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26
marzo 2012
Dal cinema all’astronomia, passando per la fisicità ripetitiva del ricamo (interpretato dall’autore quasi fosse un mantra) e della perforazione, Syntax Parallax – prima personale di Arthur Duff (Wiesbaden, Germania 1973 – vive a Marghera) da Oredaria Arti Contemporanee, che nel 2011 aveva ospitato una sua opera nell’ambito della collettiva Anteprima – è l’introduzione all’articolazione delle diverse parti del lavoro dell’artista americano.
Variabili che ruotano intorno al fascino dichiarato per la parola, con tutte le sue potenzialità semantico-concettuali. Non è casuale che, se nella vetrina (fruibile solo dall’esterno) compare il neon rosso con la scritta “Wasn’t, Was it”, scendendo i gradini dalla porta d’ingresso, sia proprio l’installazione Gaslight (composta dai due elementi “gas” e “light”) a sintetizzare l’intero percorso espositivo.
Il titolo della mostra, Syntax Parallax, deriva proprio da questo neon giallo messo a terra, “che nasce da una proiezione, un punto di vista privilegiato da cui ha fonte un’immagine” – spiega Duff – “nel coordinamento coerente dei fotoni all’interno di un sistema laser, il foro d’uscita del diodo è il principio che attiva la proiezione stessa. Scendendo per la scala si ha il punto di vista privilegiato dell’anamorfosi, dell’appiattimento dell’immagine, ma con un effetto di paralassi e man mano che si entra nello spazio, quindi nel lavoro, avviene la distorsione”.
Variabili che ruotano intorno al fascino dichiarato per la parola, con tutte le sue potenzialità semantico-concettuali. Non è casuale che, se nella vetrina (fruibile solo dall’esterno) compare il neon rosso con la scritta “Wasn’t, Was it”, scendendo i gradini dalla porta d’ingresso, sia proprio l’installazione Gaslight (composta dai due elementi “gas” e “light”) a sintetizzare l’intero percorso espositivo.
Il titolo della mostra, Syntax Parallax, deriva proprio da questo neon giallo messo a terra, “che nasce da una proiezione, un punto di vista privilegiato da cui ha fonte un’immagine” – spiega Duff – “nel coordinamento coerente dei fotoni all’interno di un sistema laser, il foro d’uscita del diodo è il principio che attiva la proiezione stessa. Scendendo per la scala si ha il punto di vista privilegiato dell’anamorfosi, dell’appiattimento dell’immagine, ma con un effetto di paralassi e man mano che si entra nello spazio, quindi nel lavoro, avviene la distorsione”.
Distorsione che, nel caso di quest’opera, deriva dall’espressione linguistica anglo-americana (“gaslight”/”gaslighting”, a sua volta ereditata da Gaslight, film noir degli anni ’40), riferita ad un determinato comportamento manipolatorio: “E’ la costruzione di un sistema che si espone, si rivela. C’è una sorta di comunicazione, un dare luce ad una realtà, che in qualche modo è autenticità, ma che è anch’essa falsificata. In questo senso avviene un gap tra le posizioni che è paralassi”. Il neon si presta particolarmente a questi meccanismi, proprio perchè “è fatto di annodamenti, corde, fili… non è pulito come un Holbein. Non è una perfezione dell’inganno, è volutamente un fraintendimento”. Così, se la scritta appare perfettamente leggibile entrando in galleria, dal lato opposto – in uscita – rivela ambiguamente la sua natura di forma-deformata che perde la leggibilità.
Arthur Duff continua ad esplorare le possibilità del linguaggio nell’evoluzione dei suoi significati attraverso altri materiali come i ricami, le perforazioni, i nodi e il laser. Lite plot, under bone, I Didn’t Try, Did I, no, no, nowhere, from behind, sono le scritte che danno il titolo ai vari ricami su tessuto mimetico (quelli più piccoli realizzati dallo stesso Duff), in cui il processo assimilante neon/ricami è proprio quello di disfare un’idea di forma: quella che presuppone la mimetica.
La fisicità ipnotica del ricamo trova un filo conduttore nei nodi del progetto seriale dedicato all’astronomo francese Charles Messier (1730-1817), autore di un catalogo di oggetti celesti fissi (nebulose e ammassi stellari) utili agli astronomi per individuare le comete.
Una curiosità innescata da un ritaglio di giornale con la foto di una galassia lontana anni luce, che Duff traduce in A Black Stars_M55, tentativo di rallentare (se non fermare) l’informazione attraverso nodi neri, rappresentazione visiva di un corpo che emette luce.
Quest’opera tutta nera dialoga con la fonte luminosa di Syntax Parallax: sul soffitto di neon proiettata ad intermittenza la scritta laser “The smoking lamp is out”. Un’espressione usata per segnalare un divieto in presenza di qualcosa di altamente pericoloso. “Si torna a quest’idea del gap e dello spostamento del rivelare e scoprire tramite uno spostamento, ma anche un fruire in ogni istante una spazialità che ci circonda, che appare come evento nuovo”.
Arthur Duff continua ad esplorare le possibilità del linguaggio nell’evoluzione dei suoi significati attraverso altri materiali come i ricami, le perforazioni, i nodi e il laser. Lite plot, under bone, I Didn’t Try, Did I, no, no, nowhere, from behind, sono le scritte che danno il titolo ai vari ricami su tessuto mimetico (quelli più piccoli realizzati dallo stesso Duff), in cui il processo assimilante neon/ricami è proprio quello di disfare un’idea di forma: quella che presuppone la mimetica.
La fisicità ipnotica del ricamo trova un filo conduttore nei nodi del progetto seriale dedicato all’astronomo francese Charles Messier (1730-1817), autore di un catalogo di oggetti celesti fissi (nebulose e ammassi stellari) utili agli astronomi per individuare le comete.
Una curiosità innescata da un ritaglio di giornale con la foto di una galassia lontana anni luce, che Duff traduce in A Black Stars_M55, tentativo di rallentare (se non fermare) l’informazione attraverso nodi neri, rappresentazione visiva di un corpo che emette luce.
Quest’opera tutta nera dialoga con la fonte luminosa di Syntax Parallax: sul soffitto di neon proiettata ad intermittenza la scritta laser “The smoking lamp is out”. Un’espressione usata per segnalare un divieto in presenza di qualcosa di altamente pericoloso. “Si torna a quest’idea del gap e dello spostamento del rivelare e scoprire tramite uno spostamento, ma anche un fruire in ogni istante una spazialità che ci circonda, che appare come evento nuovo”.
manuela de leonardis
mostra visitata il 7 marzo 2012
mostra visitata il 7 marzo 2012
dal 9 marzo al 28 aprile 2012
Arthur Duff – Syntax Parallax
Galleria Oredaria Arti Contemporanee
Via Reggio Emilia 22-24, Roma
Orari: mar-sab 10-13 e 16-19.30
Info: + 39 06 97601689 (tel/fax) – info@oredaria.it– www.oredaria.it
[exibart]