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Dario Bellini – Qui, forse! Note sulla città (installazione per sette tele-visori)
Di fronte alle enormità che a malapena conteniamo nell’animo ci viene spontaneo rivolgere questo disagio alle condizioni spaziali in cui esso si manifesta. Tutti gli utopisti hanno pensato ad espedienti architettonici, anche Le Corbusier scriveva in un disegno.
Comunicato stampa
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Di fronte alle enormità che a malapena conteniamo nell’animo ci viene spontaneo rivolgere questo
disagio alle condizioni spaziali in cui esso si manifesta. Tutti gli utopisti hanno pensato ad
espedienti architettonici, anche Le Corbusier scriveva in un disegno L’urbanistica è una chiave,
ma sarà poi vero?
Si pensa molto oggi all’architettura.
A me viene in mente Adriano Olivetti e il suo continuo salto di scala: da Ivrea a Matera,
dall’urbanistica alla politica, dal piano alla costituzione, dalla macchina da scrivere al progetto
sociale. Come se fare qualcosa non bastasse e bisognasse fare tutto.
Anche fare politica? Anche rifare la politica? (Sempre spallate? che palle!)
Infine, stare dentro il brontolio, districare fili, ascoltando le voci, avanzando riserve e prolissità.
Non è vero che le città sono sature, guardatele con google earth, sono piene di vuoti. Cosa c’è in
quei vuoti, il niente, e nessuno ci va; tranne ad annidarsi il degrado che si rifugia via dai nostri
occhi in quelle nicchie, androni, spazi ex comuni, pensati come luogo della socialità…
Partiamo da qui: il rifiuto dei fronti intendeva superare la gerarchia delle città borghesi orientando
le finestre secondo una democratica porzione di sole e aria pulita. Annullata così la strada, gli
edifici isolati, per quanto vicini, lasciano sempre dei vuoti che nessuno capisce ed usa. Per questo
io suggerisco di progettare le aree tra i condomini, magari togliendo le recinzioni, modificando i
regolamenti delle misure di rispetto; invece che un'architettura delle emergenze, un'architettura che
si mimetizza e lega... cioè fa collage.
“ Questo è il mio consiglio, fate piccoli progetti e fatene tanti” scrive Joseph Rykwert. Capire il
tessuto in cui inserirsi non vuol dire valutare il peso di un segno efficace e nitido sul fondo neutro,
a mio avviso significa allungare le lettere come quando si scrive in corsivo e legare le parole con
congiunzioni e preposizioni.
Di, a, da, in, con, su, per, tra, fra.
E non mi va di fare la parte del turista col naso per aria o di colui che annusa gli angoli... se la mia
sola competenza è la forma voglio cominciare ad immaginare cosa diavolo bisogna fare, adesso.
disagio alle condizioni spaziali in cui esso si manifesta. Tutti gli utopisti hanno pensato ad
espedienti architettonici, anche Le Corbusier scriveva in un disegno L’urbanistica è una chiave,
ma sarà poi vero?
Si pensa molto oggi all’architettura.
A me viene in mente Adriano Olivetti e il suo continuo salto di scala: da Ivrea a Matera,
dall’urbanistica alla politica, dal piano alla costituzione, dalla macchina da scrivere al progetto
sociale. Come se fare qualcosa non bastasse e bisognasse fare tutto.
Anche fare politica? Anche rifare la politica? (Sempre spallate? che palle!)
Infine, stare dentro il brontolio, districare fili, ascoltando le voci, avanzando riserve e prolissità.
Non è vero che le città sono sature, guardatele con google earth, sono piene di vuoti. Cosa c’è in
quei vuoti, il niente, e nessuno ci va; tranne ad annidarsi il degrado che si rifugia via dai nostri
occhi in quelle nicchie, androni, spazi ex comuni, pensati come luogo della socialità…
Partiamo da qui: il rifiuto dei fronti intendeva superare la gerarchia delle città borghesi orientando
le finestre secondo una democratica porzione di sole e aria pulita. Annullata così la strada, gli
edifici isolati, per quanto vicini, lasciano sempre dei vuoti che nessuno capisce ed usa. Per questo
io suggerisco di progettare le aree tra i condomini, magari togliendo le recinzioni, modificando i
regolamenti delle misure di rispetto; invece che un'architettura delle emergenze, un'architettura che
si mimetizza e lega... cioè fa collage.
“ Questo è il mio consiglio, fate piccoli progetti e fatene tanti” scrive Joseph Rykwert. Capire il
tessuto in cui inserirsi non vuol dire valutare il peso di un segno efficace e nitido sul fondo neutro,
a mio avviso significa allungare le lettere come quando si scrive in corsivo e legare le parole con
congiunzioni e preposizioni.
Di, a, da, in, con, su, per, tra, fra.
E non mi va di fare la parte del turista col naso per aria o di colui che annusa gli angoli... se la mia
sola competenza è la forma voglio cominciare ad immaginare cosa diavolo bisogna fare, adesso.
27
aprile 2009
Dario Bellini – Qui, forse! Note sulla città (installazione per sette tele-visori)
Dal 27 aprile al 12 maggio 2009
architettura
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
NEON>FDV
Milano, Via Giulio Cesare Procaccini, 4, (Milano)
Milano, Via Giulio Cesare Procaccini, 4, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a venerdì ore 15-19
Vernissage
27 Aprile 2009, ore 18.30
Autore