13 ottobre 2011

FRIEZE ART FAIR

 
173 gallerie, 33 paesi e oltre 70.000 visitatori...anche quest'anno torna Frieze, che fra novità ed eventi si riconferma la fiera più importante al mondo...

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La temperatura a Londra è di almeno sei o sette gradi inferiore rispetto alla media nazionale italiana. E ce se ne accorge soprattutto quando qualche folata di vento porta con se l’umidità raccolta sotto la coltre di nubi grigie che si condensano in una pioggerella fastidiosa…Tutto normale. Anche quest’anno il Regent’s Park torna ad ospitare Frieze Art Fair. Assieme ad Art Basel, Frieze si conferma come la fiera più importante al mondo. Lo dicono i numeri: 173 gallerie selezionate, provenienti da 33 paesi, presentano oltre mille opere di artisti rigorosamente in vita. Si contano oltre 70.000 visitatori. Tra le novità di questa edizione ci sono le gallerie provenienti da Colombia, Argentina e Perù, oltre all’intensificarsi di gallerie provenienti dall’Asia. Una buona iniezione di energia nuova che ravviva il vecchio mondo europeo e nord americano. Alcune gallerie fanno il loro esordio quest’anno a Frieze: Galerie Chantal Crousel (Parigi), Konrad Fischer Galerie (Dusseldorf), Johnen Galerie (Berlino), Yvon Lambert (Parigi, e sì sembrerà strano ma è proprio la stessa galleria che ormai calca le scene dell’arte da circa cinquant’anni è una neofita di Frieze), The Pace Gallery (New York), Andrea Rosen Gallery (New York) e Donald Young Gallery (Chicago). L’aspetto più affascinante di Frieze è questo proporsi come un’ “occupazione di parco pubblico” e, quindi di non vivere in una atmosfera preconfezionata, ma all’interno di un contenitore mobile sempre diverso a cui, in ogni edizione, architetti noti donano una connotazione originale. Ad oggi hanno lavorato per Frieze: David Adjaye, Jamie Fobert e Caruso St John. L’edizione 2011 è stata affidata agli architetti Carmody Groarke.

La qualità principale di Frieze è certamente la sua vocazione profondamente culturale. Non solo mercato dell’arte, ma anche cultura infatti con la c maiuscola. Del resto Frieze è un marchio che nasce come titolo di una rivista e di una generazione di artisti: Frieze Magazine. La rivista nacque nel 1991 grazie ad un artista, Tom Gidley, e degli editori. La fiera nasce nel 2003, ma la rivista continua ad essere strettamente legata a questo evento. La serie di Talks organizzati nella fiera nasce proprio dagli editori della rivista. A chiudere il cerchio, tra la rivista e la fiera si inserisce la Frieze Foundation,  organizzazione no-profit, fondata nello stesso anno della fiera (2003). La fondazione sovraintende a Frieze Talks, il programma di dibattiti che quest’anno prevede gli interventi di John Bock, Daniel Buren, Adam Curtis, Alison Knowles e Taryn Simon. Ovviamente il programma è presentato proprio dagli “editors” di Frieze Magazine, Jennifer Higgie, Jorg Heiser e Dan Fox. Frieze Foundation sovrintende anche Frieze Projects: qui viene il bello! I progetti per questa edizione sono tutti di grande qualità e sono stati affidati al duo olandese Bik Van der Pol (vincitori del Premio Enel), all’ormai veterano Pierre Huyghe, a Christian JankowskiOliver Laric, Lucky PDF, al duo di artiste tedesche Peles Empire (Katharina Stoever e Barbara Wolff) e a Laure Prouvost. Il progetto di Laure Prouvost è forse il più intrigante, in quanto si tratta di una installazione dislocata in punti diversi della fiera. L’artista francese ha coinvolto tutto lo spazio espositivo con oggetti di uso domestico, film e effetti sonori che si frammentano nel caos della fiera costruendo una narrazione policentrica da ricostruire individualmente.

Le sezioni Projects, Talks e Frame sono una invenzione vincente che molte altre Fiere dovrebbero seguire e costituiscono le sezioni in cui la promozione culturale si sposa felicemente con la produzione: ovvero il coinvolgimento diretto di artisti, critici, curatori, ridimensionando il ruolo dei galleristi e delle trattative commerciali. La sezione Frame è la realtà più interessante di questa edizione di Frieze: vi si raccolgono le gallerie che esistono da meno di sei anni e presentano per la fiera dei “solo shows”. Ventuno delle venticinque gallerie presenti a Frame sono gallerie esordienti, tra cui la Andreiana Mihail Gallery (Bucharest), Project 88 (Mumbai), Rodeo (Istanbul) e Micky Schubert (Berlino). Frame propone anche i progetti più interessanti: la galleria Inga Gallery di Tel Aviv propone la pittura della giovane israeliana Shai Azoulay; la coreana One and J. Gallery ci presenta il lavoro plurilinguistico di Jung Lee; Ignacio Liprandi Arte Contemporaneo di Buenos Aires propone il lavoro intermediale, tra scultura e disegno, di Paolo Accinelli; la galleria Wilfried Lentz di Rotterdam propone il lavoro di Rossella Biscotti sul carcere e sullo stato di detenzione, con cui l’artista italiana prosegue una ricerca che aveva avuto già esiti importanti con The Anarchists Do Not Archive (2010) e Il processo (2011). Insomma, la sezione Frame è certamente una scommessa vincente, ed è anche quel tassello importante per il mercato dell’arte, capace di rilanciare il sasso oltre la coltre scura delle incertezze economiche vigenti. Guardando gli altri stand, soprattutto quelli dei nomi più noti della scena contemporanea, si evince come la tendenza generale sia soprattutto quella tesa a proporre i valori forti dell’arte: quei nomi che inevitabilmente riescono a far rientrare ogni galleria dell’investimento fatto pagando un gettone di accesso da numerosi zeri. Una nota particolare meritano le italiane Zero (Micheal Sailstorfer) e T293 (Dan Rees, Helen Marten, Simon Denny): entrambe hanno puntato su artisti di ricerca con progetti molto complessi. Purtroppo, a parte due o tre casi, l’arte italiana non ha una debita rappresentazione in questa fiera. Si tratta di una condizione normale per Frieze. C’è da sperare forse per l’attesissima Frieze New York, che aprirà nella Grande Mela il maggio prossimo presso il Randall’s Island Park. Chissà che almeno a New York si ritrovi una Little Italy.
 

a cura di angelo capasso

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