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Libero Andreotti / Antonio Maraini / Romano Dazzi – Gli anni di Dedalo
Le opere in mostra documentano il modo in cui ciascuno dei tre artisti reagisce alla volontà del critico di orientarne le scelte e, sotto gli occhi del visitatore, prende forma il racconto di quattro destini che si intrecciano con sviluppi non sempre prevedibili
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Libero Andreotti, Antonio Maraini, Romano Dazzi. Gli anni di Dedalo - la mostra che da giovedì 14 maggio sarà ospitata dalla Galleria Francesca Antonacci - offre l'opportunità di far rivivere l'appassionato dibattito culturale e artistico di cui fu animatore instancabile, arbitro e, spesse volte, tiranno Ugo Ojetti dalle pagine di Dedalo, la rivista da lui fondata e diretta tra il giugno 1920 e il giugno 1933. Tra loro molto diversi, gli scultori Andreotti e Maraini e il disegnatore Romano Dazzi sono infatti accomunati dall'essere stati sostenuti e collezionati dal potente critico.
Dei tre, nessuno proviene da un percorso di formazione di tipo accademico. Tra loro la figura di Ugo Ojetti, nato a Roma nel 1871, narratore, giornalista, critico d'arte.
Ojetti è un convinto sostenitore della necessità di rinnovare l'arte italiana guardando al modello della sua grande tradizione. Nel giugno del 1920 pubblica il primo numero di Dedalo, tribuna letteraria di quelle sue teorie così prossime al concetto di “ritorno al mestiere” che a Roma andava in quegli anni elaborando il gruppo di artisti e intellettuali vicini a Valori Plastici, la rivista di Mario Broglio. La sua soluzione autarchica al problema dello svecchiamento dell'arte italiana, fondata sulla supposta supremazia della nostra civiltà rinascimentale, lo pone però anche in linea con le pulsioni nazionaliste del fascismo di Benito Mussolini, che di lì a poco prende il potere. Ojetti diventa in breve uno degli uomini di punta del nuovo regime, onnipresente nelle commissioni di ammissione alle mostre e ai concorsi più importanti, dei quali è in grado di orientare le scelte.
Godere della stima e della protezione di Ojetti significa per un artista entrare nel cono di luce che circonda l'arbitro riconosciuto della cultura del tempo: un onore immenso che può però rivelarsi anche un pesantissimo onere.
Le opere in mostra documentano largamente il modo in cui ciascuno dei tre artisti reagisce alla fortissima volontà del critico di orientarne le scelte artistiche e, sotto gli occhi del visitatore, prende forma il racconto di quattro destini che si intrecciano con sviluppi non sempre prevedibili.
LIBERO ANDREOTTI (Pescia 1875 - Firenze 1933)
Di modesta estrazione sociale, il toscano Libero Andreotti è un perfetto autodidatta, un talento naturale che scopre la vocazione per la scultura intorno ai trent'anni. Una passione affinata a Parigi, la città che gli decreta il successo e dalla quale è costretto ad allontanarsi nel 1914, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Al suo rientro in patria, Ugo Ojetti è tra i primi ad appassionarsi al suo lavoro che predilige soggetti femminili dalle forme asciutte e stilizzate. Per volontà del critico, tra i due si instaura un rapporto strettissimo, in cui il “Padreterno del Salviatino” dispensa protezione cercando però di influenzare il percorso dell'artista. In particolare, Ojetti tradisce la vena intima e familiare di Andreotti deviandolo verso la scultura monumentale. Chi oggi vede quel pallido esempio della statuaria andreottiana che è il marmoreo Monumento alla Madre Italiana eretto in Santa Croce a Firenze comprende facilmente il dramma dell'artista, penosamente combattuto tra il desiderio di non deludere le aspettative e le “istruzioni “ di Ojetti e l'esigenza di proseguire la sua ricerca verso una scultura sempre più semplificata, dalle superfici aspre e corrose, un percorso che lo porta in una direzione lontanissima da quella ostinatamente indicata dal suo protettore. La rottura si consuma quando Andreotti , sempre meno entusiasta delle prestigiose commissioni procurate dal critico, viene sollevato dall'incarico per la realizzazione del Monumento ai Caduti di Milano.
ANTONIO MARAINI (Roma 1886 - Firenze 1965)
Di natura tutta diversa il rapporto tra Ojetti e Antonio Maraini, apprezzato scultore ma anche critico d'arte e animatore, nella sua villa fiorentina di Torre di Sopra, di un famoso salotto letterario. Maraini è bello, raffinato, coltissimo, un uomo predisposto al successo, che infatti arriva in fretta e ne fa uno degli uomini di spicco del regime, anche più potente di Ojetti. A lui si deve la trasformazione in Ente Autonomo della Biennale di Venezia, di cui è segretario generale dal 1927 al 1942. Ojetti lo ammira, ma anche in questo caso si arriva allo scontro, di natura però politica, una polemica che Ojetti fa rientrare quando si rende conto che una prova di forza con quell'astro al culmine della carriera lo troverebbe perdente.
Le opere in mostra testimoniano il felice gemellaggio tra le architetture progettate da Marcello Piacentini e la scultura di Antonio Maraini, artista di talento e patriarca di una famiglia ancora oggi protagonista della vita intellettuale italiana grazie ai nomi delle nipoti Dacia e Toni Maraini.
ROMANO DAZZI (Roma 1905 - La Lima 1976)
La vicenda artistica e umana di Romano Dazzi - presente in mostra con una corposa selezione di disegni per lo più provenienti dalla collezione privata di Ojetti - meriterebbe un lungo racconto.
Nei primi anni della vita Romano, figlio di Arturo Dazzi, è un acclamato enfant prodige. Ed anche un giovane bellissimo, dal temperamento appassionato, tutto irruenza, senso dell'avventura e entusiasmo per la vita. Nel 1919, la Galleria d'Arte Bragaglia, una delle più vivaci della capitale, presenta un'esposizione di centoquaranta disegni dell'artista, all'epoca quattordicenne. Firma il saggio in catalogo Ugo Ojetti, uno dei tanti illustri amici di famiglia. Il successo della rassegna è sorprendente: per l'artista-ragazzino si mobilitano i critici più autorevoli che vedono in lui l'emblema di una nuova generazione maturata anzitempo dall'esperienza della guerra.
Scene di combattimento sono d'altronde i soggetti favoriti dal giovane Dazzi, insieme a certi straordinari ritratti di animali selvaggi visti, in realtà, al giardino zoologico. Lo stile aggressivo, il segno velocissimo, l'interesse per la rappresentazione del movimento creano un effetto quasi cinematografico.
Intorno al prodigioso talento del ragazzo, Ojetti elabora un progetto: applicare su di lui le sue teorie per farne l'artista perfetto. Vale a dire un uomo d'ordine, la cui principale dote sia la capacità di comunicare un contenuto con chiarezza, imparando a governare l'esuberanza della propria creatività con la forza ordinatrice dello stile. Il ferreo, quotidiano controllo esercitato dal critico sembra all'inizio avere la meglio sull'irruenza della sua creatura. Romano si impegna, cerca una docilità che non possiede, ma la forza dei suoi sogni è destinata a travolgere la meditata utopia pedagogica del maestro.
Il pretesto per sganciarsi da quella pesante tutela glielo offre, nel 1923, l'invito del governo a documentare, con una campagna di disegni, la spedizione militare italiana in Libia al seguito del maresciallo Graziani. I mesi trascorsi nel deserto lasciano nel suo animo un segno indelebile. La qualità del lavoro scaturito da quell'esperienza è straordinaria, ma non sempre in linea con le indicazioni di Ojetti. Il rapporto tra i due sta chiaramente volgendo all'epilogo: una rottura amara vissuta dal critico con risentimento.
L'artista ritorna ai motivi peculiari della sua ispirazione: la resa del movimento, il non finito, l'idealizzazione delle forme. Una linea destinata in Italia a subire una pesante sconfitta. Trionfa invece l'indirizzo teorizzato dal suo pigmalione di un tempo. A Romano, sempre più isolato, resta la consolazione dell'entusiasmo che gli ambienti americani in Italia riservano al vitalismo (così “americano”, appunto) della sua opera.
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OPERE IN MOSTRA
La mostra presenta :
1) tre sculture in bronzo e otto disegni di Libero Andreotti.
Tra le sculture si evidenziano la Veneretta del 1916, che risulta a tutti gli effetti un inedito, e la Donna che fugge del 1920, un pezzo della personale collezione di Ojetti in cui sono evidenti i primi indizi di quel percorso di semplificazione delle forme che porterà al progressivo distacco di Andreotti dal critico.
2) Quattro sculture e sei disegni di Antonio Maraini
Tra le sculture si segnala L'artista che si appunta la maschera (1922), modello in gesso di una delle tre statue che un tempo ornavano il boccascena del Teatro Savoia di Firenze realizzato su progetto di Piacentini. Imponenti i due grandi gessi Amor e Salus del 1930. Si tratta dei modelli in gesso a grandezza naturale di due delle otto figure a bassorilievo che ornavano il portale del Palazzo della Cassa Nazionale delle Assicurazioni, realizzato a Milano nel 1931 su progetto di Piacentini e oggi sede dell'INPS.
3) Una selezione di ventisei disegni di Romano Dazzi in larga parte appartenuti alla collezione privata di Ojetti.
Dei tre, nessuno proviene da un percorso di formazione di tipo accademico. Tra loro la figura di Ugo Ojetti, nato a Roma nel 1871, narratore, giornalista, critico d'arte.
Ojetti è un convinto sostenitore della necessità di rinnovare l'arte italiana guardando al modello della sua grande tradizione. Nel giugno del 1920 pubblica il primo numero di Dedalo, tribuna letteraria di quelle sue teorie così prossime al concetto di “ritorno al mestiere” che a Roma andava in quegli anni elaborando il gruppo di artisti e intellettuali vicini a Valori Plastici, la rivista di Mario Broglio. La sua soluzione autarchica al problema dello svecchiamento dell'arte italiana, fondata sulla supposta supremazia della nostra civiltà rinascimentale, lo pone però anche in linea con le pulsioni nazionaliste del fascismo di Benito Mussolini, che di lì a poco prende il potere. Ojetti diventa in breve uno degli uomini di punta del nuovo regime, onnipresente nelle commissioni di ammissione alle mostre e ai concorsi più importanti, dei quali è in grado di orientare le scelte.
Godere della stima e della protezione di Ojetti significa per un artista entrare nel cono di luce che circonda l'arbitro riconosciuto della cultura del tempo: un onore immenso che può però rivelarsi anche un pesantissimo onere.
Le opere in mostra documentano largamente il modo in cui ciascuno dei tre artisti reagisce alla fortissima volontà del critico di orientarne le scelte artistiche e, sotto gli occhi del visitatore, prende forma il racconto di quattro destini che si intrecciano con sviluppi non sempre prevedibili.
LIBERO ANDREOTTI (Pescia 1875 - Firenze 1933)
Di modesta estrazione sociale, il toscano Libero Andreotti è un perfetto autodidatta, un talento naturale che scopre la vocazione per la scultura intorno ai trent'anni. Una passione affinata a Parigi, la città che gli decreta il successo e dalla quale è costretto ad allontanarsi nel 1914, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Al suo rientro in patria, Ugo Ojetti è tra i primi ad appassionarsi al suo lavoro che predilige soggetti femminili dalle forme asciutte e stilizzate. Per volontà del critico, tra i due si instaura un rapporto strettissimo, in cui il “Padreterno del Salviatino” dispensa protezione cercando però di influenzare il percorso dell'artista. In particolare, Ojetti tradisce la vena intima e familiare di Andreotti deviandolo verso la scultura monumentale. Chi oggi vede quel pallido esempio della statuaria andreottiana che è il marmoreo Monumento alla Madre Italiana eretto in Santa Croce a Firenze comprende facilmente il dramma dell'artista, penosamente combattuto tra il desiderio di non deludere le aspettative e le “istruzioni “ di Ojetti e l'esigenza di proseguire la sua ricerca verso una scultura sempre più semplificata, dalle superfici aspre e corrose, un percorso che lo porta in una direzione lontanissima da quella ostinatamente indicata dal suo protettore. La rottura si consuma quando Andreotti , sempre meno entusiasta delle prestigiose commissioni procurate dal critico, viene sollevato dall'incarico per la realizzazione del Monumento ai Caduti di Milano.
ANTONIO MARAINI (Roma 1886 - Firenze 1965)
Di natura tutta diversa il rapporto tra Ojetti e Antonio Maraini, apprezzato scultore ma anche critico d'arte e animatore, nella sua villa fiorentina di Torre di Sopra, di un famoso salotto letterario. Maraini è bello, raffinato, coltissimo, un uomo predisposto al successo, che infatti arriva in fretta e ne fa uno degli uomini di spicco del regime, anche più potente di Ojetti. A lui si deve la trasformazione in Ente Autonomo della Biennale di Venezia, di cui è segretario generale dal 1927 al 1942. Ojetti lo ammira, ma anche in questo caso si arriva allo scontro, di natura però politica, una polemica che Ojetti fa rientrare quando si rende conto che una prova di forza con quell'astro al culmine della carriera lo troverebbe perdente.
Le opere in mostra testimoniano il felice gemellaggio tra le architetture progettate da Marcello Piacentini e la scultura di Antonio Maraini, artista di talento e patriarca di una famiglia ancora oggi protagonista della vita intellettuale italiana grazie ai nomi delle nipoti Dacia e Toni Maraini.
ROMANO DAZZI (Roma 1905 - La Lima 1976)
La vicenda artistica e umana di Romano Dazzi - presente in mostra con una corposa selezione di disegni per lo più provenienti dalla collezione privata di Ojetti - meriterebbe un lungo racconto.
Nei primi anni della vita Romano, figlio di Arturo Dazzi, è un acclamato enfant prodige. Ed anche un giovane bellissimo, dal temperamento appassionato, tutto irruenza, senso dell'avventura e entusiasmo per la vita. Nel 1919, la Galleria d'Arte Bragaglia, una delle più vivaci della capitale, presenta un'esposizione di centoquaranta disegni dell'artista, all'epoca quattordicenne. Firma il saggio in catalogo Ugo Ojetti, uno dei tanti illustri amici di famiglia. Il successo della rassegna è sorprendente: per l'artista-ragazzino si mobilitano i critici più autorevoli che vedono in lui l'emblema di una nuova generazione maturata anzitempo dall'esperienza della guerra.
Scene di combattimento sono d'altronde i soggetti favoriti dal giovane Dazzi, insieme a certi straordinari ritratti di animali selvaggi visti, in realtà, al giardino zoologico. Lo stile aggressivo, il segno velocissimo, l'interesse per la rappresentazione del movimento creano un effetto quasi cinematografico.
Intorno al prodigioso talento del ragazzo, Ojetti elabora un progetto: applicare su di lui le sue teorie per farne l'artista perfetto. Vale a dire un uomo d'ordine, la cui principale dote sia la capacità di comunicare un contenuto con chiarezza, imparando a governare l'esuberanza della propria creatività con la forza ordinatrice dello stile. Il ferreo, quotidiano controllo esercitato dal critico sembra all'inizio avere la meglio sull'irruenza della sua creatura. Romano si impegna, cerca una docilità che non possiede, ma la forza dei suoi sogni è destinata a travolgere la meditata utopia pedagogica del maestro.
Il pretesto per sganciarsi da quella pesante tutela glielo offre, nel 1923, l'invito del governo a documentare, con una campagna di disegni, la spedizione militare italiana in Libia al seguito del maresciallo Graziani. I mesi trascorsi nel deserto lasciano nel suo animo un segno indelebile. La qualità del lavoro scaturito da quell'esperienza è straordinaria, ma non sempre in linea con le indicazioni di Ojetti. Il rapporto tra i due sta chiaramente volgendo all'epilogo: una rottura amara vissuta dal critico con risentimento.
L'artista ritorna ai motivi peculiari della sua ispirazione: la resa del movimento, il non finito, l'idealizzazione delle forme. Una linea destinata in Italia a subire una pesante sconfitta. Trionfa invece l'indirizzo teorizzato dal suo pigmalione di un tempo. A Romano, sempre più isolato, resta la consolazione dell'entusiasmo che gli ambienti americani in Italia riservano al vitalismo (così “americano”, appunto) della sua opera.
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OPERE IN MOSTRA
La mostra presenta :
1) tre sculture in bronzo e otto disegni di Libero Andreotti.
Tra le sculture si evidenziano la Veneretta del 1916, che risulta a tutti gli effetti un inedito, e la Donna che fugge del 1920, un pezzo della personale collezione di Ojetti in cui sono evidenti i primi indizi di quel percorso di semplificazione delle forme che porterà al progressivo distacco di Andreotti dal critico.
2) Quattro sculture e sei disegni di Antonio Maraini
Tra le sculture si segnala L'artista che si appunta la maschera (1922), modello in gesso di una delle tre statue che un tempo ornavano il boccascena del Teatro Savoia di Firenze realizzato su progetto di Piacentini. Imponenti i due grandi gessi Amor e Salus del 1930. Si tratta dei modelli in gesso a grandezza naturale di due delle otto figure a bassorilievo che ornavano il portale del Palazzo della Cassa Nazionale delle Assicurazioni, realizzato a Milano nel 1931 su progetto di Piacentini e oggi sede dell'INPS.
3) Una selezione di ventisei disegni di Romano Dazzi in larga parte appartenuti alla collezione privata di Ojetti.
14
maggio 2009
Libero Andreotti / Antonio Maraini / Romano Dazzi – Gli anni di Dedalo
Dal 14 maggio al 30 giugno 2009
arte contemporanea
Location
Orario di apertura
dal lunedì al venerdì 10.00-13.00 16.00-19.30
sabato 10.30-13.00
Chiuso domenica e festivi
Vernissage
14 Maggio 2009, ore 18.30
Ufficio stampa
SCARLETT MATASSI
Autore
Curatore