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Gianni Ruspaggiari – Body and soul
In mostra acquerelli e disegni recenti che mettono in luce i principali aspetti dell’itinerario artistico dell’artista
Comunicato stampa
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Anima e corpo
Alberto Agazzani
Ogni stupro è un’esperienza estrema, terribile, senza ritorno. Non solo quello del corpo, ma anche quello della mente, che da uno dei cinque sensi passa ugualmente ed inesorabilmente all’anima, lacerandone la perfezione con ferite dolorose e impossibili da rimarginare. Di tutte le violenze intellettuali, quella che si insinua attraverso la vista, il più pittorico dei sensi, non solo è la più immediata e violenta, ma anche la più fatale per un pittore. Dopo lo stupro nulla sarà più come prima e l’inquietudine provocata da quell’intrusione cambierà per sempre la vita, l’orizzonte espressivo e la poetica della vittima. La storia dell’arte è costellata di stupri di ogni genere, da quelli fisici, come il celeberrimo di Artemisia, a quelli visivi, più frequenti ma non per questo meno drammatici, di tanti artisti segnati per sempre dall’incontro fatale con immagini-trappola senza scampo. Il più violento esempio di questa violenza visiva è e rimane probabilmente quello di Francis Bacon, un autentico collezionista di stupri visivi ed a sua volta inesorabile violentatore di sguardi ed anime. Da Velázquez a Muybridge, da semplici fotografie, di cronaca (come quelle del gerarcha-macellaio nazista Adolf Eichmann rinchiuso nella gabbia di vetro al processo di Gerusalemme del 1961) o pubblicitarie, al cinema (come la celebre sequenza della balia ne La corazzata Potëmkin di Ejzenštejn) fino ai manuali anatomici o di patologia medica, ogni immagine per Bacon rappresentava una possibilità, un’occasione cognitiva estrema da divorare e trasformare in alimento espressivo. Ne sono una riprova non solo i magnifici dipinti scatenati da quegli incontri accidentali, ma ancor più le centinaia di immagini, apparentemente senza futuro, ritrovate nello studio del pittore e che molto ci hanno rivelato del suo misterioso universo figurativo. E’ facile comprendere come, soprattutto nel secolo della fotografia e del cinema, lo stupro visivo rappresenti per un pittore l’esperienza più estrema, la violenza insieme più distruttiva e, nel contempo, più ispiratrice, creativa. Perché ciò si renda possibile occorre però una speciale quanto rara predisposizione dell’artista, che deve trovare la forza per superare la violenza subita senza tuttavia cadere nella mortale trappola dell’assuefazione o, peggio ancora, dell’autocommiserazione, del vittimismo e della subordinarietà espressiva. Occorre, in sintesi, che l’artista reagisca razionalmente, cercando di contenere il più possibile i danni provocati dalla violenza emotiva alla sua verginità visiva e poetica.
Per Gianni Ruspaggiari il più grande turbamento visivo della sua lunga carriera di pittore si è probabilmente consumato nel 1962 alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino, città da sempre fondamentale per la sua formazione artistica. L’occasione fu fornita dalla prima importante e vasta retrospettiva dedicata in Italia a Francis Bacon, al tempo ancora poco conosciuto e destinato ad un pubblico per lo più inglese e d’oltralpe. In quell’occasione, in particolare, furono esposti due dipinti divenuti poi celeberrimi, Two Figures in the Grass e Pope, entrambi del 1954. Il primo, considerato uno dei dipinti più scandalosi della sua epoca, rappresenta il groviglio di membra umane rappresentato da una coppia di uomini intenti in un amplesso omosessuale notturno, in un prato. La coppia appare all’improvviso, illuminata da un subitaneo, violentissimo bagliore, come quello provocato dai fari di un’auto. In primo piano il buio profondo della notte, attorno alla coppia un prato verde, dipinto con pennellate fulminee sulla tela grezza, e sullo sfondo uno orizzonte chiuso, delimitato da semplici linee, come se i due amanti si trovassero all’interno della scatola di vetro di Eichmann. Lo stesso contenitore trasparente, la medesima gabbia mentale dai confini invisibili ma invalicabili, nel quale Bacon, lo stesso anno, rinchiude l’Innocenzo X Pamphilj di Velázquez, immagine-ossessione nata anch’essa da un fatale incidente visivo.
Per il giovane Ruspaggiari quell’esperienza dev’essere stata capitale. Le sue folgorazioni pittoriche fino ad allora erano state, dopo i tranquilli esordi giovanili nel segno della più autentica tradizione figurativa emiliana e del Naturalismo arcangeliano, l’Espressionismo tedesco e le teorie sul colore di Kandinskj, il Gruppo degli Otto (Birolli e Vedova in particolare). Proprio all’inizio degli anni ’60 quelle basi andavano arricchendosi della lezione e di grandi maestri stranieri, Saura, Pollock, da poco approdato sulla scena artistica italiana, Hartung e De Kooning, che lentamente portarono Ruspaggiari a spostare il suo interesse dal paesaggio alla figura umana, e da questa allo spazio. L’incontro con Bacon fu evidentemente determinante in questa fase di evoluzione espressiva. Dai cespugli birolliani del 1961 si passa bruscamente alle figure in interni dell’anno successivo, dipinte con una violenza, una secchezza segnica e cromatica assolutamente inedite. Il morso baconiano, però, sarà destinato ad un apparente sonno, lasciando il passo, pochi anni dopo, alle fredde suggestioni Pop: la reazione razionale del pittore allo stupro torinese? Ma la feroce belva della pittura è solo sopita, ed anche la piaga baconiana riprende a sanguinare col suo risveglio, anzi ne è la sua probabile causa. Gli anni ’90 sono quelli nei quali Ruspaggiari sente cocente il richiamo violento della pittura: espressiva, carnale, sensuale, violenta. Via via, di quadro in quadro, furiosamente controllato, fino al decennio successivo, il nostro, con il trionfo assoluto e grandioso di una pittura totalmente dipinta, di carni pensanti e pulsanti, malate, aggrovigliate in amplessi senza forma apparente, eppure così intensi. La piaga di Bacon ha ripreso definitivamente a grondare sangue e passione. L’antico stupro torna a far ascoltare il suo grido disperato e le immagini di quella violenza torinese riemergono da un passato impossibile da rimuovere. Arricchito dalla fredda esperienza Pop, ora Ruspaggiari ha finalmente la maturità e il controllo per affrontare la bestia selvaggia che si è risvegliata in lui. Il pittore, come in una seduta psicanalitica, affonda il suo pensiero nel ricordo, alla ricerca di quell’immagine, di “quel” quadro, “il” quadro. Il percorso attraverso il quale questa tragedia visiva si consuma e supera è a mio avviso di una straordinarietà unica. Gianni Ruspaggiari è sempre stato e rimane un pittore profondamente solitario. Egli oggi non fa parte di alcun cenacolo, non ha e non ha mai avuto committenti e galleristi da soddisfare, né un pubblico da sedurre o una ribalta da conquistare. Egli è oggi la massima espressione di ciò che è sempre stato, di ciò che la sua natura ed il suo carattere gli hanno imposto d’essere: un uomo ed un pittore libero. La sua lotta con la pittura, dunque, e con la bestia baconiana si svolge in un corpo a corpo con la tela, in una lotta faticosissima e intensa che egli intraprende con l’immagine dipinta. Accade così che i dipinti del nuovo millennio si arricchiscono sempre più di una struttura pittorica straordinaria, di grovigli segnici e di materie che si intersecano, mescolano, assommano in maniera solo apparentemente casuale. Ruspaggiari insegue l’anima della pittura, della sua pittura, sin nei suoi recessi più remoti. Lo spazio sulla tela si dilata a dismisura, diviene tridimensionale, profondo, abissale eppure claustrofobico, come l’invisibile gabbia di Eichmann. Anche la tenzone col corpo si risolve in un’immagine ricorrente, ossessiva, quasi Ruspaggiari, eternamente insoddisfatto, ne inseguisse l’anima negli spazi siderali che egli ha conquistato sulla tela. E’ lo stesso dipinto, sempre, eppure ogni volta diverso, emozionalmente diverso, formalmente diverso. Quel groviglio umano primigenio che il pittore ha portato dentro di sè per decenni, egli oggi lo osserva da ogni angolo, da ogni prospettiva possibile. Ed infine lo trasforma in poesia e pensiero puro, arrivando a possederlo attraverso la pittura, anima e corpo. Nell’anima e nel corpo.
Reggio Emilia, 9 novembre 2008
Alberto Agazzani
Ogni stupro è un’esperienza estrema, terribile, senza ritorno. Non solo quello del corpo, ma anche quello della mente, che da uno dei cinque sensi passa ugualmente ed inesorabilmente all’anima, lacerandone la perfezione con ferite dolorose e impossibili da rimarginare. Di tutte le violenze intellettuali, quella che si insinua attraverso la vista, il più pittorico dei sensi, non solo è la più immediata e violenta, ma anche la più fatale per un pittore. Dopo lo stupro nulla sarà più come prima e l’inquietudine provocata da quell’intrusione cambierà per sempre la vita, l’orizzonte espressivo e la poetica della vittima. La storia dell’arte è costellata di stupri di ogni genere, da quelli fisici, come il celeberrimo di Artemisia, a quelli visivi, più frequenti ma non per questo meno drammatici, di tanti artisti segnati per sempre dall’incontro fatale con immagini-trappola senza scampo. Il più violento esempio di questa violenza visiva è e rimane probabilmente quello di Francis Bacon, un autentico collezionista di stupri visivi ed a sua volta inesorabile violentatore di sguardi ed anime. Da Velázquez a Muybridge, da semplici fotografie, di cronaca (come quelle del gerarcha-macellaio nazista Adolf Eichmann rinchiuso nella gabbia di vetro al processo di Gerusalemme del 1961) o pubblicitarie, al cinema (come la celebre sequenza della balia ne La corazzata Potëmkin di Ejzenštejn) fino ai manuali anatomici o di patologia medica, ogni immagine per Bacon rappresentava una possibilità, un’occasione cognitiva estrema da divorare e trasformare in alimento espressivo. Ne sono una riprova non solo i magnifici dipinti scatenati da quegli incontri accidentali, ma ancor più le centinaia di immagini, apparentemente senza futuro, ritrovate nello studio del pittore e che molto ci hanno rivelato del suo misterioso universo figurativo. E’ facile comprendere come, soprattutto nel secolo della fotografia e del cinema, lo stupro visivo rappresenti per un pittore l’esperienza più estrema, la violenza insieme più distruttiva e, nel contempo, più ispiratrice, creativa. Perché ciò si renda possibile occorre però una speciale quanto rara predisposizione dell’artista, che deve trovare la forza per superare la violenza subita senza tuttavia cadere nella mortale trappola dell’assuefazione o, peggio ancora, dell’autocommiserazione, del vittimismo e della subordinarietà espressiva. Occorre, in sintesi, che l’artista reagisca razionalmente, cercando di contenere il più possibile i danni provocati dalla violenza emotiva alla sua verginità visiva e poetica.
Per Gianni Ruspaggiari il più grande turbamento visivo della sua lunga carriera di pittore si è probabilmente consumato nel 1962 alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino, città da sempre fondamentale per la sua formazione artistica. L’occasione fu fornita dalla prima importante e vasta retrospettiva dedicata in Italia a Francis Bacon, al tempo ancora poco conosciuto e destinato ad un pubblico per lo più inglese e d’oltralpe. In quell’occasione, in particolare, furono esposti due dipinti divenuti poi celeberrimi, Two Figures in the Grass e Pope, entrambi del 1954. Il primo, considerato uno dei dipinti più scandalosi della sua epoca, rappresenta il groviglio di membra umane rappresentato da una coppia di uomini intenti in un amplesso omosessuale notturno, in un prato. La coppia appare all’improvviso, illuminata da un subitaneo, violentissimo bagliore, come quello provocato dai fari di un’auto. In primo piano il buio profondo della notte, attorno alla coppia un prato verde, dipinto con pennellate fulminee sulla tela grezza, e sullo sfondo uno orizzonte chiuso, delimitato da semplici linee, come se i due amanti si trovassero all’interno della scatola di vetro di Eichmann. Lo stesso contenitore trasparente, la medesima gabbia mentale dai confini invisibili ma invalicabili, nel quale Bacon, lo stesso anno, rinchiude l’Innocenzo X Pamphilj di Velázquez, immagine-ossessione nata anch’essa da un fatale incidente visivo.
Per il giovane Ruspaggiari quell’esperienza dev’essere stata capitale. Le sue folgorazioni pittoriche fino ad allora erano state, dopo i tranquilli esordi giovanili nel segno della più autentica tradizione figurativa emiliana e del Naturalismo arcangeliano, l’Espressionismo tedesco e le teorie sul colore di Kandinskj, il Gruppo degli Otto (Birolli e Vedova in particolare). Proprio all’inizio degli anni ’60 quelle basi andavano arricchendosi della lezione e di grandi maestri stranieri, Saura, Pollock, da poco approdato sulla scena artistica italiana, Hartung e De Kooning, che lentamente portarono Ruspaggiari a spostare il suo interesse dal paesaggio alla figura umana, e da questa allo spazio. L’incontro con Bacon fu evidentemente determinante in questa fase di evoluzione espressiva. Dai cespugli birolliani del 1961 si passa bruscamente alle figure in interni dell’anno successivo, dipinte con una violenza, una secchezza segnica e cromatica assolutamente inedite. Il morso baconiano, però, sarà destinato ad un apparente sonno, lasciando il passo, pochi anni dopo, alle fredde suggestioni Pop: la reazione razionale del pittore allo stupro torinese? Ma la feroce belva della pittura è solo sopita, ed anche la piaga baconiana riprende a sanguinare col suo risveglio, anzi ne è la sua probabile causa. Gli anni ’90 sono quelli nei quali Ruspaggiari sente cocente il richiamo violento della pittura: espressiva, carnale, sensuale, violenta. Via via, di quadro in quadro, furiosamente controllato, fino al decennio successivo, il nostro, con il trionfo assoluto e grandioso di una pittura totalmente dipinta, di carni pensanti e pulsanti, malate, aggrovigliate in amplessi senza forma apparente, eppure così intensi. La piaga di Bacon ha ripreso definitivamente a grondare sangue e passione. L’antico stupro torna a far ascoltare il suo grido disperato e le immagini di quella violenza torinese riemergono da un passato impossibile da rimuovere. Arricchito dalla fredda esperienza Pop, ora Ruspaggiari ha finalmente la maturità e il controllo per affrontare la bestia selvaggia che si è risvegliata in lui. Il pittore, come in una seduta psicanalitica, affonda il suo pensiero nel ricordo, alla ricerca di quell’immagine, di “quel” quadro, “il” quadro. Il percorso attraverso il quale questa tragedia visiva si consuma e supera è a mio avviso di una straordinarietà unica. Gianni Ruspaggiari è sempre stato e rimane un pittore profondamente solitario. Egli oggi non fa parte di alcun cenacolo, non ha e non ha mai avuto committenti e galleristi da soddisfare, né un pubblico da sedurre o una ribalta da conquistare. Egli è oggi la massima espressione di ciò che è sempre stato, di ciò che la sua natura ed il suo carattere gli hanno imposto d’essere: un uomo ed un pittore libero. La sua lotta con la pittura, dunque, e con la bestia baconiana si svolge in un corpo a corpo con la tela, in una lotta faticosissima e intensa che egli intraprende con l’immagine dipinta. Accade così che i dipinti del nuovo millennio si arricchiscono sempre più di una struttura pittorica straordinaria, di grovigli segnici e di materie che si intersecano, mescolano, assommano in maniera solo apparentemente casuale. Ruspaggiari insegue l’anima della pittura, della sua pittura, sin nei suoi recessi più remoti. Lo spazio sulla tela si dilata a dismisura, diviene tridimensionale, profondo, abissale eppure claustrofobico, come l’invisibile gabbia di Eichmann. Anche la tenzone col corpo si risolve in un’immagine ricorrente, ossessiva, quasi Ruspaggiari, eternamente insoddisfatto, ne inseguisse l’anima negli spazi siderali che egli ha conquistato sulla tela. E’ lo stesso dipinto, sempre, eppure ogni volta diverso, emozionalmente diverso, formalmente diverso. Quel groviglio umano primigenio che il pittore ha portato dentro di sè per decenni, egli oggi lo osserva da ogni angolo, da ogni prospettiva possibile. Ed infine lo trasforma in poesia e pensiero puro, arrivando a possederlo attraverso la pittura, anima e corpo. Nell’anima e nel corpo.
Reggio Emilia, 9 novembre 2008
23
novembre 2008
Gianni Ruspaggiari – Body and soul
Dal 23 novembre 2008 al 15 gennaio 2009
arte contemporanea
Location
GALLERIA D’ARTE PRIMO STATO
Reggio Nell'emilia, Via Dei Due Gobbi, 5, (Reggio Nell'emilia)
Reggio Nell'emilia, Via Dei Due Gobbi, 5, (Reggio Nell'emilia)
Vernissage
23 Novembre 2008, ore 18
Autore
Curatore