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Valentin Carron – Luisant de sueur et de briantine
Ogni suo intervento, sia esso scultoreo, installativo o sonoro, corrisponde al bisogno di sentirsi radicati (non necessariamente contro, ma sicuramente verso il cosmopolitismo contemporaneo).
Comunicato stampa
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Sabato 20 settembre Viafarini inaugura una mostra personale dell'artista svizzero Valentin Carron nelle due sedi di Viafarini DOCVA, alla Fabbrica del Vapore e di VIR Viafarini-in-residence, presso la sede storica di via Farini 35. La mostra apre in occasione di START alle ore 18.00 presso VIR Viafarini-in-residence e alle ore 20.00 presso Viafarini DOCVA, dove seguirà rinfresco.
Valentin Carron (nato a Martigny, nel 1977; vive e lavora a Ginevra) focalizza la sua ricerca sul concetto di heimat, termine tedesco che possiede molte valenze semantiche, la cui complessità è difficilmente traducibile in altre lingue. La sua più forte caratterizzazione può essere approssimativamente resa con la perifrasi “terra d’origine”, intesa sia come luogo di provenienza che come contesto d’appartenenza. A questo concetto si iscrive parimenti la storia personale e quella delle proprie origini parentali, unitamente al contesto paesaggistico, culturale e persino alimentare.
L’heimat non indica un sentire immutabile, poiché cambia il nostro modo di esprimerlo e cambia il modo di percepire e concepire le nostre origini. I ricordi sono sempre più scomodi e confusi a causa delle accelerazioni e impennate dell’era contemporanea, che trasforma costantemente la realtà di fronte a noi e fraziona la nostra identità. Tornare in “quei posti” per riscoprire il nostro passato è impresa, se non prosaicamente e banalmente letta, difficile per chiunque, poiché arduo è reperire ciò che ci aiuta a ricordare. L’anima stessa si traveste e camuffa di continuo, poiché si mescola ad Altro, perdendo progressivamente l’esprit originario.
Il lavoro di Valentin Carron si fonda sul desiderio di far sopravvivere perentoriamente questo senso di appartenenza a un luogo specifico in un tempo dato. Ogni suo intervento, sia esso scultoreo, installativo o sonoro, corrisponde al bisogno di sentirsi radicati (non necessariamente contro, ma sicuramente verso il cosmopolitismo contemporaneo). All’immagine del cittadino del mondo che sa relazionarsi a culture diverse e sa incorporare coscientemente riferimenti disparati, Carron preferisce l’immagine dell’uomo empaticamente legato alle proprie tradizioni, visceralmente dipendente dal contesto rurale, dal “villaggio” in cui ha avuto origine la sua storia. Carron ricerca il senso d’appartenenza in un hortus conclusus di significazioni che lo circondano. Non l’hortus siccus, erbario dai campioni inodori e insapori, poiché ogni intervento mira a visualizzare le più caratterizzanti e significative fragranze.
L’artista girovaga intorno al suo “paesaggio” emozionale, esperienziale e visivo per definire un perimetro circoscritto che parli di lui, della sua terra e al contempo di ciò che gli sta intorno. La metafora forse più calzante è quella offerta da Ludwig Wittgenstein che nel tentativo di definire un campo del sapere molto specifico lo paragona a un’isola di cui misurare, centimetro per centimetro, il perimetro; per poi accorgersi, in conclusione, di aver solo profilato il bordo di ciò che gli gira intorno.
Questo senso di rassegnazione di fronte all’oceano dell’infinito in cui deborda ogni tentativo umano di definizione è la temperatura emotiva dominante anche del lavoro di Carron, artista svizzero, originario di Martigny, luogo di montagne e vallate agresti, coltivazione di vivo, baite, isolamento… romanticismo… porticati e periferie. Simboli folkloristici ed emblemi bizzarri si rincorrono in un gioco continuo di specchi.
Valentin Carron (nato a Martigny, nel 1977; vive e lavora a Ginevra) focalizza la sua ricerca sul concetto di heimat, termine tedesco che possiede molte valenze semantiche, la cui complessità è difficilmente traducibile in altre lingue. La sua più forte caratterizzazione può essere approssimativamente resa con la perifrasi “terra d’origine”, intesa sia come luogo di provenienza che come contesto d’appartenenza. A questo concetto si iscrive parimenti la storia personale e quella delle proprie origini parentali, unitamente al contesto paesaggistico, culturale e persino alimentare.
L’heimat non indica un sentire immutabile, poiché cambia il nostro modo di esprimerlo e cambia il modo di percepire e concepire le nostre origini. I ricordi sono sempre più scomodi e confusi a causa delle accelerazioni e impennate dell’era contemporanea, che trasforma costantemente la realtà di fronte a noi e fraziona la nostra identità. Tornare in “quei posti” per riscoprire il nostro passato è impresa, se non prosaicamente e banalmente letta, difficile per chiunque, poiché arduo è reperire ciò che ci aiuta a ricordare. L’anima stessa si traveste e camuffa di continuo, poiché si mescola ad Altro, perdendo progressivamente l’esprit originario.
Il lavoro di Valentin Carron si fonda sul desiderio di far sopravvivere perentoriamente questo senso di appartenenza a un luogo specifico in un tempo dato. Ogni suo intervento, sia esso scultoreo, installativo o sonoro, corrisponde al bisogno di sentirsi radicati (non necessariamente contro, ma sicuramente verso il cosmopolitismo contemporaneo). All’immagine del cittadino del mondo che sa relazionarsi a culture diverse e sa incorporare coscientemente riferimenti disparati, Carron preferisce l’immagine dell’uomo empaticamente legato alle proprie tradizioni, visceralmente dipendente dal contesto rurale, dal “villaggio” in cui ha avuto origine la sua storia. Carron ricerca il senso d’appartenenza in un hortus conclusus di significazioni che lo circondano. Non l’hortus siccus, erbario dai campioni inodori e insapori, poiché ogni intervento mira a visualizzare le più caratterizzanti e significative fragranze.
L’artista girovaga intorno al suo “paesaggio” emozionale, esperienziale e visivo per definire un perimetro circoscritto che parli di lui, della sua terra e al contempo di ciò che gli sta intorno. La metafora forse più calzante è quella offerta da Ludwig Wittgenstein che nel tentativo di definire un campo del sapere molto specifico lo paragona a un’isola di cui misurare, centimetro per centimetro, il perimetro; per poi accorgersi, in conclusione, di aver solo profilato il bordo di ciò che gli gira intorno.
Questo senso di rassegnazione di fronte all’oceano dell’infinito in cui deborda ogni tentativo umano di definizione è la temperatura emotiva dominante anche del lavoro di Carron, artista svizzero, originario di Martigny, luogo di montagne e vallate agresti, coltivazione di vivo, baite, isolamento… romanticismo… porticati e periferie. Simboli folkloristici ed emblemi bizzarri si rincorrono in un gioco continuo di specchi.
19
settembre 2008
Valentin Carron – Luisant de sueur et de briantine
Dal 19 settembre al 25 ottobre 2008
arte contemporanea
Location
DOCVA – DOCUMENTATION CENTER FOR VISUAL ARTS
Milano, Via Giulio Cesare Procaccini, 4, (Milano)
Milano, Via Giulio Cesare Procaccini, 4, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a sabato dalle 11.00 alle 19.00 e su appuntamento
Vernissage
20 Settembre 2008, ore 20
Ufficio stampa
STUDIO PESCI
Autore
Curatore