Andrea Ambrogio scopre la città, la spoglia di mille orpelli visivi, la fotografa e la ripropone su tela, riempie le linee impresse sull’iride con i suoi colori vivaci, crea una sorta di “graffito pulito” che sposta il nostro sguardo su una città immaginifica, colorata, contaminata da idee ed emozioni, decisamente e fieramente contemporanea.
Per Massimo Campi il paesaggio urbano diventa fonte inesauribile di mistero e fascino, non ci sono i monumenti storici nella sua Roma, non c’è neanche il caos del quotidiano, ma sensazioni, tagli di luce soffusi che rivelano toni e tempi in continuo mutare. Una città quasi sospesa, affastellata su se stessa che rimanda però a un’idea di leggerezza, di ineluttabilità, quasi irreale.
La poesia senza parole di Valerio Cugia è invece nelle “sue inflessioni profondamente nordeuropee” che diventano una sorta di filtro attraverso il quale l’artista coccola la tela, con colori dolci, pastelli morbidi che mescolano insieme sogni, visioni e immagini reali; ci restituisce una Roma costantemente in bilico tra la sonnacchiosa tranquillità del passato e la forza della novità del presente. Infine Roberto Pavoni che muove i fili del quadro grazie ad una tecnica sorprendente, ad una capacità di regalare porzioni di città e sguardi liberi che sono vere e proprie foto ricordo di un tempo in divenire. La sua è un’opera figurativa che colpisce l’occhio e che ci accompagna in un percorso di riscoperta di luoghi e spazi lontani dai dissonanti movimenti del centro turistico, ma vivi e in continuo cambiamento , forse più di questo.