26 ottobre 2011

PREMIO CAIRO

 
Tra poche ore conosceremo i finalisti del Premio Cairo 2011, giunto alla sua dodicesima edizione. Alberto Zanchetta ci parla dell'evento...

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Countdown per il dodicesimo Premio Cairo, che vede riconfermato Luca Beatrice in qualità di direttore artistico. A differenza delle precedenti edizioni, quest’anno è stato richiesto ai venti finalisti di realizzare un progetto site-specific, rinnovando così il vecchio ordinamento: non più un’opera inedita affiancata da una di repertorio, ma la possibilità di concepire una mini-personale all’interno degli spazi della Permanente.
Dal 2000 al 2005 il premio è stato lungimirante nell’assegnare il proprio riconoscimento ai pittori, mentre dal 2006 si è verificata un’inversione di tendenza, alternando anno dopo anno medium espressivi sempre diversi (scultura, installazione, video) senza mai dimenticare il “primo amore”, la pittura. Ancora una volta «c’è tanta pittura al Premio Cairo – afferma Luca Beatrice – ma anche questo linguaggio “storico” è cambiato: per sopravvivere ai mutamenti e alle metamorfosi del contemporaneo non basta esercitarsi con colori e pennelli ma bisogna misurarsi con uno spazio e un’idea». Scorrendo i nomi dei partecipanti ci si avvede che soltanto Guglielmo Castelli, Laura Giardino e Giuliano Sale rimangono fedeli alla pittura stictu sensu, mentre Iva Kontic e Cristiano Tassinari aprono il ventaglio del loro linguaggio a un mix media che rispecchia gli idiomi della contemporaneità; installativo è anche l’intervento di Matteo Fato, che ricorre alla stereometria per mettere in evidenza il processo creativo, in cui riesce a mescolare – abilmente e sapientemente – il disegno con l’incisione, la pittura con la fotografia assieme a materiali extrartistici. Ci sono poi il wallpainting di Svitlana Grebenyuk e lo stendardo di Dario Gruccio, il quale mescola il concetto della pittura con la prassi del digitale. Il gusto e il senso pittorico si ritrovano anche in Roberto Amoroso, che indaga i fatti di cronaca attraverso i monogrammi del web, e nelle opere di Umberto Chiodi, che riesce a dosare il vintage con l’attualità; il primo si serve di adesivi mentre il secondo ricorre all’uso del collage, a testimoniare una rivitalizzazione dell’ormai anchilosato concetto di quadro.

Seguono le fotografie di Giovanni Ozzola e di Fatma Bucak, la scultura Bad year di Francesco De Molfetta, parodia dello zeppelin della Goog Year qui incatenato al pavimento. Tra le installazioni troviamo Gaia Scaramella, Eugenio Tibaldi assorbito nei disagi sociali di Napoli, Michele Guido alle prese con le architetture di Raffaello, il Chinese cabinet di Luana Perilli che per l’occasione è accompagnata da una colonia di formiche. Anche quest’anno non mancano le proiezioni video, una di Coniglioviola, l’altra di Emanuele Becheri che così ci descrive il suo intervento: «La scena mostra una ripresa en plein nuit in una delle tante periferie della mia città: ragazzi e ragazze che giocano su un campetto incolto. La macchina da presa è immobile e impassibile, in attesa di un qualsiasi evento possibile sugli imprevedibili movimenti del gioco. La colonna sonora è un’improvvisazione prodotta con una macchina da scrivere, assunta sia come portavoce e fuori traccia dell’immagine dello spazio, sia come ri-scrittura sonora dell’immagine, dove il suono si esplica come immagine perturbante dell’immagine, e dove la peculiarità dell’immagine produce, di converso, il perturbamento del suono». Vera e propria architettura sonora è invece quella di Riccardo Benassi, che con l’intervento Poetry coner dilata lo spazio e il tempo per “proteggere la domenica sera dall’odore di lunedì”.

Scorrendo l’elenco degli artisti emerge l’eterogenea temperie dei dieci selezionatori e delle loro scelte. Cristiana Collu riconferma la sua linea concettuale dall’estetica minimale, dello stesso avviso è anche Laura Cherubini, di contro all’inclinazione più barocca e gotica di Martina Corgnati. Se Anna Mattirolo predilige l’installazione, ecco che Eduardo Cycelin si dimostra interessato ai problemi sociali, Lea Mattarella sembra invece puntare sui dilemmi della micro-emotività. Alla purezza della pittura si rifà Paolo Manazza, mentre Angelo Crespi punta sulla pittura-espansa. Infine, decisamente più borderline sono le scelte di Beatrice Buscaroli.
Anagraficamente parlando, le classi forti sono quelle a cavallo del 1979 e del 1982, lasciando però spazio ai giovanissimi, come Guccio (1988), o a figure più consolidate, è il caso di Becheri (1973); quindici anni di differenza separano l’uno dall’altro ed effettivamente i due artisti rivelano atteggiamenti e riflessioni del tutto diversi. In questo spartiacque si pongo tutti gli altri, che in taluni casi avrebbero dovuto arrischiare progetti più articolati rispetto agli spazi della Permanente anziché limitarsi ad allestire le loro opere in base a un tema che si sono scelti. Poiché la formula di Beatrice apre la strada a un nuovo corso e intende premiare la progettualità, sicuramente negli anni a venire gli artisti saranno pungolati e stimolati con risultati più aderenti a questo spirito, e ciò vale anche per i segnalatori. Ad oggi le premesse ci sono tutte.      
 
a cura di alberto zanchetta

*foto in alto: Riccardo Benassi, progetto Premio Cairo 2011, mixed media
 
 
 
[exibart]

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