
Ci ritroviamo qui oggi proprio per sancire con coraggio di precisione nell'errore, che l'ossimoro della vita, sia la Bellezza da abbracciare nel dolore.
L'opera che l'artista Simona Lombardi ha deciso di donare in una manualità di preghiera, visibile nella scelta della tecnica di incisione a bronzo, che permette la riproduzione a tiratura limitata a 50 copie di dimensione 15X20, ognuna unica e con certificazione d'autore, svela il blu di prussia del pianto infinito degli Occhi di Tuzla.
Occhi di bambini strappati alla brutalità degli effetti della guerra, incapace a redistribuire quel reddito, che poi è una delle vere “ragioni” per cui è stata generata.
Un ingiustizia di scansione, nell'ermeneutica della vita interiore, si unisce alla finzione del pensiero a “ realtà temibili”, riemerse nella riproposizione di volti infiniti, come in specchi frammentati nello sguardo che non esclude ma santifica il corpo reale, il corpo martoriato, ucciso e vissuto.
Il volto dei bambini, degli occhi di Tuzla, in questa incisione rara della Lombardi, scorrono e rispecchiano come acque chiare, il riproporre l'orrore di ciò che altri sguardi hanno immesso nel fluire della vita innocente, dentro il colore scelto per restituire l'abisso della sofferenza.
Questo Blu- che ho riportato come densità di freddo, nella separazione fra gli spazi di ogni acqueforte, mi piace pensare abbia assorbito dal torchio la reazione agli acidi, come antidoto a difesa evidente all'amaro reale, che la Lombardi ha saputo invertire per i sentieri di sentimento, tra l'esile fibra di disegno, e l'incisione di colore che si infiltra come sangue nei solchi-vena di nomi ugualmente segnati in similitudine,-dal terrore che le giovani vite di questi ventidue bambini in Italia per pochi mesi, hanno subito nella vita delle morti di un Paese che invece grida alla Natura/ Cultura, una presenza di affido di passi alla necessità di cielo.
Gli occhi nel blu dei rovi di Simona Lombardi, giungono all'aspro di una indagine intensa, nella forza della domanda posta come malinconia di insieme.
La gioia vive nel qui ed ora di un attimo, è un emozione fragile, mentre la pausa di sospensione che la mancanza di respiro ci da allo stomaco, durante la visione in riflessione complessa della sua opera, non ci permette di evitare l'evidenza della spartizione netta degli spazi.
Vi è il volume del volto infranto e interrotto, composto per poco, nella sospensione di nomi che volano ( sono i nomi dei bambini dell'orfanotrofio di Tuzla, che l'autrice ha davvero conosciuto durante un laboratorio da lei tenuto nella loro breve trasferta in Italia), che a mia interpretazione non a caso sfiorano il lato alto del confine dell'opera, quella quindi più rivolta al cielo (“non c'è disaccordo nel cielo, né nuvole gonfie o mistero; né pacchi ne stupri né soglie, né stanze svuotate di addio. Solo tutte le lacrime avute quando siamo stati migliori. (…) salendo nel vapore leggero, altro non vedo non e non so..Ma se tutto è nascosto nel cielo, al cielo io ritornerò).
E' l'unica zona di Oc'ji di Tuzla dove il Tutto per quanto mai completo, riesce a sostenersi in una dimensione di atavica speranza.
La totalità del desiderio è capace di sospingersi al di sopra dell'oscuro groviglio di ciò che può essere sopportato a metà.
Per questo forse, la fuga di un occhio, rimasto da solo a vedere, posto sotto il sogno, in una corsa di parzialità evidenti, nell'indicibile taciuto, rimane come in un temporale dal profilo più severo. Mancano gli altri elementi ed organi di senso, poiché quello che gli occhi hanno visto, non si può raccontare.
La trama di fili e fili e fili, al centro di un transito tutto sbilanciato al fondo dell'occupazione di macchie frastagliate di colore imbevuto e tolto alla precisione geometrica dei contorni, mi suggerisce una corona di redenzione nelle spine di una auspicata resurrezione, avvenuta oltre l'incisione di cicatrici indelebili ai rami esili della stessa memoria, con cui abbiamo inaugurato queste nostre empatiche sensazioni, tra opera e meta-analisi della stessa.
Il rapporto di salvifica maieutica, che facciamo in una sintesi tra il significato a noi suggerito dall'etica interpretativa, e la necessità di aggiungere anche moti d'animo scaturiti dal proprio personale sentire il terrore di un errore senza fine, ci pone di fronte a ferite ed oltraggi che “ solo il linguaggio dell'anima- che non è il linguaggio del corpo e non è il linguaggio della ragione. Ma è anima stessa”, (secondo la definizione di Bernanos e di S. Weil), può ricucirci alle mani, come ombra da portarci addosso anche nel dolore.
Sono parecchi anni ormai, che la mia ricerca soggettiva si spinge ad una determinazione del Dolore come cifra sostanziale e strumento imprescindibile dell'indagine dell'Uomo come Sé, e talvolta è confortante ritrovare affinità -pur in moti di soggettività peculiare, nelle modalità espressive o artistiche altrui.
In quest'opera di S. Lombardi per esempio, ho pensato che persino la dimensione del 15x20 scelta per queste riproduzioni (gentilmente messe in vendita al prezzo di generosità civile di soli 30 E per solidarietà con l'Associazione Macondo Tre), potesse essere un segno della duale pregnanza della lacerazione che la guerra pone anche in uno spazio ristretto, quasi fosse uno sparo in un muro, questo sguardo di tela che pur riducendo la superficie di riproduzione del male, ne restituisce la feroce dirompenza, anche solo in pochi intensi centimetri.
Mi chiedo se queste spine di rovo, che disegnano un mare ipotetico nel mezzo di Oc'j di Tuzla, non siano simili a tentativi di cancellazione e negazione del Racconto della orribile guerra, ad evidenziare quindi ancora maggiormente la difficoltà di comunicare l'indicibile, che si spera rimanga sepolto sotto quei graffi e sgarbi.
La speranza data dalla danza dei nomi dei bambini, come unico elemento leggibile nell'opera, rincuora persino nella casuale musicalità dolce della sequenza di queste lettere in assegnazione di identità restituita dall'Incontro che l'autrice ha potuto condividere realmente attraverso le mani, gli occhi e l'esercizio della creatività circolare.
In una immaginazione di sogno, mi piace spingere la Visione percettiva dell'incisione nella parte dei tratti/ fili più estremi, come ad aggiungere un elemento narrativo/ creativo che esuli dall'analisi strettamente interpretativa, per creare nella fantasia una chioma di donna, al vento delle spalle voltate alla deprivazione, alla ricerca di un Volto meravigliato, che è già altrove, fuori dalla scena finita; immagino essere quel volto presente in una delle espressioni di ogni donna che ricerca a gran voce una tomba dove ricomporre la generazione di amori cancellata; nei volti dei bambini dell'orfanotrofio di Tuzla, in un momento di gioia come diritto incancellabile all'infanzia; nei volti di chi capirà questo nostro parlare e di chi no; delle volontarie e volontarie o professionisti di questa avventura ed Associazione; in quello di Simona Lombardi, come specchio del sentimento riproposto nell'opera che potrà divenire il Volto del ricordo di chi deciderà di portare con sé un attimo di creazione di Memoria; ed infine nel mio, che nella parola ho cercato di non scomparire in sottrazione, forma che solitamente invece agisco come presenza attiva.
Ringrazio per l'opportunità di condivisione di stati di commozione e di desiderio di partecipazione reale, con una citazione di una delle mie poesie preferite di Antonia Pozzi, che credo tocchi sapientemente alcuni dei punti dell'opera, del dolore raccontato dalle storie e dagli occhi di tuzla.
Nell'aria della stanza
non te guardo
ma già il ricordo del tuo viso
come mi nascerà nel vuoto
ed i tuoi occhi
come si fermarono
ora- in lontani istanti-
sul mio volto.
Siamo unite in questa giornata di intensa riflessione, dall'essere una materia viva di urgente ri.Conoscenza e interpretazione necessaria per il conferimento “ di un senso all'accadere”, come cifra della nostra esperienza nell'andare verso gli Altri da noi.
Ho contravvenuto quindi alla mia estrema riservata timidezza, che solitamente esclude la mia presenza fisica in contemporaneità a quello che spesso lascio agire esclusivamente alle mie parole scritte, pensando che esse da sole possano donare in quella che P. Eluard avrebbe forse definito in forza “ Nudità della verità”, una vicinanza e pregnanza maggiori alla riconduzione di un volto alla regale intimità svelata.
Nella precisa idea che l'ascolto possa essere ugualmente condotto anche durante la direttrice del silenzio.
Si può ascoltare anche il silenzio, così come io ho fatto ponendomi di fronte alle realtà così dirompentemente narrate nel mondo-opera della Lombardi, che ha unito il mio sentire all' esserci della partecipazione attiva, in linea di trasporto verso il limen-limite delle lacrime che poi, mi piace ripeterlo come nella citazione che mi porto ad amuleto, rispetto alla denigrazione di una fragilità a mio avviso invece auspicabile come rivoluzione animistica, non sono che “Le parole del silenzio........
Francesca Valeria Sommovigo.
“ Ho visto un alba blu.
Ho dato al mio dolore/ la forma di abusate parole/ che mi prometto di non pronunciare mai più”.
Si passa attraverso sentimenti di seta e stoffe, quando ciò che unisce il pensiero e la matrilinearità del femminile, è sancito ai confini di trame di Memoria.
Questo sentimento di contrasto all'oblio, è determinato dal porsi in estremo, contro l'ombra della dimenticanza.
Le donne di Tuzla ritrovano questa fede di appartenenza, legandosi a federe vuote degli umori dei loro sposi, figli, parenti persi nei genocidi che la pulizia etnica ha perpetrato con la violenza brutale sui loro corpi e nel loro futuro, ed andando a sfilare per le strade del proprio Paese allo scoccare di un tempo infinito, nell' undici di ogni mese, al grido di un ritorno delle ossa con cui poter colmare di lacrime i sacrari sepolcri, è l'essere vivi di chi non c'è più.
Ci ritroviamo qui oggi proprio per sancire con coraggio di precisione nell'errore, che l'ossimoro della vita, sia la Bellezza da abbracciare nel dolore.
L'opera che l'artista Simona Lombardi ha deciso di donare in una manualità di preghiera, visibile nella scelta della tecnica di incisione a bronzo, che permette la riproduzione a tiratura limitata a 50 copie di dimensione 15X20, ognuna unica e con certificazione d'autore, svela il blu di prussia del pianto infinito degli Occhi di Tuzla.
Occhi di bambini strappati alla brutalità degli effetti della guerra, incapace a redistribuire quel reddito, che poi è una delle vere “ragioni” per cui è stata generata.
Un ingiustizia di scansione, nell'ermeneutica della vita interiore, si unisce alla finzione del pensiero a “ realtà temibili”, riemerse nella riproposizione di volti infiniti, come in specchi frammentati nello sguardo che non esclude ma santifica il corpo reale, il corpo martoriato, ucciso e vissuto.
Il volto dei bambini, degli occhi di Tuzla, in questa incisione rara della Lombardi, scorrono e rispecchiano come acque chiare, il riproporre l'orrore di ciò che altri sguardi hanno immesso nel fluire della vita innocente, dentro il colore scelto per restituire l'abisso della sofferenza.
Questo Blu- che ho riportato come densità di freddo, nella separazione fra gli spazi di ogni acqueforte, mi piace pensare abbia assorbito dal torchio la reazione agli acidi, come antidoto a difesa evidente all'amaro reale, che la Lombardi ha saputo invertire per i sentieri di sentimento, tra l'esile fibra di disegno, e l'incisione di colore che si infiltra come sangue nei solchi-vena di nomi ugualmente segnati in similitudine,-dal terrore che le giovani vite di questi ventidue bambini in Italia per pochi mesi, hanno subito nella vita delle morti di un Paese che invece grida alla Natura/ Cultura, una presenza di affido di passi alla necessità di cielo.
Gli occhi nel blu dei rovi di Simona Lombardi, giungono all'aspro di una indagine intensa, nella forza della domanda posta come malinconia di insieme.
La gioia vive nel qui ed ora di un attimo, è un emozione fragile, mentre la pausa di sospensione che la mancanza di respiro ci da allo stomaco, durante la visione in riflessione complessa della sua opera, non ci permette di evitare l'evidenza della spartizione netta degli spazi.
Vi è il volume del volto infranto e interrotto, composto per poco, nella sospensione di nomi che volano ( sono i nomi dei bambini dell'orfanotrofio di Tuzla, che l'autrice ha davvero conosciuto durante un laboratorio da lei tenuto nella loro breve trasferta in Italia), che a mia interpretazione non a caso sfiorano il lato alto del confine dell'opera, quella quindi più rivolta al cielo (“non c'è disaccordo nel cielo, né nuvole gonfie o mistero; né pacchi ne stupri né soglie, né stanze svuotate di addio. Solo tutte le lacrime avute quando siamo stati migliori. (…) salendo nel vapore leggero, altro non vedo non e non so..Ma se tutto è nascosto nel cielo, al cielo io ritornerò).
E' l'unica zona di Oc'ji di Tuzla dove il Tutto per quanto mai completo, riesce a sostenersi in una dimensione di atavica speranza.
La totalità del desiderio è capace di sospingersi al di sopra dell'oscuro groviglio di ciò che può essere sopportato a metà.
Per questo forse, la fuga di un occhio, rimasto da solo a vedere, posto sotto il sogno, in una corsa di parzialità evidenti, nell'indicibile taciuto, rimane come in un temporale dal profilo più severo. Mancano gli altri elementi ed organi di senso, poiché quello che gli occhi hanno visto, non si può raccontare.
La trama di fili e fili e fili, al centro di un transito tutto sbilanciato al fondo dell'occupazione di macchie frastagliate di colore imbevuto e tolto alla precisione geometrica dei contorni, mi suggerisce una corona di redenzione nelle spine di una auspicata resurrezione, avvenuta oltre l'incisione di cicatrici indelebili ai rami esili della stessa memoria, con cui abbiamo inaugurato queste nostre empatiche sensazioni, tra opera e meta-analisi della stessa.
Il rapporto di salvifica maieutica, che facciamo in una sintesi tra il significato a noi suggerito dall'etica interpretativa, e la necessità di aggiungere anche moti d'animo scaturiti dal proprio personale sentire il terrore di un errore senza fine, ci pone di fronte a ferite ed oltraggi che “ solo il linguaggio dell'anima- che non è il linguaggio del corpo e non è il linguaggio della ragione. Ma è anima stessa”, (secondo la definizione di Bernanos e di S. Weil), può ricucirci alle mani, come ombra da portarci addosso anche nel dolore.
Sono parecchi anni ormai, che la mia ricerca soggettiva si spinge ad una determinazione del Dolore come cifra sostanziale e strumento imprescindibile dell'indagine dell'Uomo come Sé, e talvolta è confortante ritrovare affinità -pur in moti di soggettività peculiare, nelle modalità espressive o artistiche altrui.
In quest'opera di S. Lombardi per esempio, ho pensato che persino la dimensione del 15x20 scelta per queste riproduzioni (gentilmente messe in vendita al prezzo di generosità civile di soli 30 E per solidarietà con l'Associazione Macondo Tre), potesse essere un segno della duale pregnanza della lacerazione che la guerra pone anche in uno spazio ristretto, quasi fosse uno sparo in un muro, questo sguardo di tela che pur riducendo la superficie di riproduzione del male, ne restituisce la feroce dirompenza, anche solo in pochi intensi centimetri.
Mi chiedo se queste spine di rovo, che disegnano un mare ipotetico nel mezzo di Oc'j di Tuzla, non siano simili a tentativi di cancellazione e negazione del Racconto della orribile guerra, ad evidenziare quindi ancora maggiormente la difficoltà di comunicare l'indicibile, che si spera rimanga sepolto sotto quei graffi e sgarbi.
La speranza data dalla danza dei nomi dei bambini, come unico elemento leggibile nell'opera, rincuora persino nella casuale musicalità dolce della sequenza di queste lettere in assegnazione di identità restituita dall'Incontro che l'autrice ha potuto condividere realmente attraverso le mani, gli occhi e l'esercizio della creatività circolare.
In una immaginazione di sogno, mi piace spingere la Visione percettiva dell'incisione nella parte dei tratti/ fili più estremi, come ad aggiungere un elemento narrativo/ creativo che esuli dall'analisi strettamente interpretativa, per creare nella fantasia una chioma di donna, al vento delle spalle voltate alla deprivazione, alla ricerca di un Volto meravigliato, che è già altrove, fuori dalla scena finita; immagino essere quel volto presente in una delle espressioni di ogni donna che ricerca a gran voce una tomba dove ricomporre la generazione di amori cancellata; nei volti dei bambini dell'orfanotrofio di Tuzla, in un momento di gioia come diritto incancellabile all'infanzia; nei volti di chi capirà questo nostro parlare e di chi no; delle volontarie e volontarie o professionisti di questa avventura ed Associazione; in quello di Simona Lombardi, come specchio del sentimento riproposto nell'opera che potrà divenire il Volto del ricordo di chi deciderà di portare con sé un attimo di creazione di Memoria; ed infine nel mio, che nella parola ho cercato di non scomparire in sottrazione, forma che solitamente invece agisco come presenza attiva.
Ringrazio per l'opportunità di condivisione di stati di commozione e di desiderio di partecipazione reale, con una citazione di una delle mie poesie preferite di Antonia Pozzi, che credo tocchi sapientemente alcuni dei punti dell'opera, del dolore raccontato dalle storie e dagli occhi di tuzla.
Nell'aria della stanza
non te guardo
ma già il ricordo del tuo viso
come mi nascerà nel vuoto
ed i tuoi occhi
come si fermarono
ora- in lontani istanti-
sul mio volto.
Siamo unite in questa giornata di intensa riflessione, dall'essere una materia viva di urgente ri.Conoscenza e interpretazione necessaria per il conferimento “ di un senso all'accadere”, come cifra della nostra esperienza nell'andare verso gli Altri da noi.
Ho contravvenuto quindi alla mia estrema riservata timidezza, che solitamente esclude la mia presenza fisica in contemporaneità a quello che spesso lascio agire esclusivamente alle mie parole scritte, pensando che esse da sole possano donare in quella che P. Eluard avrebbe forse definito in forza “ Nudità della verità”, una vicinanza e pregnanza maggiori alla riconduzione di un volto alla regale intimità svelata.
Nella precisa idea che l'ascolto possa essere ugualmente condotto anche durante la direttrice del silenzio.
Si può ascoltare anche il silenzio, così come io ho fatto ponendomi di fronte alle realtà così dirompentemente narrate nel mondo-opera della Lombardi, che ha unito il mio sentire all' esserci della partecipazione attiva, in linea di trasporto verso il limen-limite delle lacrime che poi, mi piace ripeterlo come nella citazione che mi porto ad amuleto, rispetto alla denigrazione di una fragilità a mio avviso invece auspicabile come rivoluzione animistica, non sono che “Le parole del silenzio........
Francesca Valeria Sommovigo.
11
ottobre 2009
Simona Lombardi – Oçi di Tuzla
11 ottobre 2009
arte contemporanea
presentazione
presentazione
Location
PIAZZA LUNI
Sarzana, Piazza Luni, (La Spezia)
Sarzana, Piazza Luni, (La Spezia)
Vernissage
11 Ottobre 2009, ore 17
Sito web
www.Macondotre.org
Autore
Curatore