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Jean-Jacques Lebel
Audizione pubblica dell’intervista realizzata da Article XI il 15 maggio 2009 – durata 30′.
Comunicato stampa
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J e a n - J a c q u e s L e b e l
" A 7 3 a n n i l i h o m a n d a t i t u t t i a c a g a r e . A
p i e d i , a c a v a l l o o s u l l o S p u t n i k "
A u d i z i o n e p u b b l i c a d e l l ’ i n t e r v i s t a r e a l i z z a t a d a
A R T I C L E X I i l 1 5 m a g g i o 2 0 0 9 – d u r a t a 3 0 ’
Dagli anni Sessanta si porta dietro la reputazione di agitatore patentato. Mescola arte e politica,
rifiuta ogni etichetta e non piace all’arte ufficiale e alle sue istituzioni. Ma questo non lo disturba
affatto. Jean-Jacques Lebel realizza se stesso lontano dai musei, praticando la sua arte come si
lancerebbe una Molotov: senza compromessi. A colloquio con un ribelle che non ne vuole proprio
sapere di starsene zitto.
Difficile riassumere la sua vita, le sue battaglie, la sua arte, tante sono le cose che ci sarebbero da dire: i primi
happening (tra cui il primo in Europa: l’Enterrement de la Chose, nel 1960 a Venezia), la sua partecipazione al
Sessantotto e al movimento del 22 marzo (sarà in prima fila nella presa dell’Odeon, così come altrove), le frecciate
velenose artistico-politiche contro la sporca guerra d’Algeria, i flirt intensi con il Surrealismo (fu molto vicino ad
André Breton), le sue relazioni più circospette con i situazionisti, le traduzioni di grandi nomi della Beat
Generation (Allen Ginsberg, William Burroughs…), le performance poetico-politiche, l’amicizia con Deleuze e
Guattari…
C’è troppo da dire e per questo ci siamo limitati a farlo parlare. Di ciò che sta facendo con Polyhonix, di
avanguardie finite male, di barricate che – è inevitabile – ritorneranno. Incontro con un personaggio affascinante,
anarchico viscerale, che non è pronto a cambiare idea e che continua a dar fastidio.
Estratti:
(…) In questa società bisogna fare una scelta: o si accetta di farsi castrare dalle istituzioni – che siano di destra o di
sinistra – dagli ingranaggi della burocrazia e dal potere, oppure si decide di seguire la propria strada in maniera
completamente autonoma dalle ideologie mercantiliste, dalle pratiche oppressive e dai progetti di carriera.
(…) È la mia vita, l’aria che respiro da quando avevo 15 anni, non riuscendo a fare altro se non sperimentazione
continua, ricerca, la rimessa in discussione della nozione stessa di arte, di poesia e di libertà.
(…) Non si deve cadere nella trappola dei media che ritengono che il “surrealismo” sia finito o mai avvenuto. Per
me siamo solo all’inizio. Soprattutto Dada, un’insurrezione destinata a riprendere come mai in campo sociale. È
inevitabile..
(…) Diffidate di ogni macchina di potere. Tenetevi alla larga.
(…) Non appena ci sono persone che cercano di monopolizzare il potere in una struttura piramidale con una
qualsiasi gerarchia, riescono fuori gli stessi meccanismi alienati e alienanti. Gli individui vengono ridotti allo stato
di automi.
(…) Questo, mentre il pensiero critico deve sempre rimanere all’erta e rivolto verso il mondo (per analizzare,
comprendere e trasformare questo mondo) e verso se stessi. Bisogna auto-criticarsi e auto-valutarsi senza sosta. È
molto difficile ma è necessario.
(…) Diventare funzionario “culturale” significa morire. Non ci si può adagiare sempre sugli allori, o c’è la
rivoluzione permanente o il letargo consumista. Ecco qui.
(…) La dialettica dei padroni e degli schiavi funziona come una trappola a ripetizione. Le vittime producono esse
stesse i torturatori, ovviamente secondo gradi diversi di orrore.
(…) Il letargo regna, ma uno di questi giorni salterà il coperchio.
(…) Se ci tenete a camminare con la schiena dritta e senza catene ai piedi, bisogna saper fare a meno dei poteri e
dei suoi “benefici” (piuttosto castranti).
(…) La barricata è innanzitutto un’opera di Art Brut, un’espressione spontanea, collettiva, anonima di una rabbia
immediata di difesa di un territorio.
(…) Una barricata è una grande scultura collettiva fatta di qualsiasi cosa, inventata sul momento, improvvisata e
anonima. È più importante dal punto di vista simbolico che militare. Per toglierla di mezzo basta un semplice
bulldozer. Però, è l’espressione collettiva di una rabbia poetico-politica che mi è cara più di ogni cosa.
(…) Rende visibile il rifiuto, la rivolta, il sollevamento, la resistenza, la creatività tribale. Che riappaia ovunque
nel mondo, in alcuni momenti della storia, è una prova: a un certo punto, collettivamente o spontaneamente, un
certo numero di persone si sollevano assieme per dire No!
(…) Secondo me, non ci vorrà molto. È nell’aria. Non è soltanto un desiderio profondo, ma l’arroganza e
l’ignominia che il potere vorrebbe imporci sono talmente pesanti che bisognerebbe essere completamente cechi e
sordi per non rendersi conto che molta gente è stufa.
(…)Vogliono zombi sottomessi e obbedienti – se possibile sindacalizzati – e non esseri viventi che esercitano il
loro spirito critico e si assumono la responsabilità della loro vita
(…) E non dimentichiamo che al centro di ogni arte degna di questo nome, c’è l’enigma dell’indicibile, ciò che
Breton chiamava “il nocciolo indistruttibile della notte”. Ecco perché l’arte è irriducibile al mercato e a tutto ciò
che tenta di industrializzarla e di infeudarla.
" A 7 3 a n n i l i h o m a n d a t i t u t t i a c a g a r e . A
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A u d i z i o n e p u b b l i c a d e l l ’ i n t e r v i s t a r e a l i z z a t a d a
A R T I C L E X I i l 1 5 m a g g i o 2 0 0 9 – d u r a t a 3 0 ’
Dagli anni Sessanta si porta dietro la reputazione di agitatore patentato. Mescola arte e politica,
rifiuta ogni etichetta e non piace all’arte ufficiale e alle sue istituzioni. Ma questo non lo disturba
affatto. Jean-Jacques Lebel realizza se stesso lontano dai musei, praticando la sua arte come si
lancerebbe una Molotov: senza compromessi. A colloquio con un ribelle che non ne vuole proprio
sapere di starsene zitto.
Difficile riassumere la sua vita, le sue battaglie, la sua arte, tante sono le cose che ci sarebbero da dire: i primi
happening (tra cui il primo in Europa: l’Enterrement de la Chose, nel 1960 a Venezia), la sua partecipazione al
Sessantotto e al movimento del 22 marzo (sarà in prima fila nella presa dell’Odeon, così come altrove), le frecciate
velenose artistico-politiche contro la sporca guerra d’Algeria, i flirt intensi con il Surrealismo (fu molto vicino ad
André Breton), le sue relazioni più circospette con i situazionisti, le traduzioni di grandi nomi della Beat
Generation (Allen Ginsberg, William Burroughs…), le performance poetico-politiche, l’amicizia con Deleuze e
Guattari…
C’è troppo da dire e per questo ci siamo limitati a farlo parlare. Di ciò che sta facendo con Polyhonix, di
avanguardie finite male, di barricate che – è inevitabile – ritorneranno. Incontro con un personaggio affascinante,
anarchico viscerale, che non è pronto a cambiare idea e che continua a dar fastidio.
Estratti:
(…) In questa società bisogna fare una scelta: o si accetta di farsi castrare dalle istituzioni – che siano di destra o di
sinistra – dagli ingranaggi della burocrazia e dal potere, oppure si decide di seguire la propria strada in maniera
completamente autonoma dalle ideologie mercantiliste, dalle pratiche oppressive e dai progetti di carriera.
(…) È la mia vita, l’aria che respiro da quando avevo 15 anni, non riuscendo a fare altro se non sperimentazione
continua, ricerca, la rimessa in discussione della nozione stessa di arte, di poesia e di libertà.
(…) Non si deve cadere nella trappola dei media che ritengono che il “surrealismo” sia finito o mai avvenuto. Per
me siamo solo all’inizio. Soprattutto Dada, un’insurrezione destinata a riprendere come mai in campo sociale. È
inevitabile..
(…) Diffidate di ogni macchina di potere. Tenetevi alla larga.
(…) Non appena ci sono persone che cercano di monopolizzare il potere in una struttura piramidale con una
qualsiasi gerarchia, riescono fuori gli stessi meccanismi alienati e alienanti. Gli individui vengono ridotti allo stato
di automi.
(…) Questo, mentre il pensiero critico deve sempre rimanere all’erta e rivolto verso il mondo (per analizzare,
comprendere e trasformare questo mondo) e verso se stessi. Bisogna auto-criticarsi e auto-valutarsi senza sosta. È
molto difficile ma è necessario.
(…) Diventare funzionario “culturale” significa morire. Non ci si può adagiare sempre sugli allori, o c’è la
rivoluzione permanente o il letargo consumista. Ecco qui.
(…) La dialettica dei padroni e degli schiavi funziona come una trappola a ripetizione. Le vittime producono esse
stesse i torturatori, ovviamente secondo gradi diversi di orrore.
(…) Il letargo regna, ma uno di questi giorni salterà il coperchio.
(…) Se ci tenete a camminare con la schiena dritta e senza catene ai piedi, bisogna saper fare a meno dei poteri e
dei suoi “benefici” (piuttosto castranti).
(…) La barricata è innanzitutto un’opera di Art Brut, un’espressione spontanea, collettiva, anonima di una rabbia
immediata di difesa di un territorio.
(…) Una barricata è una grande scultura collettiva fatta di qualsiasi cosa, inventata sul momento, improvvisata e
anonima. È più importante dal punto di vista simbolico che militare. Per toglierla di mezzo basta un semplice
bulldozer. Però, è l’espressione collettiva di una rabbia poetico-politica che mi è cara più di ogni cosa.
(…) Rende visibile il rifiuto, la rivolta, il sollevamento, la resistenza, la creatività tribale. Che riappaia ovunque
nel mondo, in alcuni momenti della storia, è una prova: a un certo punto, collettivamente o spontaneamente, un
certo numero di persone si sollevano assieme per dire No!
(…) Secondo me, non ci vorrà molto. È nell’aria. Non è soltanto un desiderio profondo, ma l’arroganza e
l’ignominia che il potere vorrebbe imporci sono talmente pesanti che bisognerebbe essere completamente cechi e
sordi per non rendersi conto che molta gente è stufa.
(…)Vogliono zombi sottomessi e obbedienti – se possibile sindacalizzati – e non esseri viventi che esercitano il
loro spirito critico e si assumono la responsabilità della loro vita
(…) E non dimentichiamo che al centro di ogni arte degna di questo nome, c’è l’enigma dell’indicibile, ciò che
Breton chiamava “il nocciolo indistruttibile della notte”. Ecco perché l’arte è irriducibile al mercato e a tutto ciò
che tenta di industrializzarla e di infeudarla.
23
giugno 2009
Jean-Jacques Lebel
23 giugno 2009
incontro - conferenza
Location
KAPLAN’S PROJECT N. 3 – PALAZZO SPINELLI
Napoli, Via Dei Tribunali, 362, (Napoli)
Napoli, Via Dei Tribunali, 362, (Napoli)
Orario di apertura
per appuntamento
Vernissage
23 Giugno 2009, ore 21
Autore