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Giuliana Racco – I miei anni invisibili
Precari. In crisi. Disillusi. Esauriti. Svogliati. Stanchi. Precari. Ancora precari.
Comunicato stampa
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Provate a sedervi in cinque diversi bar frequentati da giovani (va bene qualunque città, purchè italiana, ovviamente) e ascoltate i discorsi delle persone intorno a voi fingendovi disinteressati, distratti, persi nei vostri pensieri. Una percentuale cospicua delle persone che vi circonda parlerà della cosiddetta crisi (parola che sta vivendo in questo momento una popolarità probabilmente insperata e mai sperimentata), una percentuale forse minore ma altrettanto interessante si lamenterà del proprio lavoro, del fatto che non si può permettere di andare via di casa, del precariato e di una varietà di altri flagelli che affliggono la nostra generazione, definendosi probabilmente con alcune delle parole elencate nella prima riga.
Negli ultimi anni molto più che in passato anche i media sembrano interessati a tracciare un ritratto della attuale generazione dei trentenni italiani, della quale è ovviamente possibile dire tutto e niente, inventare ancora di più e generalizzare come non mai.
Dicono che siamo quelli che stanno a casa con i genitori per non pagare un afftto. Quelli che, si sa, l'affitto è uno spreco di soldi, meglio pensare al mutuo. Quelli che non si adattano ad un lavoro perchè poco adatto alle loro ambizioni, troppo lontano, troppo scomodo, troppo poco pagato. Oppure forse quelli che di lavori ne fanno due, o anche tre, per mettere insieme uno stipendio appena decente per vivere fuori di casa e sentirsi finalmente indipendenti. Ma se ci fermiamo un attimo a pensarci, chi siamo davvero? Siamo la quantità di euro che guadagnamo al mese? Siamo quel lavoro che non ci piace e non ci regala niente ma ci fa mangiare?
Siamo quelle ore spese davanti al computer a cercare lavori e spedire CV o siamo tutti i lavori che abbiamo rifiutato perchè credevamo di non averne bisogno? Siamo la generazione Sì, quella che non può mai rifiutare e accettare ogni lavoro come una benedizione, anche quando non è pagato? E quando è esistita una generazione No in cui c'era davvero una scelta? E a noi, una scelta è davvero negata o ci piace pensarlo per lamentarci?
Una condizione che spesso ci fa sentire inadeguati, fino al momento in cui ci ricordiamo che anche per gli altri è così, che non siamo gli unici ad avere certe preoccupazioni, come se questo potesse consolarci, certo.
Probabilmente la risposta a tutte le domande poste fino ad ora è che siamo ciò che facciamo. Ma molto di quello che facciamo è invisibile. Lavori precari, lavori in nero, lavori non pagati, affitti non registrati legalmente. Siamo anche questo, e dunque è spesso difficile fare sì che tali esperienze ci vengano riconosciute come dovrebbero, vengano per esempio valutate in un CV proprio perché non vi possono essere inserite.
I miei anni invisibili è sorprendentemente attuale in questo senso. Giuliana Racco prende spunto dalla propria personale esperienza lavorativa e più in generale di quotidianità in Italia per tracciare un ritratto pieno di zone d'ombra, o meglio zone invisibili.
Il lavoro si compone principalmente di due parti, complementari anche se molto diverse tra loro e raggruppate entrambe sotto il titolo dato alla mostra.
Il video rappresenta un ironico quanto amaro commentario alla burocrazia italiana e in particolare al suo linguaggio difficile e pieno di termini obsoleti. Troppo spesso infatti le definizioni e i termini utilizzati per esempio nei vecchi libretti di lavoro sono di difficile riscontro nella realtà. Cercano di creare una classificazione nella quale incasellare le persone e le relative prestazioni lavorative, spesso con uno scollamento quasi imbarazzante rispetto alla realtà
dei fatti, mentre con il commento fuori campo la voce dell'artista sottolinea il paradosso e la totale inadeguatezza del linguaggio burocratico. L'interpretazione offerta dal commento dell'artista sottolinea ancora una volta come sia più semplice per la giurisprudenza italiana utilizzare definizioni che non corrispondono a realtà piuttosto che cercare di smussare o risolvere tali incongruenze.
La seconda parte del lavoro è costituita da un CV dell'artista appeso nello spazio espositivo. Gli spazi apparentemente vuoti sulla carta rivelano invece, ad un esame più attento con una lampada di Wood, una serie di lavori illegali che l'artista ha svolto nel corso degli anni e residenze in cui ha vissuto illegalmente. Tali esperienze sono stampate su carta con uno speciale inchiostro invisibile ad occhio nudo (proprio come le esperienze di cui si parla). Come a dire, solo perché non è legale non significa che non sia successo.
Eccoli, quegli anni invisibili di cui probabilmente molti di noi hanno esperienza.
Prestazioni lavorative non regolari, passaggi in luoghi in cui abbiamo vissuto di cui non è rimasta traccia da nessuna parte.
La mostra è completata infine da una componente performativa che richiede la partecipazione del pubblico: la cartolina invito distribuita in occasione della pubblicità dell'evento, si rivela infatti una sorta di modulo che il pubblico può compilare con l'artista in occasione dell'inaugurazione della mostra, raccontando i propri anni invisibili.
Questo ad ulteriore dimostrazione che la voce dell'artista è in realtà l'espressione di un coro molto più vasto di persone con le stesse problematiche e le stesse esperienze.
E che l'invisibilità è una condizione più comune di quanto pensiamo.
Teresa Iannotta
Negli ultimi anni molto più che in passato anche i media sembrano interessati a tracciare un ritratto della attuale generazione dei trentenni italiani, della quale è ovviamente possibile dire tutto e niente, inventare ancora di più e generalizzare come non mai.
Dicono che siamo quelli che stanno a casa con i genitori per non pagare un afftto. Quelli che, si sa, l'affitto è uno spreco di soldi, meglio pensare al mutuo. Quelli che non si adattano ad un lavoro perchè poco adatto alle loro ambizioni, troppo lontano, troppo scomodo, troppo poco pagato. Oppure forse quelli che di lavori ne fanno due, o anche tre, per mettere insieme uno stipendio appena decente per vivere fuori di casa e sentirsi finalmente indipendenti. Ma se ci fermiamo un attimo a pensarci, chi siamo davvero? Siamo la quantità di euro che guadagnamo al mese? Siamo quel lavoro che non ci piace e non ci regala niente ma ci fa mangiare?
Siamo quelle ore spese davanti al computer a cercare lavori e spedire CV o siamo tutti i lavori che abbiamo rifiutato perchè credevamo di non averne bisogno? Siamo la generazione Sì, quella che non può mai rifiutare e accettare ogni lavoro come una benedizione, anche quando non è pagato? E quando è esistita una generazione No in cui c'era davvero una scelta? E a noi, una scelta è davvero negata o ci piace pensarlo per lamentarci?
Una condizione che spesso ci fa sentire inadeguati, fino al momento in cui ci ricordiamo che anche per gli altri è così, che non siamo gli unici ad avere certe preoccupazioni, come se questo potesse consolarci, certo.
Probabilmente la risposta a tutte le domande poste fino ad ora è che siamo ciò che facciamo. Ma molto di quello che facciamo è invisibile. Lavori precari, lavori in nero, lavori non pagati, affitti non registrati legalmente. Siamo anche questo, e dunque è spesso difficile fare sì che tali esperienze ci vengano riconosciute come dovrebbero, vengano per esempio valutate in un CV proprio perché non vi possono essere inserite.
I miei anni invisibili è sorprendentemente attuale in questo senso. Giuliana Racco prende spunto dalla propria personale esperienza lavorativa e più in generale di quotidianità in Italia per tracciare un ritratto pieno di zone d'ombra, o meglio zone invisibili.
Il lavoro si compone principalmente di due parti, complementari anche se molto diverse tra loro e raggruppate entrambe sotto il titolo dato alla mostra.
Il video rappresenta un ironico quanto amaro commentario alla burocrazia italiana e in particolare al suo linguaggio difficile e pieno di termini obsoleti. Troppo spesso infatti le definizioni e i termini utilizzati per esempio nei vecchi libretti di lavoro sono di difficile riscontro nella realtà. Cercano di creare una classificazione nella quale incasellare le persone e le relative prestazioni lavorative, spesso con uno scollamento quasi imbarazzante rispetto alla realtà
dei fatti, mentre con il commento fuori campo la voce dell'artista sottolinea il paradosso e la totale inadeguatezza del linguaggio burocratico. L'interpretazione offerta dal commento dell'artista sottolinea ancora una volta come sia più semplice per la giurisprudenza italiana utilizzare definizioni che non corrispondono a realtà piuttosto che cercare di smussare o risolvere tali incongruenze.
La seconda parte del lavoro è costituita da un CV dell'artista appeso nello spazio espositivo. Gli spazi apparentemente vuoti sulla carta rivelano invece, ad un esame più attento con una lampada di Wood, una serie di lavori illegali che l'artista ha svolto nel corso degli anni e residenze in cui ha vissuto illegalmente. Tali esperienze sono stampate su carta con uno speciale inchiostro invisibile ad occhio nudo (proprio come le esperienze di cui si parla). Come a dire, solo perché non è legale non significa che non sia successo.
Eccoli, quegli anni invisibili di cui probabilmente molti di noi hanno esperienza.
Prestazioni lavorative non regolari, passaggi in luoghi in cui abbiamo vissuto di cui non è rimasta traccia da nessuna parte.
La mostra è completata infine da una componente performativa che richiede la partecipazione del pubblico: la cartolina invito distribuita in occasione della pubblicità dell'evento, si rivela infatti una sorta di modulo che il pubblico può compilare con l'artista in occasione dell'inaugurazione della mostra, raccontando i propri anni invisibili.
Questo ad ulteriore dimostrazione che la voce dell'artista è in realtà l'espressione di un coro molto più vasto di persone con le stesse problematiche e le stesse esperienze.
E che l'invisibilità è una condizione più comune di quanto pensiamo.
Teresa Iannotta
14
novembre 2008
Giuliana Racco – I miei anni invisibili
Dal 14 al 15 novembre 2008
arte contemporanea
performance - happening
performance - happening
Location
NOLOCO STUDIO
Padova, Volto Dell'orologio, 29, (Padova)
Padova, Volto Dell'orologio, 29, (Padova)
Orario di apertura
da mercoledì a sabato ore 17.00-20.00
Vernissage
14 Novembre 2008, h 18.30
Autore
Curatore