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Onofrio Pepe – Athena in Athenaeum
Nell’attività di Pepe, scultore salernitano da molti anni a Firenze, sono
sempre prevalsi il mito e la classicità: il ciclo di opere create appositamente per questa
occasione ruota intorno alla figura di Atena
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Firenze, lunedì 28 aprile 2008 – Da oggi fino al 4 luglio il Rettorato dell’Università degli
Studi di Firenze (piazza San Marco 4, Firenze) ospiterà la mostra di Onofrio Pepe Athena in
Athenaeum (tutti i giorni 9-18, chiuso il sabato e la domenica). 24, tra bronzi e terrecotte,
saranno le opere esposte, per lo più erme e stele per un allestimento in cui predomina la
dimensione verticale. Nell’attività di Pepe, scultore salernitano da molti anni a Firenze, sono
sempre prevalsi il mito e la classicità: il ciclo di opere create appositamente per questa
occasione ruota intorno alla figura di Atena. Così l’ateneo fiorentino da oggi assolverà
letteralmente, anzi etimologicamente, alla propria funzione: athénaion in greco significa
‘tempio di Atena’, dea della sapienza, e per più di due mesi sarà anche il tempio dell’Atena di
Pepe. Ella è principalmente la divinità che incarna il senno, la ragione e il pensiero che porta
all’azione. Nonostante il suo armamentario bellico, si contrappone ad Ares, personificazione
della guerra indiscriminata e violenta, per la sua forza e coraggio temperati da un sentimento
di giustizia, benevolenza e generosa lealtà.
È inevitabile il confronto tra l’Atena di Pepe al rettorato fiorentino e l’Atena di Arturo Martini
all’università romana della Sapienza, raffigurata come la dea guerriera invincibile con lo scudo
levato in alto. Per Onofrio Pepe, al contrario dell’artista trevigiano, Atena è essenzialmente
la dea della sapienza. Egli raffigura nel principale bronzo in mostra: alto più di due metri, collocato
nel grande atrio del Rettorato, è visibile già dal centro di piazza San Marco. Oltre a uno
sguardo carico di umanità, Athena mostra i principali simboli in una visione tutta pepiana: in
petto la testa di Medusa; sulla spalla la civetta, l’animale a lei sacro a cui si deve l’epiteto
“glaucopide”, traducibile sia come “dagli occhi azzurri”, sia “dagli occhi di civetta”, da glaukós
(azzurro) o glaux (civetta) e óps (occhio). Infine lo scudo che non ha più la funzione di
strumento bellico, ma piuttosto di elemento secondario che Atena utilizza semplicemente
come appoggio.
Nell’occasione della mostra le edizioni Polistampa pubblicano il catalogo con testi critici del
curatore Francesco Gurrieri e di Sergio Givone in cui sono documentate fotograficamente
tutte le opere esposte.
Questo evento artistico in onore della figura di Atena è il risultato della trentennale ricerca
artistica di Onofrio Pepe che trova il suo fulcro nel tema della continuità del mito dalla
filosofia greca alla cultura latina fino a oggi.
E il messaggio che Pepe sembra voler trasmettere è l’auspicato recupero dell’ateneo quale
luogo privilegiato per l’affermazione della sapienza, da perseguire con la tenacia e l’impegno
con cui si affronta una guerra, purché ordinata e costruttiva come insegna Atena.
Ufficio stampa Eventi Pagliai
press@eventipagliai.com 335 1373722 - 055 7378736
ONOFRIO PEPE
ATHENA in ATHENAEUM
RETTORATO DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE
PIAZZA SAN MARCO 4, FIRENZE
29 APRILE - 4 LUGLIO 2008
ONOFRIO PEPE
Cenno biografico
Onofrio Pepe, nato a Nocera Inferiore (Salerno) nel 1945, diplomatosi presso l’Istituto d’arte di
Salerno, vive e lavora a Firenze. Da Pæstum e da Pompei, luoghi dov’è palpabile l’eterna attualità
del mito, Pepe trasferisce le suggestioni nella scultura, arte cui s’è accostato da autodidatta, con un
iter del tutto personale. L’incontro con la scultura, di cui il maestro è uno dei protagonisti italiani,
avviene però a Firenze, in uno dei pochi studi d’artista rimasti nel centro storico, nel quartiere di
San Frediano. Pepe si perfeziona nell’espressione formale attraverso un’interrogazione assidua
della scultura antica che lo libera dagli atteggiamenti imposti dalla rappresentazione barocca: la
sua ricerca sul mito, fonte inesauribile di temi e soggetti, perseguita con grande coerenza da vari
decenni, lo trasporta in un universo simbolico cui rende omaggio, ogni volta con sempre maggior
finezza, quale dimensione sacrale.
Il suo esordio avviene negli anni Ottanta, quando giunge in Toscana, portando con sé l’umore di
intere generazioni legate ai miti e alle leggende, i cui protagonisti ed episodi egli rivisita.
È il primo artista a inaugurare la stagione espositiva del Consiglio regionale toscano con la mostra
il Percorso nel Mito (maggio-giugno 2001) nella quale presenta diciotto sculture monumentali e otto
bozzetti in bronzo e refrattario.
Nell’ottobre 2003 propone La Porta del Mito, nata dall’amore per Le Metamorfosi di Ovidio. Si tratta
di una porta bronzea a due ante, alta più di tre metri, costituita da 42 formelle sul ‘recto’ e di una
striscia di 6 sul ‘verso’, dove una scena continua rappresenta ‘La Danza dionisiaca’, a significare
che l’ebbrezza dionisiaca rende possibile la rivelazione dei miti.
Nel 2005 espone la monumentale porta del Mito nel piazzale degli Uffizi e Carlo Azeglio Ciampi
gli conferisce la medaglia d’argento della presidenza della Repubblica per alti meriti artistici.
Ufficio stampa Eventi Pagliai
press@eventipagliai.com 335 1373722 - 055 7378736
ONOFRIO PEPE
ATHENA in ATHENAEUM
RETTORATO DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE
PIAZZA SAN MARCO 4, FIRENZE
29 APRILE - 4 LUGLIO 2008
IL TUMULTO PLASTICO DI ONOFRIO PEPE
Fra gli artisti che hanno scelto il mito come oggetto della loro identità, fra i più fedeli, c’è sicuramente
Onofrio Pepe, che onora la Classe di scultura della gloriosa Accademia delle arti del disegno,
fondata nel 1563. I temi privilegiati sono il mito d’Europa, Icaro, Demetra, Danae, Sisifo. La
sua più vasta e sistematica narrazione mitologica è stata riposta nella grande Porta del Mito che la
Banca CR Firenze sistemerà nella sua nuova sede di Novoli. Così questo nuovo “percorso del
Mito”, disteso fra le parti monumentali della sede del Rettorato a San Marco è una suggestiva
proposta della grande scultura di questo Maestro (il cui apprezzamento si è ormai diffuso negli
Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Francia), che precede la grande performance urbana – «Icarus on
the Labyrinth» – programmata per altri luoghi della città di Firenze. Pepe ha fatto del mito la propria
identità tematica, da sempre caratterizzata da una plastica sapiente che ha saputo assorbire la
lezione di Arturo Martini e poi di Vangi e Mitoraj: dialogando col sentimento del mito e drenando
da questo materia, linfa e aspirazione per rappresentare i drammi metastorici dell’umanità.
Continua ad esserci, nel percorso plastico di Pepe, un ‘protocollo’ con l’immortalità del linguaggio
che fa dell’evento artistico un processo di ipostatizzazione capace di trasformare ciò che è relativo
e contingente (la persona umana) in entità assoluta e metafisica: un processo di assolutizzazione
del dolore, di «attraversamento della vita» (per dirla con Mario Luzi); con la vita, appunto, e
con la morte. Così, a ben guardare, questo artista riesce a sollevare con la mitologia (che avevamo
quasi dimenticata) il dolore e le tragedie dei nostri giorni. Ci sembra allora di poter dire che, ancora
una volta, Thanatos, quale istinto di morte, esce sconfitto grazie a questo nobile processo plastico-
figurativo. Quelli di questo artista sono anche i temi delle Metamorfosi di Ovidio: tutti percorsi
da grande pathos e da differenti registri psicologici che toccano la passione, l’amore, la gelosia,
la follia, la mitezza, l’audacia, la seduzione, l’amor folle, la corte amatoria e altro ancora. Ed anche
con la riproposizione dell’idea di stele, Onofrio Pepe mutua una tipologia della classicità, reinvestendo
in contemporaneità. Il nostro Ateneo, ne siamo certi, saprà registrare l’evento, tornando anche
a riflettere sul suo ruolo di incubatore e rigeneratore critico del sapere affidatogli.
* * *
Onofrio Pepe, prima di arrivare alla Minerva (l’Athena di Pericle) che oggi troneggia in Rettorato,
ha largamente sperimentato il tema mitologico (che poi è il suo unico tema identificativo), cimentandosi
col Ratto d’Europa. «Il Mito d’Europa, da fanciulla rapita a continente» (mostra progettata
da Cristina Acidini ed Elena Capretti), dette conto di questa ininterrotta fascinazione che, dalla
metopa di Delfi (VI sec. a.C.) al mosaico pavimentale di Aquileia (I sec. d.C.), attraverso gli svolgimenti
giambologneschi di Stefano della Bella e Luca Giordano, portava alle interpretazioni contemporanee
di Topor, di Picasso, di Lipchitz. In questa ininterrotta linea iconografica, in tempi
non sospetti (a partire dagli anni Ottanta), Onofrio Pepe ha consumato e fecondato la sua frequentazione
artistica col mito, inteso come inesauribile memoria dell’identità umana, fino a identificarvi
la sua intera produzione plastica. Troppe sono le esercitazioni letterarie, storiografiche,
interpretative sul mito d’Europa per azzardare il privilegio di una sulle altre; e del resto, il mito
può (o forse deve) godere di questa elasticità evocativa, così come dell’attenzione psicoanalitica
che non risparmiò nemmeno Jung. Almeno su un punto non c’è spazio per il dubbio: che Europa
e il Toro siano l’allegoria dell’amore, exemplum voluptatis, ove il tumulto dell’amplesso è la cifra dominante
e distintiva. Ma anche il viaggio della fanciulla che va per mare su un toro innamorato,
trepidante e ambigua fra consenso e spavento, è qualcosa che oggi torna a far allusivamente sognare.
Paradossalmente, perdute tante certezze, si torna a sfogliare le pagine del tempo, per trovarci
ancora punto e da capo, nel mistero affascinante e metaforico della spiaggia di Sidone, ove si
consumò il rapimento d’amore. Anche così si cancella l’immagine di un degrado universale, ove,
Ufficio stampa Eventi Pagliai
press@eventipagliai.com 335 1373722 - 055 7378736
ONOFRIO PEPE
ATHENA in ATHENAEUM
RETTORATO DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE
PIAZZA SAN MARCO 4, FIRENZE
29 APRILE - 4 LUGLIO 2008
oggi, ci sono carcasse di aerei, di autoblindo insabbiate, di suppellettili di guerra, come Kiefer ci
ha ormai abituati a considerare.
* * *
Così, oltre la querulomania, lamentosità patologica che tutti tocca, Onofrio Pepe ci aiuta, delineando
una profilassi di vita nuova; suggerendo un ‘differenziale civile’ capace di riportarci, almeno,
ai lineamenti di un’opzione di nuovo sviluppo, con una nuova conciliazione con l’ambiente,
migliore di quanto si sia stati capaci di avere fin qua. Pepe ha fatto del mito la sua personale metafora,
la sua ragione di vita; e il mito è ormai il suo consolidato archivio mnemonico, ideologico,
creativo. Il mito come trama unica, monovalente della sua opera; come fabula che, per altri, sarebbe
struttura narrativa; qualcosa da cui prende forma e anima ogni sua espressione plastica, trasformando
in materia l’eroico tempo lontano; e anzi enfatizzandola, a misura del suo allontanamento
temporale. E così ci trasporta, anche se solo per un momento, fra mythos e logos, fra racconto
fantastico e dimostrazione della verità. L’ultima stagione creativa di Pepe – che esordisce
nell’80 alla galleria Inquadrature, che si consolida nella raffinatissima «Inter Antiqua Nova» di
Alessandro Romano Antichità, trova nella mostra «Il volo di Icaro» del giardino di palazzo Vivarelli
Colonna e nel «Percorso nel Mito » del palazzo della Regione Toscana – è divenuta intensa,
con numerose committenze, fra cui spicca la grande Porta del Mito.
* * *
Il tumulto di questo artista è sempre una lezione di misura, circondata di feconda empatia, di
emozione, di misurato erotismo: tutti moti positivi dell’anima che ci avvicinano all’opera d’arte; e
questa capacità endogena della plastica di Pepe di ricomporre il dialogo con l’arte, sembra essere
– posso testimoniarlo, ormai, in innumerevoli casi – la cifra distintiva di Pepe. La sua facoltà evocativa
e inventiva, la sua grande confidenza con la tecnica, producono quel risarcimento culturale necessario
ad allontanarci da una cultura fracassona che ha ormai occupato tutti i luoghi della produzione
mediatica. E dunque appare giusto che questa ‘psicoterapia’ storico-artistica avvenga proprio
nella sede deputata alla trasmissione e alla elaborazione critica della cultura.
La grande statua di Athena (e i suoi studi preparatori, in ostensione nell’atrio del Rettorato), coincidente
con la latina Minerva, è la bellissima figlia di Zeus che, per qualche tempo, incontreremo
entrando in San Marco: un impatto che ci riporta al «Giardino di San Marco» che, dirimpettaio
nella stessa piazza, alcuni secoli fa, fu vivaio di insuperabili maestri rinascimentali. Ma Athena,
pur col suo assetto guerriero, ci riporta, soprattutto, alla sapienza, alla conoscenza operosa, all’intelligenza
delle arti; evoca la sua collocazione trionfale nel Partenone di Fidia e nell’inimitabile città
di Pericle; ci spinge a fare, della cultura, la vera e naturale arma di combattimento contro la distruttiva
schizofrenia della nostra stagione. E allora bisogna essere grati a chi ha consentito questa
occasione, che ci riporta – per un momento – ad una autentica stagione vasariana, ove la letteratura,
le arti e la scienza procedevano con quella isotropia intellettuale che fece grande l’ininterrotta
stagione della civiltà del Rinascimento, consegnandosi a Galileo e alla prosa scientifica; grati a
Onofrio Pepe, che ci riaccompagna in un mondo che credevamo di aver perduto.
FRANCESCO GURRIERI
Ufficio stampa Eventi Pagliai
press@eventipagliai.com 335 1373722 - 055 7378736
ONOFRIO PEPE
ATHENA in ATHENAEUM
RETTORATO DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE
PIAZZA SAN MARCO 4, FIRENZE
29 APRILE - 4 LUGLIO 2008
PER ONOFRIO PEPE
Sono molte le vie del mito. Per lo più risalgono verso le origini, dov’è custodito il senso di gesti
arcaici e sacrali di cui abbiamo perduto memoria e che tuttavia ci appartengono ancora. Possono
però andare verso il futuro e tracciare utopie, additare lo stupefacente e il meraviglioso e addirittura
l’impossibile, mettere in movimento gli orizzonti che abbracciano e trascendono la storia. Ma
possono anche cader dentro il presente. È lì, nel presente demitizzato e disertato dagli dei e dal
divino, che il mito ritesse sorprendentemente la sua tela. Non sono forse questi nostri tempi infelici
ad essersi nutriti di favole grandiose e seducenti, ancorché fallimentari, oltre che cariche di rovina
e di terrore? E non è un fatto che il dominio dei mezzi d’informazione e prima ancora d’invenzione
ha finito col trasformare il mondo in una specie di sogno collettivo? Perciò siamo chiamati,
com’è stato detto giustamente, a un incessante «lavoro sul mito» (Hans Blumenberg). Quanto
più il mito sembra essersi eclissato e allontanato da noi, tanto più abita le nostre vite. Mito è
non solo la proliferazione e l’effimero sfolgorio degli idoli, da cui volentieri ci lasciamo abbagliare
e a cui ancor più volentieri sacrifichiamo. Mito è anche la fonte alla quale continuamente attingiamo.
Non c’è specchio che al pari di questo, come si dice che nell’antichità accadesse nei luoghi in
cui venivano celebrati i misteri, costringa ciascuno a incontrare il proprio sé più remoto e più intimo
e a fare i conti con il proprio sosia più inquietante. Ma prima di quest’opera di interrogazione
(e, come suol dirsi, di decostruzione) del mito viene la riscoperta e la ripresa del mito. Si tratta di
un fenomeno ben noto. Nei suoi momenti più alti la grande cultura europea ha teorizzato la necessità
di un ritorno all’antico. Così è stato nel Rinascimento, quando si guardò al paganesimo
non solo e non tanto in chiave anticristiana ma spesso con la convinzione che lo stesso cristianesimo
ne sarebbe uscito rinnovato e rigenerato. E così è stato per il classicismo più tardo e per il
neo-classicismo, con il ricupero del patrimonio mitologico e simbolico dei greci e dei romani in
chiave estetica, ma nella certezza di irrorare di nuova linfa le esangui forme dell’arte. Sono due
episodi molto diversi fra loro, naturalmente. Comune all’uno e all’altro è però l’idea che un mondo
apparentemente inabissatosi e perduto per sempre sia ancora cosa nostra e da quelle profondità
giunga a noi una chiamata e una provocazione. Sempre di nuovo le voci e le immagini della mitologia
ci raggiungono e tornano a sorprenderci, toccandoci nel vivo. Anche oggi. A conferma del
detto secondo cui il mito racconta cose che non sono mai accadute ma che sono sempre, poiché
sempre con noi sono le potenze che governano la nostra vita, sia che mostrino la strada sia che
ingannino. E così può accadere che in una bottega fiorentina di là d’Arno il mito mostri un suo
irriducibile tratto d’inattuale attualità. Grazie all’opera di Onofrio Pepe, scultore. Nel suo prendere
il mito a tema e a contenuto essenziale della sua poetica, Pepe si fa guidare dai grandi testi del
passato che ne hanno mediato la trasmissione letteraria: le Metamorfosi di Ovidio, principalmente,
poi gli Inni orfici, le tragedie euripidee, ma anche Luciano di Samosata, Nonno di Panopoli e così
via. Ma la sua non è in alcun modo una ricerca erudita. E non è neppure interpretazione. A Pepe
non importa tanto portare alla luce presunti significati nascosti (o “riposti”, avrebbe detto Giambattista
Vico). Importa piuttosto ricreare il mito, attraverso variazioni che sono reinvenzioni e
reinvenzioni che sono variazioni. Pepe fa sua la logica del mito e mostra di sapere che mythos e logos,
ben lungi dall’opporsi e dall’escludersi a vicenda, sono strettamente intrecciati, e infatti non
c’è mythos che non sia sorretto da un suo logos, così come non c’è logos che non sia preceduto e
inaugurato da un suo mythos. Formidabile macchina generatrice di storie, il mito sembra raccontare
sempre la stessa storia, ma in realtà ciascuna differisce da tutte le altre e non ce n’è una che valga
come modello o come archetipo. Non esiste spartito originale, esiste unicamente la variazione,
e il mito nasce come variazione, tant’è che ognuna di esse ha la sua verità e nessuna può arrogarsi
di essere quella vera. Lo stesso vale per questo mitografo nostro contemporaneo che è Pepe. Egli
accoglie dalla tradizione i racconti destinati a trasformarsi in figure, in immagini. Ma nel momento
Ufficio stampa Eventi Pagliai
press@eventipagliai.com 335 1373722 - 055 7378736
ONOFRIO PEPE
ATHENA in ATHENAEUM
RETTORATO DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE
PIAZZA SAN MARCO 4, FIRENZE
29 APRILE - 4 LUGLIO 2008
in cui le accoglie, le ricrea. Singolare, creativa ricezione, che trasforma le favole antiche in icone
del nostro più oscuro desiderio e del nostro dolore. Quel desiderio che è eros, forza onnipervasiva
che è in tutto e in tutti. Quel dolore che è memoria di una patria celeste a cui siamo stati strappati.
Una ferita immedicabile è nel cuore della vita – ogni vita – e il mito ne è testimone. Anche se
l’intera mitologia è un inno alla vita e non fa che celebrarne il trionfo, sia che dica il primato dell’essere
sul nulla sia che indichi al di là della morte l’eterna rinascita, ogni sua espressione porta
con sé la traccia di una sconfitta e di una perdita irreparabile. Questo dipende sicuramente dal fatto
che noi ci rivolgiamo al mito da una distanza quasi infinita e come dopo una catastrofe. Ma la
ragione decisiva è un’altra. Ed è che mentre esalta la vita in tutte le sue manifestazioni, il mito indica
lo sfondo di tenebra da cui tutto proviene e in cui tutto sprofonda. Onofrio Pepe trae fuori
da una lunga notte gli dei e gli eroi, restituendoli allo splendore della forma. Ma, tra le moltissime
che popolano il suo universo mitologico, non c’è forma che non sia scheggiata, lacerata, trafitta
da un segno di violenza e di lutto.
SERGIO GIVONE
Ufficio stampa Eventi Pagliai
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ONOFRIO PEPE
ATHENA in ATHENAEUM
RETTORATO DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE
PIAZZA SAN MARCO 4, FIRENZE
29 APRILE - 4 LUGLIO 2008
MOSTRE PERSONALI
1980 «Orfeo», galleria Inquadrature, Firenze
1981 «L’ambiguo naturale», nel chiostro monumentale di Santa Croce, Firenze
1982 Espone presso la sede della Compagnia del Paiolo di Firenze, presentato da Umberto Baldini
1983 Espone presso l’Istituto francese di Firenze opere sul tema di L’après-midi d’un faune, presentato
da Daniel Arasse; espone quindi presso la Public Library di Westerley (Rhode Island), col
patrocinio dell’Ambasciata italiana negli Stati Uniti, e presso castello Pasquini di Castiglioncello
(Livorno) nell’ambito del premio letterario Castiglioncello - Costa degli Etruschi, la mostra è stata
visitata da Giovanni Spadolini
1984 Ken’s Gallery, Firenze
1989 Espone presso il teatro di Rifredi, a Firenze, opere ispirate alla Salomé di Oscar Wilde
1990 Mostra patrocinata dal Comune di Firenze nel cenacolo del Ghirlandaio della chiesa di
Ognissanti
1991 «Eros nel Mito», a villa Arrivabene, col patrocinio del Comune di Firenze e dell’Ambasciata
greca in Italia
1993 Mostra alla galleria Via Larga, presentata dalla Commissione culturale della Provincia di
Firenze e dall’Accademia di Belle arti di Firenze
1995 Riceve la «Noce d’oro» per meriti artistici dal Comune di Nocera Inferiore (Salerno), suo
luogo natale. Espone presso la sede del Kreditanstalt di Innsbruck (Austria) e nella torre medievale
di Morestel nell’Isère (Francia)
1998 Espone a villa Caruso. Una sua scultura monumentale in bronzo è collocata presso il santuario
francescano della Verna (Arezzo); realizza su commissione della Regione Toscana il Pegaso
d’oro consegnato a Jerzy Grotowski
1999 Espone nel Parco archeologico di Populonia: la mostra è promossa dal Comune di Piombino
(Livorno)
2000 Mostra «Il volo di Icaro», palazzo Vivarelli Colonna, promossa dall’assessorato alla Cultura
del Comune di Firenze
2001 Mostra «Percorso nel Mito», palazzo Panciatichi, Firenze, promossa dal Consiglio regionale
della Toscana presso la propria sede
2002 Mostra «Il mito di Europa», Istituto universitario europeo di Firenze, inaugurata dal presidente
della Repubblica italiana Carlo Azeglio Ciampi e visitata dal principe di Galles nonché dal
presidente della Repubblica del Portogallo. È accademico d’onore dell’Accademia delle arti del
Disegno
2003 L’Istituto universitario europeo di Firenze acquista l’opera monumentale La porta del Mito,
nata dall’amore di Pepe per le Metamorfosi di Ovidio: all’evento della collocazione in situ presenziano
il ministro della Cultura, Giuliano Urbani, e i ministri della Cultura dell’Unione europea. Il
Consiglio regionale della Toscana dona una sua opera, Donna con colomba, alla città di New York in
occasione del secondo anniversario dell’attacco alle Twin Towers
2004 Il Consiglio regionale della Toscana dona un suo bronzo, Ratto d’Europa, al presidente della
Repubblica italiana Carlo Azeglio Ciampi
2005 Espone nel piazzale degli Uffizi l’opera monumentale in bronzo La porta del Mito Carlo
Azeglio Ciampi gli conferisce la medaglia d’argento della presidenza della Repubblica per alti meriti
artistici, consegnatagli dal presidente del Consiglio regionale della Toscana, Riccardo Nencini
2006 A giugno riceve il premio «Le Muse» in Palazzo Vecchio a Firenze
2007 Si inaugura la Fontana della fertilità commissionatagli dal Comune di Nocera Inferiore
Studi di Firenze (piazza San Marco 4, Firenze) ospiterà la mostra di Onofrio Pepe Athena in
Athenaeum (tutti i giorni 9-18, chiuso il sabato e la domenica). 24, tra bronzi e terrecotte,
saranno le opere esposte, per lo più erme e stele per un allestimento in cui predomina la
dimensione verticale. Nell’attività di Pepe, scultore salernitano da molti anni a Firenze, sono
sempre prevalsi il mito e la classicità: il ciclo di opere create appositamente per questa
occasione ruota intorno alla figura di Atena. Così l’ateneo fiorentino da oggi assolverà
letteralmente, anzi etimologicamente, alla propria funzione: athénaion in greco significa
‘tempio di Atena’, dea della sapienza, e per più di due mesi sarà anche il tempio dell’Atena di
Pepe. Ella è principalmente la divinità che incarna il senno, la ragione e il pensiero che porta
all’azione. Nonostante il suo armamentario bellico, si contrappone ad Ares, personificazione
della guerra indiscriminata e violenta, per la sua forza e coraggio temperati da un sentimento
di giustizia, benevolenza e generosa lealtà.
È inevitabile il confronto tra l’Atena di Pepe al rettorato fiorentino e l’Atena di Arturo Martini
all’università romana della Sapienza, raffigurata come la dea guerriera invincibile con lo scudo
levato in alto. Per Onofrio Pepe, al contrario dell’artista trevigiano, Atena è essenzialmente
la dea della sapienza. Egli raffigura nel principale bronzo in mostra: alto più di due metri, collocato
nel grande atrio del Rettorato, è visibile già dal centro di piazza San Marco. Oltre a uno
sguardo carico di umanità, Athena mostra i principali simboli in una visione tutta pepiana: in
petto la testa di Medusa; sulla spalla la civetta, l’animale a lei sacro a cui si deve l’epiteto
“glaucopide”, traducibile sia come “dagli occhi azzurri”, sia “dagli occhi di civetta”, da glaukós
(azzurro) o glaux (civetta) e óps (occhio). Infine lo scudo che non ha più la funzione di
strumento bellico, ma piuttosto di elemento secondario che Atena utilizza semplicemente
come appoggio.
Nell’occasione della mostra le edizioni Polistampa pubblicano il catalogo con testi critici del
curatore Francesco Gurrieri e di Sergio Givone in cui sono documentate fotograficamente
tutte le opere esposte.
Questo evento artistico in onore della figura di Atena è il risultato della trentennale ricerca
artistica di Onofrio Pepe che trova il suo fulcro nel tema della continuità del mito dalla
filosofia greca alla cultura latina fino a oggi.
E il messaggio che Pepe sembra voler trasmettere è l’auspicato recupero dell’ateneo quale
luogo privilegiato per l’affermazione della sapienza, da perseguire con la tenacia e l’impegno
con cui si affronta una guerra, purché ordinata e costruttiva come insegna Atena.
Ufficio stampa Eventi Pagliai
press@eventipagliai.com 335 1373722 - 055 7378736
ONOFRIO PEPE
ATHENA in ATHENAEUM
RETTORATO DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE
PIAZZA SAN MARCO 4, FIRENZE
29 APRILE - 4 LUGLIO 2008
ONOFRIO PEPE
Cenno biografico
Onofrio Pepe, nato a Nocera Inferiore (Salerno) nel 1945, diplomatosi presso l’Istituto d’arte di
Salerno, vive e lavora a Firenze. Da Pæstum e da Pompei, luoghi dov’è palpabile l’eterna attualità
del mito, Pepe trasferisce le suggestioni nella scultura, arte cui s’è accostato da autodidatta, con un
iter del tutto personale. L’incontro con la scultura, di cui il maestro è uno dei protagonisti italiani,
avviene però a Firenze, in uno dei pochi studi d’artista rimasti nel centro storico, nel quartiere di
San Frediano. Pepe si perfeziona nell’espressione formale attraverso un’interrogazione assidua
della scultura antica che lo libera dagli atteggiamenti imposti dalla rappresentazione barocca: la
sua ricerca sul mito, fonte inesauribile di temi e soggetti, perseguita con grande coerenza da vari
decenni, lo trasporta in un universo simbolico cui rende omaggio, ogni volta con sempre maggior
finezza, quale dimensione sacrale.
Il suo esordio avviene negli anni Ottanta, quando giunge in Toscana, portando con sé l’umore di
intere generazioni legate ai miti e alle leggende, i cui protagonisti ed episodi egli rivisita.
È il primo artista a inaugurare la stagione espositiva del Consiglio regionale toscano con la mostra
il Percorso nel Mito (maggio-giugno 2001) nella quale presenta diciotto sculture monumentali e otto
bozzetti in bronzo e refrattario.
Nell’ottobre 2003 propone La Porta del Mito, nata dall’amore per Le Metamorfosi di Ovidio. Si tratta
di una porta bronzea a due ante, alta più di tre metri, costituita da 42 formelle sul ‘recto’ e di una
striscia di 6 sul ‘verso’, dove una scena continua rappresenta ‘La Danza dionisiaca’, a significare
che l’ebbrezza dionisiaca rende possibile la rivelazione dei miti.
Nel 2005 espone la monumentale porta del Mito nel piazzale degli Uffizi e Carlo Azeglio Ciampi
gli conferisce la medaglia d’argento della presidenza della Repubblica per alti meriti artistici.
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ONOFRIO PEPE
ATHENA in ATHENAEUM
RETTORATO DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE
PIAZZA SAN MARCO 4, FIRENZE
29 APRILE - 4 LUGLIO 2008
IL TUMULTO PLASTICO DI ONOFRIO PEPE
Fra gli artisti che hanno scelto il mito come oggetto della loro identità, fra i più fedeli, c’è sicuramente
Onofrio Pepe, che onora la Classe di scultura della gloriosa Accademia delle arti del disegno,
fondata nel 1563. I temi privilegiati sono il mito d’Europa, Icaro, Demetra, Danae, Sisifo. La
sua più vasta e sistematica narrazione mitologica è stata riposta nella grande Porta del Mito che la
Banca CR Firenze sistemerà nella sua nuova sede di Novoli. Così questo nuovo “percorso del
Mito”, disteso fra le parti monumentali della sede del Rettorato a San Marco è una suggestiva
proposta della grande scultura di questo Maestro (il cui apprezzamento si è ormai diffuso negli
Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Francia), che precede la grande performance urbana – «Icarus on
the Labyrinth» – programmata per altri luoghi della città di Firenze. Pepe ha fatto del mito la propria
identità tematica, da sempre caratterizzata da una plastica sapiente che ha saputo assorbire la
lezione di Arturo Martini e poi di Vangi e Mitoraj: dialogando col sentimento del mito e drenando
da questo materia, linfa e aspirazione per rappresentare i drammi metastorici dell’umanità.
Continua ad esserci, nel percorso plastico di Pepe, un ‘protocollo’ con l’immortalità del linguaggio
che fa dell’evento artistico un processo di ipostatizzazione capace di trasformare ciò che è relativo
e contingente (la persona umana) in entità assoluta e metafisica: un processo di assolutizzazione
del dolore, di «attraversamento della vita» (per dirla con Mario Luzi); con la vita, appunto, e
con la morte. Così, a ben guardare, questo artista riesce a sollevare con la mitologia (che avevamo
quasi dimenticata) il dolore e le tragedie dei nostri giorni. Ci sembra allora di poter dire che, ancora
una volta, Thanatos, quale istinto di morte, esce sconfitto grazie a questo nobile processo plastico-
figurativo. Quelli di questo artista sono anche i temi delle Metamorfosi di Ovidio: tutti percorsi
da grande pathos e da differenti registri psicologici che toccano la passione, l’amore, la gelosia,
la follia, la mitezza, l’audacia, la seduzione, l’amor folle, la corte amatoria e altro ancora. Ed anche
con la riproposizione dell’idea di stele, Onofrio Pepe mutua una tipologia della classicità, reinvestendo
in contemporaneità. Il nostro Ateneo, ne siamo certi, saprà registrare l’evento, tornando anche
a riflettere sul suo ruolo di incubatore e rigeneratore critico del sapere affidatogli.
* * *
Onofrio Pepe, prima di arrivare alla Minerva (l’Athena di Pericle) che oggi troneggia in Rettorato,
ha largamente sperimentato il tema mitologico (che poi è il suo unico tema identificativo), cimentandosi
col Ratto d’Europa. «Il Mito d’Europa, da fanciulla rapita a continente» (mostra progettata
da Cristina Acidini ed Elena Capretti), dette conto di questa ininterrotta fascinazione che, dalla
metopa di Delfi (VI sec. a.C.) al mosaico pavimentale di Aquileia (I sec. d.C.), attraverso gli svolgimenti
giambologneschi di Stefano della Bella e Luca Giordano, portava alle interpretazioni contemporanee
di Topor, di Picasso, di Lipchitz. In questa ininterrotta linea iconografica, in tempi
non sospetti (a partire dagli anni Ottanta), Onofrio Pepe ha consumato e fecondato la sua frequentazione
artistica col mito, inteso come inesauribile memoria dell’identità umana, fino a identificarvi
la sua intera produzione plastica. Troppe sono le esercitazioni letterarie, storiografiche,
interpretative sul mito d’Europa per azzardare il privilegio di una sulle altre; e del resto, il mito
può (o forse deve) godere di questa elasticità evocativa, così come dell’attenzione psicoanalitica
che non risparmiò nemmeno Jung. Almeno su un punto non c’è spazio per il dubbio: che Europa
e il Toro siano l’allegoria dell’amore, exemplum voluptatis, ove il tumulto dell’amplesso è la cifra dominante
e distintiva. Ma anche il viaggio della fanciulla che va per mare su un toro innamorato,
trepidante e ambigua fra consenso e spavento, è qualcosa che oggi torna a far allusivamente sognare.
Paradossalmente, perdute tante certezze, si torna a sfogliare le pagine del tempo, per trovarci
ancora punto e da capo, nel mistero affascinante e metaforico della spiaggia di Sidone, ove si
consumò il rapimento d’amore. Anche così si cancella l’immagine di un degrado universale, ove,
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ONOFRIO PEPE
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oggi, ci sono carcasse di aerei, di autoblindo insabbiate, di suppellettili di guerra, come Kiefer ci
ha ormai abituati a considerare.
* * *
Così, oltre la querulomania, lamentosità patologica che tutti tocca, Onofrio Pepe ci aiuta, delineando
una profilassi di vita nuova; suggerendo un ‘differenziale civile’ capace di riportarci, almeno,
ai lineamenti di un’opzione di nuovo sviluppo, con una nuova conciliazione con l’ambiente,
migliore di quanto si sia stati capaci di avere fin qua. Pepe ha fatto del mito la sua personale metafora,
la sua ragione di vita; e il mito è ormai il suo consolidato archivio mnemonico, ideologico,
creativo. Il mito come trama unica, monovalente della sua opera; come fabula che, per altri, sarebbe
struttura narrativa; qualcosa da cui prende forma e anima ogni sua espressione plastica, trasformando
in materia l’eroico tempo lontano; e anzi enfatizzandola, a misura del suo allontanamento
temporale. E così ci trasporta, anche se solo per un momento, fra mythos e logos, fra racconto
fantastico e dimostrazione della verità. L’ultima stagione creativa di Pepe – che esordisce
nell’80 alla galleria Inquadrature, che si consolida nella raffinatissima «Inter Antiqua Nova» di
Alessandro Romano Antichità, trova nella mostra «Il volo di Icaro» del giardino di palazzo Vivarelli
Colonna e nel «Percorso nel Mito » del palazzo della Regione Toscana – è divenuta intensa,
con numerose committenze, fra cui spicca la grande Porta del Mito.
* * *
Il tumulto di questo artista è sempre una lezione di misura, circondata di feconda empatia, di
emozione, di misurato erotismo: tutti moti positivi dell’anima che ci avvicinano all’opera d’arte; e
questa capacità endogena della plastica di Pepe di ricomporre il dialogo con l’arte, sembra essere
– posso testimoniarlo, ormai, in innumerevoli casi – la cifra distintiva di Pepe. La sua facoltà evocativa
e inventiva, la sua grande confidenza con la tecnica, producono quel risarcimento culturale necessario
ad allontanarci da una cultura fracassona che ha ormai occupato tutti i luoghi della produzione
mediatica. E dunque appare giusto che questa ‘psicoterapia’ storico-artistica avvenga proprio
nella sede deputata alla trasmissione e alla elaborazione critica della cultura.
La grande statua di Athena (e i suoi studi preparatori, in ostensione nell’atrio del Rettorato), coincidente
con la latina Minerva, è la bellissima figlia di Zeus che, per qualche tempo, incontreremo
entrando in San Marco: un impatto che ci riporta al «Giardino di San Marco» che, dirimpettaio
nella stessa piazza, alcuni secoli fa, fu vivaio di insuperabili maestri rinascimentali. Ma Athena,
pur col suo assetto guerriero, ci riporta, soprattutto, alla sapienza, alla conoscenza operosa, all’intelligenza
delle arti; evoca la sua collocazione trionfale nel Partenone di Fidia e nell’inimitabile città
di Pericle; ci spinge a fare, della cultura, la vera e naturale arma di combattimento contro la distruttiva
schizofrenia della nostra stagione. E allora bisogna essere grati a chi ha consentito questa
occasione, che ci riporta – per un momento – ad una autentica stagione vasariana, ove la letteratura,
le arti e la scienza procedevano con quella isotropia intellettuale che fece grande l’ininterrotta
stagione della civiltà del Rinascimento, consegnandosi a Galileo e alla prosa scientifica; grati a
Onofrio Pepe, che ci riaccompagna in un mondo che credevamo di aver perduto.
FRANCESCO GURRIERI
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ONOFRIO PEPE
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PER ONOFRIO PEPE
Sono molte le vie del mito. Per lo più risalgono verso le origini, dov’è custodito il senso di gesti
arcaici e sacrali di cui abbiamo perduto memoria e che tuttavia ci appartengono ancora. Possono
però andare verso il futuro e tracciare utopie, additare lo stupefacente e il meraviglioso e addirittura
l’impossibile, mettere in movimento gli orizzonti che abbracciano e trascendono la storia. Ma
possono anche cader dentro il presente. È lì, nel presente demitizzato e disertato dagli dei e dal
divino, che il mito ritesse sorprendentemente la sua tela. Non sono forse questi nostri tempi infelici
ad essersi nutriti di favole grandiose e seducenti, ancorché fallimentari, oltre che cariche di rovina
e di terrore? E non è un fatto che il dominio dei mezzi d’informazione e prima ancora d’invenzione
ha finito col trasformare il mondo in una specie di sogno collettivo? Perciò siamo chiamati,
com’è stato detto giustamente, a un incessante «lavoro sul mito» (Hans Blumenberg). Quanto
più il mito sembra essersi eclissato e allontanato da noi, tanto più abita le nostre vite. Mito è
non solo la proliferazione e l’effimero sfolgorio degli idoli, da cui volentieri ci lasciamo abbagliare
e a cui ancor più volentieri sacrifichiamo. Mito è anche la fonte alla quale continuamente attingiamo.
Non c’è specchio che al pari di questo, come si dice che nell’antichità accadesse nei luoghi in
cui venivano celebrati i misteri, costringa ciascuno a incontrare il proprio sé più remoto e più intimo
e a fare i conti con il proprio sosia più inquietante. Ma prima di quest’opera di interrogazione
(e, come suol dirsi, di decostruzione) del mito viene la riscoperta e la ripresa del mito. Si tratta di
un fenomeno ben noto. Nei suoi momenti più alti la grande cultura europea ha teorizzato la necessità
di un ritorno all’antico. Così è stato nel Rinascimento, quando si guardò al paganesimo
non solo e non tanto in chiave anticristiana ma spesso con la convinzione che lo stesso cristianesimo
ne sarebbe uscito rinnovato e rigenerato. E così è stato per il classicismo più tardo e per il
neo-classicismo, con il ricupero del patrimonio mitologico e simbolico dei greci e dei romani in
chiave estetica, ma nella certezza di irrorare di nuova linfa le esangui forme dell’arte. Sono due
episodi molto diversi fra loro, naturalmente. Comune all’uno e all’altro è però l’idea che un mondo
apparentemente inabissatosi e perduto per sempre sia ancora cosa nostra e da quelle profondità
giunga a noi una chiamata e una provocazione. Sempre di nuovo le voci e le immagini della mitologia
ci raggiungono e tornano a sorprenderci, toccandoci nel vivo. Anche oggi. A conferma del
detto secondo cui il mito racconta cose che non sono mai accadute ma che sono sempre, poiché
sempre con noi sono le potenze che governano la nostra vita, sia che mostrino la strada sia che
ingannino. E così può accadere che in una bottega fiorentina di là d’Arno il mito mostri un suo
irriducibile tratto d’inattuale attualità. Grazie all’opera di Onofrio Pepe, scultore. Nel suo prendere
il mito a tema e a contenuto essenziale della sua poetica, Pepe si fa guidare dai grandi testi del
passato che ne hanno mediato la trasmissione letteraria: le Metamorfosi di Ovidio, principalmente,
poi gli Inni orfici, le tragedie euripidee, ma anche Luciano di Samosata, Nonno di Panopoli e così
via. Ma la sua non è in alcun modo una ricerca erudita. E non è neppure interpretazione. A Pepe
non importa tanto portare alla luce presunti significati nascosti (o “riposti”, avrebbe detto Giambattista
Vico). Importa piuttosto ricreare il mito, attraverso variazioni che sono reinvenzioni e
reinvenzioni che sono variazioni. Pepe fa sua la logica del mito e mostra di sapere che mythos e logos,
ben lungi dall’opporsi e dall’escludersi a vicenda, sono strettamente intrecciati, e infatti non
c’è mythos che non sia sorretto da un suo logos, così come non c’è logos che non sia preceduto e
inaugurato da un suo mythos. Formidabile macchina generatrice di storie, il mito sembra raccontare
sempre la stessa storia, ma in realtà ciascuna differisce da tutte le altre e non ce n’è una che valga
come modello o come archetipo. Non esiste spartito originale, esiste unicamente la variazione,
e il mito nasce come variazione, tant’è che ognuna di esse ha la sua verità e nessuna può arrogarsi
di essere quella vera. Lo stesso vale per questo mitografo nostro contemporaneo che è Pepe. Egli
accoglie dalla tradizione i racconti destinati a trasformarsi in figure, in immagini. Ma nel momento
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ONOFRIO PEPE
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in cui le accoglie, le ricrea. Singolare, creativa ricezione, che trasforma le favole antiche in icone
del nostro più oscuro desiderio e del nostro dolore. Quel desiderio che è eros, forza onnipervasiva
che è in tutto e in tutti. Quel dolore che è memoria di una patria celeste a cui siamo stati strappati.
Una ferita immedicabile è nel cuore della vita – ogni vita – e il mito ne è testimone. Anche se
l’intera mitologia è un inno alla vita e non fa che celebrarne il trionfo, sia che dica il primato dell’essere
sul nulla sia che indichi al di là della morte l’eterna rinascita, ogni sua espressione porta
con sé la traccia di una sconfitta e di una perdita irreparabile. Questo dipende sicuramente dal fatto
che noi ci rivolgiamo al mito da una distanza quasi infinita e come dopo una catastrofe. Ma la
ragione decisiva è un’altra. Ed è che mentre esalta la vita in tutte le sue manifestazioni, il mito indica
lo sfondo di tenebra da cui tutto proviene e in cui tutto sprofonda. Onofrio Pepe trae fuori
da una lunga notte gli dei e gli eroi, restituendoli allo splendore della forma. Ma, tra le moltissime
che popolano il suo universo mitologico, non c’è forma che non sia scheggiata, lacerata, trafitta
da un segno di violenza e di lutto.
SERGIO GIVONE
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MOSTRE PERSONALI
1980 «Orfeo», galleria Inquadrature, Firenze
1981 «L’ambiguo naturale», nel chiostro monumentale di Santa Croce, Firenze
1982 Espone presso la sede della Compagnia del Paiolo di Firenze, presentato da Umberto Baldini
1983 Espone presso l’Istituto francese di Firenze opere sul tema di L’après-midi d’un faune, presentato
da Daniel Arasse; espone quindi presso la Public Library di Westerley (Rhode Island), col
patrocinio dell’Ambasciata italiana negli Stati Uniti, e presso castello Pasquini di Castiglioncello
(Livorno) nell’ambito del premio letterario Castiglioncello - Costa degli Etruschi, la mostra è stata
visitata da Giovanni Spadolini
1984 Ken’s Gallery, Firenze
1989 Espone presso il teatro di Rifredi, a Firenze, opere ispirate alla Salomé di Oscar Wilde
1990 Mostra patrocinata dal Comune di Firenze nel cenacolo del Ghirlandaio della chiesa di
Ognissanti
1991 «Eros nel Mito», a villa Arrivabene, col patrocinio del Comune di Firenze e dell’Ambasciata
greca in Italia
1993 Mostra alla galleria Via Larga, presentata dalla Commissione culturale della Provincia di
Firenze e dall’Accademia di Belle arti di Firenze
1995 Riceve la «Noce d’oro» per meriti artistici dal Comune di Nocera Inferiore (Salerno), suo
luogo natale. Espone presso la sede del Kreditanstalt di Innsbruck (Austria) e nella torre medievale
di Morestel nell’Isère (Francia)
1998 Espone a villa Caruso. Una sua scultura monumentale in bronzo è collocata presso il santuario
francescano della Verna (Arezzo); realizza su commissione della Regione Toscana il Pegaso
d’oro consegnato a Jerzy Grotowski
1999 Espone nel Parco archeologico di Populonia: la mostra è promossa dal Comune di Piombino
(Livorno)
2000 Mostra «Il volo di Icaro», palazzo Vivarelli Colonna, promossa dall’assessorato alla Cultura
del Comune di Firenze
2001 Mostra «Percorso nel Mito», palazzo Panciatichi, Firenze, promossa dal Consiglio regionale
della Toscana presso la propria sede
2002 Mostra «Il mito di Europa», Istituto universitario europeo di Firenze, inaugurata dal presidente
della Repubblica italiana Carlo Azeglio Ciampi e visitata dal principe di Galles nonché dal
presidente della Repubblica del Portogallo. È accademico d’onore dell’Accademia delle arti del
Disegno
2003 L’Istituto universitario europeo di Firenze acquista l’opera monumentale La porta del Mito,
nata dall’amore di Pepe per le Metamorfosi di Ovidio: all’evento della collocazione in situ presenziano
il ministro della Cultura, Giuliano Urbani, e i ministri della Cultura dell’Unione europea. Il
Consiglio regionale della Toscana dona una sua opera, Donna con colomba, alla città di New York in
occasione del secondo anniversario dell’attacco alle Twin Towers
2004 Il Consiglio regionale della Toscana dona un suo bronzo, Ratto d’Europa, al presidente della
Repubblica italiana Carlo Azeglio Ciampi
2005 Espone nel piazzale degli Uffizi l’opera monumentale in bronzo La porta del Mito Carlo
Azeglio Ciampi gli conferisce la medaglia d’argento della presidenza della Repubblica per alti meriti
artistici, consegnatagli dal presidente del Consiglio regionale della Toscana, Riccardo Nencini
2006 A giugno riceve il premio «Le Muse» in Palazzo Vecchio a Firenze
2007 Si inaugura la Fontana della fertilità commissionatagli dal Comune di Nocera Inferiore
28
aprile 2008
Onofrio Pepe – Athena in Athenaeum
Dal 28 aprile al 04 luglio 2008
arte contemporanea
Location
RETTORATO DELL’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE
Firenze, Piazza Di San Marco, 4, (Firenze)
Firenze, Piazza Di San Marco, 4, (Firenze)
Orario di apertura
dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 18, sabato e domenica chiuso
Vernissage
28 Aprile 2008, ore 17.30
Sito web
www.eventipagliai.com
Editore
POLISTAMPA
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