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Raccontar divagando
Dalla spasmodica ricerca cromatica di Elia ai lavori sul metallo di Galofaro e Di Nicola
Comunicato stampa
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“Raccontar divagando”: a Ragusa, presso la galleria “ Lirismo d’autore”, il fascino dell’arte di Elia, Galofaro, Di Nicola dopo 50 anni di attività.
Quale viaggiatore colto, senza andare a scomodare il “ grand Tour “non si è presa nei giorni nostri la licenza di annoverare, tra le proprie mete, il siciliano “ granducato intellettuale”, la Comiso di Bufalino? Chi non si è inerpicato per scalinate scenografiche, chi non ha calpestato con gusto ciottolati antichi o non si è misurato con il sali e scendi delle viuzze lastricate, che si espandono attorno a piazza Fonte Diana, fino agli antichi quartieri di San Leonardo o delle Grazie?
Una di queste viuzze, storicamente centrali, è dedicata a quel Gioacchino Ferreri che nel 1795 ottenne il titolo di marchese, per poi diventare Presidente del Regio Parlamento Siciliano e, successivamente, ministro borbonico delle Finanze. In questa stradina, costretta tra palazzi gentilizi da un lato e, dall’altro, da casette dalla classica tipologia siculo-spagnolesca inizia la nostra storia, agli albori degli anni sessanta del secolo scorso.
E’, infatti, in questo periodo che alcuni giovani comisani si avventurano con entusiasmo lungo i meandri dell’arte, decidono di confrontare le loro esperienze, creano una bottega d’arte, denominata successivamente BAI ( bottega d’arte ipparina). C’è Atanasio Giuseppe Elia, c’è Luigi Galofaro, c’è Giovanni Di Nicola, ci sono altri. La bottega fu certamente il tentativo di fare rivivere, a Comiso, un’esperienza artistica che affonda le radici nella nostra tradizione medioevale e rinascimentale: andò a bottega il fior fiore dei nostri pittori o scultori, da Giotto a Caravaggio, i quali non solo subivano il fascino e l’influenza del maestro di turno, ma, al tempo stesso, si confrontavano, elaborando tecniche innovative e soluzioni ardite. A Comiso, poi, andare a bottega era un modo di perpetuare una tradizione artigianale secolare, dal lavoro del fabbro a quello del lapicida, dello scalpellino, del mastro carradore, del pittore di volte, del decoratore di tavole di carri. A monte dell’opera di Elia,Galofaro, Di Nicola cè tutto questo.
Per di più, dietro l’esperienza della bottega dell’arte c’è il mezzo secolo di vita del comisano Istituto d’Arte, di cui tutti e tre i nostri artisti sono stati allievi e hanno appreso l’abecedario artistico. In questo “ melting-pot” è immerso Atanasio Giuseppe Elia: nel 1961, quando approda all’esperienza della bottega, ha 16 anni, origini greche – peloponnesiache – per parte materna, precocemente maturo e pronto a esporre, la prima volta nel 1963.
Elia ha conosciuto un altro grande comisano, Gioacchino Distefano, pittore delicato di geometrie spaziali e di cromatismi graduati, persona schiva e attenta a quanto avveniva oltre oceano, in quegli “States” dove esponeva e dove aveva sicuramente apprezzato l’ “ optical art”. Punti, linee, triangoli, sfere, elementi geometrici sono presenti in Distefano e si dilatano in Elia, che si è liberato del mondo oggettivo e dei dettagli descrittivi, per pervenire a una spasmodica ricerca cromatica. Elia, con un uso anarchico di ogni tipo di materiale, continua la tradizione delle avanguardie astrattiste del secolo scorso e spazia dalla carta al cartoncino, alla tela, alla carta da parati come ne “ Il viaggio 2” del 2006 o ne “ Il viaggio 6 “ del 2007.
Dietro questi lavori, dietro “ Fondale” o “ Senza titolo” del 2005/2006 non è difficile intravedere una forma di “ shock” cromatico, che ricorda l’arte di Chagall ( vedi le “ Vetrate” dell’Hadassah-Ebrew University Medicale Center di Gerusalemme). Si tratta di un violento cromatismo, che si esprime in fondali marini immaginifici, in cieli di azzurro siderale o in rossi intensi, nel verde e nell’ocra de “ La festa della primavera” o di “ Verso la collina” del 2007.
Sicuramente il titolo di tutta una serie di dipinti ( “ Il viaggio” fino alla versione numero 14) stuzzica la ricerca analitica, la tentazione di un chiarimento semantico, la voluttà dell’analisi dell’inconscio. Si tratta di una sorta di “ call of the wild”, di richiamo delle origini, del ritorno, del “nòstos “ a Patrasso, alla Grecia mitica, al ventre degli antenati? E’ un modo di affermare “ l’esserci stato”, l’ “ et in Arcadia ego”? E’ un’accentuazione della tradizione petrarchesca sul viaggio compiuto “ a passi tardi e lenti”, viaggio carico delle nostre sofferenze e dei nostri dolori?
Elia con i suoi polittici, con i suoi trittici, con i suoi dittici, con le sue variazioni cromatiche, con le gradazioni del blu e del nero delle sue opere recentissime ( “ Nel blu” o “ La calda notte dei graffiti”) lascia tutto alla nostra immaginazione: ci offre disegni e colori, trasformando il quadro, sulla scia di Paul Klee, in una sorta di stoffa o di tappezzeria, che solletica il piacere della vista e la serenità dell’animo, grazie proprio “ all’inchiostro variopinto”.
La produzione di Luigi Galofaro ci riporta, specie per quanto riguarda gli esordi, a una particolare istituzione comisana, la Biblioteca comunale, e alle amministrazioni cittadine di Comiso: queste, negli anni sessanta e settanta del Novecento, pure nei limiti degli orientamenti culturali del tempo e nonostante le carenze dei bilanci, svilupparono sforzi non indifferenti nella direzione di una politica artistica – e non solo- di dignitoso livello.
Luigi Galofaro, dopo i primi studi a Comiso con Germano Belletti, Biagio Brancato e, soprattutto, Raffele Terranova, maestro nella lavorazione dei metalli, completò la sua formazione a Perugia. Alla mostra del 1965 Luigi Galofaro partecipa senza avere ancora sciolto quei legami che lo porteranno, negli anni settanta, a porre fine, come fece in campo pittorico Atanasio Giuseppe Elia,
all’esperienza figurativa per approdare all’informale e all’astratto.
E’ nella scultura che Galofaro esprime il meglio di sé. E’ nella lavorazione dei metalli, del ferro, dell’ottone, dell’acciaio,del rame che Galofaro raggiunge la piena maturità, portando alle estreme conseguenze gli insegnamenti che Raffaele Terranova e, per certi versi, lo stesso Nino Virduzzo avevano offerto agli allievi comisani.
Per Galofaro sono anni di intensa attività; è il tentativo della conquista di spazi nazionali, di presenze significative, come quella a Roma presso l’umbertino “ Palazzo delle Esposizioni” di via Nazionale nel 1975 o presso la galleria “ Il Babuino” nel 1978, con puntate anche a Comiso. Nella città ipparina Galofaro nel 1977 con l’opera intitolata “ Dissociazione” ( un mix di ferro e di ottone) vince ex aequo il “ premio città di Comiso”. Non è difficile notare nella scultura di Galofaro la presenza di esperienze artistiche importanti dell’ormai trascorso Novecento: “ in primis “ balza evidente la linearità verticale, sempre più accentuata nelle ultime produzioni. Anche se apparentemente frantumata in vari moduli, come avviene ad esempio nella scultura esposta a Comiso nel cortile del Palazzetto dello Sport: resiste in Galofaro una “ geometria della linea retta” – per usare le parole di Bonito Oliva –che porta all’arte nordamericana, al grattacielo, ad esempio, come trasposizione di “ una forma retta minimale”, da leggere sicuramente come tentativo di elevazione dell’anima. Giovanni Di Nicola, il terzo artista di questa collettiva ragusana, dopo avere frequentato, come gli altri, l’Istituto d’Arte comisano, si è trasferito all’Accademia di Belle Arti di Roma, entrando in contatto con quegli ambienti artistici della capitale animati da orafi, da cesellatori, da scultori, da miniaturisti, da costumisti, da sconografi. L’arte di Di Nicola, dopo le prime esperienze e i primi studi comisani, si modifica, si complica, si completa. L’artista parte da soggetti singoli, dallo studio delle parti, da un figurativo cesellato: sono gli anni delle “ teste di uccello” nelle varie versioni, degli studi sulla cellula, della lotta tra uccelli, delle figure di atleta o di guerriero. C’è un lavoro certosino, c’è la riduzione del metallo in filamenti, c’è l’accostamento di vari materiali, come ad esempio il rame con il bronzo, l’acciaio con il piombo, con l’alluminioC’è, in altri termini, una scultura “ costruita” su una sorta di “ poetica della modernità” che facilmente ci porta a Vladimir Tatlin e al suo “ tatlinismo” o “ costruttivismo”: in Di Nicola ancora una volta notiamo l’utilizzo anarchico di vari metalli, in Tatlin l’accostamento di metalli tubolari, di laminati, di fili ( cioè di materiali mai usati fino ad allora), accanto all’attenzione di ambedue per le concezioni spaziali e per l’impatto visivo delle forme nello spazio.L’accostamento dei materiali è studiato nei minimi particolari: il rame riverbera la luce sull’intera composizione, mentre il bronzo troneggia sul piombo e sull’acciaio in “ Contenitore di sogni”. Le componenti biologiche, fino ai filamenti di DNA, vengono analizzate in “ Cellula in espansione” o in “ Sulla genetica”. Le masse che, nell’età moderna, hanno fatto la loro irruzione nella storia( diventando, nel bene e nel male, protagoniste del “ secolo breve” di Hobsbawn), affollano la scena di “ Sulla libertà” o di “ Sulle religioni”.Le folle Di Nicola si affannano ora attorno a un blocco difficile da scalare, così come la libertà piena è sempre difficile da realizzare, ora attorno a sfere, archi a tutto sesto, porte rettangolari, aperture orientaleggianti, tutti indicatori della pluralità di credi e di orientamenti religiosi che caratterizzano il mondo di oggi.
Hanno fatto bene Enza Cantelli e il prof. Ingallinera, curatori della mostra presso la galleria ragusana “Lirismo d’autore”, ad assemblare le esperienze dei nostri tre artisti, esperienze comuni, nella loro formazione, ma diverse nei loro approdi: una sorta di eterogenesi dei fini che, comunque, offre contezza di uno dei poli artistici della realtà iblea e dei traguardi raggiunti nel panorama nazionale, e non solo, dai nostri tre “ facitori di immagini della loro epoca”: Atanasio Giuseppe Elia, Luigi Galofaro, Giovanni Di Nicola.
Nota di Girolamo Piparo
Quale viaggiatore colto, senza andare a scomodare il “ grand Tour “non si è presa nei giorni nostri la licenza di annoverare, tra le proprie mete, il siciliano “ granducato intellettuale”, la Comiso di Bufalino? Chi non si è inerpicato per scalinate scenografiche, chi non ha calpestato con gusto ciottolati antichi o non si è misurato con il sali e scendi delle viuzze lastricate, che si espandono attorno a piazza Fonte Diana, fino agli antichi quartieri di San Leonardo o delle Grazie?
Una di queste viuzze, storicamente centrali, è dedicata a quel Gioacchino Ferreri che nel 1795 ottenne il titolo di marchese, per poi diventare Presidente del Regio Parlamento Siciliano e, successivamente, ministro borbonico delle Finanze. In questa stradina, costretta tra palazzi gentilizi da un lato e, dall’altro, da casette dalla classica tipologia siculo-spagnolesca inizia la nostra storia, agli albori degli anni sessanta del secolo scorso.
E’, infatti, in questo periodo che alcuni giovani comisani si avventurano con entusiasmo lungo i meandri dell’arte, decidono di confrontare le loro esperienze, creano una bottega d’arte, denominata successivamente BAI ( bottega d’arte ipparina). C’è Atanasio Giuseppe Elia, c’è Luigi Galofaro, c’è Giovanni Di Nicola, ci sono altri. La bottega fu certamente il tentativo di fare rivivere, a Comiso, un’esperienza artistica che affonda le radici nella nostra tradizione medioevale e rinascimentale: andò a bottega il fior fiore dei nostri pittori o scultori, da Giotto a Caravaggio, i quali non solo subivano il fascino e l’influenza del maestro di turno, ma, al tempo stesso, si confrontavano, elaborando tecniche innovative e soluzioni ardite. A Comiso, poi, andare a bottega era un modo di perpetuare una tradizione artigianale secolare, dal lavoro del fabbro a quello del lapicida, dello scalpellino, del mastro carradore, del pittore di volte, del decoratore di tavole di carri. A monte dell’opera di Elia,Galofaro, Di Nicola cè tutto questo.
Per di più, dietro l’esperienza della bottega dell’arte c’è il mezzo secolo di vita del comisano Istituto d’Arte, di cui tutti e tre i nostri artisti sono stati allievi e hanno appreso l’abecedario artistico. In questo “ melting-pot” è immerso Atanasio Giuseppe Elia: nel 1961, quando approda all’esperienza della bottega, ha 16 anni, origini greche – peloponnesiache – per parte materna, precocemente maturo e pronto a esporre, la prima volta nel 1963.
Elia ha conosciuto un altro grande comisano, Gioacchino Distefano, pittore delicato di geometrie spaziali e di cromatismi graduati, persona schiva e attenta a quanto avveniva oltre oceano, in quegli “States” dove esponeva e dove aveva sicuramente apprezzato l’ “ optical art”. Punti, linee, triangoli, sfere, elementi geometrici sono presenti in Distefano e si dilatano in Elia, che si è liberato del mondo oggettivo e dei dettagli descrittivi, per pervenire a una spasmodica ricerca cromatica. Elia, con un uso anarchico di ogni tipo di materiale, continua la tradizione delle avanguardie astrattiste del secolo scorso e spazia dalla carta al cartoncino, alla tela, alla carta da parati come ne “ Il viaggio 2” del 2006 o ne “ Il viaggio 6 “ del 2007.
Dietro questi lavori, dietro “ Fondale” o “ Senza titolo” del 2005/2006 non è difficile intravedere una forma di “ shock” cromatico, che ricorda l’arte di Chagall ( vedi le “ Vetrate” dell’Hadassah-Ebrew University Medicale Center di Gerusalemme). Si tratta di un violento cromatismo, che si esprime in fondali marini immaginifici, in cieli di azzurro siderale o in rossi intensi, nel verde e nell’ocra de “ La festa della primavera” o di “ Verso la collina” del 2007.
Sicuramente il titolo di tutta una serie di dipinti ( “ Il viaggio” fino alla versione numero 14) stuzzica la ricerca analitica, la tentazione di un chiarimento semantico, la voluttà dell’analisi dell’inconscio. Si tratta di una sorta di “ call of the wild”, di richiamo delle origini, del ritorno, del “nòstos “ a Patrasso, alla Grecia mitica, al ventre degli antenati? E’ un modo di affermare “ l’esserci stato”, l’ “ et in Arcadia ego”? E’ un’accentuazione della tradizione petrarchesca sul viaggio compiuto “ a passi tardi e lenti”, viaggio carico delle nostre sofferenze e dei nostri dolori?
Elia con i suoi polittici, con i suoi trittici, con i suoi dittici, con le sue variazioni cromatiche, con le gradazioni del blu e del nero delle sue opere recentissime ( “ Nel blu” o “ La calda notte dei graffiti”) lascia tutto alla nostra immaginazione: ci offre disegni e colori, trasformando il quadro, sulla scia di Paul Klee, in una sorta di stoffa o di tappezzeria, che solletica il piacere della vista e la serenità dell’animo, grazie proprio “ all’inchiostro variopinto”.
La produzione di Luigi Galofaro ci riporta, specie per quanto riguarda gli esordi, a una particolare istituzione comisana, la Biblioteca comunale, e alle amministrazioni cittadine di Comiso: queste, negli anni sessanta e settanta del Novecento, pure nei limiti degli orientamenti culturali del tempo e nonostante le carenze dei bilanci, svilupparono sforzi non indifferenti nella direzione di una politica artistica – e non solo- di dignitoso livello.
Luigi Galofaro, dopo i primi studi a Comiso con Germano Belletti, Biagio Brancato e, soprattutto, Raffele Terranova, maestro nella lavorazione dei metalli, completò la sua formazione a Perugia. Alla mostra del 1965 Luigi Galofaro partecipa senza avere ancora sciolto quei legami che lo porteranno, negli anni settanta, a porre fine, come fece in campo pittorico Atanasio Giuseppe Elia,
all’esperienza figurativa per approdare all’informale e all’astratto.
E’ nella scultura che Galofaro esprime il meglio di sé. E’ nella lavorazione dei metalli, del ferro, dell’ottone, dell’acciaio,del rame che Galofaro raggiunge la piena maturità, portando alle estreme conseguenze gli insegnamenti che Raffaele Terranova e, per certi versi, lo stesso Nino Virduzzo avevano offerto agli allievi comisani.
Per Galofaro sono anni di intensa attività; è il tentativo della conquista di spazi nazionali, di presenze significative, come quella a Roma presso l’umbertino “ Palazzo delle Esposizioni” di via Nazionale nel 1975 o presso la galleria “ Il Babuino” nel 1978, con puntate anche a Comiso. Nella città ipparina Galofaro nel 1977 con l’opera intitolata “ Dissociazione” ( un mix di ferro e di ottone) vince ex aequo il “ premio città di Comiso”. Non è difficile notare nella scultura di Galofaro la presenza di esperienze artistiche importanti dell’ormai trascorso Novecento: “ in primis “ balza evidente la linearità verticale, sempre più accentuata nelle ultime produzioni. Anche se apparentemente frantumata in vari moduli, come avviene ad esempio nella scultura esposta a Comiso nel cortile del Palazzetto dello Sport: resiste in Galofaro una “ geometria della linea retta” – per usare le parole di Bonito Oliva –che porta all’arte nordamericana, al grattacielo, ad esempio, come trasposizione di “ una forma retta minimale”, da leggere sicuramente come tentativo di elevazione dell’anima. Giovanni Di Nicola, il terzo artista di questa collettiva ragusana, dopo avere frequentato, come gli altri, l’Istituto d’Arte comisano, si è trasferito all’Accademia di Belle Arti di Roma, entrando in contatto con quegli ambienti artistici della capitale animati da orafi, da cesellatori, da scultori, da miniaturisti, da costumisti, da sconografi. L’arte di Di Nicola, dopo le prime esperienze e i primi studi comisani, si modifica, si complica, si completa. L’artista parte da soggetti singoli, dallo studio delle parti, da un figurativo cesellato: sono gli anni delle “ teste di uccello” nelle varie versioni, degli studi sulla cellula, della lotta tra uccelli, delle figure di atleta o di guerriero. C’è un lavoro certosino, c’è la riduzione del metallo in filamenti, c’è l’accostamento di vari materiali, come ad esempio il rame con il bronzo, l’acciaio con il piombo, con l’alluminioC’è, in altri termini, una scultura “ costruita” su una sorta di “ poetica della modernità” che facilmente ci porta a Vladimir Tatlin e al suo “ tatlinismo” o “ costruttivismo”: in Di Nicola ancora una volta notiamo l’utilizzo anarchico di vari metalli, in Tatlin l’accostamento di metalli tubolari, di laminati, di fili ( cioè di materiali mai usati fino ad allora), accanto all’attenzione di ambedue per le concezioni spaziali e per l’impatto visivo delle forme nello spazio.L’accostamento dei materiali è studiato nei minimi particolari: il rame riverbera la luce sull’intera composizione, mentre il bronzo troneggia sul piombo e sull’acciaio in “ Contenitore di sogni”. Le componenti biologiche, fino ai filamenti di DNA, vengono analizzate in “ Cellula in espansione” o in “ Sulla genetica”. Le masse che, nell’età moderna, hanno fatto la loro irruzione nella storia( diventando, nel bene e nel male, protagoniste del “ secolo breve” di Hobsbawn), affollano la scena di “ Sulla libertà” o di “ Sulle religioni”.Le folle Di Nicola si affannano ora attorno a un blocco difficile da scalare, così come la libertà piena è sempre difficile da realizzare, ora attorno a sfere, archi a tutto sesto, porte rettangolari, aperture orientaleggianti, tutti indicatori della pluralità di credi e di orientamenti religiosi che caratterizzano il mondo di oggi.
Hanno fatto bene Enza Cantelli e il prof. Ingallinera, curatori della mostra presso la galleria ragusana “Lirismo d’autore”, ad assemblare le esperienze dei nostri tre artisti, esperienze comuni, nella loro formazione, ma diverse nei loro approdi: una sorta di eterogenesi dei fini che, comunque, offre contezza di uno dei poli artistici della realtà iblea e dei traguardi raggiunti nel panorama nazionale, e non solo, dai nostri tre “ facitori di immagini della loro epoca”: Atanasio Giuseppe Elia, Luigi Galofaro, Giovanni Di Nicola.
Nota di Girolamo Piparo
29
marzo 2008
Raccontar divagando
Dal 29 marzo al 12 aprile 2008
arte contemporanea
Location
LIRISMO D’AUTORE
Ragusa, Corso Vittorio Veneto, 567, (Ragusa)
Ragusa, Corso Vittorio Veneto, 567, (Ragusa)
Orario di apertura
dal lunedì al sabato dalle 17 alle 20
Vernissage
29 Marzo 2008, ore 19
Autore
Curatore