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Giorgio Laveri – L’elegia del quotidiano
Col doppio registro dell’incanto e dell’invettiva, tra apologia e derisione, Laveri gioca e profana tutte le mitologie culturali, utilizzando la ceramica, mezzo espressivo prediletto, per trasformare in arte la sua concezione del mondo e delle cose
Comunicato stampa
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L’elegia del quotidiano
Irrisorie, eclettiche, curiose: tutti aggettivi che ben si adattano alle opere in ceramica di Giorgio Laveri, artista per il quale arte e vita rappresentano un unico impasto fatto di ogni possibile ingrediente. Col doppio registro dell’incanto e dell’invettiva, tra apologia e derisione, Laveri gioca e profana tutte le mitologie culturali, utilizzando la ceramica, mezzo espressivo prediletto, per trasformare in arte la sua concezione del mondo e delle cose.
Come potrebbe non esserlo, considerato che l’artista è nato a Savona e cresciuto respirando le vicende che hanno caratterizzato l’ultimo mezzo secolo d’arte nella vicina Albisola e studiando, per autentica passione, la storia della ceramica ligure dal Quattrocento ai giorni nostri. Tali premesse fanno apparire quasi ovvio come per Laveri il manipolare l’argilla sia stata una sorta di predestinazione, ma l’elemento di eccellenza è costituito dal fatto che, a differenza di tanti autori suoi conterranei ed amici che si sono cullati pigramente tra gli allori di un passato ingombrante, il nostro si è adoperato con umiltà perché la ceramica potesse ritornare a pieno titolo tra i materiali nobili dell’arte contemporanea.
Giorgio Laveri non si sottrae alle regole, ai tempi e alle consuetudini del “fare ceramica”, semmai diventa promotore internazionale di un clima – quello della fornace – e di attitudini – quelle dei ceramisti – che in più di un’occasione hanno poi fatto avvicinare altri artisti all’impiego della terracotta, hanno sovente smontato i pregiudizi dei mercanti e di molti critici e, soprattutto, hanno incuriosito ed affascinato i collezionisti d’arte.
Nonostante le radici ben consolidate in un territorio ceramico per eccellenza, la curiosità, la continua voglia di saggiare e di confrontarsi con esperienze altre, hanno spinto Laveri ad una sorta di nomadismo produttivo che lo ha portato a concepire le sue creazioni fidando sulla collaborazione di artigiani esperti e generosi come Ernesto Canepa e Annamaria Pacetti dello Studio Ernan Design in Albisola Superiore, di Sandro Da Boit del laboratorio Ceranima in Sesto Fiorentino e di Andrea Comacchio in quel di Marostica, senza poi perdere l’occasione per fare esperienze singolari e costruttive come è capitato qualche anno fa in Costa Azzurra e in Cina.
Da qualche tempo Giorgio Laveri ferma la sua attenzione su oggetti comuni e commerciali appartenenti alla realtà urbana che lo circonda e, attraverso un’operazione di riproduzione ingrandita e impreziosita dal fascino degli smalti ceramici a gran fuoco, fornisce loro una nuova dignità. Oggetti defunzionalizzati, gonfiati, assemblati, reinterpretati che permettono all’artista di attraversare la barriera del quotidiano e – per contrappasso rispetto a quanto scrive Blanchot “Malgrado il massimo sviluppo dei mezzi di comunicazione, il quotidiano sfugge…”[1] - di inneggiare a ciò che è talmente conosciuto da passare inosservato. In tal senso la provocazione significante degli oggetti ingigantiti, che sembra, in prima analisi, derivare da riferimenti al dadaismo duchampiano piuttosto che all’extraterritorialità scultorea di Claes Oldenburg[2] o alle diverse declinazioni dei nouveaux realistes, per Giorgio Laveri diventa il tentativo di congiungere due opposti: da un lato porre la lente di ingrandimento sul quotidiano nella sua più comune e scontata accezione, dall’altro renderlo non convenzionale, porlo al centro dell’attenzione, restituirlo protagonista di una trasfigurazione artistica. Ogni oggetto preso in considerazione diventa per Laveri uno strumento di comunicazione e più precisamente di comunicazione sensuale: il soggetto, più che qualcosa di importante in sé, è un mezzo per coinvolgere e avvicinare chi guarda. E’ il desiderio di toccare e di essere toccato che interessa all’artista ligure, il quale enfatizza la presenza degli oggetti di consumo banale per renderli eccezionali attraverso l’uso di una materia estremamente sensoriale qual è la ceramica. Glamour, seduzione, tattilità sono tutti elementi che ben si sposano alle opere ceramiche di Laveri che non perde occasione per irridere e provocare lo spettatore. Ecco allora che i rossetti sproporzionati della serie Truka, le penne stilografiche giganti Stylò, i birilli Strike, le caffettiere Moka, il cavatappi Borracho, la grande Tuba, diventano gli archetipi di questa sua nuova dimensione dove gioco, stupore e sarcasmo sono gli ingredienti per metabolizzare la realtà.
Riccardo Zelatore
Irrisorie, eclettiche, curiose: tutti aggettivi che ben si adattano alle opere in ceramica di Giorgio Laveri, artista per il quale arte e vita rappresentano un unico impasto fatto di ogni possibile ingrediente. Col doppio registro dell’incanto e dell’invettiva, tra apologia e derisione, Laveri gioca e profana tutte le mitologie culturali, utilizzando la ceramica, mezzo espressivo prediletto, per trasformare in arte la sua concezione del mondo e delle cose.
Come potrebbe non esserlo, considerato che l’artista è nato a Savona e cresciuto respirando le vicende che hanno caratterizzato l’ultimo mezzo secolo d’arte nella vicina Albisola e studiando, per autentica passione, la storia della ceramica ligure dal Quattrocento ai giorni nostri. Tali premesse fanno apparire quasi ovvio come per Laveri il manipolare l’argilla sia stata una sorta di predestinazione, ma l’elemento di eccellenza è costituito dal fatto che, a differenza di tanti autori suoi conterranei ed amici che si sono cullati pigramente tra gli allori di un passato ingombrante, il nostro si è adoperato con umiltà perché la ceramica potesse ritornare a pieno titolo tra i materiali nobili dell’arte contemporanea.
Giorgio Laveri non si sottrae alle regole, ai tempi e alle consuetudini del “fare ceramica”, semmai diventa promotore internazionale di un clima – quello della fornace – e di attitudini – quelle dei ceramisti – che in più di un’occasione hanno poi fatto avvicinare altri artisti all’impiego della terracotta, hanno sovente smontato i pregiudizi dei mercanti e di molti critici e, soprattutto, hanno incuriosito ed affascinato i collezionisti d’arte.
Nonostante le radici ben consolidate in un territorio ceramico per eccellenza, la curiosità, la continua voglia di saggiare e di confrontarsi con esperienze altre, hanno spinto Laveri ad una sorta di nomadismo produttivo che lo ha portato a concepire le sue creazioni fidando sulla collaborazione di artigiani esperti e generosi come Ernesto Canepa e Annamaria Pacetti dello Studio Ernan Design in Albisola Superiore, di Sandro Da Boit del laboratorio Ceranima in Sesto Fiorentino e di Andrea Comacchio in quel di Marostica, senza poi perdere l’occasione per fare esperienze singolari e costruttive come è capitato qualche anno fa in Costa Azzurra e in Cina.
Da qualche tempo Giorgio Laveri ferma la sua attenzione su oggetti comuni e commerciali appartenenti alla realtà urbana che lo circonda e, attraverso un’operazione di riproduzione ingrandita e impreziosita dal fascino degli smalti ceramici a gran fuoco, fornisce loro una nuova dignità. Oggetti defunzionalizzati, gonfiati, assemblati, reinterpretati che permettono all’artista di attraversare la barriera del quotidiano e – per contrappasso rispetto a quanto scrive Blanchot “Malgrado il massimo sviluppo dei mezzi di comunicazione, il quotidiano sfugge…”[1] - di inneggiare a ciò che è talmente conosciuto da passare inosservato. In tal senso la provocazione significante degli oggetti ingigantiti, che sembra, in prima analisi, derivare da riferimenti al dadaismo duchampiano piuttosto che all’extraterritorialità scultorea di Claes Oldenburg[2] o alle diverse declinazioni dei nouveaux realistes, per Giorgio Laveri diventa il tentativo di congiungere due opposti: da un lato porre la lente di ingrandimento sul quotidiano nella sua più comune e scontata accezione, dall’altro renderlo non convenzionale, porlo al centro dell’attenzione, restituirlo protagonista di una trasfigurazione artistica. Ogni oggetto preso in considerazione diventa per Laveri uno strumento di comunicazione e più precisamente di comunicazione sensuale: il soggetto, più che qualcosa di importante in sé, è un mezzo per coinvolgere e avvicinare chi guarda. E’ il desiderio di toccare e di essere toccato che interessa all’artista ligure, il quale enfatizza la presenza degli oggetti di consumo banale per renderli eccezionali attraverso l’uso di una materia estremamente sensoriale qual è la ceramica. Glamour, seduzione, tattilità sono tutti elementi che ben si sposano alle opere ceramiche di Laveri che non perde occasione per irridere e provocare lo spettatore. Ecco allora che i rossetti sproporzionati della serie Truka, le penne stilografiche giganti Stylò, i birilli Strike, le caffettiere Moka, il cavatappi Borracho, la grande Tuba, diventano gli archetipi di questa sua nuova dimensione dove gioco, stupore e sarcasmo sono gli ingredienti per metabolizzare la realtà.
Riccardo Zelatore
05
aprile 2009
Giorgio Laveri – L’elegia del quotidiano
Dal 05 aprile al 30 maggio 2009
arti decorative e industriali
Location
VALENTE ARTE CONTEMPORANEA
Finale Ligure, Via Anton Giulio Barrili, 12, (Savona)
Finale Ligure, Via Anton Giulio Barrili, 12, (Savona)
Orario di apertura
09:30-13 e 15:30-19, tutti i giorni festivi inclusi
Vernissage
5 Aprile 2009, ore 11
Autore