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Alberto Bongini – Lavorare il marmo
I lavori presentati – incorniciati e non – sono circa un centinaio e più che raccontare la storia del marmo, prezioso materiale delle Alpi Apuane, offrono soprattutto un’interpretazione dell’oggi
Comunicato stampa
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“Più che una semplice esposizione d’arte, la mostra intitolata “Lavorare il marmo” può veramente essere considerata un evento, in quanto le molte opere in visione – eseguite dal grafico e pittore Alberto Bongini, torinese di origini toscane – più che raccontare la storia del marmo, prezioso materiale delle Alpi Apuane, offrono soprattutto un’interpretazione dell’oggi. I lavori presentati – incorniciati e non – sono circa un centinaio, inseriti tra l’altro nel volume “Lavorare il marmo. Arte Artigianato Industria”, nel quale l’autore Lodovico Gierut ha posto pure quasi quattrocento istantanee dei cosiddetti “protagonisti”, ovvero scultori e artigiani, industriali e cavatori – scrittori e poeti e giornalisti e fotografi ... – d’ogni ordine e grado, alcuni dei quali del passato, come la foto di Carlo Carrà sulle Apuane, ma non mancano quelle di vari pensionati del settore. I nomi del cosiddetto ‘contemporaneo’, sono perciò numerosissimi: Vando D’Angiolo, Paolo Carli, Ivan Theimer, Igor Mitoraj, Amedeo Lanci, Gabriele Rovai, Roberto Valcamonici, Renzo Maggi, Gillo Dorfles, Giorgio Di Genova, Romano Cagnoni, Carlo Ludovico Ragghianti, Antonio Paolucci, Giò Pomodoro, Mario Botta, Marino Paolini, Leandro Da Prato, Massimo Mallegni, Massimiliano Simoni, Daniele Spina, Giuliana Cecchi, Michele Silicani, Danilo Orlandi, Mario Paiotti, Fiorenzo Barindelli, Nado Canuti, Romano Battaglia, Raffaello Bertoli, Chiara Celli, Bruna Nizzola, Marco Da Prato, Gian Paolo Giovannetti, Paolo Grigò, Paolo Lapi... e naturalmente Alberto Bongini. Quasi tutti raccontano e “si raccontano” in un filo logico che prende spunti – per gli artisti – da esposizioni fatte nel passato, e da altro. Il libro si muove diventando poesia e narrazione, riflessione con un’enormità di nomi alcuni dei quali assai noti, tanto da essere definito un autentico documento, in quanto la bibliografia ragionata è composta di oltre 280 note. Da un lato c’è dunque l’artista Bongini con disegni e dipinti su carta pregiata, su tela e su tavola, alcuni dei quali hanno un unico titolo, “Fantamarmi”, e altri prendono il nome dallo Studio di uno scultore o dell’altro e persino da alcune Industrie lapidee. L’idea concretata da Lodovico Gierut per rendere omaggio al marmo e ai protagonisti, anche per mezzo dei cosiddetti “creativi”, come di pensionati, è indubbiamente una carta vincente per un’esposizione e per un volume che sono un corpo unico per la giusta attenzione degli “addetti ai lavori”, ma non solo”.
In occasione dell’esposizione è disponibile il libro-documento di Lodovico Gierut “Lavorare il marmo. Arte Artigianato Industria”, Edizioni Comitato Archivio artistico-documentario Gierut, Marina di Pietrasanta, finalizzato ad aiuti socio-umanitari e a contributi culturali. Il volume è patrocinato da: Provincia di Lucca, Provincia di Massa-Carrara, Comuni di Pietrasanta, Seravezza, Stazzema, Massarosa, Viareggio, Forte dei Marmi, Camaiore, Montignoso. L’iniziativa è dedicata alla memoria di Marta Gierut (1977-2005). Foto opere di Alberto Bongini sul sito www.gierut.it Informazioni lodovico@gierut.it Cell. 3803941442.
*
Tra i vari interventi:
Massimo Mallegni, Sindaco di Pietrasanta: “Materia rude eppur capace di assumere le forme più sinuose, opaca e dalle venature di infinito colore, impenetrabile e al contempo porosa”, afferma che “tutto questo è il marmo, apparentemente privo di anima ma che, grazie all'ispirazione artistica, prende corpo e ‘voce’. Pietrasanta è punto di realizzazione di questa magica trasformazione, possibile grazie a quella tradizione che da tanti anni rende celebri le botteghe artigiane locali. Il marmo è dunque per la nostra città arte, lavoro, economia oltre che un biglietto da visita nel mondo.
Come cittadino di Pietrasanta fin da piccolo ho assorbito questo importante messaggio e, da Sindaco, ho inteso fare qualcosa di più, integrando le sculture in marmo nell'arredo urbano come gioielli da incastonare nel territorio e creando al contempo un percorso ideale che va a congiungere le storie dei diversi artisti che a Pietrasanta hanno voluto lasciare una propria traccia. In questo modo visitare la città significa davvero apprendere una lezione di sensibilità importante per capire lo spaccato di storia culturale ma anche intima e familiare che è fondamento del tessuto locale. Per la stragrande maggioranza della popolazione locale il marmo non è solo sinonimo di artisti o di creazioni uniche, ma anche la fatica patita dai padri e dai nonni nelle cave o a servizio delle aziende lapidee, fucine di sudore, professionalità e gran dignità”.
*
Pietro Cascella, scultore: “La scultura è un sogno di pietra, un sogno solido. Ci sono sogni belli e sogni brutti, dipende con quali cibi hai nutrito il tuo spirito.
La scultura la puoi toccare, la puoi “sentire” anche con gli occhi chiusi, al tatto come si fa con una donna amata.
Scolpire con gli occhi chiusi è come scolpire un sentimento, questa è la grande forza della scultura. Se riesci ad esprimere un sentimento e se esso è buono, fai un capolavoro, se no no. Da ragazzo una volta abbracciai la pietà di Palestrina, opera di Michelangelo, e fu un abbraccio fatale”.
*
Renzo Maggi, scultore: “Il marmo è un millenario mistero. Pensate a Piazza dei Miracoli a Pisa. Pensate ai pulpiti dei Pisano. L’uomo ne ha fatto un uso straordinario; pensate a Prassitele, alla Nike di Samotracia ecc. Noi scultori che lo scolpiamo davvero siamo parte di una storia che inizia da lontano, lontano. Dai cavatori ai camionisti, alle segherie e ai piazzali e a tutti quegli uomini che ci “girano” intorno.
Noi siamo le loro mani, da loro la saggezza e l’umiltà dello scolpire e di annusare e mangiare la polvere”.
*
Fiorenzo Barindelli, architetto e pittore: “Pensare al marmo di Carrara, vuol dire far tornare alla mente opere di immenso valore artistico eseguite da grandi scultori, tra i quali il più noto è senza dubbio Michelangelo Buonarroti.
L’aspetto di maggior fascino è sapere che il mito di questi capolavori continuerà a essere vivo anche nei secoli successivi.
Nel mio percorso artistico ho già previsto l’utilizzo di questo nobile elemento naturale, che mi permetterà di esprimere la bellezza con grande forza di penetrazione.
Una bellezza rigorosa, rappresentativa della mia arte, che intende indagare sul complesso rapporto tra l’uomo e il tempo.
Per comunicare questo messaggio mi affiderò dunque al marmo, in un’avventura artistica che, sono certo, durerà negli anni”.
*
Carlo Carli, già Sottosegretario di Stato ai Beni e Attività Culturali: “... Anzitutto, i legami tra la mia famiglia e il marmo. Come premessa credo si debba dire che nella Versilia del già Capitanato di Pietrasanta ogni famiglia, nel corso del Novecento, direttamente o indirettamente abbia avuto un legame con il marmo e la sua economia.
Mio padre, i suoi cugini in particolare, svolgevano la professione di trasportatori di marmo prima con i buoi e poi con i camion. Chiunque fosse passato da Ranocchiaio, località nella piana di Querceta, dove appunto c’è il borgo Carli, avrebbe potuto vedere i carri “mambrucche” e camion adibiti al trasporto dei marmi. Anche questo era un lavoro duro e impegnativo: basti pensare quando d’inverno con gelo e pioggia trasportavano carri pesanti trainati dai buoi dall’alto delle Apuane percorrendo la “linea d’Arni”, cioè la vecchia strada che consentiva di portare i blocchi dal piede di lizza fino a Forte dei Marmi al pontile caricatore per l’imbarco.
Mio padre più volte mi ha raccontato di questi viaggi partendo a notte fonda da Ranocchiaio, salire su in alto con i buoi, caricare spesso con la luce delle torce a olio o ad acetilene e poi ridiscendere dovendo prudentemente e con perizia usare i freni (la martinicca) del carro: un errore poteva essere fatale.
Per quanto mi riguarda, il rapporto diretto con il marmo l’ho avuto a undici anni frequentando la Scuola d’arte “Stagio Stagi” di Pietrasanta ancora sita in via S. Agostino. I miei genitori mi avevano indirizzato a questa scuola perché potessi apprendere il mestiere dello scalpellino. Ricordo il primo blocco informe che l’insegnante Marino Mariani mise sul cavalletto con il compito che ci aveva assegnato di realizzare un piano rettangolare su quel pezzo di marmo. Non posso dimenticare tutta l’attrezzatura di cui noi studenti eravamo dotati: mazzolo, subbia, gradino, scalpello, occhiali e blusa grigia. Il cappello si faceva con i fogli di giornale. La memoria va alle innumerevoli mazzolate che mi davo sulle “nocche” del pollice sinistro e la polvere di marmo che si metteva sulle sbucciature sanguinanti, e – ancora – al rumore metallico e disordinato ma piacevole (perché infondeva la gratificazione del lavoro) che nel laboratorio si produceva. Poi, dopo qualche settimana, ecco il piano di marmo; con la squadra Marino Mariani ne verificava il risultato. L’anno successivo si passava a fare le formelle, cioè bassorilievi che riproducevano figure o nature morte o allegorie di mesi che prima avevamo realizzato in creta sotto l’intelligente e appassionato insegnamento di Franco Miozzo.
Qualche anno fa ho fatto eseguire in marmo bianco dal compianto Alessandro Ricci, scultore di Pietrasanta, un bassorilievo di una mia linoleografia che rappresenta mia moglie, che purtroppo da qualche anno non c’è più.
Il marmo è indubbiamente una materia preziosa e forse noi versiliesi non ci rendiamo conto del suo intrinseco valore in quanto siamo abituati a conviverci e soprattutto ci sembra una risorsa inesauribile. Ma non è così.
Il marmo è fonte di gioia, di gratificazione e di ricchezza economica, ma è anche materia sulla quale si sono consumate tante tragedie: il sacrificio di molti lavoratori dalle cave, alla lizza, ai laboratori.
Grazie per l’ospitalità, e chiedo scusa se nel riferire quanto mio padre mi raccontava, ho commesso qualche imprecisione, ma sono certo che la sostanza (scolpita nella mia memoria) è quanto sopra descritto”.
*
Lelio Stagi, fotografo: “Provenendo da un antico ceppo familiare in cui il marmo c’è sempre stato, con mio padre, i miei zii e altri che hanno seguito tale operosa tradizione (chi è stato cavatore in Alta Versilia, chi ha lavorato in ditte ‘a valle’ di lapideo), conosco a fondo tale ambiente e soprattutto le Apuane.
Quando fotografo le cave, il pensiero va spesso al passato, alle vecchie storie, alle fiabe e ai racconti di quando ero bambino...”.
*
Dante Alighieri: “Aronta è quei che al ventre gli s’atterga, / Che nei Monti di Luni, dove ronca / Lo Carrarese tra bianchi marmi la spelonca / Per sua dimora... /.
*
Giovanni Paiotti, già cavatore: “Sono nato nel 1936 a Pietrasanta, ma ho sempre vissuto in Alta Versilia: per dieci anni in cava – tipo quella del Cecconi all’Isola Santa, alla “Pendia” – anche se prima ho fatto il calzolaio: sono stato nel marmo dove c’era lavoro e l’ho fatto agevolmente anche perché sapevo far da fabbro (grazie a mio padre Luciano) impegnandomi talvolta oltre l’orario. Per cause di salute sono poi passato a fare il fattorino e poi l’autista in una Società di trasporti. Anche oggi, da Terrinca, pensionato, guardo le mie montagne...”.
*
Mario Paiotti, industriale marmo: “Marmo? Che dire... è la mia vita, anzi, lo è stata, visto che oggi la sta continuando gagliardamente mia figlia Amanda. Ripercorro gli anni trascorsi sfogliando ogni tanto i cinque numeri della rivista “Marmo” dell’Henraux, ammirando le sculture e i disegni che conservo come reliquie – segno di un tempo mitico – e i manifesti della grande mostra di Henry Moore al Forte Belvedere di Firenze nel 1972, le foto assieme all’infaticabile Erminio Cidonio, ad Antoine Poncet, a Emile Gilioli di cui ho uno stupendo “Angelo”, a Branko Ružic, a Isamu Noguchi...
Mi tornano in mente le chiacchierate con Marchiori e con Carandente e con tanti amici e conoscenti che hanno fatto la storia della lavorazione artistica del marmo.
Rammento, agli inizi del Settanta, il venticinquesimo anniversario dell’apertura di quel meraviglioso e unico locale che era “la Bussola di Sergio Bernardini”: Noguchi fu davvero contento di realizzare una piccola bellissima scultura per ricordare Louis Armstrong... “... ha fatto pernacchie al mondo più di tutti gli altri”, sentenziò sorridendo. Quello fu davvero un evento! Oggi basta che si inauguri anche una mostriciattola e in troppi la definiscono evento.
Arnaldo Pomodoro fece una scultura per Ella Fitzgerald; Branko Ružic per Vittorio Gassman; Pietro Cascella per Adriano Celentano; Antoine Poncet per Mina...
Erano davvero abbinamenti, momenti d’arte unici, irripetibili...”.
*
Gabriele Dazzi, laureando e scrittore: “Provengo da un’estrazione sociale in cui il marmo è sempre stato assoluto protagonista, nel bene e nel male. Senza scavare troppo nell’albero genealogico della mia famiglia, è sufficiente dire che al mio nonno da parte materna, Ennio Braccini, ha condizionato pesantemente l’esistenza a causa di un grave infortunio subito nel trasportare blocchi di marmo, e che mio padre Roberto ha donato (e dona tuttora) la propria vita lavorativa in una delle più grandi Aziende della zona: la Freda, a Querceta.
Come tanti figli di questa terra, sono cresciuto con e grazie al marmo. Questa pietra calcarea è indubbiamente una presenza molto forte e tangibile per la Versilia e io non ho sicuramente le competenze per poter definire nei minimi dettagli le incredibili sfumature di tale minerale nel quadro della nostra realtà, poiché – come mi dice il babbo – “... per te il marmo è arabo!”.
A me piace immaginarlo, anche per associazione cromatica, come il latte che ha svezzato la maggior parte dei neonati, li ha nutriti fino a diventare uomini e li culla dolcemente nel loro vagare nell’aldilà”.
In occasione dell’esposizione è disponibile il libro-documento di Lodovico Gierut “Lavorare il marmo. Arte Artigianato Industria”, Edizioni Comitato Archivio artistico-documentario Gierut, Marina di Pietrasanta, finalizzato ad aiuti socio-umanitari e a contributi culturali. Il volume è patrocinato da: Provincia di Lucca, Provincia di Massa-Carrara, Comuni di Pietrasanta, Seravezza, Stazzema, Massarosa, Viareggio, Forte dei Marmi, Camaiore, Montignoso. L’iniziativa è dedicata alla memoria di Marta Gierut (1977-2005). Foto opere di Alberto Bongini sul sito www.gierut.it Informazioni lodovico@gierut.it Cell. 3803941442.
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Tra i vari interventi:
Massimo Mallegni, Sindaco di Pietrasanta: “Materia rude eppur capace di assumere le forme più sinuose, opaca e dalle venature di infinito colore, impenetrabile e al contempo porosa”, afferma che “tutto questo è il marmo, apparentemente privo di anima ma che, grazie all'ispirazione artistica, prende corpo e ‘voce’. Pietrasanta è punto di realizzazione di questa magica trasformazione, possibile grazie a quella tradizione che da tanti anni rende celebri le botteghe artigiane locali. Il marmo è dunque per la nostra città arte, lavoro, economia oltre che un biglietto da visita nel mondo.
Come cittadino di Pietrasanta fin da piccolo ho assorbito questo importante messaggio e, da Sindaco, ho inteso fare qualcosa di più, integrando le sculture in marmo nell'arredo urbano come gioielli da incastonare nel territorio e creando al contempo un percorso ideale che va a congiungere le storie dei diversi artisti che a Pietrasanta hanno voluto lasciare una propria traccia. In questo modo visitare la città significa davvero apprendere una lezione di sensibilità importante per capire lo spaccato di storia culturale ma anche intima e familiare che è fondamento del tessuto locale. Per la stragrande maggioranza della popolazione locale il marmo non è solo sinonimo di artisti o di creazioni uniche, ma anche la fatica patita dai padri e dai nonni nelle cave o a servizio delle aziende lapidee, fucine di sudore, professionalità e gran dignità”.
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Pietro Cascella, scultore: “La scultura è un sogno di pietra, un sogno solido. Ci sono sogni belli e sogni brutti, dipende con quali cibi hai nutrito il tuo spirito.
La scultura la puoi toccare, la puoi “sentire” anche con gli occhi chiusi, al tatto come si fa con una donna amata.
Scolpire con gli occhi chiusi è come scolpire un sentimento, questa è la grande forza della scultura. Se riesci ad esprimere un sentimento e se esso è buono, fai un capolavoro, se no no. Da ragazzo una volta abbracciai la pietà di Palestrina, opera di Michelangelo, e fu un abbraccio fatale”.
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Renzo Maggi, scultore: “Il marmo è un millenario mistero. Pensate a Piazza dei Miracoli a Pisa. Pensate ai pulpiti dei Pisano. L’uomo ne ha fatto un uso straordinario; pensate a Prassitele, alla Nike di Samotracia ecc. Noi scultori che lo scolpiamo davvero siamo parte di una storia che inizia da lontano, lontano. Dai cavatori ai camionisti, alle segherie e ai piazzali e a tutti quegli uomini che ci “girano” intorno.
Noi siamo le loro mani, da loro la saggezza e l’umiltà dello scolpire e di annusare e mangiare la polvere”.
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Fiorenzo Barindelli, architetto e pittore: “Pensare al marmo di Carrara, vuol dire far tornare alla mente opere di immenso valore artistico eseguite da grandi scultori, tra i quali il più noto è senza dubbio Michelangelo Buonarroti.
L’aspetto di maggior fascino è sapere che il mito di questi capolavori continuerà a essere vivo anche nei secoli successivi.
Nel mio percorso artistico ho già previsto l’utilizzo di questo nobile elemento naturale, che mi permetterà di esprimere la bellezza con grande forza di penetrazione.
Una bellezza rigorosa, rappresentativa della mia arte, che intende indagare sul complesso rapporto tra l’uomo e il tempo.
Per comunicare questo messaggio mi affiderò dunque al marmo, in un’avventura artistica che, sono certo, durerà negli anni”.
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Carlo Carli, già Sottosegretario di Stato ai Beni e Attività Culturali: “... Anzitutto, i legami tra la mia famiglia e il marmo. Come premessa credo si debba dire che nella Versilia del già Capitanato di Pietrasanta ogni famiglia, nel corso del Novecento, direttamente o indirettamente abbia avuto un legame con il marmo e la sua economia.
Mio padre, i suoi cugini in particolare, svolgevano la professione di trasportatori di marmo prima con i buoi e poi con i camion. Chiunque fosse passato da Ranocchiaio, località nella piana di Querceta, dove appunto c’è il borgo Carli, avrebbe potuto vedere i carri “mambrucche” e camion adibiti al trasporto dei marmi. Anche questo era un lavoro duro e impegnativo: basti pensare quando d’inverno con gelo e pioggia trasportavano carri pesanti trainati dai buoi dall’alto delle Apuane percorrendo la “linea d’Arni”, cioè la vecchia strada che consentiva di portare i blocchi dal piede di lizza fino a Forte dei Marmi al pontile caricatore per l’imbarco.
Mio padre più volte mi ha raccontato di questi viaggi partendo a notte fonda da Ranocchiaio, salire su in alto con i buoi, caricare spesso con la luce delle torce a olio o ad acetilene e poi ridiscendere dovendo prudentemente e con perizia usare i freni (la martinicca) del carro: un errore poteva essere fatale.
Per quanto mi riguarda, il rapporto diretto con il marmo l’ho avuto a undici anni frequentando la Scuola d’arte “Stagio Stagi” di Pietrasanta ancora sita in via S. Agostino. I miei genitori mi avevano indirizzato a questa scuola perché potessi apprendere il mestiere dello scalpellino. Ricordo il primo blocco informe che l’insegnante Marino Mariani mise sul cavalletto con il compito che ci aveva assegnato di realizzare un piano rettangolare su quel pezzo di marmo. Non posso dimenticare tutta l’attrezzatura di cui noi studenti eravamo dotati: mazzolo, subbia, gradino, scalpello, occhiali e blusa grigia. Il cappello si faceva con i fogli di giornale. La memoria va alle innumerevoli mazzolate che mi davo sulle “nocche” del pollice sinistro e la polvere di marmo che si metteva sulle sbucciature sanguinanti, e – ancora – al rumore metallico e disordinato ma piacevole (perché infondeva la gratificazione del lavoro) che nel laboratorio si produceva. Poi, dopo qualche settimana, ecco il piano di marmo; con la squadra Marino Mariani ne verificava il risultato. L’anno successivo si passava a fare le formelle, cioè bassorilievi che riproducevano figure o nature morte o allegorie di mesi che prima avevamo realizzato in creta sotto l’intelligente e appassionato insegnamento di Franco Miozzo.
Qualche anno fa ho fatto eseguire in marmo bianco dal compianto Alessandro Ricci, scultore di Pietrasanta, un bassorilievo di una mia linoleografia che rappresenta mia moglie, che purtroppo da qualche anno non c’è più.
Il marmo è indubbiamente una materia preziosa e forse noi versiliesi non ci rendiamo conto del suo intrinseco valore in quanto siamo abituati a conviverci e soprattutto ci sembra una risorsa inesauribile. Ma non è così.
Il marmo è fonte di gioia, di gratificazione e di ricchezza economica, ma è anche materia sulla quale si sono consumate tante tragedie: il sacrificio di molti lavoratori dalle cave, alla lizza, ai laboratori.
Grazie per l’ospitalità, e chiedo scusa se nel riferire quanto mio padre mi raccontava, ho commesso qualche imprecisione, ma sono certo che la sostanza (scolpita nella mia memoria) è quanto sopra descritto”.
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Lelio Stagi, fotografo: “Provenendo da un antico ceppo familiare in cui il marmo c’è sempre stato, con mio padre, i miei zii e altri che hanno seguito tale operosa tradizione (chi è stato cavatore in Alta Versilia, chi ha lavorato in ditte ‘a valle’ di lapideo), conosco a fondo tale ambiente e soprattutto le Apuane.
Quando fotografo le cave, il pensiero va spesso al passato, alle vecchie storie, alle fiabe e ai racconti di quando ero bambino...”.
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Dante Alighieri: “Aronta è quei che al ventre gli s’atterga, / Che nei Monti di Luni, dove ronca / Lo Carrarese tra bianchi marmi la spelonca / Per sua dimora... /.
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Giovanni Paiotti, già cavatore: “Sono nato nel 1936 a Pietrasanta, ma ho sempre vissuto in Alta Versilia: per dieci anni in cava – tipo quella del Cecconi all’Isola Santa, alla “Pendia” – anche se prima ho fatto il calzolaio: sono stato nel marmo dove c’era lavoro e l’ho fatto agevolmente anche perché sapevo far da fabbro (grazie a mio padre Luciano) impegnandomi talvolta oltre l’orario. Per cause di salute sono poi passato a fare il fattorino e poi l’autista in una Società di trasporti. Anche oggi, da Terrinca, pensionato, guardo le mie montagne...”.
*
Mario Paiotti, industriale marmo: “Marmo? Che dire... è la mia vita, anzi, lo è stata, visto che oggi la sta continuando gagliardamente mia figlia Amanda. Ripercorro gli anni trascorsi sfogliando ogni tanto i cinque numeri della rivista “Marmo” dell’Henraux, ammirando le sculture e i disegni che conservo come reliquie – segno di un tempo mitico – e i manifesti della grande mostra di Henry Moore al Forte Belvedere di Firenze nel 1972, le foto assieme all’infaticabile Erminio Cidonio, ad Antoine Poncet, a Emile Gilioli di cui ho uno stupendo “Angelo”, a Branko Ružic, a Isamu Noguchi...
Mi tornano in mente le chiacchierate con Marchiori e con Carandente e con tanti amici e conoscenti che hanno fatto la storia della lavorazione artistica del marmo.
Rammento, agli inizi del Settanta, il venticinquesimo anniversario dell’apertura di quel meraviglioso e unico locale che era “la Bussola di Sergio Bernardini”: Noguchi fu davvero contento di realizzare una piccola bellissima scultura per ricordare Louis Armstrong... “... ha fatto pernacchie al mondo più di tutti gli altri”, sentenziò sorridendo. Quello fu davvero un evento! Oggi basta che si inauguri anche una mostriciattola e in troppi la definiscono evento.
Arnaldo Pomodoro fece una scultura per Ella Fitzgerald; Branko Ružic per Vittorio Gassman; Pietro Cascella per Adriano Celentano; Antoine Poncet per Mina...
Erano davvero abbinamenti, momenti d’arte unici, irripetibili...”.
*
Gabriele Dazzi, laureando e scrittore: “Provengo da un’estrazione sociale in cui il marmo è sempre stato assoluto protagonista, nel bene e nel male. Senza scavare troppo nell’albero genealogico della mia famiglia, è sufficiente dire che al mio nonno da parte materna, Ennio Braccini, ha condizionato pesantemente l’esistenza a causa di un grave infortunio subito nel trasportare blocchi di marmo, e che mio padre Roberto ha donato (e dona tuttora) la propria vita lavorativa in una delle più grandi Aziende della zona: la Freda, a Querceta.
Come tanti figli di questa terra, sono cresciuto con e grazie al marmo. Questa pietra calcarea è indubbiamente una presenza molto forte e tangibile per la Versilia e io non ho sicuramente le competenze per poter definire nei minimi dettagli le incredibili sfumature di tale minerale nel quadro della nostra realtà, poiché – come mi dice il babbo – “... per te il marmo è arabo!”.
A me piace immaginarlo, anche per associazione cromatica, come il latte che ha svezzato la maggior parte dei neonati, li ha nutriti fino a diventare uomini e li culla dolcemente nel loro vagare nell’aldilà”.
26
luglio 2008
Alberto Bongini – Lavorare il marmo
Dal 26 luglio al 03 agosto 2008
arte contemporanea
Location
GALLERIA LA MERIDIANA
Pietrasanta, Via Padre Eugenio Barsanti, 29, (Lucca)
Pietrasanta, Via Padre Eugenio Barsanti, 29, (Lucca)
Orario di apertura
ore 18-24
Vernissage
26 Luglio 2008, ore 21,30
Sito web
www.gierut.it
Autore
Curatore