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Jacopo Scassellati – Jacopo Giovin Pittore
Le opere di Jacopo, secondo Sgarbi, contengono una sorta di varietà e discontinuità, versatilità e curiosità, guardano a Picasso in chiave moderna, guardano a De Chirico,con segnali da Guernica.
Comunicato stampa
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Il talento della pittura.
Jacopo Scasselati ha diciannove anni ed è pittore di talento. Ma che cos’è il talento? Un buon vocabolario ci dice che esso fu nell’antichità unità di peso, di entità variabile secondo i luoghi, i tempi e i costumi, in uso presso i Greci, ma prima tra i Sumeri e i Babilonesi; fu anche una moneta in circolazione in Grecia e in Palestina ai tempi di Gesù. Famosa è l’evangelica parabola dei talenti, che sappiamo valere in oro il peso di un uomo.
Pur con qualche variazione i dizionari concordano anche circa il senso figurato del termine, recitano che è: l'inclinazione naturale di una persona a far bene una certa attività, o ancora una capacità intellettuale non comune che, associata alla genialità o a estro vivace, consentono di compiere operazioni complesse alla portata di pochi. La lingua, nel suo mondo complesso, propone dunque una serie multiforme di significati legati tra loro da una fitta rete d’implicazioni che talvolta arrivano a contraddirsi, e sfociano addirittura nel paradosso, come per salvaguardare la sostanziale indefinibilità del concetto di talento. In linea di massima, tutti sono d’accordo nel considerarlo un dono multiforme che, seguendo vie oscure, si manifesta e prende corpo come attitudine particolare carica di singolarità e di un valore che connota come creatore l’individuo che lo possiede.
Il pittore di talento dunque dipinge e disegna con facilità e la qualità estetica delle sue creazioni rappresenta la misura di un valore. In passato chiunque volesse decretare la propria stima e l’ammirazione verso qualcuno diceva: “Vale tanto oro quanto pesa”. Era forse quello un modo figurato per dire che era un talento, o semplicemente un gioco di parole che confermava il senso profondo oltre che letterale della parola, riferita ad una preziosità unanimemente condivisa?
Jacopo Scassellati, il nostro giovin pittore, ha dimostrato precocemente di possedere il talento della pittura. Forse è addirittura sbagliato definire precoce un talento, visto che perlopiù esso viene considerato romanticamente innato: un attitudine in fieri, che se ben coltivata si accresce, fino ad amplificarsi nel genio.
Non sappiamo, in verità, se Jacopo sia geniale, di certo possiede il talento. Verrebbe da chiedersi se questo dono si è accresciuto frequentando lo studio di ceramista del nonno, e dunque se è per osmosi che egli ha assorbito, con tutti i sensi, gli odori, i colori, le forme, insomma quella particolare atmosfera che aleggia in ogni “bottega” dove l’arte si produce, non solo materialmente, ma anche come forma della riflessione e del progetto? Viene da chiedersi quale ruolo abbiano svolto in lui l’esempio e la pratica – che ancora oggi andrebbero considerati le forme più alte dell’insegnamento- mentre si andava formando la sua personalità artistica? Sia l’esempio che la pratica hanno di certo prodotto una conoscenza senza mediazioni delle tecniche e delle modalità del dipingere e dello scolpire, ma in modo ancora più potente e sottile hanno amplificato un suo coinvolgimento emotivo in cui l’arte e la vita si mescolano. Non pare un caso, dunque, che il nonno, con la sua forte personalità, rappresenti tuttora una tra le fonti primarie d’ispirazione del nostro giovin pittore, sia in quanto modello figurale dei suoi lavori, ma soprattutto come modello di vita.
A ben vedere tutta l’opera di Jacopo è la traslazione pittorica di un vissuto, attraverso il quale egli giunge a fondare una sorta di personale mitopoiesi. Di primo acchito questa definizione potrebbe apparire retorica, pur essendo davvero calzante, in quanto l’artista già a sedici o diciassette anni è stato in grado, attraverso una complessa operazione creativa di ammantare la figura del nonno di un alone mitico. Attraverso la sua rappresentazione in varie modalità iconografiche, Jacopo ne ha esaltato l’impeto e la personalità, rendendone manifesto e pregnante il ruolo. Pur senza possedere le stesse implicazioni simboliche molti dei suoi ritratti sono degni di nota, in quanto oltre a mostrare le sue notevoli doti di disegnatore ne esaltano la notevole capacità di scavo psicologico.
Abbiamo già detto che il lavoro di Jacopo è ancora venato da una sorta d’ingenuità, frutto di una giovinezza non ancora sottoposta alla malizia e al calcolo, propri di un artista maturo; per questo forse esso potrebbe risultare, di primo acchito, vagamente “epigonale”, frutto di una rivisitazione non del tutto avvertita di forme ormai storicizzate dell’arte, come il cubismo, ad esempio. Forse però proprio questa latente ingenuità si pone come il motivo dominante di una personale interpretazione delle forme cubiste, colte come il punto di partenza, la base ancora instabile da cui far dipartire la sua personale ricerca estetica. La revisione delle forme cubiste per il Nostro non è un’adesione mimetica al tema, ma l’incipit per la sua personale rielaborazione.
Se analizziamo l’opera intitolata: L’uccisorio, del 2007, è facile notare come Jacopo abbia guardato con attenzione all’opera di Picasso, e a Guernica nello specifico. Le affinità non sembrano casuali, sia nella resa dei cavalli dalle froge minacciose, sia dei corpi aggrovigliati e frementi, dove vediamo vigorosamente ripetuti i motivi picassiani. Il suo approccio al cubismo però non risulta essere una vera e propria forma di emulazione, perchè nelle sue opere non si assiste mai a un semplice adeguamento al tema, esse ne rappresentano piuttosto delle variazioni, eseguite in modo personale e credibile, anche se -come già osservato- ingenuo.
I cavalli –altro soggetto tipico– sono resi dal pittore con modalità iconografiche sempre differenti, per dare sfogo sembra, a un talento capace di sottoporre le sue fonti d’ispirazione a una revisione personale di indubbia forza. Le opere sono animate da una sorta di schietta espressività, dove i punti di contatto con il soggetto dell’ispirazione tendono a scollarsi e ad allontanarsi evitando la banale resa formale per giungere altrove, su un terreno in cui sono più degne di nota le differenze dai modelli piuttosto che le affinità con essi.
Nella sua ondivaga, incessante ricerca di una personale via stilistica, Jacopo si è spesso misurato con stili differenti, oltre al già citato cubismo alcune opere sembrano echeggiare, alla lontana, quelle di De Chirico. A partire da alcuni tra le sue prime opere equestri (non presenti in mostra), fino alle ultime libere reinterpretazioni i suoi cavalli mantengono una certa affinità con quelli dipinti dal pictor optimus. Nel suggestivo quadro intitolato Il confronto della potenza (2007), il pittore si ritrae a cavallo mentre combatte col nonno, in questo ambizioso lavoro egli appronta una specie di sfida simbolica e artistica col suo maestro. Il confronto della potenza è appunto il confronto tra l’allievo e il maestro, che metaforicamente si combattono sul terreno dell’arte. Questa sfida anche pittorica, consente all’artista di approntare un gioco stilistico e simbolico di rara efficacia.
Alla luce di questi nuovi esiti del lavoro di Jacopo il tentativo di rintracciare forzosamente modelli e corrispondenze appare un esercizio critico vagamente pretestuoso, atto a circoscrivere la sua libera ispirazione dentro griglie iconografiche certe e inutilmente definitorie. Ciò non toglie che il quadro sopracitato richiami alla mente opere illustri: la copia anonima della perduta Battaglia di Anghiari di Leonardo e, ancora una volta il quadro Cavalli scalpitanti presso il mare di Giorgio De Chirico. Queste vaghe ascendenze però risultano essere il frutto di una libera mescolanza di motivi attuata dell’artista, forse addirittura, il frutto di singolari coincidenze formali. Potrebbe darsi che nella sua ricerca il giovin pittore non abbia avuto modelli certi, ma si sia nutrito soltanto di vaghe suggestioni trasfigurate dal talento; questione di geni verrebbe da dire! Di genio forse? Le possibilità sono aperte, in attesa di futuri sviluppi che, dati i presupposti, non mancheranno di produrre nuove sorprese e adeguate conferme.
Paolo Nardon
Jacopo Scasselati ha diciannove anni ed è pittore di talento. Ma che cos’è il talento? Un buon vocabolario ci dice che esso fu nell’antichità unità di peso, di entità variabile secondo i luoghi, i tempi e i costumi, in uso presso i Greci, ma prima tra i Sumeri e i Babilonesi; fu anche una moneta in circolazione in Grecia e in Palestina ai tempi di Gesù. Famosa è l’evangelica parabola dei talenti, che sappiamo valere in oro il peso di un uomo.
Pur con qualche variazione i dizionari concordano anche circa il senso figurato del termine, recitano che è: l'inclinazione naturale di una persona a far bene una certa attività, o ancora una capacità intellettuale non comune che, associata alla genialità o a estro vivace, consentono di compiere operazioni complesse alla portata di pochi. La lingua, nel suo mondo complesso, propone dunque una serie multiforme di significati legati tra loro da una fitta rete d’implicazioni che talvolta arrivano a contraddirsi, e sfociano addirittura nel paradosso, come per salvaguardare la sostanziale indefinibilità del concetto di talento. In linea di massima, tutti sono d’accordo nel considerarlo un dono multiforme che, seguendo vie oscure, si manifesta e prende corpo come attitudine particolare carica di singolarità e di un valore che connota come creatore l’individuo che lo possiede.
Il pittore di talento dunque dipinge e disegna con facilità e la qualità estetica delle sue creazioni rappresenta la misura di un valore. In passato chiunque volesse decretare la propria stima e l’ammirazione verso qualcuno diceva: “Vale tanto oro quanto pesa”. Era forse quello un modo figurato per dire che era un talento, o semplicemente un gioco di parole che confermava il senso profondo oltre che letterale della parola, riferita ad una preziosità unanimemente condivisa?
Jacopo Scassellati, il nostro giovin pittore, ha dimostrato precocemente di possedere il talento della pittura. Forse è addirittura sbagliato definire precoce un talento, visto che perlopiù esso viene considerato romanticamente innato: un attitudine in fieri, che se ben coltivata si accresce, fino ad amplificarsi nel genio.
Non sappiamo, in verità, se Jacopo sia geniale, di certo possiede il talento. Verrebbe da chiedersi se questo dono si è accresciuto frequentando lo studio di ceramista del nonno, e dunque se è per osmosi che egli ha assorbito, con tutti i sensi, gli odori, i colori, le forme, insomma quella particolare atmosfera che aleggia in ogni “bottega” dove l’arte si produce, non solo materialmente, ma anche come forma della riflessione e del progetto? Viene da chiedersi quale ruolo abbiano svolto in lui l’esempio e la pratica – che ancora oggi andrebbero considerati le forme più alte dell’insegnamento- mentre si andava formando la sua personalità artistica? Sia l’esempio che la pratica hanno di certo prodotto una conoscenza senza mediazioni delle tecniche e delle modalità del dipingere e dello scolpire, ma in modo ancora più potente e sottile hanno amplificato un suo coinvolgimento emotivo in cui l’arte e la vita si mescolano. Non pare un caso, dunque, che il nonno, con la sua forte personalità, rappresenti tuttora una tra le fonti primarie d’ispirazione del nostro giovin pittore, sia in quanto modello figurale dei suoi lavori, ma soprattutto come modello di vita.
A ben vedere tutta l’opera di Jacopo è la traslazione pittorica di un vissuto, attraverso il quale egli giunge a fondare una sorta di personale mitopoiesi. Di primo acchito questa definizione potrebbe apparire retorica, pur essendo davvero calzante, in quanto l’artista già a sedici o diciassette anni è stato in grado, attraverso una complessa operazione creativa di ammantare la figura del nonno di un alone mitico. Attraverso la sua rappresentazione in varie modalità iconografiche, Jacopo ne ha esaltato l’impeto e la personalità, rendendone manifesto e pregnante il ruolo. Pur senza possedere le stesse implicazioni simboliche molti dei suoi ritratti sono degni di nota, in quanto oltre a mostrare le sue notevoli doti di disegnatore ne esaltano la notevole capacità di scavo psicologico.
Abbiamo già detto che il lavoro di Jacopo è ancora venato da una sorta d’ingenuità, frutto di una giovinezza non ancora sottoposta alla malizia e al calcolo, propri di un artista maturo; per questo forse esso potrebbe risultare, di primo acchito, vagamente “epigonale”, frutto di una rivisitazione non del tutto avvertita di forme ormai storicizzate dell’arte, come il cubismo, ad esempio. Forse però proprio questa latente ingenuità si pone come il motivo dominante di una personale interpretazione delle forme cubiste, colte come il punto di partenza, la base ancora instabile da cui far dipartire la sua personale ricerca estetica. La revisione delle forme cubiste per il Nostro non è un’adesione mimetica al tema, ma l’incipit per la sua personale rielaborazione.
Se analizziamo l’opera intitolata: L’uccisorio, del 2007, è facile notare come Jacopo abbia guardato con attenzione all’opera di Picasso, e a Guernica nello specifico. Le affinità non sembrano casuali, sia nella resa dei cavalli dalle froge minacciose, sia dei corpi aggrovigliati e frementi, dove vediamo vigorosamente ripetuti i motivi picassiani. Il suo approccio al cubismo però non risulta essere una vera e propria forma di emulazione, perchè nelle sue opere non si assiste mai a un semplice adeguamento al tema, esse ne rappresentano piuttosto delle variazioni, eseguite in modo personale e credibile, anche se -come già osservato- ingenuo.
I cavalli –altro soggetto tipico– sono resi dal pittore con modalità iconografiche sempre differenti, per dare sfogo sembra, a un talento capace di sottoporre le sue fonti d’ispirazione a una revisione personale di indubbia forza. Le opere sono animate da una sorta di schietta espressività, dove i punti di contatto con il soggetto dell’ispirazione tendono a scollarsi e ad allontanarsi evitando la banale resa formale per giungere altrove, su un terreno in cui sono più degne di nota le differenze dai modelli piuttosto che le affinità con essi.
Nella sua ondivaga, incessante ricerca di una personale via stilistica, Jacopo si è spesso misurato con stili differenti, oltre al già citato cubismo alcune opere sembrano echeggiare, alla lontana, quelle di De Chirico. A partire da alcuni tra le sue prime opere equestri (non presenti in mostra), fino alle ultime libere reinterpretazioni i suoi cavalli mantengono una certa affinità con quelli dipinti dal pictor optimus. Nel suggestivo quadro intitolato Il confronto della potenza (2007), il pittore si ritrae a cavallo mentre combatte col nonno, in questo ambizioso lavoro egli appronta una specie di sfida simbolica e artistica col suo maestro. Il confronto della potenza è appunto il confronto tra l’allievo e il maestro, che metaforicamente si combattono sul terreno dell’arte. Questa sfida anche pittorica, consente all’artista di approntare un gioco stilistico e simbolico di rara efficacia.
Alla luce di questi nuovi esiti del lavoro di Jacopo il tentativo di rintracciare forzosamente modelli e corrispondenze appare un esercizio critico vagamente pretestuoso, atto a circoscrivere la sua libera ispirazione dentro griglie iconografiche certe e inutilmente definitorie. Ciò non toglie che il quadro sopracitato richiami alla mente opere illustri: la copia anonima della perduta Battaglia di Anghiari di Leonardo e, ancora una volta il quadro Cavalli scalpitanti presso il mare di Giorgio De Chirico. Queste vaghe ascendenze però risultano essere il frutto di una libera mescolanza di motivi attuata dell’artista, forse addirittura, il frutto di singolari coincidenze formali. Potrebbe darsi che nella sua ricerca il giovin pittore non abbia avuto modelli certi, ma si sia nutrito soltanto di vaghe suggestioni trasfigurate dal talento; questione di geni verrebbe da dire! Di genio forse? Le possibilità sono aperte, in attesa di futuri sviluppi che, dati i presupposti, non mancheranno di produrre nuove sorprese e adeguate conferme.
Paolo Nardon
22
dicembre 2008
Jacopo Scassellati – Jacopo Giovin Pittore
Dal 22 dicembre 2008 al 22 gennaio 2009
arte contemporanea
Location
VILLA FIDELIA
Spello, VIA FLAMINIA, 70, (Perugia)
Spello, VIA FLAMINIA, 70, (Perugia)
Vernissage
22 Dicembre 2008, ore 16,30
Autore
Curatore