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Andrea Cantieri – 35 Luglio Year 2010
35 luglio year 2010 giunge alla sua seconda tappa, itinirerante per i meandri dell’isola, a Catania, città natale dell’artista. Icona della riflessione, diviene l’immagine impressa di una data surreale, quale proiezione temporale cui l’uomo contemporaneo tende per sfuggire all’ineluttabilità di un tempo sempre più impalpabile
Comunicato stampa
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35 luglio year 2010 giunge alla sua seconda tappa, itinirerante per i meandri ininterrotti dell’isola: è a Catania, città natale dell’artista, che la mostra approda. Icona della riflessione, diviene l’immagine impressa di una data surreale, quale proiezione temporale cui l’uomo contemporaneo tende per sfuggire all’ineluttabilità di un tempo sempre più impalpabile, in un era in cui egli diviene centro di una mole incontenibile di idee, azioni, responsabilità che, avvolte nel vortice della frenesia, divengono superficialità, smarrimento di una società che ha perso l’orientamento spazio-temporale. Quale, l’unica via di salvezza possibile? L’arte come dono d’immortalità. L’arte quale mezzo di riflessione, contemplazione per un uomo che ha obliato il tempo del pensiero. Il ritratto, l’unica manifestazione possibile dell’uomo contemporaneo, in tutta la sua complessità, la sua fragilità.
Andrea Cantieri, fortemente influenzato ed ispirato dall’universo jazzistico, stempera il proprio vissuto nel binomio artistico che ingloba in un unicum catartico il suono all’immagine, concentrando la propria ricerca sin dai primi passi sullo studio della figura nell’incessante tendere a sbiadirne i contorni: il jazz è lo stile di vita acquisito, l’improvvisazione la sua linfa: la sintesi è il compimento pittorico nelle opere monocromatiche di ultima concezione dove lo spessore materico del colore impresso sui diversi supporti, tutti rigorosamente bianchi, dunque neutralizzati dalle proprie cromie primitive, dalla tela al legno, dagli antichi vinili ai più diversi materiali di riciclo, rivela uno spessore concettuale che affonda le proprie radici in quella “jezzità” che, prima ancora d’esser la forma contenutistica finale che arriva a noi come sequenza di suoni, d’impulsi, è il pensiero che ne è genesi, a segnare le impronte dell’anima, in una figurazione dedotta che apre lo spazio all’immaginario.
Un immaginario al cui centro è l’uomo contemporaneo, immerso in un contesto storico-sociale il cui dinamismo frenetico segna l’imperante cambiamento di direzione della condizione-tempo cui l’uomo è, unitamente alla categoria spaziale, ineluttabilmente legato, quale conditio sine qua non del suo stesso esistere.
Un tempo che non appare più essere al servizio dell’uomo, in modo inversamente proporzionale rispetto allo spazio: se le esigenze di “globalizzazione” sociale – delle presunte società evolute, industrializzate - politica, religiosa, culturale, ambientale dell’età contemporanea, infatti, esigono uno spazio sempre meno distante fra le parti, dunque vistosamente ridotto; la mole di carico, in termini di lavoro fisico, oltre che di energie psichiche investite, di cui l’uomo contemporaneo si assume onere e responsabilità, certamente agevolata da una condizione spaziale ridimensionata, richiederebbe però uno spazio temporale più ampio che viceversa inghiotte quest’uomo nel vortice della frenesia, della superficialità, dello smarrimento.
La società dei consumi esige “tutto e subito”, ed ecco che l’uomo finito e mortale fluttua nell’angosciante e curioso scorrere del tempo che lo consuma: tutto diviene allora un vorticoso girotondo esistenziale che l’artista, simbolo di quest’uomo contemporaneo, rivela nei diversi sguardi impressi, come fotogrammi ripetuti, nello spasmodico inseguire se stesso, per incidere un segno preciso del proprio esistere.
Una profonda ricerca dell’identità dell’uomo contemporaneo che per l’artista è ricerca di sé, una ricerca intimista che assurge a pensiero universale, in cui l’arte diviene materia di quell’impalpabile sogno d’esistere oltre il tempo, lo spazio. Uno spazio a servizio dell’uomo, sì, ma un tempo sempre più effimero che diviene “artificiale”: 35 luglio 2007.
Se l’opera d’arte è l’unica strada possibile per oltrepassare le barriere delle categorie primarie che incidono i confini del vivere umano, in questa direzione, allora, il bianco è simbolo di quell’ “eternità” sulla quale l’artista incide il segno del passaggio: un volto, ripetuti volti a segnare gli attimi ormai sfuggiti di un’esistenza che attraverso l’opera ha inciso indelebile un nome, il proprio, quello dell’uomo contemporaneo. E lo incide sui materiali più diversi, spesso di riciclo, perché tutto, anche il rifiuto, la materia dimenticata – eccessivamente abbondante nell’era del monouso e dunque di uno spasmodico consumismo che allunga vertiginosamente le distanze fra il mondo civilizzato, o ritenuto tale, e il terzo mondo - possa rinascere a nuova vita e divenire “imperituro”; l’uomo, “immortale”. Atavico dramma del Mistero che nell’uomo contemporaneo assume un nuovo significato e che Andrea Cantieri sublima nell’opera d’arte, da sempre rifugio catartico, impronta di un’altra era che segna un nuovo comune modo d’interpretare l’esistenza umana. “Ai posteri, l’ardua sentenza”.
Andrea Cantieri, fortemente influenzato ed ispirato dall’universo jazzistico, stempera il proprio vissuto nel binomio artistico che ingloba in un unicum catartico il suono all’immagine, concentrando la propria ricerca sin dai primi passi sullo studio della figura nell’incessante tendere a sbiadirne i contorni: il jazz è lo stile di vita acquisito, l’improvvisazione la sua linfa: la sintesi è il compimento pittorico nelle opere monocromatiche di ultima concezione dove lo spessore materico del colore impresso sui diversi supporti, tutti rigorosamente bianchi, dunque neutralizzati dalle proprie cromie primitive, dalla tela al legno, dagli antichi vinili ai più diversi materiali di riciclo, rivela uno spessore concettuale che affonda le proprie radici in quella “jezzità” che, prima ancora d’esser la forma contenutistica finale che arriva a noi come sequenza di suoni, d’impulsi, è il pensiero che ne è genesi, a segnare le impronte dell’anima, in una figurazione dedotta che apre lo spazio all’immaginario.
Un immaginario al cui centro è l’uomo contemporaneo, immerso in un contesto storico-sociale il cui dinamismo frenetico segna l’imperante cambiamento di direzione della condizione-tempo cui l’uomo è, unitamente alla categoria spaziale, ineluttabilmente legato, quale conditio sine qua non del suo stesso esistere.
Un tempo che non appare più essere al servizio dell’uomo, in modo inversamente proporzionale rispetto allo spazio: se le esigenze di “globalizzazione” sociale – delle presunte società evolute, industrializzate - politica, religiosa, culturale, ambientale dell’età contemporanea, infatti, esigono uno spazio sempre meno distante fra le parti, dunque vistosamente ridotto; la mole di carico, in termini di lavoro fisico, oltre che di energie psichiche investite, di cui l’uomo contemporaneo si assume onere e responsabilità, certamente agevolata da una condizione spaziale ridimensionata, richiederebbe però uno spazio temporale più ampio che viceversa inghiotte quest’uomo nel vortice della frenesia, della superficialità, dello smarrimento.
La società dei consumi esige “tutto e subito”, ed ecco che l’uomo finito e mortale fluttua nell’angosciante e curioso scorrere del tempo che lo consuma: tutto diviene allora un vorticoso girotondo esistenziale che l’artista, simbolo di quest’uomo contemporaneo, rivela nei diversi sguardi impressi, come fotogrammi ripetuti, nello spasmodico inseguire se stesso, per incidere un segno preciso del proprio esistere.
Una profonda ricerca dell’identità dell’uomo contemporaneo che per l’artista è ricerca di sé, una ricerca intimista che assurge a pensiero universale, in cui l’arte diviene materia di quell’impalpabile sogno d’esistere oltre il tempo, lo spazio. Uno spazio a servizio dell’uomo, sì, ma un tempo sempre più effimero che diviene “artificiale”: 35 luglio 2007.
Se l’opera d’arte è l’unica strada possibile per oltrepassare le barriere delle categorie primarie che incidono i confini del vivere umano, in questa direzione, allora, il bianco è simbolo di quell’ “eternità” sulla quale l’artista incide il segno del passaggio: un volto, ripetuti volti a segnare gli attimi ormai sfuggiti di un’esistenza che attraverso l’opera ha inciso indelebile un nome, il proprio, quello dell’uomo contemporaneo. E lo incide sui materiali più diversi, spesso di riciclo, perché tutto, anche il rifiuto, la materia dimenticata – eccessivamente abbondante nell’era del monouso e dunque di uno spasmodico consumismo che allunga vertiginosamente le distanze fra il mondo civilizzato, o ritenuto tale, e il terzo mondo - possa rinascere a nuova vita e divenire “imperituro”; l’uomo, “immortale”. Atavico dramma del Mistero che nell’uomo contemporaneo assume un nuovo significato e che Andrea Cantieri sublima nell’opera d’arte, da sempre rifugio catartico, impronta di un’altra era che segna un nuovo comune modo d’interpretare l’esistenza umana. “Ai posteri, l’ardua sentenza”.
05
aprile 2008
Andrea Cantieri – 35 Luglio Year 2010
Dal 05 al 19 aprile 2008
arte contemporanea
Location
GALLERIA L’ARTE CLUB
Catania, Via Antonio Di Sangiuliano, 200, (Catania)
Catania, Via Antonio Di Sangiuliano, 200, (Catania)
Orario di apertura
lun 17.00 – 20.00. mar – sab 10.00 – 13.00 / 17.00 - 20.00
Vernissage
5 Aprile 2008, ore 19.30
Sito web
www.andreacantieri.it
Autore
Curatore