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Gianmaria Giannetti / Giuliano Menegon – Che c’è da guardare?
Un’ironica provocazione e al contempo una diretta interrogazione che i due artisti rivolgono a se stessi e a chi vorrà avvicinarsi e “fissare lo sguardo” sul loro lavoro.
Comunicato stampa
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Un’ironica provocazione e al contempo una diretta interrogazione che i due artisti rivolgono a se stessi e a chi vorrà avvicinarsi e “fissare lo sguardo” sul loro lavoro.
Un invito a non limitarsi a osservare passivamente l’opera, ma ad indagare l’insieme delle esperienze e delle emozioni che ne ha determinato la nascita: “La storia di un’opera può essere descritta come quella di una misteriosa scintilla venuta da chissà dove” – con queste parole Paul Klee introduce ad un processo misterioso che vale tanto per l’artista quanto per l’osservatore-interprete.
Un’artista infatti è originariamente interprete della sua visione e il suo procedere non è necessariamente lineare nel ricevere stimoli e nel dare risposte.
Complessi e personali sono gli elementi emozionali che, intrecciando esterno ed interno, conducono ad una elaborazione della visione, ad una sintesi formale autonoma e ad un linguaggio congeniale.
Per Giuliano Menegon esigenza fondamentale è “affrontare i sentimenti e le emozioni, chiarirli, per esprimerli”. Ma poichè, come lui stesso ha affermato, i suoi sentimenti e le sue emozioni sarebbero ben poca cosa, si è da lungo tempo rivolto ai poeti a lui più congeniali chiedendo loro di spiegargli il male di vivere, di sovrapporlo al suo, di entrare in consonanza con la sua stessa voce.
L’esito finale non è fatto di parole o di immagini, ma di materia pittorica autonoma nella sua forza evocativa e nel suo messaggio umanamente universale; in essa tutto si dissolve, si sedimenta e infine diviene forma che genera “...forme evanescenti di una memoria intrisa di dolore.”( M. Fochessati). Queste ombre larvatamente umane, nate da un’affinità culturale ed emotiva di Menegon con le liriche di Paul Celan, tornano nei dipinti esposti avvicinandosi e allontanandosi ripetutamente, ossessivamente. Sono presenze che nella scelta delle opere e nella sistemazione in mostra sembrano rivolgere allo spettatore la stessa tacita domanda “che c’è da guardare?”.
Per Gianmaria Giannetti l’indipendenza espressiva e la libertà interpretativa derivano sostanzialmente da un procedere artistico che egli stesso definice un “lavorare che è fatica e spaesamento. La mia prassi – continua – è la volontà, una volontà che lotta consciamente con il caos per ritrovare la forma, una casa, una materia, una civiltà”. E la sua ricerca di forma in continua trasformazione improvvisamente cattura una forma, talvolta geometrica come un cerchio o un mondo, talvolta di fantasia come strani e curiosi personaggi, esseri metà uomini e metà animali. Il linguaggio sembra adattarsi a queste creazioni variando di volta in volta le sue caratteristiche tecniche: da pittoricamente complesso e stratificato a elementare e grafico. La scrittura - spesso parole e versi tratti da sue poesie – si mescola alla pittura, fissando pensieri, graffiti, ritornelli talvolta cancellati da una riga tracciata ad annullare.
Lo spettatore è spinto dalla curiosità a riorganizzare questo puzzle di forme apparentemente infantili e inverosimili: alla fine del gioco l’immagine che ognuno riuscirà a ri-trovare sarà forse la risposta alla stessa proposta domanda.
Un invito a non limitarsi a osservare passivamente l’opera, ma ad indagare l’insieme delle esperienze e delle emozioni che ne ha determinato la nascita: “La storia di un’opera può essere descritta come quella di una misteriosa scintilla venuta da chissà dove” – con queste parole Paul Klee introduce ad un processo misterioso che vale tanto per l’artista quanto per l’osservatore-interprete.
Un’artista infatti è originariamente interprete della sua visione e il suo procedere non è necessariamente lineare nel ricevere stimoli e nel dare risposte.
Complessi e personali sono gli elementi emozionali che, intrecciando esterno ed interno, conducono ad una elaborazione della visione, ad una sintesi formale autonoma e ad un linguaggio congeniale.
Per Giuliano Menegon esigenza fondamentale è “affrontare i sentimenti e le emozioni, chiarirli, per esprimerli”. Ma poichè, come lui stesso ha affermato, i suoi sentimenti e le sue emozioni sarebbero ben poca cosa, si è da lungo tempo rivolto ai poeti a lui più congeniali chiedendo loro di spiegargli il male di vivere, di sovrapporlo al suo, di entrare in consonanza con la sua stessa voce.
L’esito finale non è fatto di parole o di immagini, ma di materia pittorica autonoma nella sua forza evocativa e nel suo messaggio umanamente universale; in essa tutto si dissolve, si sedimenta e infine diviene forma che genera “...forme evanescenti di una memoria intrisa di dolore.”( M. Fochessati). Queste ombre larvatamente umane, nate da un’affinità culturale ed emotiva di Menegon con le liriche di Paul Celan, tornano nei dipinti esposti avvicinandosi e allontanandosi ripetutamente, ossessivamente. Sono presenze che nella scelta delle opere e nella sistemazione in mostra sembrano rivolgere allo spettatore la stessa tacita domanda “che c’è da guardare?”.
Per Gianmaria Giannetti l’indipendenza espressiva e la libertà interpretativa derivano sostanzialmente da un procedere artistico che egli stesso definice un “lavorare che è fatica e spaesamento. La mia prassi – continua – è la volontà, una volontà che lotta consciamente con il caos per ritrovare la forma, una casa, una materia, una civiltà”. E la sua ricerca di forma in continua trasformazione improvvisamente cattura una forma, talvolta geometrica come un cerchio o un mondo, talvolta di fantasia come strani e curiosi personaggi, esseri metà uomini e metà animali. Il linguaggio sembra adattarsi a queste creazioni variando di volta in volta le sue caratteristiche tecniche: da pittoricamente complesso e stratificato a elementare e grafico. La scrittura - spesso parole e versi tratti da sue poesie – si mescola alla pittura, fissando pensieri, graffiti, ritornelli talvolta cancellati da una riga tracciata ad annullare.
Lo spettatore è spinto dalla curiosità a riorganizzare questo puzzle di forme apparentemente infantili e inverosimili: alla fine del gioco l’immagine che ognuno riuscirà a ri-trovare sarà forse la risposta alla stessa proposta domanda.
19
luglio 2008
Gianmaria Giannetti / Giuliano Menegon – Che c’è da guardare?
Dal 19 luglio al 19 agosto 2008
arte contemporanea
Location
MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA CASA DEL CONSOLE
Calice Ligure, Via Roma, 61, (Savona)
Calice Ligure, Via Roma, 61, (Savona)
Vernissage
19 Luglio 2008, ore 18
Autore