02 novembre 2011

…E GLI ALTRI? SI VEDONO A TORINO!

 
Una fiera dedicata ai giovani, alle associazioni culturali, agli spazi profit e no profit. Con una sola limitazione: che siano nati a partire dal 2009. La neonata iniziativa dell’arte debutta a Torino. Nello stesso week end in cui apre le porte anche la nostra madre Artissima. Exibart ha intervistato Claudio Composti, per saperne di più sul debutto del 2011 e lo spirito che li anima...

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Il capoluogo piemontese ancora una volta presta i suoi spazi a quella che è la scena emergente dell’arte contemporanea, per lo meno in Italia: “The Others” è la fiera degli altri, di chi crede nel futuro nonostante un pessimo presente ed è disposto a mettersi in gioco. La location è bollente, nelle ex carceri “Le Nuove”. Inusuale anche l’orario di apertura: dalle 18.00 all’una di notte, come una sorta di lungo opening senza vip card ma con un prezzo di ingresso quasi simbolico – tre euro. Una manifestazione “parallela” che promette di essere la nuova guida per i giovani che si affacciano al panorama artistico (inter)nazionale e che si avvale di numerose collaborazioni e partnership, una tra tutte quella con la rivista cult del panorama musicale internazionale “Rolling Stone” che, supervisionata da un comitato di curatori professionisti, mette in palio anche un premio del valore di millecinquecento euro per un’opera esposta durante la manifestazione. L’altro premio è il “Very Smart Award”: duemila euro destinati ad un’opera di piccole dimensioni, quasi a ricordare metaforicamente che il collezionismo, per nascere, non ha bisogno di cifre enormi, e che la qualità delle opere spesso non è data dalla loro monumentalità. E ancora, la promozione di una residenza al “Basic Village” per un giovane artista, nell’ambito del “BasicNet Residential”, che offre uno scambio culturale tra il premiato e la città di Torino con le sue istituzioni culturali.
Il comitato scientifico e selezionatore per le partecipazioni alla rassegna è composto da Andrea Bruciati (direttore e curatore della “Galleria comunale d’arte contemporanea di Monfalcone”), Claudio Composti (art director della “Mc2 Gallery” di Milano, giovane e attento spazio inaugurato poche stagioni fa in un contesto dove l’underground e la storia metropolitana convivono in maniera esplosiva), Alessandro Facente (curatore indipendente) e Michele Lupi, direttore di “Rolling Stone”. Tra i protagonisti della prima edizione di “The Others”: la “Galerie Spree” di Parigi, “Podbielski Contemporary” e “Rise Berlin” di Berlino, “Bialy Kamien Contemporary” di Varsavia, “Associazione Culturale Scatolabianca” e “Jerome Zodo Contemporary Art” di Milano, “Museo Apparente” di Napoli, “Ex elettrofonica” di Roma, “a+b” di Brescia e “BTF Art Gallery” di Bologna. Ma c’è dell’altro:”The Others” è partner del canale via cavo (presente sul web e in Francia e Germania) “Souvenirs from Earth”, dedicato 24 ore su 24 all’approfondimento sull’arte con una programmazione che include video, anteprime, e che nel week end torinese dell’arte giovane diventa anche piattaforma di diffusione per i protagonisti della fiera…
 

Iniziamo con una domanda molto retorica ma aperta a una moltitudine di interpretazioni: chi sono “gli altri”? Dove vanno e cosa fanno?
Guarda, mi viene da risponderti con il testo di una canzone italiana degli anni ottanta che diceva: “Gli altri siamo noi”! In realtà, “gli altri” indica di solito qualcuno fuori dal coro, qualcuno che batte nuove strade e, ironicamente, quelli che sono anche degli “esclusi”.
 
Promuovere la cultura contemporanea non è un atto da poco, soprattutto di questi tempi e soprattutto nel clima di implosione che aleggia in Italia: cosa si propone di mettere a fuoco “The Others”? Diventare un network di diffusione? Una piattaforma a cadenza regolare in cui osservare le modificazioni del contemporaneo?
Sì, hai dato una precisa e bella definizione: “osservare le modificazioni del contemporaneo”, proprio così. Non a caso “The Others” dà spazio e voce alle giovani gallerie aperte dal 2009, che in Italia non è cosa usuale: promuovere la cultura non è mai stato un atto da poco, perché le istituzioni non hanno capito che sarebbe una voce in attivo, che porterebbe turismo, economia, internazionalità. La verità è che siamo degli straordinari provinciali: il “sistema arte Italia”, fuori dal nostro Bel Paese non esiste.
Cosa si è chiesto agli spazi, ai giovani, agli enti profit e no profit per poter partecipare alla manifestazione? Come sono stati selezionati?
La selezione si basa sempre sulla qualità del progetto.
Torino, dunque, è ancora una volta al centro del contemporaneo: realtà consolidata o “temporary store”?

Beh direi consolidata… non a caso “The Others” esordisce qui e non altrove.
Cosa consiglia un gallerista a un giovane che voglia intraprendere la professione dell’artista? Quali sono i  confronti necessari?
Beh fai la domanda da un milione di dollari: oggi, più che mai, “essere” artista – e non “farlo”, questione molto di moda oggi – richiede un’abnegazione totale, cultura a trecentosessanta gradi, e vedere, vedere e vedere, mostre su mostre, confrontarsi con il mondo. L’artista chiuso in bottega è un artigiano, l’artista che dialoga col mondo, arriva al mondo con la sua opera.
 
Probabilmente vi hanno già fatto questa domanda: “The Others” si presenta davvero come una manifestazione legata ai giovani e all’indipendenza? Penso anche solamente all’orario di apertura in serata e alla location nelle vecchie carceri, ma non è che c’è il rischio che possa comunque diventare la replica dell’ennesima fiera, o che in fondo non si allontani poi tanto dal modello di “Artissima” o di “ArteFiera”? Roberto Casiraghi in fondo ne è l’ideatore…
Credo che dovresti fare questa domanda all’organizzazione, direttamente. Per quel che mi riguarda: sono stato invitato a far parte della commissione selezionatrice, con piacere, come riconoscimento del lavoro che stiamo facendo come giovane galleria che sostiene i giovani artisti. Sono le solite fiere che in realtà si chiudono su loro stesse senza aprire a nuove gallerie o a giovani realtà, ma consolidando le solite presenze senza offrirsi ad alternative vere. Quindi il punto non è se questa è o sarà una fiera diversa dalle altre o meno, il finale è sempre lo stesso: esporre nuove proposte e vendere, cosa fondamentale per restare a galla, ma la differenza la farà lo spirito organizzativo e le proposte che si aprono al nuovo e al contemporaneo in modo alternativo, senza perdere di vista la qualità e senza dimenticare che la fiera è una proposta anche commerciale del lavoro svolto con gli artisti durante l’anno. I progetti curatoriali devono sposare anche un’estetica fruibile, i progetti concettuali da museo vanno fatti nelle sedi appropriate… qualora ci fossero!

Di che temperatura (visto che si parla di “incubatrice” di talenti), di quali condizioni necessitano gli artisti in erba per poter riuscire a sopravvivere anche “da grandi”?
Contrariamente a quanto tu possa credere, di temperature bassissime, da ibernazione: l’artista deve  resistere al peggio. Oggi è una scommessa totale esattamente come trenta anni fa, solamente peggiorata, perché attraverso internet ormai tutto è sotto gli occhi di tutti e la proposta si è centuplicata, intasando il filtro della qualità e della scelta. Ce n’è per tutti i gusti, con molta improvvisazione tra gli artisti, i galleristi, i curatori e i professionisti del settore che complicano le scelte dei collezionisti neofiti che si perdono in questo oceano di proposte di dubbia qualità, spesso anche costose…
Sviluppo della cultura in senso esteso: cosa manca in Italia e cosa abbonda (o potrebbe abbondare), per rilanciare il paese dall’esterofilia dilagante e dall’idea di essere sempre peggiori degli altri?
Il problema italiano è genetico: siamo uno Stato baby, nato 150 anni fa, con il più alto tasso di anziani. Però ora, fatta l’Italia, dobbiamo ahimè fare, ancora, gli italiani. Davvero. Quando andiamo all’estero, ci accorgiamo di quello che vi dicevo: che non esistiamo artisticamente e ragioniamo ancora come un grande paesone, rispetto ad altre culture; non esistiamo come “sistema Italia”, se non per qualche caso isolato e grazie all’iniziativa privata di galleristi e di artisti che si sono trasferiti oppure che singolarmente lavorano anche con gallerie straniere. All’estero, invece, da sempre la cultura viene usata come “arma” colonizzatrice e di propaganda del proprio Paese nel mondo; vedi ad esempio la Francia, la Spagna, l’Inghilterra: non a caso paesi storicamente colonialisti. Noi invece siamo un popolo di colonizzati, è un dato storico …sic est! Bisogna invece imparare a fare fronte comune per cambiare le cose e imparare a collaborare tra galleristi, in primis,  e con le istituzioni, poi, ma nella più piena “normalità” e non come fosse un privilegio dei soliti pochi grazie ad amicizie, giri politici e convenienze poco meritocratiche. Magari col tempo … chissà…
 
Diverse situazioni hanno insegnato che è possibile creare brand ed economia da situazioni underground. Voi di che idea siete? È giusto che tutto possa diventare sistema oppure è necessario, per il sostentamento e la diffusione dell’humus culturale, che continuino ad esservi, nel tessuto dell’arte contemporanea, alcune schegge senza padrone e senza portafogli?
Ti parlo a nome mio. Credo significativo questo esempio: quando alcuni artisti fanno gli “alternativi” contro il sistema e poi gli si offre una mostra al Museo (istituzionale per antonomasia) nessuno dice di loro dice di no. Il sistema lo cambi da dentro, lottando perché le cose cambino davvero. Tu parli di schegge senza padrone: ben vengano i fuoriclasse, purché se ne trovino! Non è questione di “padrone” ma è questione di ruoli, e della professionalità che garantiscono se esercitati in modo corretto, aristocratico (nel senso etimologico del termine). Qui tutti vogliono comandare, senza cultura e senza una sana autocritica. Tutti vogliono fare i capitani, ma pochi lo sono. Ad ognuno il suo: le catene forti funzionano se tutti gli anelli sono saldi e al loro posto, potenti nel loro ruolo. Ma è un discorso di competenze, non classista, si badi bene. Se le persone giuste sono al posto giusto, per competenza e capacità, le cose funzionano per tutti. Cambiare non vuol dire stravolgere per forza le regole o le tradizioni, ma renderle attuali; e ciò lo si può fare solo con la conoscenza e la consapevolezza: conoscere il passato per creare il futuro. Ma queste sono cose che fanno sempre “gli altri”. The Others.

a cura di matteo bergamini

 
foto in alto: da sinistra a destra il comitato scientifico di “The Others”:  Andrea Bruciati, Alessandro Facente e  Claudio Composti

 

 

[exibart]

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