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Alessandra Bonomini – Specchio Temporale
Nella irrefrenabile varietà e persino bellezza del mondo, Alessandra Bonomini raccoglie con minuta sensibilità dettagli in apparenza inconsistenti, attimi non decisivi, frazioni sottratte al continuum dell’esistenza.
Comunicato stampa
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Comunicato stampa
Inaugura la mostra personale di Alessandra Bonomini. La rassegna avrà due sedi espositive la prima a Castell’Arquato nel antico Palazzo della Pretura dal 5 al 27 luglio 2008, l’inaugurazione è prevista per sabato 5 luglio alle ore 18.00.
La seconda sede espositiva sarà l’Auditorium S. Maria delle Grazie a Bobbio dal 6 al 18 agosto 2008, l’inaugurazione avverrà mercoledì 6 agosto alle ore 18.30.
La presentazione in catalogo è stata affidata alla critica d’arte Martina Corgnati che ha ben evidenziato le qualità interpretative e tecniche della giovane artista piacentina formatasi all’Accademia di Brera a Milano.
Specchio Temporale
Nella irrefrenabile varietà e persino bellezza del mondo, Alessandra Bonomini raccoglie con minuta sensibilità dettagli in apparenza inconsistenti, attimi non decisivi, frazioni sottratte al continuum dell’esistenza. Fotografi come Robert Frank hanno fatto di scelte come queste una teoria : la vita è in between, la fotografia mente quando pretende di isolare, anzi compie un’operazione indebita. Anche Alessandra Bonomini diffida delle idealizzazioni. Diffida anche delle parole (di cui pure fa abbondante uso nel tentativo di chiarire intenzioni e circostanze, o forse di renderle più oscure), dei testi critici che pretendono di spiegare, delle interpretazioni troppo schematiche e convinte. Accanto a lei invece sembrerebbe necessaria una parola che non si sovrapponga ma piuttosto accompagni con circospezione, una parola capace di girare intorno, offrendo suggestioni e possibilità per pensare.
Perché tante precauzioni ? perché pretendere di dire la verità, di avere l’ultima parola è ridicolo: davvero ridicolo quando c’è questo flusso che affonda le impressioni una nell’altra, una addosso all’altra e il mondo resta in fondo inaccessibile oltre alla lente smerigliata della nostra soggettività mutevole e instabile. <> ammonisce Jean –Paul Sartre (Immagine e coscienza, Gallimard-Einaudi, 1948-80, p.19) <>. E poi, è chiaro: già mentre guardo, ad ogni mio sguardo, c’è qualcosa che continuamente mi sfugge, tanto che l’argomento della mia rimostranza o del mio problema non è più il qualcosa ma lo sfuggire, non è nemmeno lo iato fra visione e conoscenza ma l’opacità in agguato, fra impressione, visione, senso.
Ecco allora quadri come 156 chilometri ds, Riposo del movimento, Qualche volta e il bellissimo Ritratto, Spia, Il più esplicativo, quasi programmatico è il primo: la realtà si intravede deformata, solo attraverso il vetro, anzi si forma di riflesso, indirettamente. I prigionieri immobili nella caverna, dice Platone, non sapendo quel che accade alle loro spalle e non avendo esperienza del mondo esterno interpretano le ombre come oggetti reali: animali, piante e persone.
Definire “banale”, “ordinario” o “quotidiano” il frammento di esistenza che questi dipinti inquadrano, benché perfettamente legittimo e veridico, nondimeno è fuorviante: Alessandra Bonomini non coltiva il piacere dell’understatement a tutti i costi ma piuttosto si sofferma sulla distanza fra vedere e sapere, sui miraggi che si formano continuamente sulla strada della conoscenza (per non dire dell’impossibilità di una conoscenza oggettiva). Il parabrezza lo conferma come anche la prospettiva distorta della vetrina “Occhipinti” di un dipinto precedente.
Altrove non è il vetro ma la messa a fuoco che si concentra con insistenza su un qualche punto del quadro, lasciando il resto nel vago del colore, della sfumatura, della dissolvenza (in fotografia si chiama flou). Nel grande dittico intitolato Qualche volta (2007) troviamo una ragazza dietro a una specie di banco, degli oggetti in mano, un sorriso allusivo ma non capiamo a cosa, a cosa cioè possa mai alludere. C’è un’intimità in questa scena che le circostanze non giustificano e che tende a creare, quindi, un certo imbarazzo. Dove siamo ? in un bar, a casa, a una festa ? chi è la ragazza ? chi è, innanzitutto, per noi ? l’ambiente resta indistinto, affogato in un grande specchio. Supponendo, ma è una supposizione, di trovarci in un bar e che la ragazza sia l’inserviente, la scena potrebbe farci tornare in mente il capolavoro di Manet, Un bar a le Folie Berger, per quella certa attualità di cronaca che l’immagine convoglia, e quella vista insinuante e indiretta sull’incombenza inopportuna dell’avventore-seduttore a cui la ragazza restituisce un’espressione disillusa e triste pur nel sorriso obbligato dalle circostanze.
Ma se là c’era la relazione, forzosa quanto si vuole ma pur sempre relazione, qui resta solo una specie di silenzio. Lo specchio non è verticale ma inclinato pertanto non inquadra le facce ma il pavimento e le gambe di mobili in stile. Il sorriso ? non c’è nessuno dall’altra parte del bancone, il gioco resta aperto e in qualche modo ci coinvolge.
Qualcosa di simile accade ancora nel Ritratto, Spia, ritratto di donna, donna non giovane, grandi occhiali. Sguardo fisso contro di noi, sguardo penetrante, quasi inquisitorio, ma non privo di dolcezza. Il suo volto è tutto a fuoco, il tratto finissimo e carezzevole ne svela ogni aspetto e ne definisce completamente la fisionomia. Il resto è una sinfonia cromatica che riempie gli occhi senza spiegare niente (o molto poco) dei suoi contenuti e della sua spazialità. Per insistere ancora nel gioco dei riferimenti, ci si permette di chiamare in causa Klimt, con quelle sontuose composizioni arabescate da cui quasi all’improvviso emerge dettagliatissimo fra precisi contorni un volto o un corpo femminile.
Non è usuale che un pittore dei nostri anni sappia abbandonarsi con tanta soddisfazione all’esuberanza della decorazione, al piacere del colore, dell’intarsio, delle forme, di un gioco combinatorio di cose diverse, tanto denso da diventare horror vacui. La pittura di Alessandra Bonomini è spesso rigogliosa e negli ultimi anni ha coltivato, ha lasciato esplodere questo naturale rigoglio, accompagnando l’incisiva tensione del segno, una dote da illustratore quasi da vignettista, con un gusto lussureggiante del colore, il cinabro e l’arancio, il turchese, blu cobalto, verde smeraldo, bellissimo viola squillante. Perché resistere ? quando Alessandra Bonomini era piccola, la pittura europea, confinata per anni in posizioni quasi marginali e sospette, stava recuperando con gioia la propria pienezza di presenza sulla scena dell’arte. Transavanguardia, neo-espressionismo, pittura selvaggia, nuova figurazione e quant’altro ripropongono tutti insieme colore, emozione, racconto, che attraversano poi in gran parte la lunga stagione di eclettismo immediatamente successiva e restano risorse accessibili fino al presente.
Sono questi infatti gli elementi che Alessandra Bonomini manipola liberamente da diversi anni a questa parte, è questo il repertorio che le è stato consegnato e a cui attinge. Infatti, si può fare quello che si vuole. Persino troppo. Ma resta quel volto, quello sguardo a infrangere l’idillio e a disturbare il nostro momentaneo disimpegno. Ci squadra senza esitazioni ma forse si sbaglia: noi non c’entriamo niente. Il dialogo che s’ingaggia qui infatti non è simmetrico e sembra voler spezzare l’antica convenzione del ritratto pittorico basato sulla fondamentale passività del soggetto, che è lì soprattutto per farsi guardare. Qui invece questo soggetto è attivo, soprattutto guarda, tanto da spingerci in contropiede, da metterci un po’ a disagio. Di nuovo quello che si insinua è una distanza, una domanda troppo diretta e troppo franca. L’artista, forse, mette a nudo un particolare del suo vissuto ma facendolo non ci aiuta a capire, anzi sottolinea soltanto la nostra totale inadeguatezza a farlo. Non troppo diversa la situazione che si crea con un quadro un poco precedente, Riposo del movimento (2006), una specie di portico di una vecchia struttura rurale non privo di quarti di nobiltà ma disseminato di sedie vuote e un’altalena dismessa. Dove siamo ? perché proprio lì ? siamo entrati a metà film e ci rendiamo conto perfettamente che non sapremo mai più chi è l’assassino e neanche la vittima, anzi che forse non c’è nessun assassino e nessuna vittima.
Possiamo, insomma, farci delle idee ma non aspettare che i fatti ce le confermino perché i fatti non ci sono, ci sono solo quadri pieni di fastosa felicità pittorica e di ambiguità. << Dal fondo remoto del corridoio, lo specchio ci spiava. Scoprimmo (a notte alta questa scoperta è inevitabile) che gli specchi hanno qualcosa di mostruoso>>, incomincia un celebre racconto di Jorge Luis Borges: in queste opere proliferano tutte le specie di specchi, da parete, retrovisori, ambientali, indicatori e forse persino da borsetta. Oggetti che insinuano nuove prospettive, disintegrano l’unità spaziale, compromettono le nostre certezze. Non si tratta, non si tratta solo di attimi sospesi, sottratti al flusso temporale, all’irresistibile fuga in avanti, ma di un attacco portato al cuore stesso dell’evidenza, dell’apparente oggettività delle cose, addobbato con i ricchi abiti di un segno elastico e sensibile e di un colore sfarzoso, lussureggiante. Questo linguaggio che offre le prime manifestazioni di se nel 2003-04, ha raggiunto adesso una maggiore complessità, direttamente proporzionale al distacco perplesso di Alessandra Bonomini, più che mai decisa a insinuare fra se e le situazioni quanti più filtri, quanti più distanziatori, quanti più riflessi possibile.
D’altra parte conosciamo qualcosa che non sia riflesso ?
Martina Corgnati
Inaugura la mostra personale di Alessandra Bonomini. La rassegna avrà due sedi espositive la prima a Castell’Arquato nel antico Palazzo della Pretura dal 5 al 27 luglio 2008, l’inaugurazione è prevista per sabato 5 luglio alle ore 18.00.
La seconda sede espositiva sarà l’Auditorium S. Maria delle Grazie a Bobbio dal 6 al 18 agosto 2008, l’inaugurazione avverrà mercoledì 6 agosto alle ore 18.30.
La presentazione in catalogo è stata affidata alla critica d’arte Martina Corgnati che ha ben evidenziato le qualità interpretative e tecniche della giovane artista piacentina formatasi all’Accademia di Brera a Milano.
Specchio Temporale
Nella irrefrenabile varietà e persino bellezza del mondo, Alessandra Bonomini raccoglie con minuta sensibilità dettagli in apparenza inconsistenti, attimi non decisivi, frazioni sottratte al continuum dell’esistenza. Fotografi come Robert Frank hanno fatto di scelte come queste una teoria : la vita è in between, la fotografia mente quando pretende di isolare, anzi compie un’operazione indebita. Anche Alessandra Bonomini diffida delle idealizzazioni. Diffida anche delle parole (di cui pure fa abbondante uso nel tentativo di chiarire intenzioni e circostanze, o forse di renderle più oscure), dei testi critici che pretendono di spiegare, delle interpretazioni troppo schematiche e convinte. Accanto a lei invece sembrerebbe necessaria una parola che non si sovrapponga ma piuttosto accompagni con circospezione, una parola capace di girare intorno, offrendo suggestioni e possibilità per pensare.
Perché tante precauzioni ? perché pretendere di dire la verità, di avere l’ultima parola è ridicolo: davvero ridicolo quando c’è questo flusso che affonda le impressioni una nell’altra, una addosso all’altra e il mondo resta in fondo inaccessibile oltre alla lente smerigliata della nostra soggettività mutevole e instabile. <
Ecco allora quadri come 156 chilometri ds, Riposo del movimento, Qualche volta e il bellissimo Ritratto, Spia, Il più esplicativo, quasi programmatico è il primo: la realtà si intravede deformata, solo attraverso il vetro, anzi si forma di riflesso, indirettamente. I prigionieri immobili nella caverna, dice Platone, non sapendo quel che accade alle loro spalle e non avendo esperienza del mondo esterno interpretano le ombre come oggetti reali: animali, piante e persone.
Definire “banale”, “ordinario” o “quotidiano” il frammento di esistenza che questi dipinti inquadrano, benché perfettamente legittimo e veridico, nondimeno è fuorviante: Alessandra Bonomini non coltiva il piacere dell’understatement a tutti i costi ma piuttosto si sofferma sulla distanza fra vedere e sapere, sui miraggi che si formano continuamente sulla strada della conoscenza (per non dire dell’impossibilità di una conoscenza oggettiva). Il parabrezza lo conferma come anche la prospettiva distorta della vetrina “Occhipinti” di un dipinto precedente.
Altrove non è il vetro ma la messa a fuoco che si concentra con insistenza su un qualche punto del quadro, lasciando il resto nel vago del colore, della sfumatura, della dissolvenza (in fotografia si chiama flou). Nel grande dittico intitolato Qualche volta (2007) troviamo una ragazza dietro a una specie di banco, degli oggetti in mano, un sorriso allusivo ma non capiamo a cosa, a cosa cioè possa mai alludere. C’è un’intimità in questa scena che le circostanze non giustificano e che tende a creare, quindi, un certo imbarazzo. Dove siamo ? in un bar, a casa, a una festa ? chi è la ragazza ? chi è, innanzitutto, per noi ? l’ambiente resta indistinto, affogato in un grande specchio. Supponendo, ma è una supposizione, di trovarci in un bar e che la ragazza sia l’inserviente, la scena potrebbe farci tornare in mente il capolavoro di Manet, Un bar a le Folie Berger, per quella certa attualità di cronaca che l’immagine convoglia, e quella vista insinuante e indiretta sull’incombenza inopportuna dell’avventore-seduttore a cui la ragazza restituisce un’espressione disillusa e triste pur nel sorriso obbligato dalle circostanze.
Ma se là c’era la relazione, forzosa quanto si vuole ma pur sempre relazione, qui resta solo una specie di silenzio. Lo specchio non è verticale ma inclinato pertanto non inquadra le facce ma il pavimento e le gambe di mobili in stile. Il sorriso ? non c’è nessuno dall’altra parte del bancone, il gioco resta aperto e in qualche modo ci coinvolge.
Qualcosa di simile accade ancora nel Ritratto, Spia, ritratto di donna, donna non giovane, grandi occhiali. Sguardo fisso contro di noi, sguardo penetrante, quasi inquisitorio, ma non privo di dolcezza. Il suo volto è tutto a fuoco, il tratto finissimo e carezzevole ne svela ogni aspetto e ne definisce completamente la fisionomia. Il resto è una sinfonia cromatica che riempie gli occhi senza spiegare niente (o molto poco) dei suoi contenuti e della sua spazialità. Per insistere ancora nel gioco dei riferimenti, ci si permette di chiamare in causa Klimt, con quelle sontuose composizioni arabescate da cui quasi all’improvviso emerge dettagliatissimo fra precisi contorni un volto o un corpo femminile.
Non è usuale che un pittore dei nostri anni sappia abbandonarsi con tanta soddisfazione all’esuberanza della decorazione, al piacere del colore, dell’intarsio, delle forme, di un gioco combinatorio di cose diverse, tanto denso da diventare horror vacui. La pittura di Alessandra Bonomini è spesso rigogliosa e negli ultimi anni ha coltivato, ha lasciato esplodere questo naturale rigoglio, accompagnando l’incisiva tensione del segno, una dote da illustratore quasi da vignettista, con un gusto lussureggiante del colore, il cinabro e l’arancio, il turchese, blu cobalto, verde smeraldo, bellissimo viola squillante. Perché resistere ? quando Alessandra Bonomini era piccola, la pittura europea, confinata per anni in posizioni quasi marginali e sospette, stava recuperando con gioia la propria pienezza di presenza sulla scena dell’arte. Transavanguardia, neo-espressionismo, pittura selvaggia, nuova figurazione e quant’altro ripropongono tutti insieme colore, emozione, racconto, che attraversano poi in gran parte la lunga stagione di eclettismo immediatamente successiva e restano risorse accessibili fino al presente.
Sono questi infatti gli elementi che Alessandra Bonomini manipola liberamente da diversi anni a questa parte, è questo il repertorio che le è stato consegnato e a cui attinge. Infatti, si può fare quello che si vuole. Persino troppo. Ma resta quel volto, quello sguardo a infrangere l’idillio e a disturbare il nostro momentaneo disimpegno. Ci squadra senza esitazioni ma forse si sbaglia: noi non c’entriamo niente. Il dialogo che s’ingaggia qui infatti non è simmetrico e sembra voler spezzare l’antica convenzione del ritratto pittorico basato sulla fondamentale passività del soggetto, che è lì soprattutto per farsi guardare. Qui invece questo soggetto è attivo, soprattutto guarda, tanto da spingerci in contropiede, da metterci un po’ a disagio. Di nuovo quello che si insinua è una distanza, una domanda troppo diretta e troppo franca. L’artista, forse, mette a nudo un particolare del suo vissuto ma facendolo non ci aiuta a capire, anzi sottolinea soltanto la nostra totale inadeguatezza a farlo. Non troppo diversa la situazione che si crea con un quadro un poco precedente, Riposo del movimento (2006), una specie di portico di una vecchia struttura rurale non privo di quarti di nobiltà ma disseminato di sedie vuote e un’altalena dismessa. Dove siamo ? perché proprio lì ? siamo entrati a metà film e ci rendiamo conto perfettamente che non sapremo mai più chi è l’assassino e neanche la vittima, anzi che forse non c’è nessun assassino e nessuna vittima.
Possiamo, insomma, farci delle idee ma non aspettare che i fatti ce le confermino perché i fatti non ci sono, ci sono solo quadri pieni di fastosa felicità pittorica e di ambiguità. << Dal fondo remoto del corridoio, lo specchio ci spiava. Scoprimmo (a notte alta questa scoperta è inevitabile) che gli specchi hanno qualcosa di mostruoso>>, incomincia un celebre racconto di Jorge Luis Borges: in queste opere proliferano tutte le specie di specchi, da parete, retrovisori, ambientali, indicatori e forse persino da borsetta. Oggetti che insinuano nuove prospettive, disintegrano l’unità spaziale, compromettono le nostre certezze. Non si tratta, non si tratta solo di attimi sospesi, sottratti al flusso temporale, all’irresistibile fuga in avanti, ma di un attacco portato al cuore stesso dell’evidenza, dell’apparente oggettività delle cose, addobbato con i ricchi abiti di un segno elastico e sensibile e di un colore sfarzoso, lussureggiante. Questo linguaggio che offre le prime manifestazioni di se nel 2003-04, ha raggiunto adesso una maggiore complessità, direttamente proporzionale al distacco perplesso di Alessandra Bonomini, più che mai decisa a insinuare fra se e le situazioni quanti più filtri, quanti più distanziatori, quanti più riflessi possibile.
D’altra parte conosciamo qualcosa che non sia riflesso ?
Martina Corgnati
05
luglio 2008
Alessandra Bonomini – Specchio Temporale
Dal 05 al 27 luglio 2008
arte contemporanea
Location
GALLERIA DEL CARBONE
Ferrara, Via Del Carbone, 18, (Ferrara)
Ferrara, Via Del Carbone, 18, (Ferrara)
Orario di apertura
sabato e domenica
dalle 10-13 15-22.00
Vernissage
5 Luglio 2008, ore 18
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