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La ragione pittorica
Una mostra per evidenziare la sostanza della indagine pittorica, attraverso le opere più recenti di quattro grandi protagonisti della storia della pittura italiana che vivono e lavorano a Roma
Comunicato stampa
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Una mostra per evidenziare la sostanza della indagine pittorica, attraverso le opere più recenti di quattro grandi protagonisti della storia della pittura italiana che vivono e lavorano a Roma: Alberto Abate, Ennio Calabria, Giuseppe Modica e Franco Mulas. Sarà questo l’obiettivo de “La ragione pittorica”: mostra organizzata dall’Associazione Studio d’Arte Forlenza di Teramo a cura della dott.ssa Maria Cristina Ricciardi, che si inaugurerà alle ore 18.00 del prossimo 10 maggio e che resterà aperta al pubblico fino al 14 giugno 2008 (Lunedì: 16.30 – 19.00; dal martedì al sabato: 10.00 -12.30 // 16.30 – 19.30; domenica: chiuso).
Vicinanze e lontananze giocheranno tra di loro in questo decimo progetto espositivo dello Studio d’Arte Forlenza, al suo quarto anno di attività. Nelle 24 opere esposte, si ritroveranno «espressività e riflessioni profondamente diversi che testimoniano – ha affermato la dott.ssa Ricciardi - il valore straordinario che la pittura assume, per la specificità della sua voce, nella babilonia dei linguaggi odierni e l’inesauribile ricchezza di significati che questa riveste ancora per sé stessa e per gli altri nel suo ruolo di irrinunciabile comunicazione umana».
In occasione del vernissage saranno presenti gli artisti.
Gli artisti ospitati nella mostra La ragione pittorica sono:
ALBERTO ABATE
Nasce a Roma nel 1946 da famiglia con origini catanesi, ereditando dal padre (lo scultore Carmelo Abate) e dallo zio (il pittore Alessandro Abate) una precoce vocazione artistica. Si diploma all’Istituto d’arte di Catania, e successivamente all’Accademia di Belle Arti di Roma. Insegna negli Istituti d’Arte di Catania, di Padova e di Roma, oltre che all’Accademia di Belle Arti di Catania. Attualmente, è docente alla Facoltà di Architettura dell’Università di Catania.
Presenta la sua prima mostra personale alla Galleria ”La Salita” di Roma nel 1977 e alla Galleria ”La Tartaruga” nel 1980. Espone nella storica collettiva “Una mostra di sei pittori”, che afferma il ritorno della pittura e la nascita dell’estetica dell’Anacronismo: movimento, sostenuto dal critico Maurizio Calvesi. Nel corso degli anni Ottanta, tiene personali alla Galleria ”Monti” di Roma (1983), alla Galleria ”Planetario” di Trieste (1984) e alla ”Tour Fromage” di Aosta (1986) dove una sua antologica inaugura l’attività espositiva del ”Museo d’Arte contemporanea” di Aosta.
Tra i principali protagonisti della Pittura Colta sostenuta dal critico Italo Mussa, nel 1984 viene invitato alla XLI Biennale d'Arte di Venezia, nella Sezione “Aperto” e alla mostra ”La Pittura Colta” alla Galleria ”Edward Totah” di Londra. Nel 1986, partecipa alla XI Quadriennale di Roma. Nel 1988, installa una sua opera di quattro metri di base nell'edificio “The Crescent” di Philip Johnson a Dallas ed espone in Australia nei Musei di Melbourne, Perth e Adelaude. Nel 1989, è invitato in Brasile al ”Museu di Belas Artes” di Rio de Janeiro e San Paolo. Nello stesso anno, partecipa a mostre tenutesi nei Musei d’Arte Contemporanea di Helsinsk, Istanbul e Ankara. Nel 1991 e nel 1995, tiene due mostre personali alla Galleria ”Il Polittico” di Roma. Nel 1990, a Dallas, partecipa alla mostra ”Greece”, presso il ”Dallas Museum of Art League”. Nel 1992, espone due personali alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Palazzo dei Diamanti a Ferrara e a Palazzo Bandera a Busto Arsizio. Nel 1999, partecipa all’importante rassegna ”La pittura ritrovata”, al Complesso del Vittoriano a Roma. Nel 2000, tiene una conferenza all’Istituto Italiano di Cultura di New York ed è il curatore della mostra ”Immaginal Realism” alla New York University. Nel 2003, alla Galleria d’Arte Contemporanea Palazzo Forti di Verona, partecipa alla mostra internazionale ”Artists of the ideal – Neoclassicismo” curata dal critico Edward Lucie-Smith. Nel 2004, è invitato alla mostra curata da Arnaldo Romani Brizzi “Die WiedergefundeneMalerei – Eine europaische Situation” al Kunstraum Palais Porcia di Vienna. Nello stesso anno, il Senato della
Repubblica Italiana acquisita un suo dipinto per la collezione permanente di Palazzo Madama a Roma. Nel 2005, la Bulgari S.p.a. colloca delle sue opere nelle sedi di Roma, Londra, Osaka e New York. Sempre nel 2005, il Museo d'Arte di Tel Aviv acquista il grande dipinto “Aweva” per la propria collezione permanente. Nel 2006, tiene la terza mostra personale alla Galleria “Il Polittico” di Roma intitolata “La macchina del silenzio: viaggi postumi” e partecipa ad importanti rassegne come “Quindici anni” alle Scuderie Aldobrandini a Frascati e “Meditazione sulla realtà” al Palazzo della Ragione a Mantova, a cura di Lucie-Smith e organizzata dalla Galleria Planetario di Trieste. Nel 2007, partecipa alla mostra collettiva “Arte e omosessualità“ a cura di Eugenio Viola, esposta al Palazzo della Ragione a Milano e alla Palazzina Reale a Firenze. Nel 2008, espone nella suggestiva mostra collettiva ”Filosofia dei fiori”, organizzata dalla Galleria Il Polittico di Roma.
L’artista vive e lavora a Roma e Catania.
ENNIO CALABRIA
Nasce a Triboli (Libia) nel 1937. Studia all’Accademia di Belle Arti di Roma. Sin dagli esordi, attento sia ai contenuti politici e sociali sia ai temi di carattere esistenziale e autobiografico, tiene nel 1958 la sua prima mostra personale alla Galleria “La Feluca“ di Roma, entusiasmando il pubblico e la critica che lo individua come uno dei giovani pittori italiani più eloquenti di quegli anni. Nel 1963, assieme ai pittori Attardi, Farulli, Gianquinto, Guccione e Vespignani, fonda il gruppo “Il pro e il contro”: baluardo della pittura realista di quegli anni, sostenuto dai critici Del Guercio, Micacchi e Morosini.
Durante gli anni '60 e '70, attivo partecipante alle lotte politiche del tempo, realizza opere di impegno sociale ed autobiografico. Esemplari in tal senso sono anche i numerosi ritratti delle personalità del tempo: Ingrao, Moro, Giovanni XXIII, Gramsci, Mao.
Partecipa a diverse edizioni della Quadriennale di Roma (1959, 1972, 1986, 1999), della “Biennale dell’incisione” di Venezia (1963, 1965, 1968) e nel 1964 viene invitato alla XXXII Biennale di Venezia.
Espone in numerose collettive e nelle più importanti rassegne d’arte italiane, durante le quali ottiene alti riconoscimenti.
Allestisce numerose personali in prestigiosi spazi pubblici e privati in Italia e all’estero: Galleria ”Bergamini” di Milano (1968, 1972), ”La Nuova Pesa” di Roma (1971, 1973), Galleria ”La Bussola” di Torino (1979), Galleria ”La Gradiva” di Roma (1979,1984,1988), Galleria ”Forni” di Bologna (1978), Centro ”A. Olivetti” di Città del Messico (1981), Museo ”Alvar Alto” di Iyvaskyla, Finlandia (1982), ”Gucci’s Gallery” di New York (1985), ”Paco das Artes” di San Paolo (1989), ”Musée Municipal” di S. Paul De Vence (1988), Galleria ”Appiani Arte Trentadue” di Milano (1991,1998), che lo presenta nella collettiva ”Arte per immagini” (1993).
Due grandi mostre antologiche gli sono dedicate nel 1985 e nel 1987, alla ”Rotonda della Besana” di Milano e a Castel Sant’Angelo in Roma accompagnata dal volume monografico con testi di Carandente, De Micheli, Micacchi. Negli anni Novanta, con il ciclo di opere ”Ambiguità dell’intravisto”, inaugura una pittura in continua ricerca della definizione più profonda dell’identità e della forma del mondo e dell’arte. Il tema che lo pervade è l'alta velocità degli scambi sociali dei nostri tempi e il
continuo metamorfismo dell’essere. Nel 2001, tiene una retrospettiva al Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo e nel 2004 una personale al Museo Vittoria Colonna di Pescara e alla Reggia di Caserta con una straordinaria serie di grandi lavori dedicati al Papa Giovanni Paolo II. Del 2005 sono la mostra al Palazzo Pubblico di Siena e l’ampia retrospettiva ”Latenze della luce” al Palazzo dei Normanni a Palermo, con saggio critico di Simongini.
Nel corso di tutta la sua attività artistica, Ennio Calabria ha illustrato diversi volumi di poesia, racconti, copertine per libri. Ha realizzato circa 90 manifesti, per spettacoli teatrali, ARCI, Lega per le Cooperative, UISP, CGIL, CISL, PCI, movimento delle donne. Ha ricevuto numerosi e prestigiosi riconoscimenti. Ultimo il Premio “Vittorio De Sica 2006”, ricevuto al Quirinale di Roma, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica. Le sue opere sono presenti in numerose collezioni private e pubbliche: ”Metropolitan” di New York, Museo ”Puskin” di Mosca, Museo ”Wroclaw” di Cracovia, ”Museo di Eliat” in Israele, Museo d’arte contemporanea di Sofia, ”Collezione Gucci” di New York, ”Colombe d’Or” di St. Paule de Vence in Francia, Collezioni Vaticane, Galleria d’arte Moderna e Contemporanea di Roma. Gli sono stati dedicati otto documentari d’autore, prodotti dal 1964 al 1987.
L’artista vive e lavora a Roma.
GIUSEPPE MODICA
Nasce a Mazara del Vallo (Trapani) nel 1953. Studia all’Accademia di Firenze, città dove vive dal 1973 (anno delle sue prime due personali in Sicilia) al 1986 (anno in cui si trasferisce a Roma).
Nel 1976, la Galleria “La Stufa” ospita la sua prima personale a Firenze. Del 1982 e 1984, sono le mostre di Firenze che riscuotono l'interesse della critica toscana più accreditata: Santini, Paloscia, Federici, Nicoletti. In questi anni, conosce il pittore Bruno Caruso (al quale è ancora oggi legato da stima e amicizia), autore nel 1985 di un significativo saggio per la mostra alla Galleria “Incontro d'arte”: personale che costituisce il momento di partenza per un dialogo con studiosi che hanno poi sostenuto il suo lavoro: Dario Micacchi, Enzo Bilardello, Guido Giuffrè e Maurizio Fagiolo dell'Arco che da questo momento si interessa con viva attenzione all'evoluzione della sua ricerca.
Nel 1986 espone alla Galleria “La Tavolozza” di Palermo e lo scrittore Leonardo Sciascia manifesta interesse e apprezzamento per le sue opere, dedicandogli un lungo intervento sul "Corriere della Sera".
Nel 1989, vince la Cattedra di Pittura nelle Accademie di Belle Arti. Nello stesso anno, Vittorio Sgarbi scrive “L'ammodicazione del sogno”, testo per la personale che egli tiene alla Galleria “La Tavolozza” di Milano. La critica continua ad occuparsi di lui e ne parlano, fra gli altr,i Marcello Venturoli, Sebastiano Grasso, Giorgio Soavi, Claudio Strinati.
Del 1991 è la sua prima retrospettiva museale alla “Tour Fromage” di Aosta su invito di Janus, direttore del prestigioso Museo Internazionale d'Arte Contemporanea, con catalogo edito da Fabbri e testo di Maurizio Fagiolo dell'Arco. Con Alfredo Paglione della Galleria “Trentadue” di Milano, si crea una proficua collaborazione e duratura amicizia.
Nel 1992, è significativo l'incontro con Antonio Tabucchi, autore del racconto “Le vacanze di Bernardo Soares”, che accompagna una cartella di incisioni realizzate da Modica, pubblicate dall'editore Sciardelli di Milano.
Nel 1993, espone con una retrospettiva al “Palazzo dei Diamanti” di Ferrara. Del 1997-1998 è l'ampia mostra antologica alla “Casa dei Carraresi” di Treviso, curata da Marco Goldin con monografia Marsilio. Nel 1999, partecipa alla XIII Quadriennale d'Arte al “Palazzo delle Esposizioni” di Roma. Nel 2002, la Città di Mazara del Vallo gli rende omaggio con una mostra antologica a cura di Maurizio Fagiolo dell'Arco, con catalogo Allemandi.
Significative sono in questi anni le partecipazioni a manifestazioni nazionali e internazionali. Nel 2004, con il patrocinio del Polo Museale Romano, Claudio Strinati gli dedica la mostra retrospettiva “Riflessione come metafora della pittura” (Opere 1989-2003, con catalogo Allemandi) nel Complesso del Vittoriano. Nello stesso anno, il Museo Civico d'Arte Moderna e Contemporanea di Arezzo gli dedica la retrospettiva “Piero ed altri enigmi”, a cura di Giovanni Faccenda e incentrata sui rapporti enigmatici e arcani che legano da sempre la sua pittura al sublime magistero pierfrancescano. Nel 2005, nel Loggiato di San Bartolomeo, la Provincia di Palermo dedica all’artista un'altra rassegna a carattere retrospettivo, intitolata ”L'enigma del tempo e l'alchimia della luce” e a cura di Aldo Gerbino.
Nell’autunno del 2006, con la personale ”Una Stanza in mezzo al mare” curata da M. Cristina Ricciardi, espone allo studio d’Arte Forlenza di Teramo.
Nei mesi di dicembre 2007 e febbraio 2008, al Convento del Carmine a Mazara del Vallo, tiene la personale “La realtà dell’illusione” promossa dalla Regione Sicilia, prima tappa di un più ampio progetto che prevede altre due esposizioni a Barcellona e a Roma.
L’artista vive e lavora a Roma.
FRANCO MULAS
Nasce a Roma nel 1938. Studia pittura all’Accademia di Francia e alla Scuola d’Arte Ornamentale di Roma.
Nel 1967, tiene la sua prima mostra personale a Bari alla Galleria “Il Sagittario”, presentata da Renzo Vespignani. Le opere di questo primo periodo sono immagini disincantate della vita quotidiana degli italiani colta attraverso la ritualità alienante delle autostrade domenicali e dei week-end.
Sin dagli esordi, l’attenzione verso la realtà sociale, la pratica della pittura ad olio su tavola e il ruolo fondamentale riconosciuto al colore si individuano come scelte costanti all’interno della sua produzione artistica.
Alla serie “Weekend” segue nel 1968 il ciclo “Occidente”, dedicato al Maggio francese e alla contestazione giovanile esplosa in Italia, con opere esposte sia alla Galleria “La Nuova Pesa” di Roma (1969) con testi critici di Dario Micacchi, Franco Solmi e Giorgio Cortenova sia a Milano alla Galleria “Bergamini” (1970), con presentazione di Mario De Micheli.
La riflessione sulla violenza che permea la società a tutti i livelli e sull’indifferenza generale con cui questa si compie divengono l’oggetto di due nuovi cicli di lavoro: “Le Pitture nere” degli anni 1971-1972, con un’opera presente alla X Quadriennale d’Arte di Roma (1973); “Gli Itinerari” del 1974-1975. Entrambi i cicli sono esposti in importanti personali tenute a: “Galleria 32” di Milano (1972), “La Nuova Pesa” di Roma (1974), “Santacroce” di Firenze (1975), Galleria “Ricerche” di Torino con presentazione di Antonio Del Guercio, Rassegna “Tra Rivolta e Rivoluzione” tenuta a Roma (1972) e Rassegna “Italienische Realisten 1945-1974” tenuta a Berlino (1974).
Nel 1980, alla Galleria “Il Ferro di Cavallo” di Roma, espone “Autoritratto Identikit“: insieme di quattro autoritratti frontali costruiti con la tecnica dell’identikit, riproposta l’anno successivo alla Galleria d’Arte Moderna di Roma.
Con l’opera “L’Albero rosso di Mondrian“ (sequenza di quattro quadri), partecipa alla XXXIX Biennale di Venezia (1980) e alla mostra “Prove di Autori“, svoltasi alla Pinacoteca Comunale di Ravenna (1980).
Nel corso degli anni ‘80, nei lavori che costituiscono il ciclo “Finzioni”, si accentua l’interesse verso una natura divenuta metafora della condizione stessa del vivere nella sua linea di ricerca. Epone alla Galleria Comunale “Paride Pascucci” di Grosseto (1985), alla Biennale Nazionale d’Arte di Milano (1984, 1989), alla XI Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma (1986), a San Paolo e Rio de Janeiro (1989).
Nel 1989 gli viene conferito il “Premio Presidente della Repubblica” per la Pittura dell’Accdemia Nazionale di San Luca. A Roma, in una importante mostra antologica a Palazzo Braschi (1991) resentata da Antonio Del Guercio, espone il vasto ciclo di opere “Big Burg” dove si accentua l’idea dell’incalzante artificialità del mondo.
Nel 1996, viene invitato da Marco Goldin alla rassegna ”Figure della Pittura. Arte in Italia 1956-1968” a Palazzo Sarcinelli di Conegliano. Nel 1998, tiene una significativa mostra personale intitolata ”Dipinti 1980-1998” al ”Palazzo dei Priori” di Volterra.
Della fine degli anni Novanta è l’impegno al nuovo ciclo pittorico ”Schegge”, in cui ogni cosa appare ormai quasi polverizzata, ridotta a un panorama decadente non più di forme, ma di frammenti.
Nel settembre 2000, è nominato Accademico della prestigiosa Accademia Nazionale di San Luca.
Nel novembre 2005, oltre venti opere appartenenti al ciclo “Schegge”, sono state esposte negli spazi dello Studio d’Arte Forlenza di Teramo, nella personale curata da M. Cristina Ricciardi.
L’artista vive e lavora a Roma.
***
Mostra La ragione pittorica:
presentazione della curatrice Maria Cristina Ricciardi
Forlenza Studio d’Arte: Teramo, 10 maggio – 14 giugno 2008
La ragione pittorica titola, con augurale intenzione, il decimo progetto espositivo dello Studio d’Arte Forlenza che, tramite questa importante occasione festeggia anche il suo quarto anno di attività. La mostra presenta le opere più recenti di quattro grandi nomi del panorama artistico contemporaneo, che vivono e lavorano a Roma: Alberto Abate, Ennio Calabria, Giuseppe Modica e Franco Mulas. Vicinanze e lontananze giocano fra di loro. Più prossimi per generazione Calabria e Mulas, legati da una lucida e profonda riflessione sulla realtà del mondo e sul senso della vita, che approda alla disgregazione dell’impianto logico-formale, più metafisici e con esiti linguistici meno distruttivi del valore visibile, Abate e Modica che invece muovono da universi di chiara astrazione mentale.
Espressività e riflessioni profondamente diverse che testimoniano il valore straordinario che pittura assume, per la specificità della sua voce, nella babilonia dei linguaggi odierni e la inesauribile ricchezza di significati che essa riveste per sé stessa e per gli altri nel suo ruolo di irrinunciabile comunicazione umana.
Una ragione che spetta alla pittura. Una pittura che ha la sua ragione di esistere e di continuare ad essere intesa ed amata.
Alberto Abate è un pittore di raffinati mondi concettuali, percepiti con incantato compiacimento e supportati da una pratica pittorica vissuta con grande riflessione e cura di dettaglio. Una pittura totale, chiamata sin dai primi anni Ottanta “anacronista” (giacché al tempo era anacronistico essere pittori), fatta di tecnica tradizionale e di percorsi mentali che riflettono e dialogano con i significati criptati, i segni esoterici, le simbologie ed i fantasmi del passato, con l’identità stessa della storia dell’arte. Situazioni da scrutare come orizzonti, capaci di riferire, nel saper viaggiare oltre, molto altro ancora. Al di là dell’ apparente cortina di una certa piacevolezza di visione, volutamente cercata dall’artista, la formulazione dei contesti e dei personaggi trattati, rivela, in realtà (perché la pittura per Abate esiste per “rivelare”), la precipua funzione medianica addebitata all’Arte, che si consacra come “nozione sensibile”, iniziatrice di conoscenza, di un ampliamento sostanziale dei confini tracciati dentro le variazioni del vivere umano. Questo significa non solo affermare intellettualmente il ruolo che la pittura assume nell’ambito della cultura figurativa occidentale, ma ribadire la qualità di una indagine che punta ancora sulla conoscenza, investendone tutti i livelli, per ridare vita alla pratica della coscienza. L’immagine, depurata da pulsioni personali che la inficerebbero, è il luogo mentale della riflessione allo specchio, del pensiero. Analogamente alla valenza dell’ ideogramma, essa deve saper contenere dei concetti, raccogliere cioè dei significati che sappiano andare oltre la visione, riconsiderando la capacità contemplativa dell’arte, che parla attraverso la funzione intellettuale del processo pittorico. Ecco quindi i
suoi fiori, che si confondono con quelli presenti sulla tappezzeria e nelle decorazioni dei vasi, in un gioco illusorio in cui la rosa, le strelitzie, le gerbere e i tulipani, persino il grande fiore di magnolia posto in primo piano, creano continui rimandi ad altre consapevolezze che si avvalgono di profondi significati composti insieme, laddove la rosa bianca, simbolo dell’amore eterno e puro dialoga con quelle sulla parete, ai cui sette petali corre il richiama esoterico alla spiritualità dell’arte, alle soglie della conoscenza e all’ordine settenario del cosmo. L’attività dello spirito è ribadita nei suoi ritratti, sempre eleganti, nel loro gusto Art Déco, con donne raffinate e slanciate, come la poetessa Anna Achmatova, la cui ricercatezza è rilanciata dagli arabeschi di gusto orientale della tappezzeria di fondo,decorata da fiori di loti, espressivi dell’armonia cosmica e da aironi bianchi, uccelli che nella mitologia cinese trasportano le anime verso il Paradiso, immagine stessa di un temperamento nobile. Motivi ricercati, che riferiscono la disposizione d’animo dell’artista verso la contemplazione e la riscoperta di un nuovo senso dell’eterno.
In aperta polemica contro un discutibile concetto di modernità, che in verità nasconde il più profondo disinteresse verso l’essere umano, con una ricerca espressiva ed un linguaggio pittorico profondamente diverso da quello di Abate, la pittura di Ennio Calabria realizza da conquant’anni contenuti di altissimo valore speculativo collegando i mondi del visibile con le sfere incorporee del pensiero, pervenendo alla creazione di immagini che incoraggiano e alimentano la nostra facoltà di conoscere e di comprendere. «Mostrare l’esistenza sovrannaturale che si cela dietro tutte le cose, spezzare lo specchio della vita per consentirci di guardare all’Essere» affermava il tedesco Franz Marc, amico di Kandinskij nei suoi scritti d’arte, allusivi di principi di mistica cosmica. Anche per la pittura di Calabria, come per Abate, possiamo parlare di ampliamento fattivo degli orizzonti percettivi, ma ciò che qui si determina non avviene oltre la forma, attraverso il valore del simbolo o dell’allegoria, bensì all’interno della cosa stessa, che pertanto e inevitabilmente prende a modificarsi, a deformarsi, a sbilanciarsi, a vivere nuovi instabili equilibri, sempre passibili di ulteriori metamorfosi. Un relativismo che in Calabria però non vive mai di insensati nichilismi, assumendo piuttosto il carattere di un’ etica positiva, perché pur in un mondo in cui tutto pare in un continuo fluttuare e in cui le soluzioni preconfezionate lasciano il tempo che trovano, la libertà individuale del saper dare un senso alle cose, ricostruisce e ridona unità, dunque benessere, al soggetto pensante. In questo senso leggo con infinita ammirazione la forza d’animo che l’artista mette dentro il suo lavoro, visto che, ancora dopo tanti anni, la sua pittura non si è mai stancata di insegnarci a pensare, né lui di interrogarsi. E’ questo impegno umanissimo, vivo di intensità intellettuale, condotto con altissima perizia tecnica, da corpo ad un risultato che è la trascrizione stessa di un processo cognitivo, la forma assunta dalla conoscenza. Così come resta ineguagliato quel suo primato pittorico, speso nelle cromie di familiari azzurri e rossi, fatto di precarie stabilità che contorcono le prospettive della visione e generano i suoi noti “scorci deformanti”, registrazioni della natura articolata ed inquieta della vita umana. In tal senso non nascono per caso i suoi ritratti. Come quello al filosofo abruzzese Benedetto Croce, consapevole nella sua dottrina estetica di quanto traballante ed instabile fosse il terreno su cui l’uomo deve pur vivere da uomo, e di quanto forte e profonda sia l’intuizione che guidi l’artista. Analogamente, il ritratto al fisico inglese Isaac Newton, una delle più grandi menti di tutti i tempi, pare rendere omaggio alla libertà individuale, attraverso il valore soggettivo della percezione a cui lo studioso pervenne nei suoi esperimenti sull’ottica della visione. In questo modo, la coscienza pittorica di Ennio Calabria ci regala un magnifico “ponte” tra la particolarità sfaccettata dell’ “io” ed i mondi delle possibilità infinite.
Un’altra magnifica analisi pittorica sulla “instabilità”, come condizione esistenziale connessa alle dissolvenze della luce e alla natura fluida e mutevole del grande Mar Mediterraneo, esplode nella visione artistica di Giuseppe Modica, autore delle più belle pagine pittoriche mai scritte su questo immenso specchio d’acqua che l’ illustre storico Braudel ha giustamente appellato “il continente liquido”, riflesso di una storia fatta di culture millenarie europee, asiatiche e africane. Un universo affascinante, acquoso e solare, intriso dei pensieri e delle azioni degli uomini, immenso mare che in un lungo perimetro di coste che si snodano da Gibilterra al Bosforo, collega le storie di Paesi e di popoli diversi. La pittura Giuseppe Modica è dunque la quintessenza stessa di una magnifica mediterraneità che sa reinventare e rigenerare pittoricamente determinando la poeticità di una visione che è altra cosa dalla realtà. Ed ecco le sue spazialità luminose, intrise di mondi medio-orientali, romani e greci, e di continui rimandi alla vita delle cose che lo animano, su cui ho avuto già modo di scrivere in occasione della bella mostra personale tenuta dall’artista nell’autunno del 2006 allo Studio Forlenza. Una dialettica assai viva tra la realtà e la sua apparenza che coinvolge la superficie del quadro-specchio attraverso un articolato ecosistema, scandito quasi ritmicamente da ortogonali traiettorie, da rugginose ecchimosi che affiorano, come una antica patina sulla superficie del dipinto, alimentandone la tensione. Parimenti, si pone la questione pittorica tra un “fuori” e un “dentro” che si cercano, si rincorrono, laddove il mare entra nelle stanze e le stanze si aprono al mare, che penetra attraverso le terrazze assolate e dalle maioliche sconnesse, fissandosi sugli specchi, o suggerito dalle tele dei quadri appesi alle pareti, “finestre” non mero vere di quelle reali. Artifici scenici usati da Modica con consapevolezza pittorica e con raffinatezza di sintesi, per prolungare lo sguardo, “prendere le distanze” – come recita il titolo di una delle opere esposte - per sottrarsi alla rappresentazione descrittiva della realtà, e parlare della vita oltre il visibile, della vita oltre la contingenza del tempo. Lui, siciliano come Guttuso, Caruso, Guccione, metafisico come Piero della Francesca, come de Chirico, impegnato da anni a registrare quello spazio misterioso, che solo la pittura riesce a sottrarre all’indefinitezza di quello spazio che è tra l’apparire e l’essere. Lui, imparentato alla “sicilitudine”, di Sciascia, alla sospesa malinconia di Brancati, alla crisi dell’uomo contemporaneo messa inscena da Pirandello. Ed ecco che l’imponente monumentalità dei mulini a vento come quella delle storiche architetture urbane della Capitale, incontra sulle sue tele la fragilità neutrale di finestre a vetro su cui proiettare la propria immagine che - come Manritte ci insegna - è altra cosa dalla loro realtà, ma è pur sempre vera quando diviene pittura, quando la guardiamo e sentiamo che intimamente ci appartiene.
Dopo il ciclo “Big Burg”, dei primi anni Novanta, che mette a punto, con polemica efficacia, l’anima alterata di un paesaggio dal colorito antinaturalistico, tagliato a fette quasi fosse un bene commestibile pronto all’uso, Franco Mulas prosegue, in “Schegge”, la sua indagine sul concetto delle contaminazioni cromatiche e sull’artificialità del mondo, disingannata analisi di una realtà sociale che sin dai suoi esordi, che si collocano alla metà degli anni Sessanta, l’artista non ha mai perso di vista. Di questa nuova e straordinaria riflessione dove il colore è protagonista assoluto, prima più vischioso e fangoso poi offerto come materia incandescente, Franco Mulas ci propone una attuale stagione creativa, che avevo avuto già modo di presentare in occasione della sua personale in questi spazi.Tutto sembrerebbe partire dalle umidità di uno stagno, luogo primigenio della nascita e della vita, simbolo di una natura ancestrale e scomposta, come le fronde delle canne palustri mosse dal vento, tanto care al ferino Pan. Penso al vecchio Monet che specchia la propria vita nel suo laghetto di Giverny, segnando l’inizio di una moderna fisionomia del fare pittura. Lo stagno di Mulas non è un luogo sognato, ma conosciuto dal pittore, che ne osserva da tempo tutto ciò che vi si agita, come un
insieme sfrenato di forze che crescono separatamente. Se in “Big Burg” l’indagine era rivolta al paesaggio come manifestazione dell’ibrido anonimo del nostro tempo, che il consumo – citando Venturi Ferraiolo – usura nell’esteticità, e anche vero che il paesaggio in quanto prodotto umano, ne riassume la valenza etica. Quella di Mulas è una visione più disincantata, senza però la crudezza del cinismo, rispetto a quella offerta da un maestro della sua stessa generazione quale Ennio Calabria che si lascia la possibilità di uno spazio utopico che qui viene meno. Da “paesaggio artificiato” Mulas passa al concetto di “natura artificiata”, quella che Raffaele Milani precisa come - l’infinita connessione delle cose, l’ininterrotta nascita e distruzione delle forme, l’unità fluttuante dell’accadere, che si esprime nella continuità dell’esistenza temporale e spaziale. Dalla natura provengono all’artista delle forti suggestioni. L’idea stessa della contaminazione causata dall’azione insensata dell’uomo si mostra violenta nelle antinaturalistiche tinte, taglienti come schegge, abbaglianti quanto i neon nella notte, con gialli così incandescenti da potersi quasi scottare al solo sfiorarli, magmi che mentre piovono accendono lo spazio, come meteoriti roventi. Ogni cosa appare come polverizzata, ridotta ad un panorama decadente non più di forme ma di frammenti. La materia pittorica che ha preso corpo dai fendenti delle spatolate, offerte sulla tavola con violenta gestualità, espande il suo colore ad olio come la nuance di certe stampe degli anni Settanta che smarginando la tinta dai bordi creavano un insolito iridescente effetto di moderno arcobaleno. E l’arte, per l’ingegno di Mulas, continua a farsi domanda incessante sulle cose che accadono intorno a noi, nel tempo in cui viviamo, con la forza tutt’altro che visionaria e trasognata di che sa bene che mondo vorrebbe, nella felice certezza della pittura.
Maria Cristina Ricciardi
Vicinanze e lontananze giocheranno tra di loro in questo decimo progetto espositivo dello Studio d’Arte Forlenza, al suo quarto anno di attività. Nelle 24 opere esposte, si ritroveranno «espressività e riflessioni profondamente diversi che testimoniano – ha affermato la dott.ssa Ricciardi - il valore straordinario che la pittura assume, per la specificità della sua voce, nella babilonia dei linguaggi odierni e l’inesauribile ricchezza di significati che questa riveste ancora per sé stessa e per gli altri nel suo ruolo di irrinunciabile comunicazione umana».
In occasione del vernissage saranno presenti gli artisti.
Gli artisti ospitati nella mostra La ragione pittorica sono:
ALBERTO ABATE
Nasce a Roma nel 1946 da famiglia con origini catanesi, ereditando dal padre (lo scultore Carmelo Abate) e dallo zio (il pittore Alessandro Abate) una precoce vocazione artistica. Si diploma all’Istituto d’arte di Catania, e successivamente all’Accademia di Belle Arti di Roma. Insegna negli Istituti d’Arte di Catania, di Padova e di Roma, oltre che all’Accademia di Belle Arti di Catania. Attualmente, è docente alla Facoltà di Architettura dell’Università di Catania.
Presenta la sua prima mostra personale alla Galleria ”La Salita” di Roma nel 1977 e alla Galleria ”La Tartaruga” nel 1980. Espone nella storica collettiva “Una mostra di sei pittori”, che afferma il ritorno della pittura e la nascita dell’estetica dell’Anacronismo: movimento, sostenuto dal critico Maurizio Calvesi. Nel corso degli anni Ottanta, tiene personali alla Galleria ”Monti” di Roma (1983), alla Galleria ”Planetario” di Trieste (1984) e alla ”Tour Fromage” di Aosta (1986) dove una sua antologica inaugura l’attività espositiva del ”Museo d’Arte contemporanea” di Aosta.
Tra i principali protagonisti della Pittura Colta sostenuta dal critico Italo Mussa, nel 1984 viene invitato alla XLI Biennale d'Arte di Venezia, nella Sezione “Aperto” e alla mostra ”La Pittura Colta” alla Galleria ”Edward Totah” di Londra. Nel 1986, partecipa alla XI Quadriennale di Roma. Nel 1988, installa una sua opera di quattro metri di base nell'edificio “The Crescent” di Philip Johnson a Dallas ed espone in Australia nei Musei di Melbourne, Perth e Adelaude. Nel 1989, è invitato in Brasile al ”Museu di Belas Artes” di Rio de Janeiro e San Paolo. Nello stesso anno, partecipa a mostre tenutesi nei Musei d’Arte Contemporanea di Helsinsk, Istanbul e Ankara. Nel 1991 e nel 1995, tiene due mostre personali alla Galleria ”Il Polittico” di Roma. Nel 1990, a Dallas, partecipa alla mostra ”Greece”, presso il ”Dallas Museum of Art League”. Nel 1992, espone due personali alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Palazzo dei Diamanti a Ferrara e a Palazzo Bandera a Busto Arsizio. Nel 1999, partecipa all’importante rassegna ”La pittura ritrovata”, al Complesso del Vittoriano a Roma. Nel 2000, tiene una conferenza all’Istituto Italiano di Cultura di New York ed è il curatore della mostra ”Immaginal Realism” alla New York University. Nel 2003, alla Galleria d’Arte Contemporanea Palazzo Forti di Verona, partecipa alla mostra internazionale ”Artists of the ideal – Neoclassicismo” curata dal critico Edward Lucie-Smith. Nel 2004, è invitato alla mostra curata da Arnaldo Romani Brizzi “Die WiedergefundeneMalerei – Eine europaische Situation” al Kunstraum Palais Porcia di Vienna. Nello stesso anno, il Senato della
Repubblica Italiana acquisita un suo dipinto per la collezione permanente di Palazzo Madama a Roma. Nel 2005, la Bulgari S.p.a. colloca delle sue opere nelle sedi di Roma, Londra, Osaka e New York. Sempre nel 2005, il Museo d'Arte di Tel Aviv acquista il grande dipinto “Aweva” per la propria collezione permanente. Nel 2006, tiene la terza mostra personale alla Galleria “Il Polittico” di Roma intitolata “La macchina del silenzio: viaggi postumi” e partecipa ad importanti rassegne come “Quindici anni” alle Scuderie Aldobrandini a Frascati e “Meditazione sulla realtà” al Palazzo della Ragione a Mantova, a cura di Lucie-Smith e organizzata dalla Galleria Planetario di Trieste. Nel 2007, partecipa alla mostra collettiva “Arte e omosessualità“ a cura di Eugenio Viola, esposta al Palazzo della Ragione a Milano e alla Palazzina Reale a Firenze. Nel 2008, espone nella suggestiva mostra collettiva ”Filosofia dei fiori”, organizzata dalla Galleria Il Polittico di Roma.
L’artista vive e lavora a Roma e Catania.
ENNIO CALABRIA
Nasce a Triboli (Libia) nel 1937. Studia all’Accademia di Belle Arti di Roma. Sin dagli esordi, attento sia ai contenuti politici e sociali sia ai temi di carattere esistenziale e autobiografico, tiene nel 1958 la sua prima mostra personale alla Galleria “La Feluca“ di Roma, entusiasmando il pubblico e la critica che lo individua come uno dei giovani pittori italiani più eloquenti di quegli anni. Nel 1963, assieme ai pittori Attardi, Farulli, Gianquinto, Guccione e Vespignani, fonda il gruppo “Il pro e il contro”: baluardo della pittura realista di quegli anni, sostenuto dai critici Del Guercio, Micacchi e Morosini.
Durante gli anni '60 e '70, attivo partecipante alle lotte politiche del tempo, realizza opere di impegno sociale ed autobiografico. Esemplari in tal senso sono anche i numerosi ritratti delle personalità del tempo: Ingrao, Moro, Giovanni XXIII, Gramsci, Mao.
Partecipa a diverse edizioni della Quadriennale di Roma (1959, 1972, 1986, 1999), della “Biennale dell’incisione” di Venezia (1963, 1965, 1968) e nel 1964 viene invitato alla XXXII Biennale di Venezia.
Espone in numerose collettive e nelle più importanti rassegne d’arte italiane, durante le quali ottiene alti riconoscimenti.
Allestisce numerose personali in prestigiosi spazi pubblici e privati in Italia e all’estero: Galleria ”Bergamini” di Milano (1968, 1972), ”La Nuova Pesa” di Roma (1971, 1973), Galleria ”La Bussola” di Torino (1979), Galleria ”La Gradiva” di Roma (1979,1984,1988), Galleria ”Forni” di Bologna (1978), Centro ”A. Olivetti” di Città del Messico (1981), Museo ”Alvar Alto” di Iyvaskyla, Finlandia (1982), ”Gucci’s Gallery” di New York (1985), ”Paco das Artes” di San Paolo (1989), ”Musée Municipal” di S. Paul De Vence (1988), Galleria ”Appiani Arte Trentadue” di Milano (1991,1998), che lo presenta nella collettiva ”Arte per immagini” (1993).
Due grandi mostre antologiche gli sono dedicate nel 1985 e nel 1987, alla ”Rotonda della Besana” di Milano e a Castel Sant’Angelo in Roma accompagnata dal volume monografico con testi di Carandente, De Micheli, Micacchi. Negli anni Novanta, con il ciclo di opere ”Ambiguità dell’intravisto”, inaugura una pittura in continua ricerca della definizione più profonda dell’identità e della forma del mondo e dell’arte. Il tema che lo pervade è l'alta velocità degli scambi sociali dei nostri tempi e il
continuo metamorfismo dell’essere. Nel 2001, tiene una retrospettiva al Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo e nel 2004 una personale al Museo Vittoria Colonna di Pescara e alla Reggia di Caserta con una straordinaria serie di grandi lavori dedicati al Papa Giovanni Paolo II. Del 2005 sono la mostra al Palazzo Pubblico di Siena e l’ampia retrospettiva ”Latenze della luce” al Palazzo dei Normanni a Palermo, con saggio critico di Simongini.
Nel corso di tutta la sua attività artistica, Ennio Calabria ha illustrato diversi volumi di poesia, racconti, copertine per libri. Ha realizzato circa 90 manifesti, per spettacoli teatrali, ARCI, Lega per le Cooperative, UISP, CGIL, CISL, PCI, movimento delle donne. Ha ricevuto numerosi e prestigiosi riconoscimenti. Ultimo il Premio “Vittorio De Sica 2006”, ricevuto al Quirinale di Roma, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica. Le sue opere sono presenti in numerose collezioni private e pubbliche: ”Metropolitan” di New York, Museo ”Puskin” di Mosca, Museo ”Wroclaw” di Cracovia, ”Museo di Eliat” in Israele, Museo d’arte contemporanea di Sofia, ”Collezione Gucci” di New York, ”Colombe d’Or” di St. Paule de Vence in Francia, Collezioni Vaticane, Galleria d’arte Moderna e Contemporanea di Roma. Gli sono stati dedicati otto documentari d’autore, prodotti dal 1964 al 1987.
L’artista vive e lavora a Roma.
GIUSEPPE MODICA
Nasce a Mazara del Vallo (Trapani) nel 1953. Studia all’Accademia di Firenze, città dove vive dal 1973 (anno delle sue prime due personali in Sicilia) al 1986 (anno in cui si trasferisce a Roma).
Nel 1976, la Galleria “La Stufa” ospita la sua prima personale a Firenze. Del 1982 e 1984, sono le mostre di Firenze che riscuotono l'interesse della critica toscana più accreditata: Santini, Paloscia, Federici, Nicoletti. In questi anni, conosce il pittore Bruno Caruso (al quale è ancora oggi legato da stima e amicizia), autore nel 1985 di un significativo saggio per la mostra alla Galleria “Incontro d'arte”: personale che costituisce il momento di partenza per un dialogo con studiosi che hanno poi sostenuto il suo lavoro: Dario Micacchi, Enzo Bilardello, Guido Giuffrè e Maurizio Fagiolo dell'Arco che da questo momento si interessa con viva attenzione all'evoluzione della sua ricerca.
Nel 1986 espone alla Galleria “La Tavolozza” di Palermo e lo scrittore Leonardo Sciascia manifesta interesse e apprezzamento per le sue opere, dedicandogli un lungo intervento sul "Corriere della Sera".
Nel 1989, vince la Cattedra di Pittura nelle Accademie di Belle Arti. Nello stesso anno, Vittorio Sgarbi scrive “L'ammodicazione del sogno”, testo per la personale che egli tiene alla Galleria “La Tavolozza” di Milano. La critica continua ad occuparsi di lui e ne parlano, fra gli altr,i Marcello Venturoli, Sebastiano Grasso, Giorgio Soavi, Claudio Strinati.
Del 1991 è la sua prima retrospettiva museale alla “Tour Fromage” di Aosta su invito di Janus, direttore del prestigioso Museo Internazionale d'Arte Contemporanea, con catalogo edito da Fabbri e testo di Maurizio Fagiolo dell'Arco. Con Alfredo Paglione della Galleria “Trentadue” di Milano, si crea una proficua collaborazione e duratura amicizia.
Nel 1992, è significativo l'incontro con Antonio Tabucchi, autore del racconto “Le vacanze di Bernardo Soares”, che accompagna una cartella di incisioni realizzate da Modica, pubblicate dall'editore Sciardelli di Milano.
Nel 1993, espone con una retrospettiva al “Palazzo dei Diamanti” di Ferrara. Del 1997-1998 è l'ampia mostra antologica alla “Casa dei Carraresi” di Treviso, curata da Marco Goldin con monografia Marsilio. Nel 1999, partecipa alla XIII Quadriennale d'Arte al “Palazzo delle Esposizioni” di Roma. Nel 2002, la Città di Mazara del Vallo gli rende omaggio con una mostra antologica a cura di Maurizio Fagiolo dell'Arco, con catalogo Allemandi.
Significative sono in questi anni le partecipazioni a manifestazioni nazionali e internazionali. Nel 2004, con il patrocinio del Polo Museale Romano, Claudio Strinati gli dedica la mostra retrospettiva “Riflessione come metafora della pittura” (Opere 1989-2003, con catalogo Allemandi) nel Complesso del Vittoriano. Nello stesso anno, il Museo Civico d'Arte Moderna e Contemporanea di Arezzo gli dedica la retrospettiva “Piero ed altri enigmi”, a cura di Giovanni Faccenda e incentrata sui rapporti enigmatici e arcani che legano da sempre la sua pittura al sublime magistero pierfrancescano. Nel 2005, nel Loggiato di San Bartolomeo, la Provincia di Palermo dedica all’artista un'altra rassegna a carattere retrospettivo, intitolata ”L'enigma del tempo e l'alchimia della luce” e a cura di Aldo Gerbino.
Nell’autunno del 2006, con la personale ”Una Stanza in mezzo al mare” curata da M. Cristina Ricciardi, espone allo studio d’Arte Forlenza di Teramo.
Nei mesi di dicembre 2007 e febbraio 2008, al Convento del Carmine a Mazara del Vallo, tiene la personale “La realtà dell’illusione” promossa dalla Regione Sicilia, prima tappa di un più ampio progetto che prevede altre due esposizioni a Barcellona e a Roma.
L’artista vive e lavora a Roma.
FRANCO MULAS
Nasce a Roma nel 1938. Studia pittura all’Accademia di Francia e alla Scuola d’Arte Ornamentale di Roma.
Nel 1967, tiene la sua prima mostra personale a Bari alla Galleria “Il Sagittario”, presentata da Renzo Vespignani. Le opere di questo primo periodo sono immagini disincantate della vita quotidiana degli italiani colta attraverso la ritualità alienante delle autostrade domenicali e dei week-end.
Sin dagli esordi, l’attenzione verso la realtà sociale, la pratica della pittura ad olio su tavola e il ruolo fondamentale riconosciuto al colore si individuano come scelte costanti all’interno della sua produzione artistica.
Alla serie “Weekend” segue nel 1968 il ciclo “Occidente”, dedicato al Maggio francese e alla contestazione giovanile esplosa in Italia, con opere esposte sia alla Galleria “La Nuova Pesa” di Roma (1969) con testi critici di Dario Micacchi, Franco Solmi e Giorgio Cortenova sia a Milano alla Galleria “Bergamini” (1970), con presentazione di Mario De Micheli.
La riflessione sulla violenza che permea la società a tutti i livelli e sull’indifferenza generale con cui questa si compie divengono l’oggetto di due nuovi cicli di lavoro: “Le Pitture nere” degli anni 1971-1972, con un’opera presente alla X Quadriennale d’Arte di Roma (1973); “Gli Itinerari” del 1974-1975. Entrambi i cicli sono esposti in importanti personali tenute a: “Galleria 32” di Milano (1972), “La Nuova Pesa” di Roma (1974), “Santacroce” di Firenze (1975), Galleria “Ricerche” di Torino con presentazione di Antonio Del Guercio, Rassegna “Tra Rivolta e Rivoluzione” tenuta a Roma (1972) e Rassegna “Italienische Realisten 1945-1974” tenuta a Berlino (1974).
Nel 1980, alla Galleria “Il Ferro di Cavallo” di Roma, espone “Autoritratto Identikit“: insieme di quattro autoritratti frontali costruiti con la tecnica dell’identikit, riproposta l’anno successivo alla Galleria d’Arte Moderna di Roma.
Con l’opera “L’Albero rosso di Mondrian“ (sequenza di quattro quadri), partecipa alla XXXIX Biennale di Venezia (1980) e alla mostra “Prove di Autori“, svoltasi alla Pinacoteca Comunale di Ravenna (1980).
Nel corso degli anni ‘80, nei lavori che costituiscono il ciclo “Finzioni”, si accentua l’interesse verso una natura divenuta metafora della condizione stessa del vivere nella sua linea di ricerca. Epone alla Galleria Comunale “Paride Pascucci” di Grosseto (1985), alla Biennale Nazionale d’Arte di Milano (1984, 1989), alla XI Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma (1986), a San Paolo e Rio de Janeiro (1989).
Nel 1989 gli viene conferito il “Premio Presidente della Repubblica” per la Pittura dell’Accdemia Nazionale di San Luca. A Roma, in una importante mostra antologica a Palazzo Braschi (1991) resentata da Antonio Del Guercio, espone il vasto ciclo di opere “Big Burg” dove si accentua l’idea dell’incalzante artificialità del mondo.
Nel 1996, viene invitato da Marco Goldin alla rassegna ”Figure della Pittura. Arte in Italia 1956-1968” a Palazzo Sarcinelli di Conegliano. Nel 1998, tiene una significativa mostra personale intitolata ”Dipinti 1980-1998” al ”Palazzo dei Priori” di Volterra.
Della fine degli anni Novanta è l’impegno al nuovo ciclo pittorico ”Schegge”, in cui ogni cosa appare ormai quasi polverizzata, ridotta a un panorama decadente non più di forme, ma di frammenti.
Nel settembre 2000, è nominato Accademico della prestigiosa Accademia Nazionale di San Luca.
Nel novembre 2005, oltre venti opere appartenenti al ciclo “Schegge”, sono state esposte negli spazi dello Studio d’Arte Forlenza di Teramo, nella personale curata da M. Cristina Ricciardi.
L’artista vive e lavora a Roma.
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Mostra La ragione pittorica:
presentazione della curatrice Maria Cristina Ricciardi
Forlenza Studio d’Arte: Teramo, 10 maggio – 14 giugno 2008
La ragione pittorica titola, con augurale intenzione, il decimo progetto espositivo dello Studio d’Arte Forlenza che, tramite questa importante occasione festeggia anche il suo quarto anno di attività. La mostra presenta le opere più recenti di quattro grandi nomi del panorama artistico contemporaneo, che vivono e lavorano a Roma: Alberto Abate, Ennio Calabria, Giuseppe Modica e Franco Mulas. Vicinanze e lontananze giocano fra di loro. Più prossimi per generazione Calabria e Mulas, legati da una lucida e profonda riflessione sulla realtà del mondo e sul senso della vita, che approda alla disgregazione dell’impianto logico-formale, più metafisici e con esiti linguistici meno distruttivi del valore visibile, Abate e Modica che invece muovono da universi di chiara astrazione mentale.
Espressività e riflessioni profondamente diverse che testimoniano il valore straordinario che pittura assume, per la specificità della sua voce, nella babilonia dei linguaggi odierni e la inesauribile ricchezza di significati che essa riveste per sé stessa e per gli altri nel suo ruolo di irrinunciabile comunicazione umana.
Una ragione che spetta alla pittura. Una pittura che ha la sua ragione di esistere e di continuare ad essere intesa ed amata.
Alberto Abate è un pittore di raffinati mondi concettuali, percepiti con incantato compiacimento e supportati da una pratica pittorica vissuta con grande riflessione e cura di dettaglio. Una pittura totale, chiamata sin dai primi anni Ottanta “anacronista” (giacché al tempo era anacronistico essere pittori), fatta di tecnica tradizionale e di percorsi mentali che riflettono e dialogano con i significati criptati, i segni esoterici, le simbologie ed i fantasmi del passato, con l’identità stessa della storia dell’arte. Situazioni da scrutare come orizzonti, capaci di riferire, nel saper viaggiare oltre, molto altro ancora. Al di là dell’ apparente cortina di una certa piacevolezza di visione, volutamente cercata dall’artista, la formulazione dei contesti e dei personaggi trattati, rivela, in realtà (perché la pittura per Abate esiste per “rivelare”), la precipua funzione medianica addebitata all’Arte, che si consacra come “nozione sensibile”, iniziatrice di conoscenza, di un ampliamento sostanziale dei confini tracciati dentro le variazioni del vivere umano. Questo significa non solo affermare intellettualmente il ruolo che la pittura assume nell’ambito della cultura figurativa occidentale, ma ribadire la qualità di una indagine che punta ancora sulla conoscenza, investendone tutti i livelli, per ridare vita alla pratica della coscienza. L’immagine, depurata da pulsioni personali che la inficerebbero, è il luogo mentale della riflessione allo specchio, del pensiero. Analogamente alla valenza dell’ ideogramma, essa deve saper contenere dei concetti, raccogliere cioè dei significati che sappiano andare oltre la visione, riconsiderando la capacità contemplativa dell’arte, che parla attraverso la funzione intellettuale del processo pittorico. Ecco quindi i
suoi fiori, che si confondono con quelli presenti sulla tappezzeria e nelle decorazioni dei vasi, in un gioco illusorio in cui la rosa, le strelitzie, le gerbere e i tulipani, persino il grande fiore di magnolia posto in primo piano, creano continui rimandi ad altre consapevolezze che si avvalgono di profondi significati composti insieme, laddove la rosa bianca, simbolo dell’amore eterno e puro dialoga con quelle sulla parete, ai cui sette petali corre il richiama esoterico alla spiritualità dell’arte, alle soglie della conoscenza e all’ordine settenario del cosmo. L’attività dello spirito è ribadita nei suoi ritratti, sempre eleganti, nel loro gusto Art Déco, con donne raffinate e slanciate, come la poetessa Anna Achmatova, la cui ricercatezza è rilanciata dagli arabeschi di gusto orientale della tappezzeria di fondo,decorata da fiori di loti, espressivi dell’armonia cosmica e da aironi bianchi, uccelli che nella mitologia cinese trasportano le anime verso il Paradiso, immagine stessa di un temperamento nobile. Motivi ricercati, che riferiscono la disposizione d’animo dell’artista verso la contemplazione e la riscoperta di un nuovo senso dell’eterno.
In aperta polemica contro un discutibile concetto di modernità, che in verità nasconde il più profondo disinteresse verso l’essere umano, con una ricerca espressiva ed un linguaggio pittorico profondamente diverso da quello di Abate, la pittura di Ennio Calabria realizza da conquant’anni contenuti di altissimo valore speculativo collegando i mondi del visibile con le sfere incorporee del pensiero, pervenendo alla creazione di immagini che incoraggiano e alimentano la nostra facoltà di conoscere e di comprendere. «Mostrare l’esistenza sovrannaturale che si cela dietro tutte le cose, spezzare lo specchio della vita per consentirci di guardare all’Essere» affermava il tedesco Franz Marc, amico di Kandinskij nei suoi scritti d’arte, allusivi di principi di mistica cosmica. Anche per la pittura di Calabria, come per Abate, possiamo parlare di ampliamento fattivo degli orizzonti percettivi, ma ciò che qui si determina non avviene oltre la forma, attraverso il valore del simbolo o dell’allegoria, bensì all’interno della cosa stessa, che pertanto e inevitabilmente prende a modificarsi, a deformarsi, a sbilanciarsi, a vivere nuovi instabili equilibri, sempre passibili di ulteriori metamorfosi. Un relativismo che in Calabria però non vive mai di insensati nichilismi, assumendo piuttosto il carattere di un’ etica positiva, perché pur in un mondo in cui tutto pare in un continuo fluttuare e in cui le soluzioni preconfezionate lasciano il tempo che trovano, la libertà individuale del saper dare un senso alle cose, ricostruisce e ridona unità, dunque benessere, al soggetto pensante. In questo senso leggo con infinita ammirazione la forza d’animo che l’artista mette dentro il suo lavoro, visto che, ancora dopo tanti anni, la sua pittura non si è mai stancata di insegnarci a pensare, né lui di interrogarsi. E’ questo impegno umanissimo, vivo di intensità intellettuale, condotto con altissima perizia tecnica, da corpo ad un risultato che è la trascrizione stessa di un processo cognitivo, la forma assunta dalla conoscenza. Così come resta ineguagliato quel suo primato pittorico, speso nelle cromie di familiari azzurri e rossi, fatto di precarie stabilità che contorcono le prospettive della visione e generano i suoi noti “scorci deformanti”, registrazioni della natura articolata ed inquieta della vita umana. In tal senso non nascono per caso i suoi ritratti. Come quello al filosofo abruzzese Benedetto Croce, consapevole nella sua dottrina estetica di quanto traballante ed instabile fosse il terreno su cui l’uomo deve pur vivere da uomo, e di quanto forte e profonda sia l’intuizione che guidi l’artista. Analogamente, il ritratto al fisico inglese Isaac Newton, una delle più grandi menti di tutti i tempi, pare rendere omaggio alla libertà individuale, attraverso il valore soggettivo della percezione a cui lo studioso pervenne nei suoi esperimenti sull’ottica della visione. In questo modo, la coscienza pittorica di Ennio Calabria ci regala un magnifico “ponte” tra la particolarità sfaccettata dell’ “io” ed i mondi delle possibilità infinite.
Un’altra magnifica analisi pittorica sulla “instabilità”, come condizione esistenziale connessa alle dissolvenze della luce e alla natura fluida e mutevole del grande Mar Mediterraneo, esplode nella visione artistica di Giuseppe Modica, autore delle più belle pagine pittoriche mai scritte su questo immenso specchio d’acqua che l’ illustre storico Braudel ha giustamente appellato “il continente liquido”, riflesso di una storia fatta di culture millenarie europee, asiatiche e africane. Un universo affascinante, acquoso e solare, intriso dei pensieri e delle azioni degli uomini, immenso mare che in un lungo perimetro di coste che si snodano da Gibilterra al Bosforo, collega le storie di Paesi e di popoli diversi. La pittura Giuseppe Modica è dunque la quintessenza stessa di una magnifica mediterraneità che sa reinventare e rigenerare pittoricamente determinando la poeticità di una visione che è altra cosa dalla realtà. Ed ecco le sue spazialità luminose, intrise di mondi medio-orientali, romani e greci, e di continui rimandi alla vita delle cose che lo animano, su cui ho avuto già modo di scrivere in occasione della bella mostra personale tenuta dall’artista nell’autunno del 2006 allo Studio Forlenza. Una dialettica assai viva tra la realtà e la sua apparenza che coinvolge la superficie del quadro-specchio attraverso un articolato ecosistema, scandito quasi ritmicamente da ortogonali traiettorie, da rugginose ecchimosi che affiorano, come una antica patina sulla superficie del dipinto, alimentandone la tensione. Parimenti, si pone la questione pittorica tra un “fuori” e un “dentro” che si cercano, si rincorrono, laddove il mare entra nelle stanze e le stanze si aprono al mare, che penetra attraverso le terrazze assolate e dalle maioliche sconnesse, fissandosi sugli specchi, o suggerito dalle tele dei quadri appesi alle pareti, “finestre” non mero vere di quelle reali. Artifici scenici usati da Modica con consapevolezza pittorica e con raffinatezza di sintesi, per prolungare lo sguardo, “prendere le distanze” – come recita il titolo di una delle opere esposte - per sottrarsi alla rappresentazione descrittiva della realtà, e parlare della vita oltre il visibile, della vita oltre la contingenza del tempo. Lui, siciliano come Guttuso, Caruso, Guccione, metafisico come Piero della Francesca, come de Chirico, impegnato da anni a registrare quello spazio misterioso, che solo la pittura riesce a sottrarre all’indefinitezza di quello spazio che è tra l’apparire e l’essere. Lui, imparentato alla “sicilitudine”, di Sciascia, alla sospesa malinconia di Brancati, alla crisi dell’uomo contemporaneo messa inscena da Pirandello. Ed ecco che l’imponente monumentalità dei mulini a vento come quella delle storiche architetture urbane della Capitale, incontra sulle sue tele la fragilità neutrale di finestre a vetro su cui proiettare la propria immagine che - come Manritte ci insegna - è altra cosa dalla loro realtà, ma è pur sempre vera quando diviene pittura, quando la guardiamo e sentiamo che intimamente ci appartiene.
Dopo il ciclo “Big Burg”, dei primi anni Novanta, che mette a punto, con polemica efficacia, l’anima alterata di un paesaggio dal colorito antinaturalistico, tagliato a fette quasi fosse un bene commestibile pronto all’uso, Franco Mulas prosegue, in “Schegge”, la sua indagine sul concetto delle contaminazioni cromatiche e sull’artificialità del mondo, disingannata analisi di una realtà sociale che sin dai suoi esordi, che si collocano alla metà degli anni Sessanta, l’artista non ha mai perso di vista. Di questa nuova e straordinaria riflessione dove il colore è protagonista assoluto, prima più vischioso e fangoso poi offerto come materia incandescente, Franco Mulas ci propone una attuale stagione creativa, che avevo avuto già modo di presentare in occasione della sua personale in questi spazi.Tutto sembrerebbe partire dalle umidità di uno stagno, luogo primigenio della nascita e della vita, simbolo di una natura ancestrale e scomposta, come le fronde delle canne palustri mosse dal vento, tanto care al ferino Pan. Penso al vecchio Monet che specchia la propria vita nel suo laghetto di Giverny, segnando l’inizio di una moderna fisionomia del fare pittura. Lo stagno di Mulas non è un luogo sognato, ma conosciuto dal pittore, che ne osserva da tempo tutto ciò che vi si agita, come un
insieme sfrenato di forze che crescono separatamente. Se in “Big Burg” l’indagine era rivolta al paesaggio come manifestazione dell’ibrido anonimo del nostro tempo, che il consumo – citando Venturi Ferraiolo – usura nell’esteticità, e anche vero che il paesaggio in quanto prodotto umano, ne riassume la valenza etica. Quella di Mulas è una visione più disincantata, senza però la crudezza del cinismo, rispetto a quella offerta da un maestro della sua stessa generazione quale Ennio Calabria che si lascia la possibilità di uno spazio utopico che qui viene meno. Da “paesaggio artificiato” Mulas passa al concetto di “natura artificiata”, quella che Raffaele Milani precisa come - l’infinita connessione delle cose, l’ininterrotta nascita e distruzione delle forme, l’unità fluttuante dell’accadere, che si esprime nella continuità dell’esistenza temporale e spaziale. Dalla natura provengono all’artista delle forti suggestioni. L’idea stessa della contaminazione causata dall’azione insensata dell’uomo si mostra violenta nelle antinaturalistiche tinte, taglienti come schegge, abbaglianti quanto i neon nella notte, con gialli così incandescenti da potersi quasi scottare al solo sfiorarli, magmi che mentre piovono accendono lo spazio, come meteoriti roventi. Ogni cosa appare come polverizzata, ridotta ad un panorama decadente non più di forme ma di frammenti. La materia pittorica che ha preso corpo dai fendenti delle spatolate, offerte sulla tavola con violenta gestualità, espande il suo colore ad olio come la nuance di certe stampe degli anni Settanta che smarginando la tinta dai bordi creavano un insolito iridescente effetto di moderno arcobaleno. E l’arte, per l’ingegno di Mulas, continua a farsi domanda incessante sulle cose che accadono intorno a noi, nel tempo in cui viviamo, con la forza tutt’altro che visionaria e trasognata di che sa bene che mondo vorrebbe, nella felice certezza della pittura.
Maria Cristina Ricciardi
10
maggio 2008
La ragione pittorica
Dal 10 maggio al 14 giugno 2008
arte contemporanea
Location
STUDIO D’ARTE FORLENZA
Teramo, Via Porta Carrese, 28, (Teramo)
Teramo, Via Porta Carrese, 28, (Teramo)
Orario di apertura
Lunedì: 16.30 – 19.00; dal martedì al sabato: 10.00 -12.30 // 16.30 – 19.30; domenica: chiuso
Vernissage
10 Maggio 2008, ore 18
Autore
Curatore