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Luigi Buso – Pittura di soli ed archi
Nella produzione più recente di Luigi Buso non può non balzare agli
occhi la ripetizione di due elementi ben distinguibili, variati nei toni
e nella disposizione ma presenti come una sorta di firma, di garanzia.
Dopo tre quattro tele finisci per cercarli nelle opere successive,
quasi per avere u
Comunicato stampa
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Dopo tre quattro tele finisci per cercarli nelle opere successive,
quasi per avere una conferma, per verificare un'idea. Ed eccolo
lassù in alto, il globo rosso del sole, a volte forse della luna, a volte
arancione, giallo, a volte sfumato, nascosto, duplicato. Sempre
isolato, staccato dalle architetture confuse che si levano in basso,
sempre stagliato in un cielo uniforme e compatto. E' la garanzia di
una continuità, di un levarsi forte e sempre uguale dei giorni, di una
determinazione che sta oltre, così rosso e così perfettamente tondo.
E' il senso di un aldilà che dialoga con il paesaggio, con l'"aldiqua",
è simbolo che attraversa il tempo e sembra benedire
(filosoficamente intendo) questo variare inarrestabile delle cose,
questo sfaldarsi dei muri e delle geometrie. Ma è anche, pittoricamente
parlando, una tentazione all'astratto, una via di fuga verso
geometrie che non debbano rispondere più alle forme del reale: così
perfettamente rotondo è una provocazione rispetto al disordine delle
rovine che la spatola del pittore si sforza di salvare. Vi è una
coerenza, una continuità rispetto alla storia pregressa della pittura di
Luigi Buso, alle tele dedicate al paesaggio rurale veneto e friulano.
Rispetto a quella fase realistica, memoriale, tesa a salvare dall'oblio
quanto è ancora vicino nello spazio e nel tempo, qui gli orizzonti si
sono dilatati: il passato non è la società contadina di ieri ma è
l'antico, lo scorrere delle epoche ben rappresentato dalle rovine, dai
ruderi. Il sole non è quello che illumina le nostre campagne ma ha
una sua dimensione metafisica, infinita, astratta. E' un salto di
livello ben preciso dove il cromatismo diretto fatto di colori
accostati in modo coraggioso e talora violento rispetto alla produzione
precedente parla già di un gioco che non si svolge in questo
mondo. Ma è il secondo elemento, costante sulle tele, che forse
conferma questa lettura. Si tratta dell'arco, un elemento che come
un refrain ossessivo attraversa tutte queste tele. Architetture che
mantengono talora un residuo realistico, altre volte si perdono nella
forma del sogno ma che invariabilmente si aprono in finestre
improbabili, archi che non danno su nulla, raddoppiati, fini a se
stessi, sezionati dalla frana del tempo o semplicemente da un estro
artistico. Al di sotto un brulicare di forme indistinte, un coacervo di
vita che si sfalda in colori e pennellate, si arrabatta fra dramma e
gioco (si noti in molti quadri, rigorosamente in basso, la presenza di
una griglia, scacchiera che, terzo marchio meno evidente, allude
forse al gioco, al nostro vivere comunque chiusi e prigionieri di reti
colorate). Il ponte o l'arco o la finestra sono forse la saldatura fra i
due mondi, con tutta una serie di valenze metaforiche (chiudersi in
una circolarità, aprirsi verso altro, passare, salire e ridiscendere,
per dirne alcune). Tutte queste letture sono possibili, tutte
porterebbero da qualche parte e suggerirebbero una chiave
interpretativa. Ma sono soprattutto le tracce del tempo che mi
colpiscono, e su questa linea credo si possa costruire una lettura.
L'arco è sempre arco di rovina, gesto di presunzione tutta umana,
di chi vuol far galleggiare il peso sul vuoto sfidando buonsenso e
leggi di natura oppure erge poderose architetture senza altro fine
che se stesse. Vi è come un franare delle cose, da fine dei tempi, in
una atmosfera che ora sa di carnevale ora di giudizio universale (e
la scelta cromatica così forte e decisa magicamente pare adattarsi
a entrambe le situazioni). In alto il sole splende ma non illumina
più nulla, lontano in una sua dimensione ormai irraggiungibile,
rosso di un rosso innaturale o velato e irriconoscibile, fuori dal
tempo.
Paolo Venti
quasi per avere una conferma, per verificare un'idea. Ed eccolo
lassù in alto, il globo rosso del sole, a volte forse della luna, a volte
arancione, giallo, a volte sfumato, nascosto, duplicato. Sempre
isolato, staccato dalle architetture confuse che si levano in basso,
sempre stagliato in un cielo uniforme e compatto. E' la garanzia di
una continuità, di un levarsi forte e sempre uguale dei giorni, di una
determinazione che sta oltre, così rosso e così perfettamente tondo.
E' il senso di un aldilà che dialoga con il paesaggio, con l'"aldiqua",
è simbolo che attraversa il tempo e sembra benedire
(filosoficamente intendo) questo variare inarrestabile delle cose,
questo sfaldarsi dei muri e delle geometrie. Ma è anche, pittoricamente
parlando, una tentazione all'astratto, una via di fuga verso
geometrie che non debbano rispondere più alle forme del reale: così
perfettamente rotondo è una provocazione rispetto al disordine delle
rovine che la spatola del pittore si sforza di salvare. Vi è una
coerenza, una continuità rispetto alla storia pregressa della pittura di
Luigi Buso, alle tele dedicate al paesaggio rurale veneto e friulano.
Rispetto a quella fase realistica, memoriale, tesa a salvare dall'oblio
quanto è ancora vicino nello spazio e nel tempo, qui gli orizzonti si
sono dilatati: il passato non è la società contadina di ieri ma è
l'antico, lo scorrere delle epoche ben rappresentato dalle rovine, dai
ruderi. Il sole non è quello che illumina le nostre campagne ma ha
una sua dimensione metafisica, infinita, astratta. E' un salto di
livello ben preciso dove il cromatismo diretto fatto di colori
accostati in modo coraggioso e talora violento rispetto alla produzione
precedente parla già di un gioco che non si svolge in questo
mondo. Ma è il secondo elemento, costante sulle tele, che forse
conferma questa lettura. Si tratta dell'arco, un elemento che come
un refrain ossessivo attraversa tutte queste tele. Architetture che
mantengono talora un residuo realistico, altre volte si perdono nella
forma del sogno ma che invariabilmente si aprono in finestre
improbabili, archi che non danno su nulla, raddoppiati, fini a se
stessi, sezionati dalla frana del tempo o semplicemente da un estro
artistico. Al di sotto un brulicare di forme indistinte, un coacervo di
vita che si sfalda in colori e pennellate, si arrabatta fra dramma e
gioco (si noti in molti quadri, rigorosamente in basso, la presenza di
una griglia, scacchiera che, terzo marchio meno evidente, allude
forse al gioco, al nostro vivere comunque chiusi e prigionieri di reti
colorate). Il ponte o l'arco o la finestra sono forse la saldatura fra i
due mondi, con tutta una serie di valenze metaforiche (chiudersi in
una circolarità, aprirsi verso altro, passare, salire e ridiscendere,
per dirne alcune). Tutte queste letture sono possibili, tutte
porterebbero da qualche parte e suggerirebbero una chiave
interpretativa. Ma sono soprattutto le tracce del tempo che mi
colpiscono, e su questa linea credo si possa costruire una lettura.
L'arco è sempre arco di rovina, gesto di presunzione tutta umana,
di chi vuol far galleggiare il peso sul vuoto sfidando buonsenso e
leggi di natura oppure erge poderose architetture senza altro fine
che se stesse. Vi è come un franare delle cose, da fine dei tempi, in
una atmosfera che ora sa di carnevale ora di giudizio universale (e
la scelta cromatica così forte e decisa magicamente pare adattarsi
a entrambe le situazioni). In alto il sole splende ma non illumina
più nulla, lontano in una sua dimensione ormai irraggiungibile,
rosso di un rosso innaturale o velato e irriconoscibile, fuori dal
tempo.
Paolo Venti
02
maggio 2009
Luigi Buso – Pittura di soli ed archi
Dal 02 al 15 maggio 2009
arte moderna e contemporanea
Location
CENTRO CULTURALE ALDO MORO
Cordenons, Via Traversagna, 4, (Pordenone)
Cordenons, Via Traversagna, 4, (Pordenone)
Orario di apertura
martedì,venerdì,sabato e domenica 18,00-19,00
Vernissage
2 Maggio 2009, ore 18,30
Autore
Curatore