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Attilio Gerbino – Leo Sum
Ritratti digitali (cm 50 x 40) esplorano ironicamente la “finis africae” che ognuno nasconde
Comunicato stampa
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Marina BENEDETTO: “Il progetto artistico trae spunto dall’iscrizione latina leggibile sulle mappe dell’Africa di epoca classica: Hic sunt leones, ove Leo è l’ignoto, il diverso, tutto ciò che incute paura. Anche Gerbino insegue i suoi Leones, ignaro di percorrere un sentiero già esplorato da Umberto Eco nel labirinto della sua biblioteca de Il nome della rosa: Leones sono i custodi del limite invalicabile, oltre il quale sta la conoscenza proibita. (...). Invisibili agli occhi degli altri, i Leones acquattati in noi si travestono e assumono in ognuno le sembianze dei propri fantasmi: depressione, avidità, invidia, inquietudine, rimorso, violenza, tutte le ansie e i mali che in ogni tempo – e mai come nella nostra epoca tormentata
– affliggono l’uomo. Attilio Gerbino (...) in una invo/evoluzione del suo punto di vista all’epoca dei primi Leones, riconduce l’umanità in un unicum ove la diversità diventa uguaglianza (...) perché qui i soggetti sono persone comuni, volti anonimi
di bambini, adulti, anziani. Ognuno può identificarsi coi Leones di Gerbino, artista che con il taglio dell’ironia sa scovare, cogliere ed esorcizzare le proprie ansie, suggerendo anche a noi spettatori una via di fuga, la stessa offerta dal libro più prezioso custodito dai Leones di Umberto Eco: l’elogio della capacità di ridere come estrema arma di libertà per l’uomo,
con la quale elevarsi sopra ogni limite e fuggire la paura.”
Sebastiano FAVITTA: (...) Ancora sentivo ruggire tutti i leoni balzati fuori dalle mie recenti letture durante il mio percorso spirituale: dai leones guardiani sulla soglia della nostra crescita interiore a Riccardo cuor di Leone; dal leone verde simbolo della trasformazione psichica dell’opus alchemico ai leoni della terra del branco; dai leoni dallo sguardo frontale, fisso e minaccioso incontrati lungo il corso storico della loro evoluzione iconografica ai leoni presenti nei miti, nei riti e nelle religioni che, pur rappresentando come archetipo figurativo molteplici valenze simboliche, conservano ancora nella psicologia analitica il loro significato originario; dai leoni araldici in mille colori ... rampanti, passanti, coricati, dormienti, seduti, salienti, stanti sempre a rappresentare la forza, il coraggio e il valore nelle bandiere delle nazioni al leone ucciso a mani nude da Eracle per berne il sangue; dai leoni cinesi danzanti al leone dormiente di Rembrandt; dai leoni nella statuaria ai leoni nella letteratura; dai leoni presenti nei media a quelli metaforici che il buddismo associa alla forza della fede.
“Credi in questo mandala con tutto il tuo cuore. Nam-myoho-renge-kyo è come il ruggito del leone (…)”.
Tanti, tanti, tanti leoni. Perché, mi chiesi allora, Gerbino è qui, ora, a pormi dinanzi ai leoni?
Riccardo MONDO: James Hillman ama dire che l’attività immaginale è primaria all’Anima. Ella si nutre delle intersezioni possibili tra immagine e parola, necessarie ad evocare ciò che eccede l’esperienza percettiva. Lo stesso rapporto tra immagine e parola appare alla visione di Leo Sum. L’occhio si apre ad una serie di figure umane, incatenate tra loro da una singola frase. Le due forme del pensare, per immagini e per concetti, qui si incrociano. In tal modo il demiurgo che ci offre questo gioco, apre il suo talento narrativo di artista fotografico de-letteralizzando la sua galleria di ritratti. E’ possibile quindi iniziare una epistrophé, un ritorno delle persone rappresentate dal loro archetipico appartenere al Leo sum. Qui appaiono uomini e donne, bambini e vecchi, maschere del teatro della vita che divengono, malgrado il secco e perentorio loro apparire che si conclude nel singolo scatto. Potremmo dire che il cartello abbia un sottotesto che recita “niente è come sembra” in quanto vi è un mistero che introduce immaginazione. Il segreto è posto in evidenza ma senza essere svelato, sappiamo solo che il segreto esiste ... Leo sum.
Josephine PACE: E’ immediata la sensazione di piacevole sorpresa, di fronte alle fotografie di Attilio Gerbino, come quando ci si imbatte in opere di creatività pura, prodotti di originalità e freschezza che appartengono solo alle menti libere e audaci. Il transito su ipotetici confini tra realtà e mondo sconosciuto, dove si annidano insidie, hic sunt leones, si acquattano fiere, non appartiene più alle categorie geografiche ma alla normale vita quotidiana in cui ciascuno può essere facile preda o insospettato aggressore. L’ironia leggera e reale che pervade queste pose fotografiche è la stessa di colui che si trova a considerare quanto il quotidiano possa essere insieme straordinario ed eroico e quanto, allo stesso tempo, si possa condurre un’esistenza piena e significante pur senza sottostare alle leggi dell’inflazionistica popolarità, della visibilità ad ogni costo. E, ironicamente, questa consapevolezza viene tra-scritta, ri-scritta in forma, in icona contemporanea, in espressività in bianco e nero che emerge orgogliosamente dal colore piatto dello sfondo.
Pippo PAPPALARDO: “Hic sunt leones per adesso è una sequenza fotografica, costruita
con pochi elementi (il ritratto, un uso intelligente e scanzonato della posa, un'interazione tra risultato fotografico e sfondo artificiale). Poi, quel benedetto titolo e quel ricorrente cartello: l'uno rimanda alle vecchissime carte geografiche ed all'uso, anche moderno, dei tanti significati dell'espressione. L'altro, una sorta di attestato, di diploma o di carta d'identità. Tra le due espressioni non solo una relazione semantica ma anche un invito a teatralizzare il gioco dei rimandi. Se l’hic è avverbio di luogo, il sum è un esplicito presente temporale entro il quale la figura, o la persona, pretende di stare ed essere, ed agire, e magari ruggire. In questo voler apparire, ognuna delle persone ritratte inventa (nel senso di trovare) una plausibile espressione che spieghi (accettando, sfuggendo) il suo modo di essere o non essere leo/leones. E sorridono loro e sorridiamo noi. Lo strumento fotografico diventa allora un interlocutore che dovrà raccogliere la/le risposta che serve all'autore per capire dove stanno le differenze/diversità tra i leoni ed i non leoni. Ma esistono poi queste differenze?
Le individualità delle espressioni e dei gesti si appiattiscono nella serie e nel contesto di sfondi dai colori acidi/allegri tanto cari a Andy Warhol ed ai suoi messaggi corrosivi: quel Sindaco amministrerà un capoluogo subalpino o una città dal toponimo arabo? E questi abiti, unico elemento per decifrare la probabile provenienza di questi personaggi (?) non sono forse comuni a tanta parte degli abitanti del mondo? Invero l'abito non fa più il monaco, e neanche il ritratto fotografico.”
Enzo SALSETTA: “Ci osservano da queste foto, quattro generazioni in posa. Qui il termine posa ha completamente cambiato il suo significato. Non si è in posa per una perfetta messa a fuoco: questa è una posa da teatro, da Super io addossato ad arte, o da Io che cerca di sfuggire all’omologazione sbeffeggiando, indossando boccacce. (...) Sono soggetti all’apparenza smarriti che ostentano degli Io in libertà che si ergono dalla loro condizione di mortuarietà per attraversare la strada dell’ironia che è l’unica praticabile, mimando la follia o facendo finta di giocare a un gioco. (...) Un’altra caratteristica delle foto di Gerbino è la scelta dello sfondo: acido, timbrico che si offre quale zona di mercificazione entro cui il soggetto vibra e trova plasticità. Curiosamente i soggetti pur acquisendo peso, perdono il loro centro di gravità permanente. La figure escono esaltate, sospese in aria e teatralizzate da un linguaggio di segni eversivo. Il primo di questi segni è che esprimono felicità. Con loro la terra non è più desolata. Vi è un dinamismo che non esprime dubbi, né ubbidienze. Sono ritratti che rivelano psicologie nuove di chi si concede solo alla vita e senza la dovuta mortuaria serietà ma così come viene. Soggetti sfuggiti da una terra desolata, scappati dalla alienazione, da un immobilismo passivo, dalla catatonicità tutta intellettuale novecentesca per divenire produttori di significato a partire dall’affettività, dall’emotività. (...) Questa gente trasmette uno strano sentimento: lascia capire di essersi impossessata della propria intelligenza, che pensa con la propria mente. È gente capace di assimilare affettivamente, di elaborare una visione antiomologante: insomma di “esserci” nella Storia.
Guardano l’obiettivo fotografico con la coscienza di essere guardati da noi e non da un occhio divino colpevolizzante
o mercificante da Grande fratello.”
Domenico SEMINERIO: “Eccoli qui i Leones. Nelle foto di questa mostra aperta nel Museo della Fotografia.
Oddio, qualcosa del leone si intravede. Negli sguardi. Ironicamente indagatori, penetranti, di chi è abituato a pesare l'altrui consistenza con un'occhiata. Ironicamente fieri, di chi deve dimostrare subito, a colpo d'occhio, di non essere una possibile preda ma il cacciatore. Leo sum. In certi movimenti arditi, ma non per questo scomposti o sbracati. "A guisa di leon quando si posa", ha scritto Dante, il sommo poeta. Perché il leone è leone persino quando dorme, con la zampa teneramente poggiata sugli occhi e la folta criniera lievemente scompigliata dal vento della savana. Nelle favole il leone è definito
il re della foresta. Ma ormai siamo in democrazia, anche qui, nel luogo deputato, nell'hic sunt leones.
Tutti leoni, ora, come todos caballeros ai tempi di Carlo V. Con tanto di cartello bene in vista, chissà mai qualcuno se lo dimentichi. Tutti leoni. Giovani e vecchi, uomini e donne, belli e brutti. Ci sono anche quelli, per fare un (involontario?) dispetto ai padroni della pubblicità, che vogliono tutti snelli, in forma, pimpanti di ardore consumistico. E tanto per sottolineare che i tempi sono cambiati, che chiunque può dire leo sum, non c'è più motivo di avere la faccia seriosa e pensosa che è obbligatoria per i re. Nossignore. Dove tutti sono re, è meglio prenderla in allegria, riderci su, far finta di niente. Non è il caso di ruggire a bocca spalancata. Perché uno è re dentro. Nella testa, nell'anima. Non c'è bisogno di cose esteriori, di corone e di mantelli orlati di ermellino o scettri impreziositi da pietre preziose o mappamondi d'oro tenuti in alto con la zampa, pardon, la mano guantata. Leo sum. Bisogna crederci.”
– affliggono l’uomo. Attilio Gerbino (...) in una invo/evoluzione del suo punto di vista all’epoca dei primi Leones, riconduce l’umanità in un unicum ove la diversità diventa uguaglianza (...) perché qui i soggetti sono persone comuni, volti anonimi
di bambini, adulti, anziani. Ognuno può identificarsi coi Leones di Gerbino, artista che con il taglio dell’ironia sa scovare, cogliere ed esorcizzare le proprie ansie, suggerendo anche a noi spettatori una via di fuga, la stessa offerta dal libro più prezioso custodito dai Leones di Umberto Eco: l’elogio della capacità di ridere come estrema arma di libertà per l’uomo,
con la quale elevarsi sopra ogni limite e fuggire la paura.”
Sebastiano FAVITTA: (...) Ancora sentivo ruggire tutti i leoni balzati fuori dalle mie recenti letture durante il mio percorso spirituale: dai leones guardiani sulla soglia della nostra crescita interiore a Riccardo cuor di Leone; dal leone verde simbolo della trasformazione psichica dell’opus alchemico ai leoni della terra del branco; dai leoni dallo sguardo frontale, fisso e minaccioso incontrati lungo il corso storico della loro evoluzione iconografica ai leoni presenti nei miti, nei riti e nelle religioni che, pur rappresentando come archetipo figurativo molteplici valenze simboliche, conservano ancora nella psicologia analitica il loro significato originario; dai leoni araldici in mille colori ... rampanti, passanti, coricati, dormienti, seduti, salienti, stanti sempre a rappresentare la forza, il coraggio e il valore nelle bandiere delle nazioni al leone ucciso a mani nude da Eracle per berne il sangue; dai leoni cinesi danzanti al leone dormiente di Rembrandt; dai leoni nella statuaria ai leoni nella letteratura; dai leoni presenti nei media a quelli metaforici che il buddismo associa alla forza della fede.
“Credi in questo mandala con tutto il tuo cuore. Nam-myoho-renge-kyo è come il ruggito del leone (…)”.
Tanti, tanti, tanti leoni. Perché, mi chiesi allora, Gerbino è qui, ora, a pormi dinanzi ai leoni?
Riccardo MONDO: James Hillman ama dire che l’attività immaginale è primaria all’Anima. Ella si nutre delle intersezioni possibili tra immagine e parola, necessarie ad evocare ciò che eccede l’esperienza percettiva. Lo stesso rapporto tra immagine e parola appare alla visione di Leo Sum. L’occhio si apre ad una serie di figure umane, incatenate tra loro da una singola frase. Le due forme del pensare, per immagini e per concetti, qui si incrociano. In tal modo il demiurgo che ci offre questo gioco, apre il suo talento narrativo di artista fotografico de-letteralizzando la sua galleria di ritratti. E’ possibile quindi iniziare una epistrophé, un ritorno delle persone rappresentate dal loro archetipico appartenere al Leo sum. Qui appaiono uomini e donne, bambini e vecchi, maschere del teatro della vita che divengono, malgrado il secco e perentorio loro apparire che si conclude nel singolo scatto. Potremmo dire che il cartello abbia un sottotesto che recita “niente è come sembra” in quanto vi è un mistero che introduce immaginazione. Il segreto è posto in evidenza ma senza essere svelato, sappiamo solo che il segreto esiste ... Leo sum.
Josephine PACE: E’ immediata la sensazione di piacevole sorpresa, di fronte alle fotografie di Attilio Gerbino, come quando ci si imbatte in opere di creatività pura, prodotti di originalità e freschezza che appartengono solo alle menti libere e audaci. Il transito su ipotetici confini tra realtà e mondo sconosciuto, dove si annidano insidie, hic sunt leones, si acquattano fiere, non appartiene più alle categorie geografiche ma alla normale vita quotidiana in cui ciascuno può essere facile preda o insospettato aggressore. L’ironia leggera e reale che pervade queste pose fotografiche è la stessa di colui che si trova a considerare quanto il quotidiano possa essere insieme straordinario ed eroico e quanto, allo stesso tempo, si possa condurre un’esistenza piena e significante pur senza sottostare alle leggi dell’inflazionistica popolarità, della visibilità ad ogni costo. E, ironicamente, questa consapevolezza viene tra-scritta, ri-scritta in forma, in icona contemporanea, in espressività in bianco e nero che emerge orgogliosamente dal colore piatto dello sfondo.
Pippo PAPPALARDO: “Hic sunt leones per adesso è una sequenza fotografica, costruita
con pochi elementi (il ritratto, un uso intelligente e scanzonato della posa, un'interazione tra risultato fotografico e sfondo artificiale). Poi, quel benedetto titolo e quel ricorrente cartello: l'uno rimanda alle vecchissime carte geografiche ed all'uso, anche moderno, dei tanti significati dell'espressione. L'altro, una sorta di attestato, di diploma o di carta d'identità. Tra le due espressioni non solo una relazione semantica ma anche un invito a teatralizzare il gioco dei rimandi. Se l’hic è avverbio di luogo, il sum è un esplicito presente temporale entro il quale la figura, o la persona, pretende di stare ed essere, ed agire, e magari ruggire. In questo voler apparire, ognuna delle persone ritratte inventa (nel senso di trovare) una plausibile espressione che spieghi (accettando, sfuggendo) il suo modo di essere o non essere leo/leones. E sorridono loro e sorridiamo noi. Lo strumento fotografico diventa allora un interlocutore che dovrà raccogliere la/le risposta che serve all'autore per capire dove stanno le differenze/diversità tra i leoni ed i non leoni. Ma esistono poi queste differenze?
Le individualità delle espressioni e dei gesti si appiattiscono nella serie e nel contesto di sfondi dai colori acidi/allegri tanto cari a Andy Warhol ed ai suoi messaggi corrosivi: quel Sindaco amministrerà un capoluogo subalpino o una città dal toponimo arabo? E questi abiti, unico elemento per decifrare la probabile provenienza di questi personaggi (?) non sono forse comuni a tanta parte degli abitanti del mondo? Invero l'abito non fa più il monaco, e neanche il ritratto fotografico.”
Enzo SALSETTA: “Ci osservano da queste foto, quattro generazioni in posa. Qui il termine posa ha completamente cambiato il suo significato. Non si è in posa per una perfetta messa a fuoco: questa è una posa da teatro, da Super io addossato ad arte, o da Io che cerca di sfuggire all’omologazione sbeffeggiando, indossando boccacce. (...) Sono soggetti all’apparenza smarriti che ostentano degli Io in libertà che si ergono dalla loro condizione di mortuarietà per attraversare la strada dell’ironia che è l’unica praticabile, mimando la follia o facendo finta di giocare a un gioco. (...) Un’altra caratteristica delle foto di Gerbino è la scelta dello sfondo: acido, timbrico che si offre quale zona di mercificazione entro cui il soggetto vibra e trova plasticità. Curiosamente i soggetti pur acquisendo peso, perdono il loro centro di gravità permanente. La figure escono esaltate, sospese in aria e teatralizzate da un linguaggio di segni eversivo. Il primo di questi segni è che esprimono felicità. Con loro la terra non è più desolata. Vi è un dinamismo che non esprime dubbi, né ubbidienze. Sono ritratti che rivelano psicologie nuove di chi si concede solo alla vita e senza la dovuta mortuaria serietà ma così come viene. Soggetti sfuggiti da una terra desolata, scappati dalla alienazione, da un immobilismo passivo, dalla catatonicità tutta intellettuale novecentesca per divenire produttori di significato a partire dall’affettività, dall’emotività. (...) Questa gente trasmette uno strano sentimento: lascia capire di essersi impossessata della propria intelligenza, che pensa con la propria mente. È gente capace di assimilare affettivamente, di elaborare una visione antiomologante: insomma di “esserci” nella Storia.
Guardano l’obiettivo fotografico con la coscienza di essere guardati da noi e non da un occhio divino colpevolizzante
o mercificante da Grande fratello.”
Domenico SEMINERIO: “Eccoli qui i Leones. Nelle foto di questa mostra aperta nel Museo della Fotografia.
Oddio, qualcosa del leone si intravede. Negli sguardi. Ironicamente indagatori, penetranti, di chi è abituato a pesare l'altrui consistenza con un'occhiata. Ironicamente fieri, di chi deve dimostrare subito, a colpo d'occhio, di non essere una possibile preda ma il cacciatore. Leo sum. In certi movimenti arditi, ma non per questo scomposti o sbracati. "A guisa di leon quando si posa", ha scritto Dante, il sommo poeta. Perché il leone è leone persino quando dorme, con la zampa teneramente poggiata sugli occhi e la folta criniera lievemente scompigliata dal vento della savana. Nelle favole il leone è definito
il re della foresta. Ma ormai siamo in democrazia, anche qui, nel luogo deputato, nell'hic sunt leones.
Tutti leoni, ora, come todos caballeros ai tempi di Carlo V. Con tanto di cartello bene in vista, chissà mai qualcuno se lo dimentichi. Tutti leoni. Giovani e vecchi, uomini e donne, belli e brutti. Ci sono anche quelli, per fare un (involontario?) dispetto ai padroni della pubblicità, che vogliono tutti snelli, in forma, pimpanti di ardore consumistico. E tanto per sottolineare che i tempi sono cambiati, che chiunque può dire leo sum, non c'è più motivo di avere la faccia seriosa e pensosa che è obbligatoria per i re. Nossignore. Dove tutti sono re, è meglio prenderla in allegria, riderci su, far finta di niente. Non è il caso di ruggire a bocca spalancata. Perché uno è re dentro. Nella testa, nell'anima. Non c'è bisogno di cose esteriori, di corone e di mantelli orlati di ermellino o scettri impreziositi da pietre preziose o mappamondi d'oro tenuti in alto con la zampa, pardon, la mano guantata. Leo sum. Bisogna crederci.”
04
aprile 2008
Attilio Gerbino – Leo Sum
Dal 04 al 27 aprile 2008
arte contemporanea
Location
LA FELTRINELLI
Genova, Via XX Settembre, 231r, (Genova)
Genova, Via XX Settembre, 231r, (Genova)
Orario di apertura
lun./sab. 9.30 - 20, dom. 10 - 13 e 16 – 20
Autore
Curatore