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Matteo Piccaia – 33 opere
Saranno esposte 33 opere, per lo più oli su tela, dell’artista, che vive e lavora da oltre quarant’anni nella provincia di Varese.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
La mostra delle opere del maestro MATTEO PICCAIA, promossa dal Circolo Cavour, dal Centro di
Cultura Logos e dal Club Amici di Varese Mese, si svolge col patrocinio del Comune di Varese. Alla
Sala Veratti, stupenda per gli affreschi settecenteschi, saranno esposte 33 opere, per lo più oli su tela,
dell’artista, che vive e lavora da oltre quarant’anni nella nostra provincia.
“Un omaggio all’arte e a un suo grande maestro – dichiara Attilio Fontana, sindaco di Varese – una
incontro con un protagonista dell’Arte che ha attraversato, nella sua lunga carriera, momenti storici di
grande valenza sociale e culturale.Una presenza, questa di Matteo Piccaia, che gioverà anche ai giovani
e a quanti vogliono intraprendere il cammino dell’arte, che si carica di esperienze collettive e
individuali, per diventare segnale dell’oggi e tensione verso il futuro”.
Matteo Piccaia, nato a Passarella vicino a Venezia, si è interessato al disegno ed alla pittura sin dalla
giovane età, incoraggiato dal padre decoratore e restauratore di mobili antichi. Ha vissuto per vent’anni
in Francia ed in Svizzera, entrando in contatto con gli ambienti artistici d’avanguardia.
Opera artisticamente sin dal 1948, realizzando numerose mostre personali in importanti sedi museali in
Italia e all’estero. Recenti le mostre a Ginevra a Villa Dutoit e ad Arona a Villa Ponti.
Definito da Dino Buzzati «neo-figurativo emblematico» (Corriere della Sera, 1971), dagli anni ottanta
opera in volontario isolamento, continuando la sua ricerca artistica con rare apparizioni a rassegne
pubbliche. Ed è per questo che la mostra a Varese ricopre un significato particolare.
Basta osservare la tavola Domodossola del 1940 per rendersi conto che Matteo Piccaia, allora giovane artista dalla forte carica vitalistica, affrontava il paesaggio, il cosiddetto reale in un modo suo, personale: una successione prospettica di case, di strade che si compenetrano col colore cinerino del cielo.
Una luminosità intrinseca alla materia che viene stesa in sequenze geometriche di indubbia tensione poetica.
Un reale trasfigurato dal sogno e dall’utopia, come d’altra parte è il carattere stesso di questo artista poliedrico, impetuoso e lirico al tempo stesso, fecondo di parole e silenzioso, irruente e pacato contemporaneamente, che parla e che ascolta, con quella volontà di comunicare esperienze di vita che si sono asciugate in brevi frasi, epigrammi: si sa che meno sono le parole, più intenso è il loro significato.
Parlare e ascoltare, in una sfida non solo verbale, perché Matteo Piccaia, che ha attraversato momenti di esaltazione e di crisi dell’arte contemporanea, si è sempre posto di fronte alle cose, alle correnti stereotipate e già vecchie con quell’atteggiamento riflessivo e critico che gli ha permesso di crescere sempre, in maniera autonoma e personale.
Si assiste così negli anni cinquanta all’esplosione materica di un rosso e di un nero che diventa natura morta, pulsante e viva, marina e porticciolo: gli oggetti, pur mantenendo il legame con la realtà e dunque riconoscibili, diventano essenziali, ridotti a volumi che si associano e si compenetrano, in un duello cromatico di forte impatto visivo ed emozionale.
Tutto lo spazio della tela s’innerva di campiture cromatiche vibranti, fatte di spatolate di mille colori che dimostrano una forte gestualità e una padronanza eccezionale del mezzo espressivo: anche qui, pur nelle zone più buie, la luce, lo squarcio luministico che diventa eco e assonanza di ritmi anche spirituali.
Con gli anni Sessanta, si osserva uno smagrimento della materia pittorica, una riduzione oggettuale: una mela, un vaso di fiori, una tazza, una caraffa di un giallo solare dominano l’intera composizione, che a un occhio attento si rivela sempre complessa e ben calibrata.
Non meno importanti dell’elemento centrale, gli interventi laterali che diventano campi di indagine e lettura, tasselli di una personalità ricca e multiforme.
Alla forma ortogonale si associa la linea ondulata, che diventa voluta e arabesco: razionalità e fantasia si compenetrano in modo poetico. In più, tutta la composizione si inserisce in una sorta di aura magica, che sfiora il surreale e il metafisico.
Il cromatismo si avvale di pochi colori (il blu, ad esempio) che viene svelato nelle sue mille gradazioni: così campiture di un azzurro scuro confinano con campiture più chiare e luminose in un gioco di contrappunti e richiami spaziali. Si assiste anche alla presenza del segno, che diventa leggera spirale, cerchio mobilissimo e dinamico.
Lo spazio diventa tridimensionale e gli oggetti acquistano uno spessore plastico che diventa quasi provocazione.
Dominante comunque il lirismo, la concentrazione, la modulazione ritmica che si rafforzerà negli anni successivi: più difficile la ricognizione dell’oggetto, più intensa la costruzione dell’impianto compositivo .
Tasselli rossi e arancio per un’estate esplosiva, verdi e blu per un temporale dove l’aria circola vorticosa tra nubi e densità atmosferiche.
Ma Matteo Piccaia è maestro nella china e nell’acquarello: qui il gesto è più ravvicinato, anche l’anima sembra più aderente alla carta o alla tela: l’occhio segue i tracciati della mano, i piccoli a affastellati segni verticali, che si avvicinano e si sommano, creando così spazi pittorici, inquadrature di memoria. Piccoli tocchi cromatici indicano il ritmo di lettura, la preziosità e l’unicità di sottili emozioni. Tavole queste straordinarie per ordine, indubbiamente etico.
Tutto adesso appare più semplice: è l’aver trovato l’essenza delle cose, che diventa così un messaggio dove al pudore si unisce il candore, dove il bianco, il vuoto, dominante, diventa spazio non più delle cose, ma dell’anima.
Luciana Schiroli
Gennaio 2009
Cultura Logos e dal Club Amici di Varese Mese, si svolge col patrocinio del Comune di Varese. Alla
Sala Veratti, stupenda per gli affreschi settecenteschi, saranno esposte 33 opere, per lo più oli su tela,
dell’artista, che vive e lavora da oltre quarant’anni nella nostra provincia.
“Un omaggio all’arte e a un suo grande maestro – dichiara Attilio Fontana, sindaco di Varese – una
incontro con un protagonista dell’Arte che ha attraversato, nella sua lunga carriera, momenti storici di
grande valenza sociale e culturale.Una presenza, questa di Matteo Piccaia, che gioverà anche ai giovani
e a quanti vogliono intraprendere il cammino dell’arte, che si carica di esperienze collettive e
individuali, per diventare segnale dell’oggi e tensione verso il futuro”.
Matteo Piccaia, nato a Passarella vicino a Venezia, si è interessato al disegno ed alla pittura sin dalla
giovane età, incoraggiato dal padre decoratore e restauratore di mobili antichi. Ha vissuto per vent’anni
in Francia ed in Svizzera, entrando in contatto con gli ambienti artistici d’avanguardia.
Opera artisticamente sin dal 1948, realizzando numerose mostre personali in importanti sedi museali in
Italia e all’estero. Recenti le mostre a Ginevra a Villa Dutoit e ad Arona a Villa Ponti.
Definito da Dino Buzzati «neo-figurativo emblematico» (Corriere della Sera, 1971), dagli anni ottanta
opera in volontario isolamento, continuando la sua ricerca artistica con rare apparizioni a rassegne
pubbliche. Ed è per questo che la mostra a Varese ricopre un significato particolare.
Basta osservare la tavola Domodossola del 1940 per rendersi conto che Matteo Piccaia, allora giovane artista dalla forte carica vitalistica, affrontava il paesaggio, il cosiddetto reale in un modo suo, personale: una successione prospettica di case, di strade che si compenetrano col colore cinerino del cielo.
Una luminosità intrinseca alla materia che viene stesa in sequenze geometriche di indubbia tensione poetica.
Un reale trasfigurato dal sogno e dall’utopia, come d’altra parte è il carattere stesso di questo artista poliedrico, impetuoso e lirico al tempo stesso, fecondo di parole e silenzioso, irruente e pacato contemporaneamente, che parla e che ascolta, con quella volontà di comunicare esperienze di vita che si sono asciugate in brevi frasi, epigrammi: si sa che meno sono le parole, più intenso è il loro significato.
Parlare e ascoltare, in una sfida non solo verbale, perché Matteo Piccaia, che ha attraversato momenti di esaltazione e di crisi dell’arte contemporanea, si è sempre posto di fronte alle cose, alle correnti stereotipate e già vecchie con quell’atteggiamento riflessivo e critico che gli ha permesso di crescere sempre, in maniera autonoma e personale.
Si assiste così negli anni cinquanta all’esplosione materica di un rosso e di un nero che diventa natura morta, pulsante e viva, marina e porticciolo: gli oggetti, pur mantenendo il legame con la realtà e dunque riconoscibili, diventano essenziali, ridotti a volumi che si associano e si compenetrano, in un duello cromatico di forte impatto visivo ed emozionale.
Tutto lo spazio della tela s’innerva di campiture cromatiche vibranti, fatte di spatolate di mille colori che dimostrano una forte gestualità e una padronanza eccezionale del mezzo espressivo: anche qui, pur nelle zone più buie, la luce, lo squarcio luministico che diventa eco e assonanza di ritmi anche spirituali.
Con gli anni Sessanta, si osserva uno smagrimento della materia pittorica, una riduzione oggettuale: una mela, un vaso di fiori, una tazza, una caraffa di un giallo solare dominano l’intera composizione, che a un occhio attento si rivela sempre complessa e ben calibrata.
Non meno importanti dell’elemento centrale, gli interventi laterali che diventano campi di indagine e lettura, tasselli di una personalità ricca e multiforme.
Alla forma ortogonale si associa la linea ondulata, che diventa voluta e arabesco: razionalità e fantasia si compenetrano in modo poetico. In più, tutta la composizione si inserisce in una sorta di aura magica, che sfiora il surreale e il metafisico.
Il cromatismo si avvale di pochi colori (il blu, ad esempio) che viene svelato nelle sue mille gradazioni: così campiture di un azzurro scuro confinano con campiture più chiare e luminose in un gioco di contrappunti e richiami spaziali. Si assiste anche alla presenza del segno, che diventa leggera spirale, cerchio mobilissimo e dinamico.
Lo spazio diventa tridimensionale e gli oggetti acquistano uno spessore plastico che diventa quasi provocazione.
Dominante comunque il lirismo, la concentrazione, la modulazione ritmica che si rafforzerà negli anni successivi: più difficile la ricognizione dell’oggetto, più intensa la costruzione dell’impianto compositivo .
Tasselli rossi e arancio per un’estate esplosiva, verdi e blu per un temporale dove l’aria circola vorticosa tra nubi e densità atmosferiche.
Ma Matteo Piccaia è maestro nella china e nell’acquarello: qui il gesto è più ravvicinato, anche l’anima sembra più aderente alla carta o alla tela: l’occhio segue i tracciati della mano, i piccoli a affastellati segni verticali, che si avvicinano e si sommano, creando così spazi pittorici, inquadrature di memoria. Piccoli tocchi cromatici indicano il ritmo di lettura, la preziosità e l’unicità di sottili emozioni. Tavole queste straordinarie per ordine, indubbiamente etico.
Tutto adesso appare più semplice: è l’aver trovato l’essenza delle cose, che diventa così un messaggio dove al pudore si unisce il candore, dove il bianco, il vuoto, dominante, diventa spazio non più delle cose, ma dell’anima.
Luciana Schiroli
Gennaio 2009
21
marzo 2009
Matteo Piccaia – 33 opere
Dal 21 marzo al 16 aprile 2009
arte contemporanea
Location
SALA VERATTI
Varese, Via Carlo Giuseppe Veratti, 20, (Varese)
Varese, Via Carlo Giuseppe Veratti, 20, (Varese)
Orario di apertura
da martedì a domenica :10,00-12,30 / 15,30-19,00
Vernissage
21 Marzo 2009, ore 17.30
Autore
Curatore