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Stelle!
“Stelle!” è una eclettica visione d’insieme della situazione in atto nella scena contemporanea italiana che riunisce in una mostra itinerante artisti appartenenti a diversi ambiti generazionali apparentati da evidenti affinità elettive
Comunicato stampa
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Venerdì 13 giugno 2008 dalle 19 alle 23 alla Fusion Art Gallery , piazza Peyron 9 g Torino, si inaugura la collettiva "Stelle!" a cura di Edoardo Di Mauro e Bianca Pedace, allestimento di Walter Vallini.
Ideazione : Gaetano Bùttaro, Claudio Spoletini, Vittorio Valente.
Durata : fino al 16 settembre martedì, giovedì e venerdì 16.30 - 19.30 o su appuntamento.
artsti : Alessandro Alimonti, Tomaso Binga, Gaetano Bùttaro, Maristella Campolunghi, Theo Gallino, Tea Giobbio, Francesca Maranetto Gay, Francesco Martani, Sebastiano Messina, Giovanna Picciau, Claudio Spoletini, Laurence Ursulet, Vittorio Valente, Walter Vallini, Roberto Zizzo.
“Stelle!” è una eclettica visione d’insieme della situazione in atto nella scena contemporanea italiana che riunisce in una mostra itinerante artisti appartenenti a diversi ambiti generazionali apparentati da evidenti affinità elettive . Il titolo intende essere efficace metafora di uno stato d’animo che sta insorgendo con gradualità e di cui gli osservatori più attenti e sensibili non possono non cogliere gli indizi. Dal punto di vista teorico, preciso che questa mostra è frutto di una riflessione non mia isolata ma collettiva, rinvengo numerose analogie con una rassegna da me ordinata nella primavera 2006 alla Fusion Art Gallery di Torino intitolata “L’immagine reincantata”. In quel caso il mio sguardo si volgeva verso ambiti relativi alle nuove tecnologie quindi fotografia, video ed immagine digitale. Nella circostanza, pur in presenza di una nutrita rappresentanza in tale senso orientata, il raggio dell’indagine si estende anche ad ambiti quali l’oggettualismo e la pittura, ma questo quasi nulla toglie all’omologia teorica tra queste due occasioni espositive. È stata proprio l’osservazione delle prove della più recente generazione artistica italiana, esaminata nella sua specificità poetica ed isolata dal contesto di un sistema dell’arte in cui il tasso di alienazione continua ad essere piuttosto elevato, a convincermi della presenza di sempre più consistenti indizi riguardanti una insorgente mutazione estetica e comportamentale. Ho elaborato il termine “nuova contemporaneità” per indicare uno stato d’animo diffuso che sembra volere andare oltre le secche in cui si era ormai incagliato il post moderno. Come sostenuto da uno dei migliori estetologi italiani, Mario Perniola, l’arte vuole proporre nuovamente un senso al suo esistere, a cui egli dà l’appellativo di “resto” od “ombra”, andando oltre l’opposta tautologia nella quale si era incanalata a partire dagli anni ’50 dapprima con la teoria situazionista e con quella successiva del Concettuale incarnato dalla riflessione teorica di Joseph Kosuth, entrambe convergenti nel rifiutare una visione formalistica dell’arte perché inficiante il soggettivismo dell’artista, la sua produzione mentale e teorica come unica portatrice di senso e di verità in opposizione al feticcio dell’opera prodotto a solo uso e consumo della “società dello spettacolo”. La seconda opzione è viceversa una interpretazione strumentalmente riduttiva della cosiddetta “teoria istituzionale” che considera l’arte categoria principalmente storica e l’opera come oggetto la cui qualità è esclusivamente determinata dal successo che riscuote presso i soggetti istituzionali : musei ed operatori del mercato, riviste specializzate, critici più o meno solidali e compiacenti con le regole imposte. Sono d’accordo sul fatto che l’arte non può essere spiegata a prescindere da ben determinati fattori storici e sociali ma è anche evidente come l’esasperazione di questi presupposti porta ad un disciogliersi del messaggio all’interno dei meccanismi della comunicazione. Il risultato in termini estetici è il cosiddetto “sensazionalismo”, procedimento in cui l’arte intende provocare disgusto e turbamento allontanandosi volutamente dal pubblico ma accrescendo la sua “audience” e costringendo i protagonisti a spararla sempre più grossa : esempio indicativo e citato perché noto ai più Maurizio Cattelan, personalità per cui valgono ormai i parametri di giudizio adoperati per valutare popstar e divi del cinema e non certo i classici criteri di valutazione artistica. Tali fenomeni sono stati introdotti dal nichilismo e dalla “morte di Dio” teorizzata da Nietzsche sul finire del secolo scorso : l’avvento della tecnica svuota progressivamente la civiltà occidentale delle antiche certezze ed anche l’arte conosce lo stesso destino il cui esito finale si ha dopo la seconda metà degli anni ’70 quando viene meno la spinta propulsiva e vitalistica delle avanguardie storiche strettamente correlate al concetto del Superuomo. La citazione esasperata e spesso sterile delle esperienze del passato, il cinismo dichiarato con senso di supponenza è per molti aspetti espressione di questo rimpianto. Tuttavia in questi anni d’esordio del nuovo millennio si intravede la possibilità di una “terza via” al di là di improbabili volontà di restaurazione di una classicità statica o di un totale annullamento dell’arte nel reale e nella comunicazione : un atteggiamento che, pur partecipando alle vicende del quotidiano, interviene su di esse per gettarvi verità, resistendo al conformismo ed alla massificazione dell’opera per restituire all’arte grandezza progettuale e dignità estetica. Un indizio certo di questo mutato atteggiamento è dato dalla capacità attuale di usare le tecnologie nella loro specificità di linguaggio. Il tutto parte dal ruolo assunto dalla fotografia che, nell’ultimo trentennio, si è riversata massiccia nel panorama eclettico della contemporaneità privilegiando la funzione piuttosto che l’oggetto e diventando gradualmente una delle dimensioni narrative maggioritarie, trascinando con sé il video, suo successore e derivato tecnologico. L’atteggiamento si è manifestato nella duplice accezione di una partecipazione “fredda”, tendente a privilegiare una classificazione impersonale ed asettica dell’esistente e della banalità quotidiana, ed un’ altra dimensione “calda” e psicologica, in cui gli artisti hanno adoperato il mezzo come estensione del proprio io, per calarsi nel reale con atteggiamento di affettuosa partecipazione. Ma questo non è affatto in contraddizione con un uso “artistico” del mezzo, anzi semmai ne rafforza la vocazione di strumento atto a cogliere il reale nell’accezione di un abbraccio interire, di un congiungimento con l’io dell’artista. Il “reincanto” stigmatizza una nuova fase epocale in cui siamo ormai entrati : dopo la plurisecolare prevalenza del razionalismo introdotto dal Rinascimento e confermato dall’Illuminismo, dominato dal “logos”, le tecnologie immateriali ci hanno introdotti nella civiltà dell’immagine, in cui si assiste ad una ripresa di valori magici e rituali che collegano la nostra epoca ad un passato premoderno con la ricomparsa di antichi archetipi ed una nuova dimensione comunitaria in cui l’individuo vive attraverso lo sguardo e le leggi degli altri. Questo assunto è valido per la nuova immagine tecnologica ma è pressoché del tutto traslabile verso altre opzioni stilistiche come l’oggettualismo, in questo caso con l’introduzione di una cospicua dose di ironia e la volontà di sfidare le arti applicate sul loro stesso terreno e la pittura, tesa verso una dimensione simbolica e narrativa. Le contaminazioni tra linguaggi, oggi sempre più plausibili e necessarie, fungono da efficace collante linguistico. Vengo ora a trattare di alcuni tra gli autori presenti in mostra, dividendo questa compito con l’altro curatore, che è Bianca Pedace. Gaetano Buttaro impiega con lucidità le tecnologie digitali per costruire un’immagine tesa allo scandaglio analitico ed impietoso, per quanto velato da una patina di soffusa malinconia, dei misteri dell’interiorità umana. L’artista, negli ultimi lavori, tende a rivolgere il suo sguardo indagatore su sé stesso, con inquadrature dotate di un movimento volutamente frammentato ed in parte sfocato, che indica la mutevolezza delle sensazioni e degli stati d’animo e la volontà, forse vana, di ricondurle all’unitarietà del Super Io. Theo Gallino con le sue opere ultime pone in essere un vero e proprio procedimento alchemico, coerentemente con uno stile dove l’aniconicità sa conciliarsi con l’immagine sublimata nell’evocazione dell’ombra, intravista come un fantasma sfuggente bloccato nell’attimo stesso in cui si pone all’ attenzione percettiva. Nelle sue “scatole alchemiche” figure ed oggetti giacciono sofficemente custoditi in contenitori dalle forme variabili, avvolte in un liquido amniotico composto da cera ed anilina. Tea Giobbio riflette sul rapporto tra il suo essere donna ed il mondo tramite un’analisi della condizione del corpo femminile e l’invasiva esteriorità contemporanea o si sofferma, con la delicatezza del bianco e nero, su paesaggi onirici in cui il cielo funge da cornice all’immanenza di soggetti placidamente zoomorfi. Come evidenziato anche da altri curatori nel lavoro della Giobbio è privilegiato il concetto dell’ “assenza”, in quanto il suo corpo, così come il paesaggio, non appare mai nella sua interezza ma si fissa in una situazione temporale di transito e di divenire. Walter Vallini è un creativo a tutto campo, come conviene essere in questa nostra epoca divisa e frammentata che anela una possibile unitarietà. Le installazioni di Vallini, al confine tra arte e design, sono caratterizzate da un funzionalismo “dolce”, in cui l’oggetto va oltre il suo compito di concreta utilità per relazionarsi con l’ambiente in cui si colloca, contribuendo a determinare le reazioni psicofisiche dei fruitori, con un’operazione dove la “technè” è intesa come capacità di progettare, di aggiungere all’oggetto un’opportuna dose di estro e creatività, emendandolo in buona parte dal suo inevitabile destino di “merce”. Vittorio Valente, che spesso con Vallini ha collaborato nella realizzazione di progetti collettivi, è un’artista dallo stile inconfondibile ed ormai largamente conosciuto ed apprezzato, centrato sullo svelamento dell’intensità e del dinamismo dell’universo biomorfico, della naturale artisticità ed apparente innocenza di temibili cellule, pronte a moltiplicarsi ed a colpirci. Il tutto con una tecnica dove l’oggetto si dispone di preferenza in contesti ambientali ma anche a parete, che si avvale di materiali plastici e di silicone con cui l’artista forgia una gamma inesauribile e mai ripetitiva di soluzioni formali, che invadono lo spazio in cui hanno l’occasione di collocarsi, con la costante capacità di scuotere positivamente i fruitori. Roberto Zizzo è un’artista che sfida con coraggio i dogmi soffocanti del “politicamente corretto”, oggi così di voga. Zizzo manipola in mille modi e maniere, con il tramite della tavolozza tecnologica adoperata come reale protesi della manualità, il corpo umano, talvolta con uno scandaglio auto-voyeurista di particolari del suo corpo, in altri casi pescando nell’immenso vivaio di immagini anonime fornite da Internet. La sua è un’analisi da un lato rivolta verso le mutazioni prodotte dalle nuove frontiere della ricerca biologica, dall’altro tesa alla critica della mercificazione del corpo nella società contemporanea, dove esso è sempre più sottoposto alle leggi dell’apparire piuttosto che a quelle, ben più profonde ma difficili da conquistare, dell’essere. Francesca Maranetto Gay utilizza il video, la musica e la tecnologia digitale per realizzare immagini in movimento o fissate bidimensionalmente nei frames od in autonome elaborazioni formali, dove protagonisti sono la dimensione interiore ed il trascendente nell’accezione del dialogo con l’altro da sé o della contemplazione del paesaggio nel suo scorrere e divenire. L’artista si pone costantemente in una dimensione di movimento, l’azione e l’agire sono regole per lei fondamentali, nei suoi video assistiamo a dei viaggi transreali con una partenza, un arrivo ed in mezzo un turbinio di sensazioni, come appariva evidente nell’ultimo lavoro, “Video1-Def” presentato in occasione della sua recente mostra personale alla Fusion Art Gallery.
Edoardo Di Mauro, maggio 2007.
Cosmonauti
In questa metaforica navigazione tra le stelle si può forse rinvenire il senso di un’arte da intendersi come ricerca necessaria e affascinante in lande lontane e sconfinate , in assenza talvolta di sicuri centri di gravità. Nondimeno mi pare si possa fare rotta verso nuovi sistemi solari, aprendo nuovi percorsi di senso.
La babele linguistica, dato acquisito e ormai permanente, si accompagna anche a elementi di “nuova contemporaneità”, meglio leggibili nei linguaggi storicamente più recenti ed emblematicamente riassunti nella nodale “L’immagine reincantata” , ordinata nel 2006 a Torino da Edoardo Di Mauro.
Lontana ormai, ne peraltro remota, la Platea di szeemaniana memoria, si chiude, credo, anche l’epoca di una apertura critica alle più disparate esperienze , resa vana dalla degenerazione in episodi di puro intrattenimento.
Nello stesso tempo all’arte oggi sempre più si demanda una presa di posizione sui temi più scottanti , quasi fosse l’ultima possibile plaga di autorevolezza, l’ultima possibile chiave di accesso, insomma l’ultima possibile gnoseologia. Su questa linea si poneva , nel 2005, un piccolo contributo di chi scrive, con la mostra “Deterritorializzazione” alla Rocca Paolina di Perugina e, nello stesso tempo, “Identità e nomadismo” nel senese Palazzo delle Papesse, dove si è peraltro tenuta la poetica e stimolante “System Error – Errore di sistema”. Il bisogno di un nuovo radicalismo critico si dovrà del resto giocare anche e soprattutto in un rinnovato pensiero forte curatoriale e, come ha scritto Di Mauro in occasione della prima tappa di queste nostre “Stelle!” viaggianti, nella stessa nuova capacità dell’arte di trovare un senso al suo agire.
In questa direzione si gioca “l’allusione siderale” della collettiva che curo insieme a Edoardo Di Mauro.
Conseguentemente, sebbene si evidente la differenza fra le varie opzioni linguistiche presenti, mi pare si possa tentare un’analisi anche comparativa del gruppo romano che presento (Alessandro Alimenti, Tomaso Binga, Mariastella Campolunghi, Sebastiamo Messina, Giovanna Picciau, Claudio Spoletini). Artisti, in ogni caso non privi di una compattezza generazionale e accomunati dal territorio in cui operano e cioè Roma, oggi al centro di un nuovo Rinascimento. Considerati separatamente e impregiudicatamente, direi che li avvicini anche una tangenza neosurrealista variamente esplicata, per la quale si propone una variegata situazione di Neosurrealismo romano,. Con accenti diversi, invece, si estrinsecano altre due interessanti esperienze pittoriche d’area centroitaliana, quella di Laurence Ursulet e di Francesco Martani . La prima, di pertinenza perugina, ci propone una riflessione profonda partita dalla cartografia geofilosofica . Dalle suggestioni deleuziane l’artista trae un complesso universo, trasposto in forme grafiche, pittoriche e agopittoriche in un “atlante delle emozioni” di forte afflato speculativo. Dalle sete si liberano efflorescenze di fili sciolti e pendenti, percorsi da cosmonauti in un territorio di valenza interiore.
Nel suo ciclo più recente , una riflessione sul dolore, anche il cielo si bagna di sangue e solo i sentimenti di pietas, espressi dalle ripetute velature di resine sembrano redimere la ferinità umana, contrappuntando la violenza della storia con ricami di stridente e fabulistica acme cromatica , quasi stelle lontane, rotte strali e in attingibili. L’intensa presenza pittorica di pertinenza bolognese di Francesco Martani, è stata invece segnata da un fondamentale imprinting nella New York degli anni ‘50, dove apprende, tra l’altro, un furor gestuale mai più abbandonato. Le sue Nuvole, simbolo per eccellenza dell’ambiguità di forme, della leggerezza e dell’immateriale, insomma dell’etereo, diventano folgorante metafora dei nostri tempi, topos potente del nostro immaginario, essendo del resto realizzate con una pittura liquida e luminosa, traslato stilistico della oro levità. Per quanto riguarda invece il gruppo romano l’ascendenza surrealista è evidente, ad esempio nella serie dell’Alfabetiere murale di Tomaso Binga, opera del 1977, riproposta, a distanza di trent’anni, in una sorta di visione del contemporaneo come presente della coscienza che, negli stessi giorni in cui si apriva la prima tappa del nostro viaggio cosmico, veniva identicamente proposta da Documenta. Impegnata nella cruciale questione del genere Binga trasforma il corpo femminile in lettera, cioè significante, mentre la composizione rimanda al mondo della scrittura e della scuola , dell’alfabetizzazione come liberazione e acquisizione di senso.
In Alessandro Alimenti la progressiva decantazione compositiva perviene ad una sorta di “ecologia visiva”, nella quale l’ingrandimento dei particolari, di dettato metafisico – surrealista, riporta alle Sculptures involontaires di Brassai per Dalì, svelando il potenziale estetico degli elementi del paesaggio visivo quotidiano. Maristella Campolunghi, operando con il medium fotografico , presenta il ciclo Fiori nudi in cui il rovesciamento del punto di vista consueto è il prodromo di un metamorfismo che rende irriconoscibili i soggetti, giungendo ad un’astrazione ambigua, di allure poetica e surrealista, mentre la maestria nel gioco compositivo delle penombre lumeggia uno spazio inafferrabile e sinuoso.
Nel lavoro di Sebastiano Messina, già il titolo della serie, Epoche, ovvero sospensione del giudizio, allude al temporaneo accantonamento delle facoltà logico – discorsive . Posto a tacere dunque il logos è possibile immergersi in un reale assoluto , che immediatamente si qualifica come surrealtà. E la fotografia, indice per eccellenza, traccia della realtà, è il mezzo d’elezione per costruire una nuova narrazione delle cose, come teorizzato da Rosalind Krauss nel suo Fotografia e Surrealismo.
Claudio Spoletini negli ultimi anni dipinge scene rarefatte e tacite su cui si staglia solitaria la sagoma delle fabbriche, catalogando in repertorio un’operazione di recupero memoriale collettivo , di cui trae il vocabolario iconografico da immagini d’epoca, tramandandone poi traccia nella sua pittura. Scomparsi gli operai e le operaie , uccisi dalla ferocia capitalista, resta, a surrogare la presenza umana, la collezione di giocattoli di latta , fuori scala e colorati, in una sottile allusione saviniana che conferma il suo subliminale neosurrealismo , demistificante e tragico, a dispetto della levità quasi aerea degli esiti estetici.
Nella pittura di Giovanna Picciau il ricordo di una ormai lontana fase magrittiana si fonde con più precisi ascendenti di realismo magico, ironicamente riassunti in una pittura di ascendenza Pop , nella libertà fantastica dell’immaginifica levitazione dei corpi o degli oggetti nello spazio, rese nelle forme lucide e suadenti di brillanti superfici cromatiche. La ludica, demistificante disposizione all’immediato edonismo visivo qualificano il grande appeal internazionale della sua operazione.
Bianca Pedace
Ideazione : Gaetano Bùttaro, Claudio Spoletini, Vittorio Valente.
Durata : fino al 16 settembre martedì, giovedì e venerdì 16.30 - 19.30 o su appuntamento.
artsti : Alessandro Alimonti, Tomaso Binga, Gaetano Bùttaro, Maristella Campolunghi, Theo Gallino, Tea Giobbio, Francesca Maranetto Gay, Francesco Martani, Sebastiano Messina, Giovanna Picciau, Claudio Spoletini, Laurence Ursulet, Vittorio Valente, Walter Vallini, Roberto Zizzo.
“Stelle!” è una eclettica visione d’insieme della situazione in atto nella scena contemporanea italiana che riunisce in una mostra itinerante artisti appartenenti a diversi ambiti generazionali apparentati da evidenti affinità elettive . Il titolo intende essere efficace metafora di uno stato d’animo che sta insorgendo con gradualità e di cui gli osservatori più attenti e sensibili non possono non cogliere gli indizi. Dal punto di vista teorico, preciso che questa mostra è frutto di una riflessione non mia isolata ma collettiva, rinvengo numerose analogie con una rassegna da me ordinata nella primavera 2006 alla Fusion Art Gallery di Torino intitolata “L’immagine reincantata”. In quel caso il mio sguardo si volgeva verso ambiti relativi alle nuove tecnologie quindi fotografia, video ed immagine digitale. Nella circostanza, pur in presenza di una nutrita rappresentanza in tale senso orientata, il raggio dell’indagine si estende anche ad ambiti quali l’oggettualismo e la pittura, ma questo quasi nulla toglie all’omologia teorica tra queste due occasioni espositive. È stata proprio l’osservazione delle prove della più recente generazione artistica italiana, esaminata nella sua specificità poetica ed isolata dal contesto di un sistema dell’arte in cui il tasso di alienazione continua ad essere piuttosto elevato, a convincermi della presenza di sempre più consistenti indizi riguardanti una insorgente mutazione estetica e comportamentale. Ho elaborato il termine “nuova contemporaneità” per indicare uno stato d’animo diffuso che sembra volere andare oltre le secche in cui si era ormai incagliato il post moderno. Come sostenuto da uno dei migliori estetologi italiani, Mario Perniola, l’arte vuole proporre nuovamente un senso al suo esistere, a cui egli dà l’appellativo di “resto” od “ombra”, andando oltre l’opposta tautologia nella quale si era incanalata a partire dagli anni ’50 dapprima con la teoria situazionista e con quella successiva del Concettuale incarnato dalla riflessione teorica di Joseph Kosuth, entrambe convergenti nel rifiutare una visione formalistica dell’arte perché inficiante il soggettivismo dell’artista, la sua produzione mentale e teorica come unica portatrice di senso e di verità in opposizione al feticcio dell’opera prodotto a solo uso e consumo della “società dello spettacolo”. La seconda opzione è viceversa una interpretazione strumentalmente riduttiva della cosiddetta “teoria istituzionale” che considera l’arte categoria principalmente storica e l’opera come oggetto la cui qualità è esclusivamente determinata dal successo che riscuote presso i soggetti istituzionali : musei ed operatori del mercato, riviste specializzate, critici più o meno solidali e compiacenti con le regole imposte. Sono d’accordo sul fatto che l’arte non può essere spiegata a prescindere da ben determinati fattori storici e sociali ma è anche evidente come l’esasperazione di questi presupposti porta ad un disciogliersi del messaggio all’interno dei meccanismi della comunicazione. Il risultato in termini estetici è il cosiddetto “sensazionalismo”, procedimento in cui l’arte intende provocare disgusto e turbamento allontanandosi volutamente dal pubblico ma accrescendo la sua “audience” e costringendo i protagonisti a spararla sempre più grossa : esempio indicativo e citato perché noto ai più Maurizio Cattelan, personalità per cui valgono ormai i parametri di giudizio adoperati per valutare popstar e divi del cinema e non certo i classici criteri di valutazione artistica. Tali fenomeni sono stati introdotti dal nichilismo e dalla “morte di Dio” teorizzata da Nietzsche sul finire del secolo scorso : l’avvento della tecnica svuota progressivamente la civiltà occidentale delle antiche certezze ed anche l’arte conosce lo stesso destino il cui esito finale si ha dopo la seconda metà degli anni ’70 quando viene meno la spinta propulsiva e vitalistica delle avanguardie storiche strettamente correlate al concetto del Superuomo. La citazione esasperata e spesso sterile delle esperienze del passato, il cinismo dichiarato con senso di supponenza è per molti aspetti espressione di questo rimpianto. Tuttavia in questi anni d’esordio del nuovo millennio si intravede la possibilità di una “terza via” al di là di improbabili volontà di restaurazione di una classicità statica o di un totale annullamento dell’arte nel reale e nella comunicazione : un atteggiamento che, pur partecipando alle vicende del quotidiano, interviene su di esse per gettarvi verità, resistendo al conformismo ed alla massificazione dell’opera per restituire all’arte grandezza progettuale e dignità estetica. Un indizio certo di questo mutato atteggiamento è dato dalla capacità attuale di usare le tecnologie nella loro specificità di linguaggio. Il tutto parte dal ruolo assunto dalla fotografia che, nell’ultimo trentennio, si è riversata massiccia nel panorama eclettico della contemporaneità privilegiando la funzione piuttosto che l’oggetto e diventando gradualmente una delle dimensioni narrative maggioritarie, trascinando con sé il video, suo successore e derivato tecnologico. L’atteggiamento si è manifestato nella duplice accezione di una partecipazione “fredda”, tendente a privilegiare una classificazione impersonale ed asettica dell’esistente e della banalità quotidiana, ed un’ altra dimensione “calda” e psicologica, in cui gli artisti hanno adoperato il mezzo come estensione del proprio io, per calarsi nel reale con atteggiamento di affettuosa partecipazione. Ma questo non è affatto in contraddizione con un uso “artistico” del mezzo, anzi semmai ne rafforza la vocazione di strumento atto a cogliere il reale nell’accezione di un abbraccio interire, di un congiungimento con l’io dell’artista. Il “reincanto” stigmatizza una nuova fase epocale in cui siamo ormai entrati : dopo la plurisecolare prevalenza del razionalismo introdotto dal Rinascimento e confermato dall’Illuminismo, dominato dal “logos”, le tecnologie immateriali ci hanno introdotti nella civiltà dell’immagine, in cui si assiste ad una ripresa di valori magici e rituali che collegano la nostra epoca ad un passato premoderno con la ricomparsa di antichi archetipi ed una nuova dimensione comunitaria in cui l’individuo vive attraverso lo sguardo e le leggi degli altri. Questo assunto è valido per la nuova immagine tecnologica ma è pressoché del tutto traslabile verso altre opzioni stilistiche come l’oggettualismo, in questo caso con l’introduzione di una cospicua dose di ironia e la volontà di sfidare le arti applicate sul loro stesso terreno e la pittura, tesa verso una dimensione simbolica e narrativa. Le contaminazioni tra linguaggi, oggi sempre più plausibili e necessarie, fungono da efficace collante linguistico. Vengo ora a trattare di alcuni tra gli autori presenti in mostra, dividendo questa compito con l’altro curatore, che è Bianca Pedace. Gaetano Buttaro impiega con lucidità le tecnologie digitali per costruire un’immagine tesa allo scandaglio analitico ed impietoso, per quanto velato da una patina di soffusa malinconia, dei misteri dell’interiorità umana. L’artista, negli ultimi lavori, tende a rivolgere il suo sguardo indagatore su sé stesso, con inquadrature dotate di un movimento volutamente frammentato ed in parte sfocato, che indica la mutevolezza delle sensazioni e degli stati d’animo e la volontà, forse vana, di ricondurle all’unitarietà del Super Io. Theo Gallino con le sue opere ultime pone in essere un vero e proprio procedimento alchemico, coerentemente con uno stile dove l’aniconicità sa conciliarsi con l’immagine sublimata nell’evocazione dell’ombra, intravista come un fantasma sfuggente bloccato nell’attimo stesso in cui si pone all’ attenzione percettiva. Nelle sue “scatole alchemiche” figure ed oggetti giacciono sofficemente custoditi in contenitori dalle forme variabili, avvolte in un liquido amniotico composto da cera ed anilina. Tea Giobbio riflette sul rapporto tra il suo essere donna ed il mondo tramite un’analisi della condizione del corpo femminile e l’invasiva esteriorità contemporanea o si sofferma, con la delicatezza del bianco e nero, su paesaggi onirici in cui il cielo funge da cornice all’immanenza di soggetti placidamente zoomorfi. Come evidenziato anche da altri curatori nel lavoro della Giobbio è privilegiato il concetto dell’ “assenza”, in quanto il suo corpo, così come il paesaggio, non appare mai nella sua interezza ma si fissa in una situazione temporale di transito e di divenire. Walter Vallini è un creativo a tutto campo, come conviene essere in questa nostra epoca divisa e frammentata che anela una possibile unitarietà. Le installazioni di Vallini, al confine tra arte e design, sono caratterizzate da un funzionalismo “dolce”, in cui l’oggetto va oltre il suo compito di concreta utilità per relazionarsi con l’ambiente in cui si colloca, contribuendo a determinare le reazioni psicofisiche dei fruitori, con un’operazione dove la “technè” è intesa come capacità di progettare, di aggiungere all’oggetto un’opportuna dose di estro e creatività, emendandolo in buona parte dal suo inevitabile destino di “merce”. Vittorio Valente, che spesso con Vallini ha collaborato nella realizzazione di progetti collettivi, è un’artista dallo stile inconfondibile ed ormai largamente conosciuto ed apprezzato, centrato sullo svelamento dell’intensità e del dinamismo dell’universo biomorfico, della naturale artisticità ed apparente innocenza di temibili cellule, pronte a moltiplicarsi ed a colpirci. Il tutto con una tecnica dove l’oggetto si dispone di preferenza in contesti ambientali ma anche a parete, che si avvale di materiali plastici e di silicone con cui l’artista forgia una gamma inesauribile e mai ripetitiva di soluzioni formali, che invadono lo spazio in cui hanno l’occasione di collocarsi, con la costante capacità di scuotere positivamente i fruitori. Roberto Zizzo è un’artista che sfida con coraggio i dogmi soffocanti del “politicamente corretto”, oggi così di voga. Zizzo manipola in mille modi e maniere, con il tramite della tavolozza tecnologica adoperata come reale protesi della manualità, il corpo umano, talvolta con uno scandaglio auto-voyeurista di particolari del suo corpo, in altri casi pescando nell’immenso vivaio di immagini anonime fornite da Internet. La sua è un’analisi da un lato rivolta verso le mutazioni prodotte dalle nuove frontiere della ricerca biologica, dall’altro tesa alla critica della mercificazione del corpo nella società contemporanea, dove esso è sempre più sottoposto alle leggi dell’apparire piuttosto che a quelle, ben più profonde ma difficili da conquistare, dell’essere. Francesca Maranetto Gay utilizza il video, la musica e la tecnologia digitale per realizzare immagini in movimento o fissate bidimensionalmente nei frames od in autonome elaborazioni formali, dove protagonisti sono la dimensione interiore ed il trascendente nell’accezione del dialogo con l’altro da sé o della contemplazione del paesaggio nel suo scorrere e divenire. L’artista si pone costantemente in una dimensione di movimento, l’azione e l’agire sono regole per lei fondamentali, nei suoi video assistiamo a dei viaggi transreali con una partenza, un arrivo ed in mezzo un turbinio di sensazioni, come appariva evidente nell’ultimo lavoro, “Video1-Def” presentato in occasione della sua recente mostra personale alla Fusion Art Gallery.
Edoardo Di Mauro, maggio 2007.
Cosmonauti
In questa metaforica navigazione tra le stelle si può forse rinvenire il senso di un’arte da intendersi come ricerca necessaria e affascinante in lande lontane e sconfinate , in assenza talvolta di sicuri centri di gravità. Nondimeno mi pare si possa fare rotta verso nuovi sistemi solari, aprendo nuovi percorsi di senso.
La babele linguistica, dato acquisito e ormai permanente, si accompagna anche a elementi di “nuova contemporaneità”, meglio leggibili nei linguaggi storicamente più recenti ed emblematicamente riassunti nella nodale “L’immagine reincantata” , ordinata nel 2006 a Torino da Edoardo Di Mauro.
Lontana ormai, ne peraltro remota, la Platea di szeemaniana memoria, si chiude, credo, anche l’epoca di una apertura critica alle più disparate esperienze , resa vana dalla degenerazione in episodi di puro intrattenimento.
Nello stesso tempo all’arte oggi sempre più si demanda una presa di posizione sui temi più scottanti , quasi fosse l’ultima possibile plaga di autorevolezza, l’ultima possibile chiave di accesso, insomma l’ultima possibile gnoseologia. Su questa linea si poneva , nel 2005, un piccolo contributo di chi scrive, con la mostra “Deterritorializzazione” alla Rocca Paolina di Perugina e, nello stesso tempo, “Identità e nomadismo” nel senese Palazzo delle Papesse, dove si è peraltro tenuta la poetica e stimolante “System Error – Errore di sistema”. Il bisogno di un nuovo radicalismo critico si dovrà del resto giocare anche e soprattutto in un rinnovato pensiero forte curatoriale e, come ha scritto Di Mauro in occasione della prima tappa di queste nostre “Stelle!” viaggianti, nella stessa nuova capacità dell’arte di trovare un senso al suo agire.
In questa direzione si gioca “l’allusione siderale” della collettiva che curo insieme a Edoardo Di Mauro.
Conseguentemente, sebbene si evidente la differenza fra le varie opzioni linguistiche presenti, mi pare si possa tentare un’analisi anche comparativa del gruppo romano che presento (Alessandro Alimenti, Tomaso Binga, Mariastella Campolunghi, Sebastiamo Messina, Giovanna Picciau, Claudio Spoletini). Artisti, in ogni caso non privi di una compattezza generazionale e accomunati dal territorio in cui operano e cioè Roma, oggi al centro di un nuovo Rinascimento. Considerati separatamente e impregiudicatamente, direi che li avvicini anche una tangenza neosurrealista variamente esplicata, per la quale si propone una variegata situazione di Neosurrealismo romano,. Con accenti diversi, invece, si estrinsecano altre due interessanti esperienze pittoriche d’area centroitaliana, quella di Laurence Ursulet e di Francesco Martani . La prima, di pertinenza perugina, ci propone una riflessione profonda partita dalla cartografia geofilosofica . Dalle suggestioni deleuziane l’artista trae un complesso universo, trasposto in forme grafiche, pittoriche e agopittoriche in un “atlante delle emozioni” di forte afflato speculativo. Dalle sete si liberano efflorescenze di fili sciolti e pendenti, percorsi da cosmonauti in un territorio di valenza interiore.
Nel suo ciclo più recente , una riflessione sul dolore, anche il cielo si bagna di sangue e solo i sentimenti di pietas, espressi dalle ripetute velature di resine sembrano redimere la ferinità umana, contrappuntando la violenza della storia con ricami di stridente e fabulistica acme cromatica , quasi stelle lontane, rotte strali e in attingibili. L’intensa presenza pittorica di pertinenza bolognese di Francesco Martani, è stata invece segnata da un fondamentale imprinting nella New York degli anni ‘50, dove apprende, tra l’altro, un furor gestuale mai più abbandonato. Le sue Nuvole, simbolo per eccellenza dell’ambiguità di forme, della leggerezza e dell’immateriale, insomma dell’etereo, diventano folgorante metafora dei nostri tempi, topos potente del nostro immaginario, essendo del resto realizzate con una pittura liquida e luminosa, traslato stilistico della oro levità. Per quanto riguarda invece il gruppo romano l’ascendenza surrealista è evidente, ad esempio nella serie dell’Alfabetiere murale di Tomaso Binga, opera del 1977, riproposta, a distanza di trent’anni, in una sorta di visione del contemporaneo come presente della coscienza che, negli stessi giorni in cui si apriva la prima tappa del nostro viaggio cosmico, veniva identicamente proposta da Documenta. Impegnata nella cruciale questione del genere Binga trasforma il corpo femminile in lettera, cioè significante, mentre la composizione rimanda al mondo della scrittura e della scuola , dell’alfabetizzazione come liberazione e acquisizione di senso.
In Alessandro Alimenti la progressiva decantazione compositiva perviene ad una sorta di “ecologia visiva”, nella quale l’ingrandimento dei particolari, di dettato metafisico – surrealista, riporta alle Sculptures involontaires di Brassai per Dalì, svelando il potenziale estetico degli elementi del paesaggio visivo quotidiano. Maristella Campolunghi, operando con il medium fotografico , presenta il ciclo Fiori nudi in cui il rovesciamento del punto di vista consueto è il prodromo di un metamorfismo che rende irriconoscibili i soggetti, giungendo ad un’astrazione ambigua, di allure poetica e surrealista, mentre la maestria nel gioco compositivo delle penombre lumeggia uno spazio inafferrabile e sinuoso.
Nel lavoro di Sebastiano Messina, già il titolo della serie, Epoche, ovvero sospensione del giudizio, allude al temporaneo accantonamento delle facoltà logico – discorsive . Posto a tacere dunque il logos è possibile immergersi in un reale assoluto , che immediatamente si qualifica come surrealtà. E la fotografia, indice per eccellenza, traccia della realtà, è il mezzo d’elezione per costruire una nuova narrazione delle cose, come teorizzato da Rosalind Krauss nel suo Fotografia e Surrealismo.
Claudio Spoletini negli ultimi anni dipinge scene rarefatte e tacite su cui si staglia solitaria la sagoma delle fabbriche, catalogando in repertorio un’operazione di recupero memoriale collettivo , di cui trae il vocabolario iconografico da immagini d’epoca, tramandandone poi traccia nella sua pittura. Scomparsi gli operai e le operaie , uccisi dalla ferocia capitalista, resta, a surrogare la presenza umana, la collezione di giocattoli di latta , fuori scala e colorati, in una sottile allusione saviniana che conferma il suo subliminale neosurrealismo , demistificante e tragico, a dispetto della levità quasi aerea degli esiti estetici.
Nella pittura di Giovanna Picciau il ricordo di una ormai lontana fase magrittiana si fonde con più precisi ascendenti di realismo magico, ironicamente riassunti in una pittura di ascendenza Pop , nella libertà fantastica dell’immaginifica levitazione dei corpi o degli oggetti nello spazio, rese nelle forme lucide e suadenti di brillanti superfici cromatiche. La ludica, demistificante disposizione all’immediato edonismo visivo qualificano il grande appeal internazionale della sua operazione.
Bianca Pedace
13
giugno 2008
Stelle!
Dal 13 giugno al 16 settembre 2008
fotografia
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
FUSION ART GALLERY
Torino, Piazza Amedeo Peyron, 9G, (Torino)
Torino, Piazza Amedeo Peyron, 9G, (Torino)
Orario di apertura
martedì, giovedì e venerdì 16.30 - 19.30 o su appuntamento
Vernissage
13 Giugno 2008, dalle 19 alle 23
Autore
Curatore