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Caterina Sbrana – Hypnos
Caterina Sbrana si appropria della natura e nelle sue opere le restituisce la forma. Come strumenti del proprio fare pittorico si serve infatti di papaveri, usati come timbri, e di fango, per dare vita a soggetti quali dormienti, radici o fiori, filologicamente legati alla materia che li ha generati
Comunicato stampa
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Sabato 13 giugno 2009, alle ore 17.30, Amphisbæna Studio d’Arte Contemporanea inaugura Hypnos, mostra personale di Caterina Sbrana.
Il richiamo del greco antico (hypnos) al termine sonno, riporta ad un’atmosfera lieve, ad un soffio, un refolo di leggero vento appena fresco. È un rimando lento e pigro ai pomeriggi d’estate, al loro ozio, al silenzio scandito da gracili suoni di insetti. Alla natura sopita e recente, ferma e circostante che attende.
Caterina Sbrana sente, percepisce questa natura, la riconosce. Che lei si avvicini alla tela, alla sua memoria, o ad un nuovo lavoro, ritorna alla natura. Il suo linguaggio artistico, visivo, la porta ad affondare le mani nella terra, in quello che era l’orto domestico e familiare o nello spazio del suo quotidiano, a raccogliere dal fondo i materiali per la propria opera.
In un legame viscerale, dai luoghi dell’infanzia, della terra calpestata o dei fiori strappati durante i giochi di bambini, l’artista torna ad essi, ora con un altro bisogno, per cultura, perché siano di nuovo il suo linguaggio, fatto però di un nuovo alfabeto.
Nascono così le opere composte a puntinismo, infittendo gli uni accanto agli altri delicati segni stellati, impressi con i pistilli di papavero carichi del proprio inchiostro violaceo. Piccoli sigilli di antica memoria che ricreano iconografie di dormienti, di vanitas, o che rievocano opere di maestri del passato (quali “A letto”, Federico Zandomeneghi, 1878). Il papavero, impiegato come tisana calmante, l’oppiaceo, strumento arrecante oblio e perdita dei sensi, qui è utilizzato per rappresentare l’assopimento, il sonno, finanche la morte.
In un gioco tautologico il materiale utilizzato è stato dunque scelto per raccontare se stesso, in uno scambio tra organico ed inorganico, in cui l’immagine diventa materia e viceversa.
Proprio la materia usata pura e sola, senza contaminazioni estranee, trattata e stesa direttamente con le mani, impiegando le dita come pennelli, genera dipinti monocromi, nei quali il segno affiora evanescente dalla trama della tela o dalla fibra della carta.
Lo stesso avviene anche nei lavori realizzati con il fango, ispirati da “La grande zolla” di Albrecht Dürer del 1503.
Qui la terra legata con l’acqua, riproduce elementi della terra stessa: radici, semi, tuberi. Pur nella descrizione puntuale e fedele dei soggetti, tratti da antichi manuali e tavole botaniche, il movimento del segno e il calore della materia, li svestono della fredda analisi scientifica, svelandone una seduzione artistica vivificatoria, tale da renderli sorprendentemente analoghi ad elementi antropomorfi, e dunque così vicini.
Il richiamo del greco antico (hypnos) al termine sonno, riporta ad un’atmosfera lieve, ad un soffio, un refolo di leggero vento appena fresco. È un rimando lento e pigro ai pomeriggi d’estate, al loro ozio, al silenzio scandito da gracili suoni di insetti. Alla natura sopita e recente, ferma e circostante che attende.
Caterina Sbrana sente, percepisce questa natura, la riconosce. Che lei si avvicini alla tela, alla sua memoria, o ad un nuovo lavoro, ritorna alla natura. Il suo linguaggio artistico, visivo, la porta ad affondare le mani nella terra, in quello che era l’orto domestico e familiare o nello spazio del suo quotidiano, a raccogliere dal fondo i materiali per la propria opera.
In un legame viscerale, dai luoghi dell’infanzia, della terra calpestata o dei fiori strappati durante i giochi di bambini, l’artista torna ad essi, ora con un altro bisogno, per cultura, perché siano di nuovo il suo linguaggio, fatto però di un nuovo alfabeto.
Nascono così le opere composte a puntinismo, infittendo gli uni accanto agli altri delicati segni stellati, impressi con i pistilli di papavero carichi del proprio inchiostro violaceo. Piccoli sigilli di antica memoria che ricreano iconografie di dormienti, di vanitas, o che rievocano opere di maestri del passato (quali “A letto”, Federico Zandomeneghi, 1878). Il papavero, impiegato come tisana calmante, l’oppiaceo, strumento arrecante oblio e perdita dei sensi, qui è utilizzato per rappresentare l’assopimento, il sonno, finanche la morte.
In un gioco tautologico il materiale utilizzato è stato dunque scelto per raccontare se stesso, in uno scambio tra organico ed inorganico, in cui l’immagine diventa materia e viceversa.
Proprio la materia usata pura e sola, senza contaminazioni estranee, trattata e stesa direttamente con le mani, impiegando le dita come pennelli, genera dipinti monocromi, nei quali il segno affiora evanescente dalla trama della tela o dalla fibra della carta.
Lo stesso avviene anche nei lavori realizzati con il fango, ispirati da “La grande zolla” di Albrecht Dürer del 1503.
Qui la terra legata con l’acqua, riproduce elementi della terra stessa: radici, semi, tuberi. Pur nella descrizione puntuale e fedele dei soggetti, tratti da antichi manuali e tavole botaniche, il movimento del segno e il calore della materia, li svestono della fredda analisi scientifica, svelandone una seduzione artistica vivificatoria, tale da renderli sorprendentemente analoghi ad elementi antropomorfi, e dunque così vicini.
13
giugno 2009
Caterina Sbrana – Hypnos
Dal 13 giugno al 05 settembre 2009
arte contemporanea
Location
AMPHISBAENA
Modena, Via Mascherella, 36, (Modena)
Modena, Via Mascherella, 36, (Modena)
Orario di apertura
da lunedì a sabato 10.30-12.30 / 17.30-19.30 giovedì e domenica chiuso
Vernissage
13 Giugno 2009, ore 17.30
Autore
Curatore