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Mario Dondero – Una commedia umana. Ritratti e reportage
Trentaquattro scatti in bianco e nero fra ritratti e reportage per la mostra a cura di Antonio Ria Mario Dondero. Una commedia umana in apertura alla Fondazione Tito Balestra di Longiano il 13 settembre. Fra i soggetti Francis Bacon, Marcuse, Laura Betti, Mario Schifano, Tano Festa, Eugene Ionesco, Paul Gautier per la sezione ritratti. Eterogenei i reportage, dai nomadi irlandesi in viaggio del 1968 ai Prigionieri algerini dopo la battaglia, dal cimitero ebraico di Praga nel 1972 alla Sorbona occupata nel maggio 1968, fino a una veduta di Berlino est il giorno prima della caduta del muro
Comunicato stampa
Segnala l'evento
nell'ambito di
Sagge sono le Muse - intermezzo 2008
rassegna di arte, letteratura, poesia e musica
a cura di Flaminio Balestra e Massimo Balestra
In occasione del Si Fest / Savignano Immagini Festival 08
Identità e percezioni 2. Apparire appartenere
Durante l'inaugurazione avrà luogo una conversazione pubblica fra Antonio Ria e Mario Dondero
Trentaquattro scatti in bianco e nero fra ritratti e reportage per la mostra a cura di Antonio Ria Mario Dondero. Una commedia umana in apertura alla Fondazione Tito Balestra di Longiano il 13 settembre. Fra i soggetti Francis Bacon, Marcuse, Laura Betti, Mario Schifano, Tano Festa, Eugene Ionesco, Paul Gautier per la sezione ritratti. Eterogenei i reportage, dai nomadi irlandesi in viaggio del 1968 ai Prigionieri algerini dopo la battaglia, dal cimitero ebraico di Praga nel 1972 alla Sorbona occupata nel maggio 1968, fino a una veduta di Berlino est il giorno prima della caduta del muro.
Appuntamento con l’angelo della storia
Come ha scritto Claudio Magris, Mario Dondero possiede una forza espressiva che lo aiuta a «viaggiare sentendosi sempre, nello stesso momento, nell’ignoto e a casa, ma sapendo di non avere, di non possedere una casa. Chi viaggia è sempre un randagio, uno straniero, un ospite; dorme in stanze che dopo di lui albergano sconosciuti; non possiede il guanciale su cui posa il capo, né il tetto che lo ripara».
Dondero è un personaggio mitico della fotografia italiana, quella che si è affermata a partire dagli anni Cinquanta, gravitando a Milano, a Brera, intorno al Bar Giamaica. Ma nel suo candore, Mario quasi non si accorge della storia che ormai si è depositata sulle sue vecchie macchine fotografiche: col suo sguardo sempre lucido, curioso, attento, a ottant’anni è sempre pronto a partire per una nuova avventura, come se fosse la prima. Con la stessa attenzione ai fatti, il medesimo rispetto per chi incontra: «un fotografo – ha scritto Corrado Stajano – che è sempre stato dalla parte delle persone riprese dal suo obiettivo, partecipe del loro destino, attento a cogliere uomini e donne in una luce di verità, senza violare i sentimenti più segreti e senza superare mai le gelose barriere private».
Lo ricordo a Parigi alla fine degli anni Ottanta, desideroso di fare un ritratto a Lalla Romano. L’ha seguita tutto il giorno, è stato con noi, aspettando il momento propizio, tra un impegno e l’altro della scrittrice, con la quale aveva subito simpatizzato. Aveva atteso pazientemente; ma alla fine, quando tutto era pronto, ha colto la stanchezza sul volto di Lalla. Non ha insistito, ha rinunciato. «Verrò a trovarla a Milano, a Brera», le aveva detto nel salutarla. Ma le sue visite erano sempre fugaci: arrivava e già ripartiva. Come altre, quella è una delle foto più care a Dondero: quelle che non ha potuto fare, ma che restano “fisse” nel suo cuore, “sviluppate” lentamente nella memoria, e che arricchiscono più di altre il suo già prezioso archivio.
Se il suo archivio mentale è lucido e sempre aggiornato, diverso è il discorso per l’archivio delle sue fotografie, dei negativi. Anche per questa mostra ho dovuto faticare non poco, e recarmi due volte nell’attuale sua casa di Fermo, nelle Marche, e “scavare” con lui tra le sue carte…
Mario Dondero è così: sparisce per anni, poi te lo ritrovi all’improvviso, come se lo avessi lasciato ieri, fraterno, affettuoso. Così comparve a Venezia nel luglio ’96, alla prima edizione di Venezia Poesia, dove io esponevo la mia mostra «La tribù dei poeti» e dove avevo allestito un atelier in Campo Santa Margherita per fotografare poeti e partecipanti: uno spazio di interpretazione creativa dell’evento e dei suoi personaggi attraverso la fotografia. E in cui Dondero subito si inserì, animando con vivacità l’atelier, dimenticando – o mettendo da parte – altri impegni e fermandosi alcuni giorni. Nacque un gioco fra noi, di cui le fotografie che corredano questa intervista sono la testimonianza. Oltre a fotografare i vari eventi (Dondero realizzò un raro reportage a colori, «In mezzo alla poesia», esposto l’anno dopo a Venezia), iniziammo a fotografarci reciprocamente, a volte scambiandoci le macchine fotografiche. Come nel ritratto scherzoso di Dondero, sotto la scritta «dal 1928» (sua data di nascita), che è risultato nel rullino di Mario (non ricordo perché me l’avesse affidato, o forse aveva utilizzato una mia macchina fotografica): ma in effetti l’avevo scattato io…
Anni fa arrivava all’improvviso a Milano e mi chiamava: dovevo lasciare tutto, correre da lui, sentivo che voleva vedermi con urgenza per delle cose importanti. Magari tutto si risolveva in una spaghettata, in una chiacchierata. E poi, sul più bello, era già con la borsa in mano: doveva correre, non capivo bene dove e perché.
Ne ha fatta di strada Mario Dondero in quasi sessant’anni di professione, dai mitici inizi al Bar Giamaica di Milano. Ha girato il mondo (ha scritto un testimone privilegiato come Corrado Stajano), «è stato nei posti caldi delle guerre e nei posti drammatici della pace. Ha viaggiato in Algeria negli anni della tortura, è stato in prigione in Guinea Bissau, è rimasto vittima delle violenze poliziesche in Italia… Ha raffigurato coraggio, conflitto e tragedia. Ma è tutto suo il dono di cogliere i piccoli momenti, di fissare l’attimo di cui non resterà traccia nel mondo». Come dimostrano i ritratti e i reportage esposti presso la Fondazione Tito Balestra nel Castello Malatestiano di Longiano, dove è nata l’idea di questa mostra: dalla partecipazione di Mario alle manifestazioni dedicate lo scorso anno a Michel Butor, che egli aveva fotografato a Parigi nel 1959 presso Les Éditions de Minuit insieme ad altri scrittori del nouveau roman. Un capitolo importante sulla vita di Dondero e sul suo “mestiere” di giornalista e fotografo. Una sintesi di come lui vede – da testimone – la “commedia umana”. Percezioni (apparire) che coincidono con la sua identità di uomo (appartenere). Tasselli di un mosaico attraverso il quale, alla fine, si intravede il suo autoritratto.
Antonio Ria
(questo testo introduce l’intervista di Ria a Dondero
pubblicata nel piccolo catalogo della Fondazione Tito Balestra in occasione della mostra)
Sagge sono le Muse - intermezzo 2008
rassegna di arte, letteratura, poesia e musica
a cura di Flaminio Balestra e Massimo Balestra
In occasione del Si Fest / Savignano Immagini Festival 08
Identità e percezioni 2. Apparire appartenere
Durante l'inaugurazione avrà luogo una conversazione pubblica fra Antonio Ria e Mario Dondero
Trentaquattro scatti in bianco e nero fra ritratti e reportage per la mostra a cura di Antonio Ria Mario Dondero. Una commedia umana in apertura alla Fondazione Tito Balestra di Longiano il 13 settembre. Fra i soggetti Francis Bacon, Marcuse, Laura Betti, Mario Schifano, Tano Festa, Eugene Ionesco, Paul Gautier per la sezione ritratti. Eterogenei i reportage, dai nomadi irlandesi in viaggio del 1968 ai Prigionieri algerini dopo la battaglia, dal cimitero ebraico di Praga nel 1972 alla Sorbona occupata nel maggio 1968, fino a una veduta di Berlino est il giorno prima della caduta del muro.
Appuntamento con l’angelo della storia
Come ha scritto Claudio Magris, Mario Dondero possiede una forza espressiva che lo aiuta a «viaggiare sentendosi sempre, nello stesso momento, nell’ignoto e a casa, ma sapendo di non avere, di non possedere una casa. Chi viaggia è sempre un randagio, uno straniero, un ospite; dorme in stanze che dopo di lui albergano sconosciuti; non possiede il guanciale su cui posa il capo, né il tetto che lo ripara».
Dondero è un personaggio mitico della fotografia italiana, quella che si è affermata a partire dagli anni Cinquanta, gravitando a Milano, a Brera, intorno al Bar Giamaica. Ma nel suo candore, Mario quasi non si accorge della storia che ormai si è depositata sulle sue vecchie macchine fotografiche: col suo sguardo sempre lucido, curioso, attento, a ottant’anni è sempre pronto a partire per una nuova avventura, come se fosse la prima. Con la stessa attenzione ai fatti, il medesimo rispetto per chi incontra: «un fotografo – ha scritto Corrado Stajano – che è sempre stato dalla parte delle persone riprese dal suo obiettivo, partecipe del loro destino, attento a cogliere uomini e donne in una luce di verità, senza violare i sentimenti più segreti e senza superare mai le gelose barriere private».
Lo ricordo a Parigi alla fine degli anni Ottanta, desideroso di fare un ritratto a Lalla Romano. L’ha seguita tutto il giorno, è stato con noi, aspettando il momento propizio, tra un impegno e l’altro della scrittrice, con la quale aveva subito simpatizzato. Aveva atteso pazientemente; ma alla fine, quando tutto era pronto, ha colto la stanchezza sul volto di Lalla. Non ha insistito, ha rinunciato. «Verrò a trovarla a Milano, a Brera», le aveva detto nel salutarla. Ma le sue visite erano sempre fugaci: arrivava e già ripartiva. Come altre, quella è una delle foto più care a Dondero: quelle che non ha potuto fare, ma che restano “fisse” nel suo cuore, “sviluppate” lentamente nella memoria, e che arricchiscono più di altre il suo già prezioso archivio.
Se il suo archivio mentale è lucido e sempre aggiornato, diverso è il discorso per l’archivio delle sue fotografie, dei negativi. Anche per questa mostra ho dovuto faticare non poco, e recarmi due volte nell’attuale sua casa di Fermo, nelle Marche, e “scavare” con lui tra le sue carte…
Mario Dondero è così: sparisce per anni, poi te lo ritrovi all’improvviso, come se lo avessi lasciato ieri, fraterno, affettuoso. Così comparve a Venezia nel luglio ’96, alla prima edizione di Venezia Poesia, dove io esponevo la mia mostra «La tribù dei poeti» e dove avevo allestito un atelier in Campo Santa Margherita per fotografare poeti e partecipanti: uno spazio di interpretazione creativa dell’evento e dei suoi personaggi attraverso la fotografia. E in cui Dondero subito si inserì, animando con vivacità l’atelier, dimenticando – o mettendo da parte – altri impegni e fermandosi alcuni giorni. Nacque un gioco fra noi, di cui le fotografie che corredano questa intervista sono la testimonianza. Oltre a fotografare i vari eventi (Dondero realizzò un raro reportage a colori, «In mezzo alla poesia», esposto l’anno dopo a Venezia), iniziammo a fotografarci reciprocamente, a volte scambiandoci le macchine fotografiche. Come nel ritratto scherzoso di Dondero, sotto la scritta «dal 1928» (sua data di nascita), che è risultato nel rullino di Mario (non ricordo perché me l’avesse affidato, o forse aveva utilizzato una mia macchina fotografica): ma in effetti l’avevo scattato io…
Anni fa arrivava all’improvviso a Milano e mi chiamava: dovevo lasciare tutto, correre da lui, sentivo che voleva vedermi con urgenza per delle cose importanti. Magari tutto si risolveva in una spaghettata, in una chiacchierata. E poi, sul più bello, era già con la borsa in mano: doveva correre, non capivo bene dove e perché.
Ne ha fatta di strada Mario Dondero in quasi sessant’anni di professione, dai mitici inizi al Bar Giamaica di Milano. Ha girato il mondo (ha scritto un testimone privilegiato come Corrado Stajano), «è stato nei posti caldi delle guerre e nei posti drammatici della pace. Ha viaggiato in Algeria negli anni della tortura, è stato in prigione in Guinea Bissau, è rimasto vittima delle violenze poliziesche in Italia… Ha raffigurato coraggio, conflitto e tragedia. Ma è tutto suo il dono di cogliere i piccoli momenti, di fissare l’attimo di cui non resterà traccia nel mondo». Come dimostrano i ritratti e i reportage esposti presso la Fondazione Tito Balestra nel Castello Malatestiano di Longiano, dove è nata l’idea di questa mostra: dalla partecipazione di Mario alle manifestazioni dedicate lo scorso anno a Michel Butor, che egli aveva fotografato a Parigi nel 1959 presso Les Éditions de Minuit insieme ad altri scrittori del nouveau roman. Un capitolo importante sulla vita di Dondero e sul suo “mestiere” di giornalista e fotografo. Una sintesi di come lui vede – da testimone – la “commedia umana”. Percezioni (apparire) che coincidono con la sua identità di uomo (appartenere). Tasselli di un mosaico attraverso il quale, alla fine, si intravede il suo autoritratto.
Antonio Ria
(questo testo introduce l’intervista di Ria a Dondero
pubblicata nel piccolo catalogo della Fondazione Tito Balestra in occasione della mostra)
13
settembre 2008
Mario Dondero – Una commedia umana. Ritratti e reportage
Dal 13 al 30 settembre 2008
fotografia
Location
EX CHIESA MADONNA DI LORETO – CASTELLO MALATESTIANO
Longiano, Piazza Malatestiana, (Forlì-cesena)
Longiano, Piazza Malatestiana, (Forlì-cesena)
Vernissage
13 Settembre 2008, ore 17
Ufficio stampa
CLARART
Autore
Curatore