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Muore Leo Steinberg. Un non conformista nella storia dell’arte
altrecittà
La sua onda di critico e osservatore e passata da Borromini, Michelangelo e Leonardo Da Vinci, per finire a Pollock, Picasso, Rauschenberg e De Kooning. Un'onda anomala e preziosa nella storia dell'arte…
di Irene Falck
È morto domenica sera nella sua
casa di Manhattan Leo Steinberg, a 90 anni di età. A darne il triste annuncio,
l’assistente Sheila Schwartz al New York Times. È stato uno dei più
grandi storici dell’arte di tutti i tempi. Il giornalista e scrittore
statunitense Tom Wolfe lo inserisce tra i Kings of Cultureburg, insieme
a Harold Rosenberg e Clement Greenberg, dei quali Steinberg non ha mai smesso di
criticare l’eccessivo formalismo. “Ha un vantaggio sugli altri
due – dice il critico d’arte Philippe Daverio – è l’unico a conoscere il
passato, pur occupandosi di Jackson Pollock”.
Daverio parla di una vera e
propria metodologia intellettuale che parte dal contemporaneo per analizzare
l’antico. È profondo conoscitore di Rinascimento e Barocco – scrive di
Borromini, Michelangelo e Leonardo – e allo stesso tempo formula importanti
teorie sull’arte contemporanea. Nato a Mosca ma
cresciuto tra Berlino e Londra, Steinberg ha conseguito un dottorato alla
Facoltà di Storia dell’Arte della New York University nel 1960 con una tesi su
Francesco Borromini. Ha poi insegnato allo Hunter College di New York e
all’università della Pennsylvania, oltre a collaborare con altri importanti
istituti: Stanford, Berkeley, Princeton, Columbia e Harvard. L’opera che lo ha reso più
famoso, Other Criteria del 1972, mostra chiaramente la sua abilità di
vedere, capire e decodificare l’oggetto d’arte. In questo testo fondamentale,
Steinberg espone una delle sue teorie rivoluzionarie, dove il piano pittorico è
concepito come piano d’appoggio (flatbed) e la superficie è destinata ad accogliere delle cose su cui siano sparsi degli oggetti. Rimette
cosi in discussione alcuni assiomi fondamentali della storia dell’arte, e offre
un nuovo possibile approccio ai lavori di Pollock, Rauschenberg o Dubuffet. L’ingegno e l’improvvisazione tuttavia
non possono prescindere da una solida conoscenza. “Non affronta solamente i
grandi capolavori del passato – dice Daverio – ma si interessa soprattutto al
dettaglio”. Degno di nota è uno studio che intraprese sul Pontormo della
Cappella Capponi a Firenze, documentato da un articolo comparso su Art
Bullettin nel 1975. Partendo dal famoso ciclo di affreschi, trovò
inedite assonanze con dipinti e disegni dei grandi maestri rinascimentali e barocchi.
Un breve papier diviene così un piccolo compendio, lucido e attento, di
storia dell’arte. Nel 1983 Leo
Steinberg pubblica un altro saggio destinato a sconvolgere il mondo della
critica benpensante. La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il
suo oblio nell’epoca moderna mette a nudo altri preconcetti e mostra come
la sensualità dei quadri rinascimentali stesse a sottolineare la corruttibilità
della carne. L’occhio del contemporaneo si apre su tavole lignee e fondi oro.
Plaudo con Daverio la “sofisticatezza del mondo ebraico newyorchese degli anni
’40, aperto all’influenza del surrealismo e dell’antropologia culturale”; vie
maestre per vedere il nuovo nell’antico e l’antico nel nuovo. “Leo Steinberg aveva la tendenza
a dire esattamente quello che pensava – ricorda Marco Meneguzzo, docente di
Storia dell’Arte presso l’Accademia di Brera – “cosa che oggi non è più
possibile fare con la stessa sicurezza”. In questo modo ha tracciato un
percorso talmente libero da essere, non solo fonte di onori, ma anche di oneri.
In Italia, ad esempio, “la strada che ha indicato non è stata molto seguita – ricorda Meneguzzo – “poiché la chiave interpretativa dell’espressionismo
astratto è stata piuttosto quella di Greenberg”. Meneguzzo lo definisce una mosca
bianca per il suo non conformismo, volto a sconvolgere un ordine preesistente e
a formulare nuovi importanti teorie; e con rammarico sottolinea l’appartenenza
di Steinberg a un vecchio modo di trattare di arte che si occupava sia di
Rinascimento che di contemporaneo; modo olistico che non esiste più.
a cura di irene falck
Harold Rosenberg, Clement Greenberg e Leo Steinberg i tre più grandi storici dell’arte?
Poi uno si chiede perché la figurazione è odiata dalla “cultura” moderna.
credo che nessuno odi la pittura figurativa tanto così per odiare casomai è che nel nostro paese si vede spesso della pittura così inconsistente inutile e francamente brutta….la buona pittura quando la incontri la sai riconoscere e amare…..senza pregiudizi
Ma H.R. E’ effettivamente- il più interessante critico di pittura anche figurativa…
i suoi scritti sono letture fondamentali per i pittori di ogni estrazione.
Caro Wlapitturafigurativa,
La nostra storia dell’arte è diventata una “sofisticatezza del mondo ebraico newyorchese degli anni ’40…”
Caro Harold, i pittori non hanno bisogno di corsi di lettura, piuttosto gli scrittori qualche corso di pittura, se ne vogliono parlare.
PoveroNoi, sono curioso sapere in cosa consista questa “sofisticatezza Ebraica in tema di arte moderna, dagli anni 40 in poi”.
Vuole essere cosi gentile spiegarci quando , come e in quale ambito possiamo percepirne la sua (forse innegabile) Contemporanea Presenza .
La ringrazio con anticipo della risposta.
Saluti.
Carissimo Pittore, non sia severo con se stesso, eviti ovvero di farsi interprete dei “bisogni” dei pittori quanto mai comuni e pedestri. Uno tra tutti : quello di non sapere mai tenere la lingua a freno (sopra tutto verso i propri “simili”).
Fare scrivere la storia dell’arte al mondo ebraico newyorchese è come fare scrivere la storia della mortadella ad un imam mussulmano.
Gentile Pittore,
Harold R. fu egli medesimo pittore, il suo rapporto con gli espressionisti astratti americani e W. de Koonig è illuminante.
La specificità dei sui scritti risiede proprio nella sua esperienza diretta della pittura.
I dialoghi di H.R. con i suoi coevi sono preziosissime fonti di riflessione per critici e pittori… lo potrebbero essere per tutti…
Se lei non ha l’abitudine di leggere… temo sia un suo dramma personale… io ho semplicemente puntualizzato il commento in cui C.Greenberg era associato a Rosenberg, di cui, diversamente, è la nemesi concettuale.
cmq- leggere farebbe bene a tutti, anche a lei…
non crede?
Fu pittore, “espressionista astratto” c’è forse bisogno di aggiungere altro?
“c è forse bisogno di aggiungere altro ?”
a quanto pare Pittore hai gia’ la sentenza bella e pronta.
Pittore? Imbianchino!
Scusi .. Pittore…
pare lei abbia un concetto mortificante di pittura… se ritiene che la definizione “espressionista astratto” possa essere usata in accezione penalizzante o derisoria.
Mark Rothko, per esempio…!!!… è “l'”espressionista astratto-
sarebbe tragicomico se lei volesse suggerire che un cotale miracolo della pittura moderna non sia pertinente alla riflessione di un eventuale pittore, anche, figurativo?
M.R. è stato un genio- qualsiasi genere di pitture può trovare ispirazione e evoluzione nel suo lavoro.
Se poi lei ritiene che anche l’esempio di de Koonig sia risibile… temo che sia inutile ogni mio altro intervento.
Continuare sarebbe, quantomeno, un crudele accanimento e decisamente… una perdita di tempo.
I tre re della “cultureburg” non si sono privati di emettere sentenze su tutta la pittura e riscrivere la storia dell’arte per i compagni di merenda. Magari leggere Tom Wolfe, “The painted world” farebbe bene a tutti, anche a lei “Harold”… non crede?
La osservazione e la relativa proposta di pepe verde va presa in considerazione . E sia Tom Wolfe.(bisogna riconoscere che è di ben altro spessore rispetto a quella di Pittore e compagnia ).
Greenberg, Rosenberg, Steinberg, Alfred Barr, e Doroty Miller sono stati un disastro per l’arte.
Benedetta sia la crisi che porta i tagli alla pseudo cultura ancora tanto di moda nel bel paese.
Non è che citando tutti i Nomomi intoccabili dell'”espressionismo astratto” si cambino le carte in tavola!!
I tre signori nominati nell’articolo hanno deciso le sorti della storia dell’arte in modo assolutamente parziale e sfrontatamente di parte … ma questo non sarebbe neanche grave se non si facesse di tutto per negare l’evidenza anche adesso.
oppure è troppo pericoloso e getterebbe troppi dubbi sul valore effettivo di “certa roba”?
certi atteggiamenti di negazione del valore incontrovertibile di un certo percorso espressivo dell’arte(vedasi la pittura astratta) fanno pensare a una sorta di fascismo culturale….tutto italiano purtoppo…ok la nostra tradizione è un macigno che incombe sulle nostre povere teste ma….apertura….gente….scansate le tende scure nelle stanze alte….e respirate l’aria pura….
Nell’arte nulla è incontrovertibile. L’espressionismo astratto è stato una burla ordita dalla intellighenzia ebraica newyorchese ai danni della cultura europea, è assurdo non prenderne atto.
e sì… so pertinentemente di cosa stiamo parlando.
Ma, OVVIAMENTE, esiste anche la lettura critica- diversamente staremmo, forse, parlando del Vangelo…
un approccio selettivo che permetta di estrapolare cioè che cospicuo per il lettore specifico, che a dispetto di considerazioni che rasentino la fanta-politica e che in altri contesti sarebbero già state tacciate di antisemitismo, possa rendersi fruttuoso.
la lettura di Rosenberg è stata proficua per numerose generazioni di artisti- (come quella di Greenberg per altri…)
anche artisti quali io sono: figurativi post espressionisti//classe 1972- forse senza infamia e senza lode, soprattutto,
senza inibizioni…
chi tra voi signori Tom Wolfeiani- è un pittore? chi un pittore figurativo? chi un artista… di qualsiasi ordine?
chi un qualunquista?
chi, ancora peggio, un prof. d’accademia?
astrattismo, informale, espressionismo astratto rappresentano lo spirito di un’epoca, le forme espressive che più di ogni altra hanno avuto la forza di imporsi. E certo, c’è stata la CIA, il mercato, le contorsioni intellettuali e teoriche ma il dato di fatto, il punto di partenza è questo. Perché, quando mai l’arte NON è stata espressione di un potere politico-economico? Chi contesta questo importante capitolo della storia dell’arte non deve far altro che dimostrare che, in quello stesso periodo, sono esistiti artisti di valore eguale o maggiore che sono stati dimenticati. Siete in grado di farlo? Siete in grado di far accettare alla comunità internazionale dell’arte un punto di vista alternativo? Se sì, avanti, portate le vostre idee ed i vostri documenti. Altrimenti silenzio, tacete e non atteggiatevi ad eretici e martiri che poi magari vi piace Botero…(ed è quel che vi meritate)
“Siete in grado di far accettare alla comunità internazionale dell’arte un punto di vista alternativo?”
Oggi no, ma domani? La storia viene riscritta continuamente, la comunità dell’arte si evolve, anche la sua visione, i suoi valori. Tutto cambierà, tutto sarà diverso. Ieri Dante Gabriel Rossetti era il più grande, oggi a fatica si trova nei manuali. La storia non farà fatica a trovare un punto di vista alternativo al nostro recente passato, già lo sta facendo.
“L’espressionismo astratto è stato una burla ordita dalla intellighenzia ebraica newyorchese ai danni della cultura europea, è assurdo non prenderne atto.”
sei un idiota o un invasato?
Ti compatisco- soprattutto se qui esprimi un tuo pensiero- diversamente meglio tornare in un museo qualsiasi a rifarsi una vita.
per affermare che rothko è stato un genio bisogna proprio essere pesantemente lobotomizzati dalla propaganda usionista, è quasi come affermare che cattelan è un genio . anzi peggio, è più genio cattelan . almeno ha raggiunto il suo scopo primario che era quello di non fare un cazzo nella vita, l’altro si è anche ridotto a fare il professore (per insegnare cosa non si sa, forse a spruzzare delle macchiette di merda sulla tela) .
In 1989, an erudite academic volume appeared called Sociology of the Arts. In it the authors discuss who is who in the art world. “Blacks, Orientals, and persons of Spanish origin constitute about 7 per cent of the art audience,” the book informs us helpfully. So what about the other 93 per cent?
What ethnic group owns most of the art galleries? Who are the museum curators? Who are the art historians? Who are the art critics? Who publish the magazines in which art is reviewed? Who determine what is good art and what is rubbish? Who are the dealers and big collectors? Who run the auction houses? Who set up the art competitions and raise the prize money? Who appoint the judges? Who are the judges?
Not a word. Total silence. Scary, isn’t it?
As far back as 1930, it was noted by French author Pierre Assouline: “According to dealer Pierre Loeb, four art dealers out of five are Jewish, as are four out of five art collectors. Wilhelm Unde added art critics to this list.” In 1973, it was estimated that 80 per cent of the 2500 core “art market personnel” — dealers, curators, gallery owners, collectors, critics, consultants and patrons of the arts — were Jewish. In 1982, Gerald Krefetz (Jewish) let the cat out of the bag even further. “Today, Jews enjoy every phase of the art world,” he admitted. “In some circles, the wheelers and dealers are referred to as the Jewish mafia.”
Writing of his experiences in New York City, Jewish author Howard Jacobson revealed that art critic Peter Schjedhal had told him, “Just about every gallery we go into is run by a Jew. Even the women gallery owners whose wine we absorb are Jewish.”
This huge cache of outré information has been particularly useful to me in researching the Jewish influence on modern art.
The art world is so densely populated with Jews that one way to get away from the goyim, if you are Jewish, is to take up art. That way, with any luck, you won’t bump into a non-Jew for days! In 1996, Jewish art historian Eunice Lipton confided somewhat tactlessly that the only reason she became an art historian was that she wanted to hang out exclusively with Jews. “I wanted to be where Jews were — that is, I wanted a profession that would allow me to acknowledge my Jewishness through the company I kept.”
On the face of it, she noted, art history would seem to be a gentile profession, if only because the study of Christian art was its hub and center. And yet, she says, “the field was filled with Jews. One might even say it was shaped by them.”
She was doubtless thinking of the great historian of Renaissance art, Bernard Berenson, whose influence has been seminal. Berenson once described himself as “a typical Talmud Jew” who longed to drop “the mask of the goyim” — hardly, one is tempted to think, a fit interpreter of Christian art to the hated gentiles! Though he had converted to Christianity in 1885, here we see him, almost sixty years later in 1944, writing an “Open Letter to the Jews” in which he warns them about “envious Christians” who would persecute them “even if you were innocent as the angels.” To my mind, this sounds more Talmudic than Christian.
With the rise of German fascism, Jewish art historians began to flee Nazi Germany, along with those Marxist revolutionaries known as the Frankfurt School. Most of these Jews ended up in America. At New York University alone, the following Jewish art historians were to take up residence: Richard Ettinghaven, Walter Friedlander, Karl Lehman, Alfred Salmony, Guido Schoenberger, Martin Weinberger.
Art historian Lipton probably also has in mind — when she says she wanted to live in a predominantly Jewish atmosphere — the two most illustrious art critics of the twentieth century, Harold Rosenberg and Clement Greenberg. Like Berenson, Greenberg appears to have had a distinctly Talmudic cast of mind. Convinced of Jewish superiority, he once remarked, “The European Jew represents a higher type of human being than any other yet achieved.”
Both these influential critics, Rosenberg and Greenberg, were members of the Frankfurt School and helped to reshape the aesthetic perceptions of the gentile masses.
Bending Art to Jewish Abilities
All art henceforth was to be “Jewish”. It would break free from its Christian roots. Whatever Jewish artists were good at, that would be the art of the future. If Jews were no good at drawing, good drawing would no longer be necessary. Representational art was out, abstract and conceptual art was in. Actual unmade beds, not pictures of them, now became works of art. Marcel Duchamp’s famous urinals — bought in a store and transported to an art gallery where they were magically transformed into works of art. Cans stuffed with the artist’s own excrement. Photos of crucifixes stuck in glasses of the artist’s own urine. (cit.)
direi che sia inutile rammentare che i primi cristiani erano ebrei nonchè probabili terroristi nell’ombra .
ps
gradirei non essere censurato da exibart, grazie
Quando le linee di condotta sono state tracciate, non è parso vero.. liberi da qualsiasi coinvolgimento, libertà assoluta verso il nulla e forse ancor meno.
Il punto non può essere se c’è stato qualcosa di pari valore, perchè qualsiasi cosa al di fuori di questi schemi non schemi non è più stata tollerata .
Adesso, con la distruzione totale delle coscienze, tutti quì a piangere che l’italia è priva di bravi artisti.
Adesso che ci siamo stancati di inneggiare alla grandezza di uno che nella sua vita ha solo disegnato due righe di colore o anche meno e vogliamo VEDERE qualcos’altro, non abbiamo più nessuno o pochi che sanno fare i pittori e nonostante tutto non si riesce ad ammettere l’errore.
Che poi l’errore non è stato legittimare un Rothko, ma aver raso al suolo tutto il resto in modo minuzioso.
Quindi non mettiamoci a fare la domandina… dai , dai dimmi cosa ci sarebbe di altra arte buona???? ( è difficile alzare la testa dopo uno tsunami con un onda che ritorna a sommergerti ogni volta che ti rialzi.)
caro Harold, forse dovrei dire Daniela?
Ben detto, Davide. Il “revisionismo” non mi sconfiffera neanche in arte. Soprattutto quando è giustificato dal cambiamento del gusto e non dai fatti. Anche se è naturale che per alcuni il gusto sia ciò che detta l’evoluzione dell’arte.
Anche a me non piace Zandomeneghi e trovo sia troppo valutato dal punto di vista critico, sull’onda di un’adorazione senza freni dell’Impressionismo francese che da noi non poté mai avere grandi rapresentanti né epigoni (se mai, da noi, nell’Ottocento, si riparte dalla scuola di Barbizon…).
E a ben vedere anche l’Impressionismo francese dovrebbe essere ridimensionato da quel piedistallo altissimo su cui è stato posto (dai Francesi).
Ma mai mi sognerei di fustigare un movimento importante della storia dell’arte e i suoi fautori critici (magari ci fossero da queste parti – oggi – personaggi come quella triade che qui è tanto contestata, almeno avremmo di nuovo cultura, entusiasmo e cervelli con cui poter ragionare..) perché adesso sono cambiati i “gusti”.
Facciamo così, giochiamo a figu: voi mi date i tre -berg e io vi lascio in cambio gli -ami/-rbi/-trice.
E consiglio a tutti di rileggere Wolfe, perché il desso non si è mai sognato di contestare i dettami della critica statunitense degli anni ’50-’70, quanto piuttosto di rappresentare un mondo e un sistema che ad essa si rivolgeva e di cui, comunque, faceva parte anche lui. Una stagione che, con tutti i suoi difetti di “superficie”, ha permesso all’arte di risorgere dopo la seconda guerra mondiale. Senza ideologie.
@pepeverde: perfettamente d’accordo, la storia dell’arte è un campo di forze in conflitto fra loro e ciò che è valido oggi può non esserlo domani. Però bisogna avere degli argomenti validi da contrapporre, non basta certo dire che Rothko era una capra perché così non si esce dall’opinione soggettiva. Ciò che manca a questo revanscismo della figurazione è proprio un insieme di argomentazioni valide non solo nelle presunte alternative ma già nella critica a quel milieu che fu New York fra gli anni ’40 e ’70. Ciò che alcuni di voi vorrebbero spacciare per monolitico e artefatto consenso per una sola forma espressiva fu invece un panorama frastagliato, continuamente messo in discussione dall’interno e dai suoi stessi esponenti. Tanto è vero che nel breve volgere di 20 anni si sono succeduti forme e stili diversissimi proprio nei presupposti teorici oltre che nella prassi. Si è passati dalla scuola di NY al minimalismo, dalla pop art al concettuale fino alla ricezione entusiasta della nuova figurazione tedesca e italiana. Insomma, non mi sembra proprio quell’ambiente impermeabile che vorreste descrivere.
Poi sappiamo tutti che l’arte newyorkese fu utilizzata anche come modello culturale “imperialista” in funzione antisovietica (l’episodio culminante come si sa fu la Biennale del ’64).
Comunque a giudicare dalla quantità di mostre degli ultimi anni sui preraffaelliti non mi pare proprio che Rossetti si trovi a stento sui manuali.
I mercanti ebrei? Vabbé allora bisognerebbe ridiscutere prima di tutto la Parigi a cavallo fra ‘800 e ‘900, no?
Grazie HM, non si può scindere e capire l’arte moderna senza capire e conoscere il Talmud. Chi afferma avere capito l’arte moderna quasi sempre ha fatto finta.
sono un maschio…
e tu?
ottimo parterre… davvero… par… terre…
Pairone, sebbene la consideri una persona, non solo intelligente ma dotata di solide conoscenze in ambito artistico (si tranquilizzi, Le assicuro che non è ironia), il suo commento soffre di una impostazione, me lo lasci dire, “Farisaica”.
E’ vero che le forme espressive (di quelle tendenze da Lei citate) hanno avuto la forza di imporsi rispetto a quelle considerate (strumentalmente) “tradizionali” ma dimentica, che cio’ è avvenuto esclusivamente in un ambito quanto mai ristretto e per certi versi, falsamente Elitario.
Il cambiamento è avvenuto solo nei testi di storia dell’arte ed i motivi sono facilmente spiegabili ( sono anche essi diventati ovvi).
Ecco perche’ e veniamo al dunque, Le contesto detta impostazione;
in vero quando scrive : “ma il dato di fatto è questo” – “è certo che c è la Cia” – “il mercato” – “le contorsioni intelletuali” con tutto cio’, Lei, mi perdonera’ ma non si comporta diversamente da coloro, che senza pudore dicevano … IL MONDO VA COSI’ , la ragione appartiene (volgarmente) a quelli che comandano!
Pairone, non dovrebbe consegnarsi in toto a dei Libri perche’ questi, in segreto, sono fatti non tanto per essere smentiti quanto per essere, sempre, superati.
La saluto.
-Il punto non può essere se c’è stato qualcosa di pari valore, perchè qualsiasi cosa al di fuori di questi schemi non schemi non è più stata tollerata .-
hai proprio ragione, fa parte del tipico razzismo ideologico totalizzante di israhell e del giudeo fondamentalista medio convinto di essere nel giusto come una povera capra che sbatte la testa contro il muro (del pianto) .
-Facciamo così, giochiamo a figu: voi mi date i tre -berg e io vi lascio in cambio gli -ami/-rbi/-trice.-
sì ok ma si sa che non c’è limite al peggio cara cristiana curti, perchè collezionare figurine così squallide?
-Però bisogna avere degli argomenti validi da contrapporre, non basta certo dire che Rothko era una capra perché così non si esce dall’opinione soggettiva.-
perchè invece dire che rothko era un genio non è un’opinione soggettiva? LOL scusa pairone ma ogni volta che intervieni non riesco a fare altro che riderti in faccia .
una soluzione molto democratica potrebbe essere questa, andiamo da 1000 persone a caso per strada (anche di un certo livello) e gli facciamo vedere un quadro di rothko, poi annotiamo le loro reazioni e con un voto da 1 a 10 si compila un giudizio in base alla percentuale statistica finale. operazione inutile direi visto che almeno il 90% del campione intervistato dirà che rothko era un pusillanime . la differenza sostanziale con l’impressionismo è che i quadri impressionisti hanno raggiunto nell’opinione comune una forma di bellezza universale riconosciuta da tutti, mentre l’espressionismo astratto non è arrivato vicino a questo concetto nemmeno lontanamente .
gentilissimo Marras, ha ragione ma le chiedo solo di contestualizzare le mie argomentazioni: ho dovuto rispondere a tono ad attacchi scomposti nei confronti di un movimento che, come dicevo, tutto è stato fuorché monolitico.
In ogni caso stiamo parlando dell’esito di una ricerca che prende le mosse come minimo dall’impressionismo: l’analisi delle caratteristiche specifiche (linguistiche) del mezzo pittorico e la teorizzazione della flatness non nascono dal nulla. Insomma, negarne la rilevanza significa ristrutturare come minimo due secoli di arte occidentale e ridurre il tutto all’alternativa astratto-figurativo è banalmente riduttivo. Senza considerare che i principali riferimenti di Kandinskij e Rothko sono notoriamente la musica di Schonberg e le icone russe! Stiamo parlando di ricchezza e complessità, tradizione ed innovazione, non di un’operazione commerciale ad opera di pochi loschi mercanti ebrei. Infine il rapporto strutture economiche/prodotti artistici non è univoco ma estremamente complesso, una reciproca influenza che è possibile riscontrare nel Rinascimento come nell’epoca napoleonica o, appunto, la New York degli anni ’40.
Per quel che mi riguarda non mi ritengo certo un ultrà del modernismo, tutt’altro. Solo che quando sento pittoracci pop-surrealisti dire che Vedova non sapeva dipingere devo assumere posizioni intransigenti. Se però fa qualche ricerca vedrà che una delle prime mostre che ho curato è stata guardacaso una rielaborazione della Beata Beatrix di Rossetti ad opera di 14 giovani artisti italiani, e se guarda qualche articolo sul blog vedrà che la mia prospettiva è senz’altro aperta e priva di pregiudizi anti-figurativi
un saluto
postilla sul gusto elitario/popolare: la diffusione dell’arte astratta è stata molto più stratificata di quel che si tende a credere (e far credere)
Questo articolo sull’arte in fabbrica, che già postai in passato, mi sembra abbastanza significativo:
http://www.arslife.it/dettaglio2/2010/3/the-peter-stuyvesant-collection.htm
non mescoliamo la pigrizia del gusto attuale (anche sul versante concettuale-radical chic) con ciò che accadeva in passato
kandinskij con rothko non c’entra assolutamente nulla pairone, ma che paragoni fai? manco fosse stato klee, dai su resta in tema, stai tentando disperatamente di buttarla sul figurativo vs astratto non sapendo come rispondere alle critiche che ti sono piovute addosso (anzi non sono piovute addosso a te ma come al solito ti sei sentito in diritto di offendere per primo vedi la frasetta Pittore? Imbianchino!)
NB non ero io con un altro nome, ho solo notato ancora una volta il tuo patetico atteggiamento sgarbiano quando dall’alto della tua sapienza bastano due frasi in croce ben assestate per inchiodarti e farti stare muto .
Non c’è revisionismo, la rolling class ebraica newyorchese ha recitato la sua parte, si è creata i suoi eroi, la sua storia. Non c’è bisogno di argomenti validi da contrapporre, il mondo sta cambiando, i nuovi attori economici sono a Shanghai, la prossima storia dell’arte sarà scritta da Li/wang/zang, sarà neoconfuciana e sostituirà la storia talmudica dei tre berg.
May God bless Leo steinberg.
@ pepe verde. Secondo te cosa farà il mondo artistico nostrano? Continuerà a scimmiottare le paturnie dell’arte americana o inizierà a scimmiottare l’arte cinese?
@ Pittore,
chiederà altri finanziamenti pubblici per pensarci.
Pairone, sui contenuti di cio’ che afferma sono d’accordo con Lei . Sarei un pazzo non riconoscere una situazione che si è imposta e si impone, oggi, sempre piu’ a livello planetario ( qui in Sardegna, luogo di provincia detto terra terra , nel suo piccolo si sono ripetuti i medesimi meccanismi cosi come a Trento, canicatti’, foggia ecc ecc ecc ).
Contestavo del suo discorso quella parte, in cui tutto veniva consegnato al GIA’ DATO, gia’ acquisito , insomma al non piu’ discutibile .
Penso che le arti visive, nel Contemporaneo, abbiano accantonato nel loro cammino parte di quello spirito che Le aveva animate agli esordi ovvero non solo presentare una inedita forma di realta’ ma anche un mondo nuovo per Uomini veramente Nuovi.
Insomma, Pairone, si è lasciata “rimorchiare”.
La saluto.