23 agosto 2011

Quale arte tra pubblico e privato

 
Tra la preoccupazione di un dirigismo culturale pubblico e i timori di un’autonomia indiscriminata del privato, la ricerca di una soluzione finanziaria per le realtà culturali italiane ha costituito il dibattito di queste ultime settimane.

di

Se l’assessore alla cultura di Milano Stefano Boeri auspica l’autonomia finanziaria per le mostre in Italia e dall’altro lato gli occupanti del Teatro Valle a Roma si preoccupano invece di conquistare una illuminata gestione pubblica, non vi è chi non comprenda, soprattutto in questo periodo, che le ridotte (se non esaurite) risorse finanziare dedicate o dedicabili all’espressione artistica culturale in Italia, rischiano di compromettere la crescita del nostro paese, allontanandolo ancora di più dalle espressioni culturali della mittel europa.
Si è detto che “la cultura non si mangia”. Ma come può un paese progredire senza la propria cultura? La cultura è identità nazionale, lo specchio della società, la testimonianza della civiltà di un popolo, il continuo arricchimento del suo patrimonio originario per il progresso comune.
La storia dimostra che nei momenti più decisivi, quelli che hanno portato ai grandi cambiamenti sociali, alle innovazioni, si sono sempre accesi “focolai” artistici e culturali, che hanno rappresentato e rappresentano i nuovi ideali, le speranze di molte comunità, contro le oppressioni e le limitazioni delle libertà, prima fra tutte quella della espressione del pensiero culturale, letterario ed artistico, baluardi a difesa della crescita dei popoli.
E’ questo il leit motiv di questa estate.
Lo dimostrano le tensioni nei paesi nordafricani che prima per ragioni religiose, oggi per ragioni culturali guardano all’Occidente come orizzonte del loro sviluppo come modello di riferimento.
Di fronte così agli imperialismi dominanti anche nell’ambito culturale in quei paesi le masse chiedono più spazio per scelte più democratiche e frutto della spontanea espressione territoriale.
Dobbiamo aspettarci così un nuovo vigore artistico e culturale da quei paesi del Mediterraneo che si stanno liberando dalle diverse oppressioni dittatoriali e potranno finalmente dar vita alle più libere espressioni artistiche e culturali “sbarcando” questa volta, con nuove idee e utopie in una ormai, quasi stagnante Europa, dando luogo, (ci auguriamo) a nuove positive contaminazioni.
Oggi la lotta per la sopravvivenza dell’arte e della cultura è appesa ad un labile filo e vacilla fra una impotenza creativa generata dalle esaurite risorse pubbliche e il potere autonomo e discrezionale di quelle private.
Segnali di insofferenza verso gli odierni schemi culturali sono negli esempi già citati, il Teatro Valle, il Macro e la strategia politica di Boeri.
Il teatro Valle a Roma – occupato da qualche mese – vive grazie alla presenza di tanti giovani che ribellandosi all’ipotesi della sua privatizzazione hanno proposto una programmazione quotidiana, fatta da attori ed esponenti del mondo dello spettacolo che partecipano gratuitamente sostenendo la causa.
Il teatro dal 1 luglio 2011 è passato sotto la gestione di Roma Capitale, dopo aver lavorato per anni sotto quella dell’Ente Teatrale Italiano, oggi soppresso.
Il timore degli occupanti, è che la direzione del teatro venga assunta da un privato, che per un ritorno economico snaturi l’identità del teatro stesso (e come dargli torto) dalla sua origine di ricerca e sperimentazione verso un gusto più popular e condiviso dalle masse.

Il Museo d’arte contemporanea di Roma, dopo le discusse dimissioni di Luca Massimo Barbero e l’inizio della nuova direzione di  Bartolomeo Pietromarchi, si accinge ad una nuova costituzione in fondazione, come soluzione per la sua sopravvivenza. Dopo numerosi dibattiti sull’incertezza dei fondi stanziati per il suo avvenire, il museo ha definitivamente scelto la trasformazione in Fondazione Macro sull’esempio del Museo Nazionale delle arti del ventunesimo secolo, Maxxi.
Nell’ambito della dialettica “pubblico – privato” che sembra non avere una immediata soluzione, si inseriscono anche le dichiarazioni di Stefano Boeri sul futuro delle mostre in Italia. Partendo dalla considerazione delle ridotte disponibilità finanziare Boeri propone (idea in realtà non nuova, ma che riapre il dibattito sulla sostenibilità finanziaria della cultura) di affidare ai privati la realizzazione di mostre andando incontro cosi alla ridotta spesa statale per il settore culturale, ma esponendosi probabilmente all’inevitabile proliferazione di mostre blockbuster.
Tra chi fugge dai privati e chi invece vede in loro un miraggio all’orizzonte, l’arte sopravvive nelle forme più spontanee e libere.
Appare così, pertinente la perfomance The Encounter di Adrian Paci (Shkoder, Albania, 1969), cui abbiamo assistito in questi giorni a Scicli. Non curante della ricerca di un “pubblico” o di un “privato” pronto ad assecondarlo, l’artista ha dato vita ad una stretta di mano simbolica e collettiva con la gente di quel luogo in una piazza emblema del tessuto connettivo del territorio. Il gesto della stretta di mano, ripetuto in maniera ossessiva, assume una valenza rituale intesa come scambio e condivisione fra culture, in questo momento di grandi lotte.

E’ da annoverare altresì, la consegna del premio Salvo Randone al Teatro Valle occupato, quale, provocatoriamente, per il “miglior evento 2011” nell’edizione di Gibellina, non a caso luogo deputato da tempo alla costruzione di un ponte fra le diverse culture del Mediterraneo.
E su questi temi che si giocherà lo sviluppo dell’arte in Italia dei prossimi tempi o dovremo affidarci ai reality show sull’arte, sull’esempio inglese e americano di Saatchi’s Best of British e Work ok Art, nei quali gli artisti si contendono la partecipazione ad una mostra di Charles Saatchi all’Ermitage di San Pietroburgo in un caso e una personale al Brooklyn Museum di New York nell’altro.
 
 
a cura di giorgia salerno

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui