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L’Abbandono
Gli autori riescono ad individuare tra le pieghe del concetto di abbandono un convitato di pietra il cui solo nome riempie di terrore l’umanità intera; giacché l’abbandono religioso altro non è che preparazione ad una vita nuova, che viene dopo la fine della presente e l’abbandono sociale, affettivo, altro non è che sparizione, anch’esso lenta e metodica preparazione alla fine della vita
Comunicato stampa
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L'abbandono è un concetto a doppio taglio; da un lato esso ci indica la fine della volontà e di ogni resistenza, onde diventare un tuttuno con forze più grandi di noi; dall'altro esso ci indica la sconfitta del nostro essere homo faber, artefici del proprio destino ed in qualche misura autosufficienti. Abbandonarsi, quindi, ed essere abbandonati; come la donna procrea lasciandosi alle spalle il proprio stato razionale ed entrando in contatto con la natura profonda della fisiologia, venendo alla fine dominata dalla necessità inerente alla funzione corporale e sessuale, oppure come la persona che, persi i propri punti di riferimento sociali, affettivi, culturali, è gettata nel mondo come un naufrago in balia degli eventi.
Cosa resta durante e dopo l'abbandono se non l'individuo? Meglio, cosa resta se non il fatto che esiste un gioco con una posta molto alta che altro non è che il singolo che cerca di difendersi mantenendo i suoi legami con gli altri o aderendo ad una sorta di trascendenza, un destino variamente declinabile a partire dalla maternità fino all'ascesi religiosa. E anche qui sempre in bilico poiché, indipendentemente dalle vette raggiungibili nel rapporto con l'assoluto, la caduta, la seconda lama dell'abbandono, quella che separa e che emargina è sempre in agguato. Per le religioni cristiane, ad esempio, l'espressione “Dio mio, perché mi hai abbandonato” rende proprio l'idea della criticità della lama.
Camminando sulla lama di un rasoio, come nel concetto di abbandono, è facile scivolare dall'uno e dall'altro lato, ferirsi, spaccarsi a metà.
L'abbandono, qui rappresentato da Michele Capitani, Alessandro Serra e Duilio Grassini, secondo le loro rispettive sensibilità, ci informa sia sulle possibili declinazioni che sui pericoli. Ma gli autori, attenti e solleciti, riescono ad individuare tra le pieghe del concetto un convitato di pietra il cui solo nome riempie di terrore l'umanità intera; giacché l'abbandono religioso altro non è che preparazione ad una vita nuova, che viene dopo la fine della presente e l'abbandono sociale, affettivo, altro non è che sparizione, anch'esso lenta e metodica preparazione alla fine della vita.
In un gioco di vetri e specchi in cui l'assenza si palesa sapientemente filtrata, come nel Capitani, nella lentezza dei gesti della creatura che ci consegna il Grassini e nel ruvido realismo della materia del Serra, si scorge l'alfabeto della nostra più intima eppure maggiormente manifesta paura, quella di scomparire.
Eppure non è un caso se l'homo sapiens sapiens è in cima alla catena alimentare; nel corso della nostra evoluzione, sia pur tra mille incertezze e cadute, come specie siamo riusciti a padroneggiare in gran parte la natura ed il nostro destino fisiologico; come esseri dotati di pensiero razionale abbiamo fatto i conti con le nostre incertezze e paure.
In questa sede il gesto estetico, anzi meglio, il gesto del registrare il nostro sguardo che è la fotografia, ha una valenza esorcizzante; mettendo in scena sia l'abbandono che il suo mandante, creiamo una distanza, uno spazio per la riflessione ed il pensiero, lontano dall'immediatezza dell'accadimento, che ci dà la possibilità di arginare il nostro timore.
Il gesto estetico, condensato in un click, rendendo la nostra paura un oggetto, ci difende da essa.
Cosa resta durante e dopo l'abbandono se non l'individuo? Meglio, cosa resta se non il fatto che esiste un gioco con una posta molto alta che altro non è che il singolo che cerca di difendersi mantenendo i suoi legami con gli altri o aderendo ad una sorta di trascendenza, un destino variamente declinabile a partire dalla maternità fino all'ascesi religiosa. E anche qui sempre in bilico poiché, indipendentemente dalle vette raggiungibili nel rapporto con l'assoluto, la caduta, la seconda lama dell'abbandono, quella che separa e che emargina è sempre in agguato. Per le religioni cristiane, ad esempio, l'espressione “Dio mio, perché mi hai abbandonato” rende proprio l'idea della criticità della lama.
Camminando sulla lama di un rasoio, come nel concetto di abbandono, è facile scivolare dall'uno e dall'altro lato, ferirsi, spaccarsi a metà.
L'abbandono, qui rappresentato da Michele Capitani, Alessandro Serra e Duilio Grassini, secondo le loro rispettive sensibilità, ci informa sia sulle possibili declinazioni che sui pericoli. Ma gli autori, attenti e solleciti, riescono ad individuare tra le pieghe del concetto un convitato di pietra il cui solo nome riempie di terrore l'umanità intera; giacché l'abbandono religioso altro non è che preparazione ad una vita nuova, che viene dopo la fine della presente e l'abbandono sociale, affettivo, altro non è che sparizione, anch'esso lenta e metodica preparazione alla fine della vita.
In un gioco di vetri e specchi in cui l'assenza si palesa sapientemente filtrata, come nel Capitani, nella lentezza dei gesti della creatura che ci consegna il Grassini e nel ruvido realismo della materia del Serra, si scorge l'alfabeto della nostra più intima eppure maggiormente manifesta paura, quella di scomparire.
Eppure non è un caso se l'homo sapiens sapiens è in cima alla catena alimentare; nel corso della nostra evoluzione, sia pur tra mille incertezze e cadute, come specie siamo riusciti a padroneggiare in gran parte la natura ed il nostro destino fisiologico; come esseri dotati di pensiero razionale abbiamo fatto i conti con le nostre incertezze e paure.
In questa sede il gesto estetico, anzi meglio, il gesto del registrare il nostro sguardo che è la fotografia, ha una valenza esorcizzante; mettendo in scena sia l'abbandono che il suo mandante, creiamo una distanza, uno spazio per la riflessione ed il pensiero, lontano dall'immediatezza dell'accadimento, che ci dà la possibilità di arginare il nostro timore.
Il gesto estetico, condensato in un click, rendendo la nostra paura un oggetto, ci difende da essa.
05
luglio 2008
L’Abbandono
Dal 05 al 20 luglio 2008
fotografia
Location
CAFFE’ LETTERARIO BELZEBOOK
Roma, Via Dei Marsi, 59, (Roma)
Roma, Via Dei Marsi, 59, (Roma)
Orario di apertura
17-01
Autore
Curatore