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Salvatore Cuschera
La mostra prevede una selezione delle più rilevanti opere dell’ultima produzione di Salavtore Cuschera, sculatore siciliano che scambia per la prima volta il ferro per la terracotta. Con la ceramica l’artista tende a liberare un mondo interiore fatto di forme indeterminate.
Comunicato stampa
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COMPOSIZIONE PER MATERIA E SILENZIO
(ALLEGRETTO)
Sabbia,
e ancora sabbia,
e niente altro che sabbia.
Di sabbia l'orizzonte.
Il destino de sabbia.
De sabbia i camini.
De sabbia le parole.
Il silenzio de sabbia.
Oliverio Girondo, 1922
E' risaputo che esistono varie forme d’esistere. La vita intellettuale, la vita passionale, la vita del sentimento e del corpo. Io che penso, Io che conosco, Io che sento. La vita si divide e suddivide in moduli e frammenti, piccole parti che formano l’essere. Vivo mille volte ma esisto soltanto una. Questo significa che la vita umana e quella artistica si sviluppano congiuntamente nel tempo. E questo è ovvio. Ma il rischio di cadere nell'ovvietà non è poi tanto se pensiamo che l'esercizio dell'arte è riflessivo, cioè, nasce dell'introspezione, dopo l'accaduto, sempre oltre l'esperienza, dopo la battaglia . Il fatto è che riflettere è ricordare parte del vissuto, ricomporre con una certa logica i pezzi che compongono una vita, la propria esperienza. Ricordare proviene dal latino recordor, composto da re (di nuovo) e cordis (cuore), il che vuol dire “tornare a passare per il cuore”. Tuttavia, nella tradizione grecolatina, il cuore è la sede consacrata alla mente, non ai sentimenti, per cui sarebbe letteralmente tornare a pensare. La ri-creazione di un'immagine è comune al mestiere dell'arte, succede però diversamente se la ricerca di queste immagini ha la sua origine nei pensieri liberamente associati. Le immagini che Salvatore Cuschera traduce in volume e materia nascono nello spazio intimo di un ricordo riproposto e rivissuto, attualizzato. Svuotare il contenuto per riempire l'insieme articolato di un nuovo e possibile senso. La componente “reale” non finisce mai di perdersi, anzi, allude costantemente a tutto ciò di cui è composto ogni singolo ricordo, cucito e riuscito in queste piccole architetture della mente/cuore.
Il ricordo e la creazione. L'atto creativo sarebbe, quindi, un'invenzione di nuove regole che articolano l'immagine, una grammatica ordinata dall'immaginazione. Una volta eliminata l'illusione del reale e l'utopia della pura visibilità, le opere si indirizzano verso la dimostrazione di un carattere autonomo e completamente autarchico, cioè, capace di stabilire le regole interne che le definiscono, celebrando un mondo esistente perché apparenza (da apparère, venire alla luce, essere manifesto). La forma riuscita-finale, l'opera, sarà così un'immagine a percepire e la percezione concentra il soggetto nell'unità dell'opera e non al di fuori di essa. Dalla forma naturalistica all'astrazione geometrica, l'opera si dimostra un sistema semantico, un idioma che ha inizio e fine in se stesso. Le opere di Salvatore Cuschera assumono questi precetti e a partire di questa ottica generale si spiegano le geometrie in tensione che viaggiano dal puro ricordo alla proiezione e viceversa, dagli Icona agli Orizzonti, passando per il Residuo artistico (e di luce). Questa logica spiega anche l'allargamento delle frontiere dal puro dogma analitico – ereditato, forse, dal Costruttivismo caro all'artista- verso un'evocazione naturalistica. Le terracotte rappresentano una sfera intima, recondita e lontana, dalla sacralità delle Fontane e i Sciamani. Esse intervenivano sullo spazio fissandolo, quasi profanandolo, e ritualizzando l'azione fisica del corpo dello spettatore/attore ritrovato per caso in mezzo alla scena di un rito concluso. Se i blocchi di ferro si aprivano allo spazio per delimitarlo, le architetture in terracotta fanno l'operazione inversa, e mostrano uno spazio racchiuso dove luce e ombra stabiliscono una dialettica. Le forme che “cantano” sono ormai prive di ogni carica simbolica ed è la loro pura fisicità a richiamare un motivo, talvolta capriccioso e ironico. Si tratta di un gioco intellettivo di composizione/scomposizione, di immagini che si spostano dall'occhio al ricordo e dal ricordo alle mani mentre si profila, in questo andirivieni, la lirica di un ricordo impossibile.
Ricordo impossibile e colorato. Coloratissimo. Esplodono i pigmenti sulla superficie di queste proto-architetture, i ricordi in bianco e nero sono svuotati e riempiti in un processo analogo a quello accaduto alla forma. Cuschera lancia i colori sulla superficie delle opere quasi come fossi un liberatorio atto di ricerca di una luce che non richiama più la vista ma, piuttosto, il tatto. Colori che invitano ad essere toccati poiché definiscono la trama e l’ordito della materia. Della materia o dell'assenza di essa, il vuoto costituisce a sua volta la forma, come un silenzio nella melodia, un riposo. Il vuoto per far entrare la vista nei meandri delle forme. Invitano queste opere ad entrare in un minuscolo mondo inventato.
L'invenzione. L'invenzione e il percorso. Lo spettatore dovrà allora ripercorrere lo stesso processo dell'artista ma in senso opposto, dall'apparenza immediata all'origine remota. Per questo è necessario che il processo esista realmente, e sia questo un fatto di conoscimento. Conoscere e riconoscere attraverso le opere e tradurre questa visione del mondo alla conoscenza altrui. Una finestra sul mondo, oppure, un mondo affacciato a una sola finestra. Un processo a doppio senso che stabilisca la comunicazione. E il processo esiste senza un progetto predeterminato. Mi fermo quando è perfetta- dice l'artista- Allora è musica. In effetti ci sono motivi che ricordano la grammatica musicale, in queste e in altre opere di molto tempo indietro. Una conclusione quasi matematica ma lasciata timidamente ad una componente casistica. Pur disegnando, mai uno schizzo, mai un disegno preparatorio ci sarà nelle opere di Cuschera.
Tuttavia, esiste un altro argomento ad interessare l'analisi. Orchestra, l'ironia, tutta la poetica, giocosa e scintillante. La nota umoristica appare in certi titoli, quando non gli espliciti riferimenti alla musica e suppongono una sorte di conclusione, che in questo modo donano un ruolo fondamentale al vincolo tra parola e forma, poiché ci viene suggerita una soluzione possibile. L'ironia per mettere tra parentesi l'immagine e la percezione, la musica per enfatizzare la metafora tra materia/suono e silenzio/vuoto. Infine, sollevare i dubbi del vissuto e riproporlo, significa sviluppare una spirale, andare verso l'ignoto e tornare al saputo, inventando forme e creando mondi. Questa melodia che si da nel fare è un enigma e una scoperta. Scoperta che si traduce giocando col possibile, col fare e disfare di questi spazi fatti di silenzio e materia, di colore e di trama rotta, mostrando un'avventura che è forse la sua propria anima. Eppure, l'irrazionalità, sta alla base di tutta armonia.
Carmen L. del Valle
(ALLEGRETTO)
Sabbia,
e ancora sabbia,
e niente altro che sabbia.
Di sabbia l'orizzonte.
Il destino de sabbia.
De sabbia i camini.
De sabbia le parole.
Il silenzio de sabbia.
Oliverio Girondo, 1922
E' risaputo che esistono varie forme d’esistere. La vita intellettuale, la vita passionale, la vita del sentimento e del corpo. Io che penso, Io che conosco, Io che sento. La vita si divide e suddivide in moduli e frammenti, piccole parti che formano l’essere. Vivo mille volte ma esisto soltanto una. Questo significa che la vita umana e quella artistica si sviluppano congiuntamente nel tempo. E questo è ovvio. Ma il rischio di cadere nell'ovvietà non è poi tanto se pensiamo che l'esercizio dell'arte è riflessivo, cioè, nasce dell'introspezione, dopo l'accaduto, sempre oltre l'esperienza, dopo la battaglia . Il fatto è che riflettere è ricordare parte del vissuto, ricomporre con una certa logica i pezzi che compongono una vita, la propria esperienza. Ricordare proviene dal latino recordor, composto da re (di nuovo) e cordis (cuore), il che vuol dire “tornare a passare per il cuore”. Tuttavia, nella tradizione grecolatina, il cuore è la sede consacrata alla mente, non ai sentimenti, per cui sarebbe letteralmente tornare a pensare. La ri-creazione di un'immagine è comune al mestiere dell'arte, succede però diversamente se la ricerca di queste immagini ha la sua origine nei pensieri liberamente associati. Le immagini che Salvatore Cuschera traduce in volume e materia nascono nello spazio intimo di un ricordo riproposto e rivissuto, attualizzato. Svuotare il contenuto per riempire l'insieme articolato di un nuovo e possibile senso. La componente “reale” non finisce mai di perdersi, anzi, allude costantemente a tutto ciò di cui è composto ogni singolo ricordo, cucito e riuscito in queste piccole architetture della mente/cuore.
Il ricordo e la creazione. L'atto creativo sarebbe, quindi, un'invenzione di nuove regole che articolano l'immagine, una grammatica ordinata dall'immaginazione. Una volta eliminata l'illusione del reale e l'utopia della pura visibilità, le opere si indirizzano verso la dimostrazione di un carattere autonomo e completamente autarchico, cioè, capace di stabilire le regole interne che le definiscono, celebrando un mondo esistente perché apparenza (da apparère, venire alla luce, essere manifesto). La forma riuscita-finale, l'opera, sarà così un'immagine a percepire e la percezione concentra il soggetto nell'unità dell'opera e non al di fuori di essa. Dalla forma naturalistica all'astrazione geometrica, l'opera si dimostra un sistema semantico, un idioma che ha inizio e fine in se stesso. Le opere di Salvatore Cuschera assumono questi precetti e a partire di questa ottica generale si spiegano le geometrie in tensione che viaggiano dal puro ricordo alla proiezione e viceversa, dagli Icona agli Orizzonti, passando per il Residuo artistico (e di luce). Questa logica spiega anche l'allargamento delle frontiere dal puro dogma analitico – ereditato, forse, dal Costruttivismo caro all'artista- verso un'evocazione naturalistica. Le terracotte rappresentano una sfera intima, recondita e lontana, dalla sacralità delle Fontane e i Sciamani. Esse intervenivano sullo spazio fissandolo, quasi profanandolo, e ritualizzando l'azione fisica del corpo dello spettatore/attore ritrovato per caso in mezzo alla scena di un rito concluso. Se i blocchi di ferro si aprivano allo spazio per delimitarlo, le architetture in terracotta fanno l'operazione inversa, e mostrano uno spazio racchiuso dove luce e ombra stabiliscono una dialettica. Le forme che “cantano” sono ormai prive di ogni carica simbolica ed è la loro pura fisicità a richiamare un motivo, talvolta capriccioso e ironico. Si tratta di un gioco intellettivo di composizione/scomposizione, di immagini che si spostano dall'occhio al ricordo e dal ricordo alle mani mentre si profila, in questo andirivieni, la lirica di un ricordo impossibile.
Ricordo impossibile e colorato. Coloratissimo. Esplodono i pigmenti sulla superficie di queste proto-architetture, i ricordi in bianco e nero sono svuotati e riempiti in un processo analogo a quello accaduto alla forma. Cuschera lancia i colori sulla superficie delle opere quasi come fossi un liberatorio atto di ricerca di una luce che non richiama più la vista ma, piuttosto, il tatto. Colori che invitano ad essere toccati poiché definiscono la trama e l’ordito della materia. Della materia o dell'assenza di essa, il vuoto costituisce a sua volta la forma, come un silenzio nella melodia, un riposo. Il vuoto per far entrare la vista nei meandri delle forme. Invitano queste opere ad entrare in un minuscolo mondo inventato.
L'invenzione. L'invenzione e il percorso. Lo spettatore dovrà allora ripercorrere lo stesso processo dell'artista ma in senso opposto, dall'apparenza immediata all'origine remota. Per questo è necessario che il processo esista realmente, e sia questo un fatto di conoscimento. Conoscere e riconoscere attraverso le opere e tradurre questa visione del mondo alla conoscenza altrui. Una finestra sul mondo, oppure, un mondo affacciato a una sola finestra. Un processo a doppio senso che stabilisca la comunicazione. E il processo esiste senza un progetto predeterminato. Mi fermo quando è perfetta- dice l'artista- Allora è musica. In effetti ci sono motivi che ricordano la grammatica musicale, in queste e in altre opere di molto tempo indietro. Una conclusione quasi matematica ma lasciata timidamente ad una componente casistica. Pur disegnando, mai uno schizzo, mai un disegno preparatorio ci sarà nelle opere di Cuschera.
Tuttavia, esiste un altro argomento ad interessare l'analisi. Orchestra, l'ironia, tutta la poetica, giocosa e scintillante. La nota umoristica appare in certi titoli, quando non gli espliciti riferimenti alla musica e suppongono una sorte di conclusione, che in questo modo donano un ruolo fondamentale al vincolo tra parola e forma, poiché ci viene suggerita una soluzione possibile. L'ironia per mettere tra parentesi l'immagine e la percezione, la musica per enfatizzare la metafora tra materia/suono e silenzio/vuoto. Infine, sollevare i dubbi del vissuto e riproporlo, significa sviluppare una spirale, andare verso l'ignoto e tornare al saputo, inventando forme e creando mondi. Questa melodia che si da nel fare è un enigma e una scoperta. Scoperta che si traduce giocando col possibile, col fare e disfare di questi spazi fatti di silenzio e materia, di colore e di trama rotta, mostrando un'avventura che è forse la sua propria anima. Eppure, l'irrazionalità, sta alla base di tutta armonia.
Carmen L. del Valle
14
maggio 2009
Salvatore Cuschera
Dal 14 maggio al 15 luglio 2009
arte contemporanea
Location
GALLERIA MAZZOLENI
Milano, Via Gerolamo Morone, 6, (Milano)
Milano, Via Gerolamo Morone, 6, (Milano)
Biglietti
Su invito
Orario di apertura
Dal Martedì al Venerdì dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 15.00 alle 19.00
Lunedì dalle 15.00 alle 19.00
Sabato su appuntamento
Vernissage
14 Maggio 2009, Ore 18.30
Autore
Curatore