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Lorenzo Manenti – Mesopotamia perduta, suggestioni pittoriche
Un’ampia selezione delle opere di Lorenzo Manenti dedicate alla situazione del patrimonio culturale della Mesopotamia.
Comunicato stampa
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LORENZO MANENTI. IRAQ PERDUTO.
Luca Pietro Nicoletti
Nel 2008 Lorenzo Manenti ha ideato un’installazione a parete di trentadue disegni quadrati 32x32 cm su carta riportati su tavola intitolata Iraq perduto. In ciascuno di questi ha raffigurato un frammento di scultura proveniente dai depositi dell’Iraq Museum di Bagdad e trafugato durante il conflitto del 2003: le mura dei musei non sono bastate a proteggere quelle testimonianze della fertile civiltà nata fra il Tigri e l’Eufrate. Di quei pezzi, non rimane che una banca dati telematica, una fotografia e, talvolta, una sigla di riconoscimento. Per la prima volta, questo complesso era stato presentato in un piccolo spazio di Adriano Pasquali, PISCINA COMUNALE, in zona Lambrate, a Milano, ma nella sua interezza lo si era potuto vedere soltanto, nell’ottobre 2008, in una mostra a Parigi, Guerre et “paix” a Bagdad, accostato alle ricerche del pittore amerindo Mateo Romero. Si può dire tranquillamente che questo gruppo costituisce il coronamento di una ricerca di lungo corso da parte di Lorenzo che, partendo da una grande passione archeologica, rivolta in particolar modo alle culture del Medio Oriente, ha progressivamente assunto i connotati, seppure filtrati da operazioni concettuali di varia natura sovrapposte alla pittura, dell’impegno civile.
Col tempo, il progetto di Lost Iraq ha subito una rapida evoluzione. Dalla mostra parigina ad un’altra piccola mostra nell’hinterland di Milano, a Rho, il canone dei pezzi ritratti era passato, da trentadue a quaranta frammenti, parte integrando delle lacune rimaste dalla sortita parigina, parte arricchendo il repertorio di nuovi pezzi. Ma la trasformazione più radicale, che ha fatto di questo grande quadro d’insieme una vera e propria installazione, è stata riproponendo quest’opera a Ghisalba, il suo paese di origine, in una ex chiesa ristrutturata e adibita a Centro Culturale. Pensava da parecchio, a questa nuova soluzione espositiva, che aveva studiato già in funzione di un altro evento, non più realizzato: ciononostante, quel pensiero non è rimasto un’opera incompiuta, ma ha solo dovuto attendere qualche tempo per attuarsi in una forma concreta. Lo stesso polittico e' stato infatti collocato a pavimento in quattro file da nove pezzi ciascuna, ciascuna formella distanziata da terra con un mattone forato: erano diventati delle lastre tombali, o, come scrive l’artista stesso, potevano essere percepiti come traccia «di qualcosa/qualcuno che non c'e' piu' e di cui rimane solo l'immagine ricordo». Chiudeva poi l'installazione un’ara di pignatte a sostegno di un televisore, che proiettava a ciclo continuo un video ottenuto unendo spezzoni di filmati con operazioni di guerra in Iraq e Afghanistan. L'audio di quel video, scrive ancora Lorenzo, riportava «le conversazioni tra i piloti e l'acuto suono dei proiettili, l'audio essendo il risultato di diverse registrazioni di registrazioni era molto rovinato, a tal punto che le voci non sono più comprensibili e danno l'impressione di qualcosa di non umano, alieno». Alle spalle del video/altare, invece, come una quinta, tre grandi paesaggi archeologici dipinti con la ziqurrat di Ur, quella di Aqar Quf e il palazzo di Ctesifonte, come «tre grandi cartoline di un Iraq inaspettato che contrasta decisamente con i paesaggi desertici filtrati dai mezzi militari alleati». In questo modo si spiegava compiutamente il senso dell’operazione, volta in un certo senso a presentare «la faccia più spietata della guerra, la guerra come un videogame».
Prima ancora che il complesso si arricchisse di questa molteplicità di rimandi interattivi, però, già la sola pittura aveva un effetto di forte impatto. Il pubblico parigino ne era rimasto molto colpito, definendo quel grande quadro a parete “frappant”. E in effetti, la funzione di questa operazione pittorica era proprio quella di richiamare il fruitore ad una assunzione di responsabilità. Dietro le sembianze delle sculture tramandateci dall’archeologia, infatti, è come se fossero gli uomini di quelle antiche civiltà a risvegliarsi, come se questi volti fossero delle grandi fototessere di uomini di altri tempi, i cui occhi si fissano sul riguardante mostrando, nel frattempo, le proprie generalità (il numero di matricola).
Va detto però che, insieme al dispiacere per un patrimonio culturale che si assottiglia, c’è a monte, da parte di Lorenzo, una passione per l’archeologia: già prima di essere letteralmente folgorato dal Medio Oriente, infatti, aveva dedicate delle serie di lavori alla scultura romanica e all’archeologia romana. Rabbia per la devastazione, dunque, ma anche affetto (ma non gusto antiquario) verso l’antico. Bisogna anche sottolineare che, al di là dell’operazione concettuale, il suo è lavoro di pittore, in cui si apprezza soprattutto la fiera e sicura bellezza del segno a carboncino, leggermente sporcato di vernici trasparenti brune, consueta nel suo lavoro recente. Manenti ha scelto la strada della traduzione plastica del soggetto, insistendo soprattutto sull’impatto emotivo dell’immagine, complici le dimensioni considerevoli di buona parte dei suoi lavori. Nelle sue opere, infatti, molti oggetti si trovano ad essere notevolmente aumentati di scala rispetto agli originali, accrescendone senza dubbio l’effetto drammatico. Ma anche su formati più contenuti, come nel composito Iraq perduto, la forza espressiva dell’immagine non ne è diminuita, anzi conserva una intrinseca monumentalità.
Un giorno, probabilmente, i piccoli dipinti non saranno più tutti insieme, prenderanno ciascuno la sua via, verso il collezionismo o verso altre destinazioni (e alcuni sono già per altre strade). Anche da soli, però, abbandonati gli altri frammenti del gruppo, continueranno a ripetere il loro inesorabile memento: per la memoria dello scempio e, forse, per la formazione di una nuova coscienza.
Luca Pietro Nicoletti
Nel 2008 Lorenzo Manenti ha ideato un’installazione a parete di trentadue disegni quadrati 32x32 cm su carta riportati su tavola intitolata Iraq perduto. In ciascuno di questi ha raffigurato un frammento di scultura proveniente dai depositi dell’Iraq Museum di Bagdad e trafugato durante il conflitto del 2003: le mura dei musei non sono bastate a proteggere quelle testimonianze della fertile civiltà nata fra il Tigri e l’Eufrate. Di quei pezzi, non rimane che una banca dati telematica, una fotografia e, talvolta, una sigla di riconoscimento. Per la prima volta, questo complesso era stato presentato in un piccolo spazio di Adriano Pasquali, PISCINA COMUNALE, in zona Lambrate, a Milano, ma nella sua interezza lo si era potuto vedere soltanto, nell’ottobre 2008, in una mostra a Parigi, Guerre et “paix” a Bagdad, accostato alle ricerche del pittore amerindo Mateo Romero. Si può dire tranquillamente che questo gruppo costituisce il coronamento di una ricerca di lungo corso da parte di Lorenzo che, partendo da una grande passione archeologica, rivolta in particolar modo alle culture del Medio Oriente, ha progressivamente assunto i connotati, seppure filtrati da operazioni concettuali di varia natura sovrapposte alla pittura, dell’impegno civile.
Col tempo, il progetto di Lost Iraq ha subito una rapida evoluzione. Dalla mostra parigina ad un’altra piccola mostra nell’hinterland di Milano, a Rho, il canone dei pezzi ritratti era passato, da trentadue a quaranta frammenti, parte integrando delle lacune rimaste dalla sortita parigina, parte arricchendo il repertorio di nuovi pezzi. Ma la trasformazione più radicale, che ha fatto di questo grande quadro d’insieme una vera e propria installazione, è stata riproponendo quest’opera a Ghisalba, il suo paese di origine, in una ex chiesa ristrutturata e adibita a Centro Culturale. Pensava da parecchio, a questa nuova soluzione espositiva, che aveva studiato già in funzione di un altro evento, non più realizzato: ciononostante, quel pensiero non è rimasto un’opera incompiuta, ma ha solo dovuto attendere qualche tempo per attuarsi in una forma concreta. Lo stesso polittico e' stato infatti collocato a pavimento in quattro file da nove pezzi ciascuna, ciascuna formella distanziata da terra con un mattone forato: erano diventati delle lastre tombali, o, come scrive l’artista stesso, potevano essere percepiti come traccia «di qualcosa/qualcuno che non c'e' piu' e di cui rimane solo l'immagine ricordo». Chiudeva poi l'installazione un’ara di pignatte a sostegno di un televisore, che proiettava a ciclo continuo un video ottenuto unendo spezzoni di filmati con operazioni di guerra in Iraq e Afghanistan. L'audio di quel video, scrive ancora Lorenzo, riportava «le conversazioni tra i piloti e l'acuto suono dei proiettili, l'audio essendo il risultato di diverse registrazioni di registrazioni era molto rovinato, a tal punto che le voci non sono più comprensibili e danno l'impressione di qualcosa di non umano, alieno». Alle spalle del video/altare, invece, come una quinta, tre grandi paesaggi archeologici dipinti con la ziqurrat di Ur, quella di Aqar Quf e il palazzo di Ctesifonte, come «tre grandi cartoline di un Iraq inaspettato che contrasta decisamente con i paesaggi desertici filtrati dai mezzi militari alleati». In questo modo si spiegava compiutamente il senso dell’operazione, volta in un certo senso a presentare «la faccia più spietata della guerra, la guerra come un videogame».
Prima ancora che il complesso si arricchisse di questa molteplicità di rimandi interattivi, però, già la sola pittura aveva un effetto di forte impatto. Il pubblico parigino ne era rimasto molto colpito, definendo quel grande quadro a parete “frappant”. E in effetti, la funzione di questa operazione pittorica era proprio quella di richiamare il fruitore ad una assunzione di responsabilità. Dietro le sembianze delle sculture tramandateci dall’archeologia, infatti, è come se fossero gli uomini di quelle antiche civiltà a risvegliarsi, come se questi volti fossero delle grandi fototessere di uomini di altri tempi, i cui occhi si fissano sul riguardante mostrando, nel frattempo, le proprie generalità (il numero di matricola).
Va detto però che, insieme al dispiacere per un patrimonio culturale che si assottiglia, c’è a monte, da parte di Lorenzo, una passione per l’archeologia: già prima di essere letteralmente folgorato dal Medio Oriente, infatti, aveva dedicate delle serie di lavori alla scultura romanica e all’archeologia romana. Rabbia per la devastazione, dunque, ma anche affetto (ma non gusto antiquario) verso l’antico. Bisogna anche sottolineare che, al di là dell’operazione concettuale, il suo è lavoro di pittore, in cui si apprezza soprattutto la fiera e sicura bellezza del segno a carboncino, leggermente sporcato di vernici trasparenti brune, consueta nel suo lavoro recente. Manenti ha scelto la strada della traduzione plastica del soggetto, insistendo soprattutto sull’impatto emotivo dell’immagine, complici le dimensioni considerevoli di buona parte dei suoi lavori. Nelle sue opere, infatti, molti oggetti si trovano ad essere notevolmente aumentati di scala rispetto agli originali, accrescendone senza dubbio l’effetto drammatico. Ma anche su formati più contenuti, come nel composito Iraq perduto, la forza espressiva dell’immagine non ne è diminuita, anzi conserva una intrinseca monumentalità.
Un giorno, probabilmente, i piccoli dipinti non saranno più tutti insieme, prenderanno ciascuno la sua via, verso il collezionismo o verso altre destinazioni (e alcuni sono già per altre strade). Anche da soli, però, abbandonati gli altri frammenti del gruppo, continueranno a ripetere il loro inesorabile memento: per la memoria dello scempio e, forse, per la formazione di una nuova coscienza.
04
luglio 2009
Lorenzo Manenti – Mesopotamia perduta, suggestioni pittoriche
Dal 04 luglio al 21 settembre 2009
arte contemporanea
Location
CIVICO MUSEO ARCHEOLOGICO
Bergamo, Piazza Della Cittadella, 9, (Bergamo)
Bergamo, Piazza Della Cittadella, 9, (Bergamo)
Orario di apertura
da martedì a venerdì: 9.00-12.30 / 14.30-18.00
sabato: 9.00-24.00
domenica: 9.00-19.00
Vernissage
4 Luglio 2009, ore 21. L’inaugurazione sara’ preceduta alle ore 21 dalla conferenza “Da Baghdad a Nassiriya, la tutela italiana del patrimonio culturale dell’Iraq” a cura della dott. Silvia Chiodi, capo della ricognizione archeologica del CNR a Nassiryia, Iraq.
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