09 dicembre 2011

LE “FATICHE” DI DANIELE PUPPI

 
L’artista racconta il curioso aneddoto da cui nasce il titolo ricorrente delle sue opere, il rapporto con lo spettatore e quello tra l’architettura e le sue opere e infine ci svela i suoi tanti maestri…

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In contrapposizione alla vita standardizzata delle città e alla perdita d’identità dei sempre più numerosi non-luoghi, lei crea con le sue opere una realtà simulata e puramente esperienziale personalizzando lo spazio. Quanto conta per lei l’interazione del pubblico? Potremmo affermare che l’opera è il momento in cui lo spettatore la vive e la sua esperienza sensoriale?

 L’opera d’arte è il frutto dell’unione fra l’artista che “vede” e sperimenta, e la realtà da sperimentare;  è l’atto attraverso il quale si fissa una nuova forma di conoscenza.
L’istante in cui lo spettatore si sintonizza è importante perché partecipe dell’esperienza conoscitiva.

Le va di raccontarci come nasce il titolo “Fatica”, ricorrente nelle sue opere?

Correva l’anno 1996 e mentre frequentavo l’ultimo anno dell’Accademia  di Belle Arti di Roma, a me e a Roberto Pescetelli venne l’idea di fare una mostra coinvolgendo altri amici.
Ne parlammo con Giuliana Stella subito entusiasta dell’idea. Consolidato il gruppo cominciò la ricerca di spazi fino a che ci imbattemmo nel buon cuore di Simone Carella che all’epoca gestiva l’ex Teatro degli Artisti, ci concesse lo spazio gratis in cambio di un piccolo favore che consisteva nel buttare giù un muro divisorio che separava due stanze. Accettai immediatamente la proposta che divenne il perno centrale intorno al quale si sviluppò il primo lavoro nello spazio; Fatica n.1.

I suoi lavori, proprio per lo stretto legame che hanno con i luoghi in cui vengono realizzati e per la capacità di trasformarli, si potrebbero definire architetture emozionali. Lei è stato anche invitato a partecipare alla Biennale di Architettura di Venezia e ha realizzato installazioni per importanti creazioni architettoniche museali. Come descriverebbe il rapporto tra i suoi lavori e l’architettura?

Una conciliazione di forze attive e passive. A lavoro ultimato, l’architettura diventa parte dell’opera, e allo stesso tempo l’opera riorganizza i parametri percettivi dell’architettura trasmutandosi in qualcosa di non ben definito, di vibrante, a discapito del dogma.
 

C’è una bellissima frase di Giorgio De Chirico che dice “Deducendo si può concludere che ogni cosa abbia due aspetti: uno corrente, quello che vediamo quasi sempre e che vedono gli uomini in generale, l’altro spettrale o metafisico che non possono vedere che rari individui in momenti di chiaroveggenza…” Mi sembra perfetta per descrivere la sensazione di meraviglia che si prova davanti alle sue opere nel vedere da un punto di vista completamente nuovo anche il gesto più quotidiano. Ci sono artisti a cui si è ispirato o che considera importanti per la sua formazione?

Molti, soprattutto i più coraggiosi e disinteressati: vedi Archimede, Gesù, Pitagora, Orfeo, Dionisio, Ermete Trismegisto, Zoroastro, Lao Tzu, Platone, G.I. Gurdijeff, O.M. Aivanhov, U.G. Krishnamurti, don Juan (Carlos Castaneda) e altri ancora che, seppur in modi e livelli diversi, hanno “ecceduto” il mestiere come; Pavel Florenskij, Emilio Villa, Gill Deleuze, Giorgio De Chirico, Rudyard Kipling, Edgar Allan Poe, Werner Herzog, Henri Michaux, Nikola Tesla, Heinrich Von Kleist, Carmelo Bene, Luigi Ontani, Michelangelo, Aldo Busi, Franz Anton Mesmer, Democrito, Bartolo Cuomo, Gioacchino Rossini, Lucio Fontana, Alberto Burri, Totò e Peppino, Roberto Rossellini, Giuseppe Verdi, Michelangelo Antonioni, Enzo Guglielmi, Volfang Amadeus Mozart, Francis Bacon, Bruce Lee, Carl Theodor Dreyer, Piero Manzoni, Palladio, Jakob Bernouilli, Antonio Vivaldi, Lars von Trier, David Linch, Giovanni Battista Piranesi, I Beneandanti friulani, Eracle, Stanley Kubrick, Ludwig van Beethoven, Ulisse, Caravaggio,  De Sade, Friedrich Nietzsche, Giacomo Leopardi, Yves Klein, Gianbattista Vico, Giordano Bruno, Eliogabalo, Numa Pompilio, Leonardo Da Vinci, Isaac Newton, Giovanni Keplero, Charles Baudelaire, Alexander Von Humboldt, Rembrandt, Galileo Galilei, Annibale, Alessandro Magno e altri ancora…

Di recente ha preso parte, con la sua opera Fatica n?13, a “Italia Ora”, presso il Museo Andersen di Roma. La mostra è una collettiva realizzata per la prima volta da 23 giovani curatori studenti del Luiss Master of Art. Ha partecipato attivamente anche all’allestimento dell’opera. Le va di raccontarci quest’ultima esperienza?

Più che positiva considerando che il Museo Andersen non è uno spazio facile da allestire. Sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla serietà e dall’impegno con cui è stata gestita tutta la mostra senza sacrificare la cosa più importante; il divertimento. In particolare i miei complimenti vanno ad Alessia Notarangelo, la giovane curatrice che ha scelto e che si è occupata specificatamente del mio lavoro seguendo tutte le fasi con attenzione e pazienza.
 

Al momento sta lavorando a qualche nuova opera? Le va di anticiparci qualche progetto futuro?

I progetti futuri non li anticipo mai. Ho due mostre in corso; la prima è una personale in uno degli spazi più folli ed esclusivi per l’arte contemporanea nazionale ed internazionale che si chiama Edicola Notte. La seconda è una collettiva dal titolo Spheres 4 a Le Moulin, il bellissimo e gigantesco spazio francese della Galleria Continua in collaborazione con il Magazzino di Roma.
 
 
a cura di damaride d’andrea
 

*foto in alto: Fatica n.23, 2010 – Galleria Nazionale D’Arte Moderna – Roma, Installazione vdeo sonora, Foto Mario Di Paolo

 
[exibart]

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